bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 29 dicembre 2014

attraverso Fontana

sono andata a vedere Chagall e la Bibbia, al museo Diocesano, di Milano, ovvio.
è una piccola estensione della mostra di Chagall a Palazzo Reale, sempre a Milano, ovvio.
allora la questione è che la mostra, entrambe ma direi pricipalmente la seconda, è di una tale meraviglia che nemmeno so da dove cominciare.
a Palazzo Reale ci sono andata due volte, figurati un po', ormai almeno due mesi fa.
è che davvero non so da dove si comicia a parlare di Chagall. 
pure ieri, a Rovereto, alla mostra sulla Grande Guerra al MART (che posto), La guerra che verrà non è la prima (e che titolo per una mostra per la miseria), tra i tanti c'erano due quadri di Chagall. uno, Il soldato beve, l'ho visto, come se avessi un radar, all'inizio della sala, a 50 metri di distanza.
va bene ne parlerò, di Chagall e della Grande Guerra al Mart, ma intanto parto da lontanissimo.
la sera che sono andata al Diocesano, al termine della breve mostra sui disegni tratti dalla Bibbia del maestro, una gentilissima signora addetta alla sorveglianza, pensando che non fossi paga di una così breve esposizione, mi ha invitato, anzi direi costretta, a visitare i resto del museo Diocesano.
io non avrei acconsentito, non avevo problemi a spiegare alla signora che ero contenta, e già ubriaca di bellezza, così com'ero, ma la timidezza di chi mi accompagnava non ha saputo dire di no, temendo di dare una grandisissima delusione a tanta generosità. ho girato per le sale a tasta bassa perchè non volevo vedere. non volevo vedere niente, tanto meno oro incenso mirra e santi.
alla fine del tour da carcerati abbiamo chiesto la via per l'uscita. la medesima signora, un vero mastino, una di quelle che tiene la presa fino alla vista del sangue, ci ha invitati a fare questo e quel giro perché avremmo incontrato una sala molto interessante. nonostante la mia bava alla bocca, qualcuno ha perfino chiesto quale stanza, e la iena ha detto: quella di Lucio Fontana. "ma non il solito Fontana dei tagli sulla tela, un altro Fontana, da vedere".
Fontana al Diocesano?  prima domanda nella mia testa, quando l'ignoranza vi alberga sovrana.
naturalmente, e pure da soli, perchè quando il senso di colpa ci domina non si può fingere nè trasgredire all'ordine impartito nemmeno se nessuno ti vede,  siamo andati nella sala indicata, quella di Lucio Fontana.
potrei dire di esserci entrata per sbaglio, a occhi chiusi o quasi, giusto per non torturare con il diniego chi non avrebbe potuto passare oltre la propria coscienza di aver detto si a una sconosciuta, ma qualcosa è successo.
ho visto.
ho visto qualcosa a cui penso.
ho visto quello che mi è sembrato un angelo ma è una madonna.
ho visto la Pala della Vergine Assunta.
l'ho vista venirmi addosso,come se stesse per investirmi.
non posso dire che mi abbia portata alla conversione, ma la folgorazione è avvenuta, sulla via per l'uscita, una sera di Dicembre.



c'erano anche altre figure, le ho intraviste, una via Crucis, anche quella era strana, era "bianca", era mossa.  poi c'erano altre due figure,


una di un frate, che scrive. mi sono sentita investita, come da un treno in corsa, l'ho vista venire verso di me, uscire dal muro, muoversi, camminare, avvicinarsi, toccarmi.


cosa dovevo fare?
scappare o guardare?
ho guardato.
e non dimentico.
nemmeno la signora...


mercoledì 24 dicembre 2014

Madonna Esterhazy

Raffaello Madonna col Bambino e San Giovannino, Madonna Esterhazy.

è piccola.
un piccolo quadro incompiuto, i volti mai portati a termine.

forse, siccome è piccola, hanno pensato di accostarle altri due quadri:
la Vergine del Borghetto, attribuita a Francesco Melzi, copia antica della Vergine delle rocce di Leonardo concessa dall’istituto delle Suore Orsoline, e la Madonna della rosa di Giovanni Antonio Boltraffio, prestito del Museo Poldi Pezzoli. 

 Attribuito a Francesco Melzi Madonna col Bambino, San Giovannino e un angelo (la Vergine delle Rocce del Borghetto) 1510 - 1520 Tempera e olio su tela, 198 x 122 cm Milano, Congregazione Orsoline di San Carlo
 Giovanni Antonio Boltraffio Madonna con il Bambino 1495 ca. Tempera su tavola, 45 x 36 cm Milano, Museo Poldi Pezzoli

hanno temuto che non fosse sufficiente? dicono che li hanno accostasti al quadro di Raffaello per affinità di pose e personaggi. deve essere così.

a me Raffaello basta, e avanza. e viene dall'Ungheria, dal Museo delle Belle Arti di Budapest, un bel viaggio per farci contenti.

la signorina che ci accompagna (la visita a Palazzo Marino del quadro di Natale scelto ogni anno per la città è sempre rigorosamente accompagnata)  parla come un robot, indicazioni storiche ma poco pittoriche. Raffaello e i rapporti con il papato di Giulio II, Raffaello rispetto a Michelangelo e Leonardo, Raffaello  e la vita a Urbino e Firenze e poi a Roma, cambiamento epocale per l'artista e per la storia dell'arte, Raffaello e la sua Madonna trasportata e completata a Roma e mai finita, la Madonna scomparsa per due secoli poi donata da Papa Clemente XI a Cristina di Brunswick all'inizio del '700, Raffaello e la sua Madonna alla fine di proprietà della Collezione privata Esterhazy.

si va bene, ho capito, ma a me interessa il quadro e il suo movimento.
Raffaello, Madonna col Bambino e San GiovanninoFrancesco Melzi, Madonna col Bambino, San Giovannino e un angeloG. A. Boltraffio, Madonna con il BambinoRaffaello Madonna col Bambino e San Giovannino (Madonna Esterházy) circa 1508 tempera e olio su tavola, 28,5 x 21,5 cm Budapest, Museo di Belle Arti (Szépművészeti Múzeum)

quella Madonna è una madre. più una madre che una Madonna. si torce un po', deve fare uno sforzo trattenere il suo bambino, vivace e irrequieto, che vuole il gioco di San Giovannino che se la gode tranquillo nel suo angolo. sembra fermo, il quadro, le figure in un triangolo, ma si muove. tutto qui, a me sembra abbastanza per dire che è un bel vedere perché la madre è bellissima e tenera e i suoi piccoli protetti sono vivi, oltre la tela. dietro c'è Roma, con i Fori Imperiali, e la morbidezza delle forme della Madonna e dei suoi piccoli si protrae oltre i corpi, nel paesaggio. i personaggi sono tutti in relazione tra loro e ognuno per sé, si parlano e vivono di vita propria, in un'armonia complessa ma espressione di cose semplici.
è la stessa impressione che ho avuto l'anno scorso, sempre nella Sala Alessi di Palazzo Marino, guardando, sempre di Raffaello, la Madonna di Foligno (http://nuovateoria.blogspot.it/2014/01/adesso-potrei-anche-farla-lunga-e.html ). c'erano angeli come nuvole, c'era una madre con un bambino così mosso, così vivace, così familiare a tutte noi, senza fierezza, senza enfasi. 
in un commento del Corriere della Sera di Carlo Bertelli leggo: Non si trattava di semplici scene di vita quotidiana, bensì di cogliere un momento presago nella vita della Madre e del Figlio. Un gesto, un velo di malinconia dovevano avvertire della consapevolezza di entrambi. L'elaborazione della Madonna Esterházy era stata complessa. Un disegno conservato agli Uffizi dimostra che Raffaello aveva già perfezionato la composizione, tranne il paesaggio, che nella tavola evoca monumenti medievali e rovine di Roma, tanto che alcuni pensano che il giovane maestro avesse portato la tavola con sé per finirla. Nel disegno, il piccolo san Giovannino sembra quasi ritroso di fronte alla vivacità di Gesù, ma nel dipinto, tutto si chiarisce. Gesù indica il cartiglio che attrae l?attenzione di san Giovannino. Sappiamo che cosa vi è scritto: «Ecce Agnus Dei». Così il gioco innocente dei due bambini ci rivela la tragedia imminente. Ne è consapevole Maria, che trattiene Gesù come se questi volesse precipitarsi verso il sacrificio.

un quadro errante, di piccole dimensioni e quindi trasportabile dallo stesso Raffaello in viaggio da Firenze a Roma, poi però me lo hanno portato qui, a casa mia.

lunedì 22 dicembre 2014

Ti giri nel sonno, in un sogno, a poca luce.

Canzonette mortali 

Io che ho sempre adorato le spoglie del futuro
e solo del futuro, di nient'altro
ho qualche volta nostalgia
ricordo adesso con spavento
quando alle mie carezze smetterai di bagnarti,
quando dal mio piacere
sarai divisa e forse per bellezza
d'essere tanto amata o per dolcezza
d'avermi amato
farai finta lo stesso di godere.


Le volte che è con furia
che nel tuo ventre cerco la mia gioia
è perché, amore, so che più di tanto
non avrà tempo il tempo
di scorrere equamente per noi due
e che solo in un sogno o dalla corsa
del tempo buttandomi giù prima
posso fare che un giorno tu non voglia
da un altro amore credere l'amore.


Un giorno o l'altro ti lascio, un giorno
dopo l'altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m'incanto…


Non questa volta, non ancora.
Quando ci scivoliamo dalle braccia
è solo per cercare un altro abbraccio,
quello del sonno, della calma – e c'è
come fosse per sempre
da pensare al riposo della spalla,
da aver riguardo per I tuoi capelli.


Meglio che tu non sappia
con che preghiere m'addormento, quali
parole borbottando
nel quarto muto della gola
per non farmi squartare un'altra volta
dall'avido sonno indovino.


Il cuore che non dorme
dice al cuore che dorme: Abbi paura.
Ma io non sono il mio cuore, non ascolto
né do la sorte, so bene che mancarti,
non perderti, era l'ultima sventura.


Ti muovi nel sonno. Non girarti,
non vedermi vicino e senza luce!
Occhio per occhio, parola per parola,
sto ripassando la parte della vita.


Penso se avrò il coraggio
di tacere, sorridere, guardarti
che mi guardi morire.


Solo questo domando: esserti sempre,
per quanto tu mi sei cara, leggero.


Ti giri nel sonno, in un sogno, a poca luce.

Giovanni Raboni
1982-1983

dicevano, quella volta, di una struttura poetica sinfonica, a proposito di Giovanni Raboni.
io vedo che c'è una struttura che si assottiglia, a mano a mano che la poesia procede le strofe possiedono un numero progressivamente ridotto di versi. si parte da dieci e si arriva ad un singolo verso.
è il tempo che passa, è la vita che scorre, è il poeta che si sente morire, è la parola che abbisogna di minor spazio,  prevale il silenzio, domina la luce, è il singolo verso che dice tutto: dormi, sogni, ti guardo. 

sabato 20 dicembre 2014

Conrad e il mare

quando si dice una bufala...
mostra, mostra?, all'Acquario di Milano.
l'aggancio è evidente. acquario, acqua, mare, Conrad. brava Rossa!
la mostra non c'è, ci sono alle pareti citazioni, anche molto lunghe, dalla produzione letteraria di Conrad e qualche antico strumento di navigazione qua e là.
credo, semplicemente, di aver contribuito al rinnovo delle casse, certamente carenti, dell'Acquario di Milano.
quel che rimane sono le parole di Conrad.

Marlow terminò di raccontare, e si sedette in disparte, indistinto e silenzioso, nella posa di un Buddha in meditazione. Per un poco nessuno si mosse. «Abbiamo perso l’inizio della marea», disse a un tratto il direttore. Sollevai la testa. Il mare aperto era sbarrato da un nero banco di nubi, e la tranquilla via navigabile che conduceva agli estremi confini della terra scorreva cupa sotto un cielo coperto – sembrava portare verso il cuore di una tenebra immensa.
Cuore di Tenebra

V'è qualcosa che si svolge nel cielo, come una decomposizione, una corruzione dell'aria, che rimane più ferma che mai. In fondo, sono soltanto nubi, che possono o no portare vento oppure pioggia, Strano che debbano conturbarmi così. Ho l'impressione che tutti i mie peccati mi abbiano raggiunto.
La linea d'Ombra

Agli uomini ai quali, nella sua sdegnosa misericordia, esso concede un istante di tregua, il mare immortale offre nella propria giustizia, e pienamente, il privilegio, ambito del resto, di non riposare mai. Nell’infinita saggezza della sua grazia non consente loro di poter meditare con calma sull’acre e complesso sapore dell’esistenza, per tema che abbiano a ricordare e forse a rimpiangere la ricompensa di una tazza d’ispiratrice amarezza, tanto spesso assaggiata e altrettanto spesso sottratta alle loro labbra già irrigidite, ma pur sempre riluttanti. Questi uomini devono senza un istante di requie giustificare la propria vita all’eterna pietà…
Il Negro del Narcissus

Di tempeste ne aveva incontrate, naturalmente. Era stato bagnato fino all'osso, sbattuto, travagliato... Ma non aveva mai intravisto la forza incommensurabile e la collera smodata, la collera che passa e si esaurisce senza mai placarsi - la collera e la furia del mare irritato. Egli sapeva che ciò esiste, come sappiamo che esiste il delitto e l'odio; ne aveva udito parlare come un pacifico cittadino sente di battaglie, carestie, inondazioni, senza che ne conosca il significato... Il capitano MacWhirr aveva navigato sulla distesa degli oceani cosí come tanti uomini scivolano sugli anni dell'esistenza per scendere dolcemente in una placida tomba, ignari fino all’ultimo della vita senza mai aver avuto occasione di vedere quel che essa ci può dare in materia di perfidia, di violenza e di orrore. Ci sono, sul mare e sulla terra, uomini così fortunati… o così disprezzati dal destino e dal mare.
Tifone

ho comprato un libro, alla fine della "mostra", Romanzi del mare. almeno questo è passato, la bella prosa di Joseph Conrad.

giovedì 18 dicembre 2014

interstellar

non è che ci sia moltissimo da dire se non che alla fine mi è piaciuto!
la fantascienza mi attrae da sempre, per sempre. da ragazzina adoravo Spazio 1999 (ridicolo a pensarci, il titolo), seguivo, meno appassionata, Star Trek, ho infinitamente amato 2001 Odissea nello spazio (e anche qui casca l'asino) e difficilmente mi perdo un film di fantascienza. Ultimo, e commentato, Gravity 
(http://nuovateoria.blogspot.it/2013/10/gravity.html).
all'inizio c'è una polvere tremenda, il mondo è soffocato da una polvere inarrestabile e, mi dispiace, ma  le immagini iniziali di Furore mi arrivano nella testa come un fulmine. alla fine, penso, è un buon riferimento, anche quella è la storia di un'apocalisse. il film è un filmone e mi piace da morire tutta la parte nello spazio. buchi neri, anelli di saturno, pianeti inesplorati, onde pazzesche, tempo che va e che fugge, un'ora lì in mezzo alla tempesta d'acqua come 7 anni sulla terra...uno sballo! quelli vanno poi tornano, sono come prima e freschi come rose e l'altro, il collega sfigato, ha 23 anni di più!! passati tutti da solo sulla navicella ad aspettare. c'è da impazzire penso io! lui (poi mi spiego) torna su, dal casino che c'è giù, e si vede 23 anni di messaggini video dei suoi figliuoli. eddai, che momentacci.
a parte la terminologia, e la teoria, astro fisica che mi mette in difficoltà...ma cosa dico, non la capisco... ma dai nemmeno... è il vuoto torricelliano nella mia mente, per il resto è tutto un godimento di tempi e di momenti, soprattutto quelli relativi al rapporto tra il padre, astronauta fighissimo vestito da Matthew McConaughey che non invecchia mai e non teme nulla se non il tempo che passa, e la figlia, prima piccina poi grandicella nei bellissimi panni di Jessica Chastain. 
certo, sta ragazza ce l'ha parecchio con il suo vecchio, quello la molla nella polvere asfittica e se ne va nello spazio, quello vive le ore e la vita in un spazio tempo incomprensibili e se ne torna 80 anni dopo con 2 anni in più di quando è partito e la figlia è al capezzale di morte ultranovantenne. nel frattempo, grazie al loro meraviglioso rapporto di complicità e amore, il mondo è cambiato, la terra è morta ma non l'umanità, trasferita sugli anelli di saturno in grandi cilindroni verdi e luminosi, dopo le splendide rivelazioni di papà incastrato nelle maglie metafisiche del tempospazio alla sua ragazzina tramite un alfabeto morse dell'ultima ora attraverso i libri della sua cameretta nella casetta del west polveroso e spacciato.
no dai, è un film che si porta tutto in sè, dalle riflessioni sul tempo alla fisica delle particella, dalla velocità della luce alla verità genitoriale. nessuno c'è riuscito prima, a salvare il  mondo, ci riesce metthew e perché? perché (è un figo) è un tenero papà che sa quel che deve fare. mica perde tempo in ciance, perché c'è la sua piccola ad aspettarlo. quel che lui fa nello spazio è sempre, in contemporanea (esiste la contemporaneità o è un'invenzione della mente?, no perché il tempo diventa un pasticcio inesplicabile, una matassa aggrovigliatissima, in questo film) a quel che fa sua figlia sulla terra: se lui tenta l'impossibile, la figlia lo sostiene da lontano tenendo duro nell'aria che non c'è, se lei scopre l'inghippo della formula matematica, lui intanto ha risolto un bel problemino per attraccare la navicella al  modulo orbitale (boh, che ne so, mi perdoni chi ci capisce veramente qualcosa, io no).
ah, in tutto questo, nel frattempo -si fa per dire- c'è l'altra, Anne Hathaway, con dei capelli inguardabili, una vergogna di parrucchiere veramente, che aspetta, sola ovviamente, persa nell'eternità del tempo, sul pianeta del suo amato, ove si respira e c'è vita, spinta ai confini della galassia per amore...solo per amore...le donne...
no dai, sul serio, è un bel film, lo giuro. 

lunedì 15 dicembre 2014

Walter Bonatti. fotografie dai grandi spazi

le foto autoritratto sono molte ma non sono le più belle.
anzi, mostrano subito una debolezza di carattere, un eccesso di immagine, un'immagine oltre.
ci si domanda come possa riprendersi a decine di metri di distanza: un pannello della mostra a Palazzo della Ragione cita i suoi scritti sulle sofisticate tecniche dell'autoscatto, all'inizio utilizzava un cavo elettrico lungo 100 metri, poi gli impulsi elettronici, e, in alcuni casi faceva ricorso a locali incontrati sul cammino.
spesso è nudo, a torso nudo o in costume, si tuffa, si arrampica, esagera...quando l'immagine diventa un sintomo.
Walter Bonatti, una mostra a Milano, al Palazzo della Ragione, con la storia e le foto di questo noto personaggio, alpinista e fotografo. dopo la cocente frustrazione seguita alla missione, tristemente storica, sul K2, accusato di aver sottratto l'ossigeno dalle bombole destinate all'ultimo tratto di salita, sottoposto al bombardamento mediatico, non si abbatte, lotta, rivendica le sue ragioni, combatte in tribunale, riprende a scalare in solitaria, crea fazioni -con o contro di lui- diventa famoso, scrive libri, poi, inaspettatamente dopo la scalata in solitaria alla nord del Cervino, nel febbraio 1965, Bonatti cambia mestiere. a precedere questa decisione, un'altra tragedia, 4 anni prima , sul Monte Bianco, 4 morti, tra i quali un caro amico.
e qui, c'è del coraggio, c'è la forza di reiventarsi, di inventarsi esploratore e fotografo.
Bonatti gira il mondo, forse tutto a giudicare dalle foto, lavora come inviato per Epoca che lo ingaggia come reporter. 




certo qui il narcisismo si spreca e le sue foto migliori non sono queste, che disturbano anche un po', ma le foto del mondo: Namibia, vulcano Licancabur in Cile,  Ruwenzori, Aconcagua cilena, gruppi montuosi dell'Etiopia, ghiacciaio e morene dell'Antartide, cascate Murchison, nel tratto ugandese del Nilo Vittoria, Yukon, Alaska e Canada, Capo Horn, Isola di Sumatra. foto belle, mostrano la natura, sono da brivido e impressionano per la vastità, dell'avventura soprattutto.


la mostra si dipana bene, inizia con le avventure sulle montagne, si dispiega poi nelle foto dell'esperienza del mondo come reporter per Epoca, si aprono due angoli interessanti: quello dei libri di ispirazione, Joseph Conrad, Jack London, Emilio Salgari, Arthur Conan Doyle, Herman Melville, Daniel Defoe, in cui una voce narrante legge dalle sottolineature di libri di Bonatti, e un altro di proiezione di fumetti, "Solitario sullo Yukon", "Nel cuore dell'Africa" e "Sull'isola dei mostri" nati, negli anni '90, dalle penne di Enea Riboldi e Pasquale Del Vecchio.ora, quei fumetti, di scarso successo ai tempi, sono ricercatissimi dai collezionisti.

Bonatti faceva tutto da solo: sceglieva le mete, si organizzava i viaggi, fotografava con talento istintivo ed efficace, scriveva articoli e didascalie, ma non voleva colleghi della carta stampata né fotografi tra i piedi - ricorda Livio Caputo, per 14 anni a  Epoca-. A Epoca avevamo un team straordinario di fotografi, da De Biasi a Del Grande, da Lotti a Galligani, ma verso Bonatti, che era simpatico e modesto nonostante la fame mondiale, non c'era nessuna invidia. Del resto lui metteva la sua straordinaria vigoria fisica al servizio di reportage al limite delle possibilità umane che nessun altro sarebbe stato in grado di realizzare. Era semplicemente insostituibile. Noi giornalisti invece lo consideravamo una vera bandiera del giornale, la ciliegina sulla torta. Uno che oltretutto scriveva con grande semplicità e chiarezza, e per questo era molto amato dai lettori.

venerdì 12 dicembre 2014

la fine del mondo

un'iniziativa molto interessante, a me graditissima perché la apprezzo molto.
un negozio, un bell'ambiente, di quelli che vanno molto, luogo dell'usato "buono", porti i tuoi capi usati e ne trovi di altri, cose belle, indubbiamente, ben tenute e a prezzi interessanti.
è allestito un brindisi, vedo panettone, pandoro e prosecco, ma arrivo tardi purtroppo...allora mi siedo e ascolto, pazienza per i vestiti e pazienza per il brindisi.
le signore che partecipano all'iniziativa, tutte signore tranne due signori, appartengono chiaramente alla Milano bene, siamo in zona Fiera, quartiere residenziale. sono di una certa età, oltre i 60 per la maggior parte, vestite (non saprei se bene ma molto vestite) e molto ingioiellate. sicuramente, se mi avvicinassi, molto profumate. capelli da parrucchiere, magari anche tutti i giorni.
e va bene.
la sessione è un'iniziativa di due miei colleghi, direi così, che appartengono a un'associazione, cui da poco appartengo anche io, che si occupa di disturbi della condotta alimentare. lei è una nutrizionista e farmacologa clinica (come me), lui è uno psicoanalista lacaniano. cosa fanno? organizzano incontri a tema, invitano persone di loro conoscenza, probabilmente pazienti della nutrizionista e persone a loro affiliate, e discutono di temi come:  Femmi hour: un calice di prosecco tra abbigliameno e accessori per parlare di cibo, shopping e femminilità
e, credetemi, questa è un'iniziativa di grande rispetto, di divulgazione culturale. perché, come si può immaginare, il pubblico porta temi di apparentemente banale, ma non lo è, quotidianità, e lo psicoanalista parla di psicoanalisi senza farlo troppo sapere, va a fondo, analizza i problemi, parla di maschile e femminile, parla di cibo e di immagine, parla di narcisismo e di specchio, di sguardo e di differenza tra i sessi. e io sono molto impressionata. perché i temi di partenza, tranne in un caso di illuminata saggezza di una signora fuori dal coro, riportano le tematiche, a volte estenuanti, della lotta tra i sessi e della lotta delle donne con se stesse e lo psicoanalista, adiuvato dalla nutrizionista quando il campo è più di sua pertinenza, con infinita pazienza modera la tematica e la riporta sul problema, la problematizza escludendo la crosta della superficie ormai usurata della tiritera della superiorità femminile in ogni campo e entra nel derma dei problemi.
parlare di psicoanalisi al pubblico e a un pubblico probabilmente altrimenti inaccessibile se non con un invito di elegante shopping condito dal prosecco, parlare di psicoanalisi e farsi capire e farsi ascoltare è veramente una grande operazione culturale. è bello che il lacaniano (anche lui di solito inaccessibile nella fortezza del suo esclusivo sapere) si confronti con la gente, che aiuti a capire cosa c'è dietro a quella frase usurata dall'abitudine del luogo comune. 
e le cose che dice sono di enorme interesse. e la signore capiscono, annuiscono, si ritrovano, magari pensano, un po' di più.
magari, figurati un po', per un attimo dubitano su qualcosa che pensano sia una verità in tasca.
dubitare, questa è conoscenza.
peccato, me ne sono andata prima della fine della discussione, non ho brindato né salutato i miei stimatissimi colleghi, che approvo ed ammiro.
certo, ho pensato tornando a casa, se le donne continueranno a pensare di essere in tutto e per tutto migliori degli uomini - e questo non è un pensiero dilagante, di più, dominante e pervasivo- arriveremo a un punto in cui ci saranno le donne da una parte, sempre più sole ed aggressive, e gli uomini dall'altra, sempre più arrabbiati, e il mondo, senza qualcosa dell'amore e del rispetto delle differenze che circoli, si fermerà.



giovedì 11 dicembre 2014

la bontà è anche nelle mani

L'immagine della bontà è spesso collegata a un rapporto amichevole e confidenziale con le cose, a una rispettosa familiarità con gli oggetti, a un'attenta e sapiente capacità di maneggiarli con abilità, ma anche con cura e riguardo. La gentilezza rivolta alle persone, agli animali, alle piante si estende, spontaneamente, alle cose, al bicchiere in cui si infila il fiore; la bontà è anche nelle mani, nel modo in cui si tendono verso altre o prendono un portacenere dal tavolo. L'attenzione, è stato detto, è una forma di preghiera, il riconoscimento della realtà oggettiva, di un ordine, di confini; un modo di guardare al di là e al di sopra del proprio Io, di sapere che nessuno è satrapo tirannico e capriccioso del mondo né può devastarlo a suo arbitrio, come ci accade in quei penosi e impotenti scatti di collera in cui, non potendo distruggere noi stessi, gli altri o l'universo, facciamo a pezzi il primo oggetto che ci viene a tiro.
C'è una robusta bontà delle mani, proprio di chi bada all'altro e non si concentra sterilmente solo sulle proprie smanie; assomiglia all'infanzia, la cui fantasia si accende per un sasso o per una scatola di fiammiferi vuota, e assomiglia soprattutto all'arte, che non esiste senza questa sensuale, curiosa e scrupolosa passione per la concretezza fisica e sensibile dei particolari, per le forme, i colori, gli odori, per una superficie liscia o spigolosa, per la rivelazione che può venire dall'orlo della risacca o dal bottone fuori posto di una giacca.

Claudio Magris, L'infinito Viaggiare.

su questo libro, tra l'altro, c'è una dedica di mio padre, del 2005.
a Natale regalava solo libri, con dedica. tutti, ed erano molti, con la dedica.
tutti, parenti e amici, aspettavano il libro con dedica di mio padre.
alcuni li comprava alla libreria Bocca, Galleria Vittorio Emanuele, che ancora esiste.
e io, da una certa età in poi, facevo i pacchetti. precisa (noiosa).
c'è già della confusione in quel che scrive, in un riferimento alle mie letture mi confonde con mio fratello, ma lo stile, in generale, è inconfondibile: "graditissimo un parere".
allora non gliel'ho dato, potrei farlo adesso.
forse l'ho letto per questo.
buon Natale.

torneranno i prati


c'è molta calma, moltissima.
c'è molta neve e il bianco riluce anche di notte.
c'è l'inesorabilità della natura, così come della guerra, della morte.
la si aspetta, la morte, come inevitabile, come quella neve che tutto copre. la neve cade comunque, qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa faccia l'uomo, cade e copre, scende, brilla. 
bellissima. ma bellissima nell'inferno in terra. quindi crudele, perché è un contrasto intollerabile la bellezza di questa natura con l'orrore della guerra.
il nemico non si vede, ma c'è, è fuori e dentro di noi.
gli uomini sono soli, parlano poco, obbediscono all'insensatezza, obbediscono alla sorte, obbediscono ai comandi, e muoiono, dimenticati. sono stracciati, quegli uomini, morti di freddo e di fame, desolati, poveri, facce comuni, anonimi, eroi oppure vigliacchi, dignitosi oppure folli.
c'è chi si uccide, davanti al maggiore, per non morire ammazzato da un cecchino, in quella neve così bianca, in quel vuoto di senso. se deve essere un suicidio, che sia così. con un colpo sparato in bocca, e dategli voi, un senso, se siete capaci.
vengono seppelliti nella neve, tutti quei morti sotto le granate, e riemergeranno a primavera, come i prati.
«Quest’estate emergeranno dal ghiaccio e qualcuno verrà a cercarli. Ma di molti non se ne occuperà nessuno» dice un graduato al tenente di fresca nomina.
è un grido di silenzio questo film, è una preghiera, sommessa. un invito alla memoria: non dimentichiamo, non abbandoniamo questi morti.

Torneranno i prati. di Ermanno Olmi.




lunedì 8 dicembre 2014

l'elmo di Mambrino

Don Chisciotte non ha paura; si offre all' incertezza del vivere, che gli porta disastri, legnate, porcherie, umiliazioni. Ma egli non ha fede nella vita, che non sa quel che fa, bensì nei libri, che dicono non la vita ma ciò che le dà senso, le sue insegne. Per queste insegne egli si batte e viene quasi sempre ridicolmente battuto, perché quasi sempre il bene perde e il male vince. Ma nemmeno disarcionato egli dubita di quelle insegne. Argamasilla è la patria del baccelliere Sansone Carrasco che l' atterra, ma don Chisciotte atterrato afferma che la sua debolezza non compromette la verità di ciò in cui egli crede.
così scrive Claudio Magris nel suo L'infinito viaggiare ripercorrendo le strade di Spagna, le strade delle Mancia, terra di Don Chisciotte. io posso dire che questo libro, Don chisciotte della Mancia, di Miguel de Cervantes Saavedra, l'ho letto e meno male che l'ho fatto. meno male, dico, meno male, come potrei ora vivere senza? come ho potuto vivere prima? che sia un capolavoro non lo dico certo io, che sia una rivelazione di verità però lo scrivo per me. Don Chisciotte sa, sa tutto, sa che le meraviglie visionarie della grotta di Montesinos potrebbero essere fandonie eppure sono vere, sceglie che siano vere, sceglie la follia come vestito per il giorno, per la sera e per la notte. prende botte, subisce umiliazioni, derisioni, risate alle spalle, eppure sceglie la follia come miglior visione del mondo possibile. sceglie di vedere il mondo secondo il proprio desiderio, una visione incantata che non crolla mai a tutti i disincanti possibili. è una scelta coraggiosa, contro il mondo, a volte veramente crudele, cinico, modesto. la sua scelta è superiore, è una scelta di verità, la sua verità, una scelta di speranza, di amore, di generosità, una scelta di narrazione, una scelta letteraria. La follia di don Chisciotte è sempre, in qualche modo, realista e veggente; certo molto più della miopia di chi vede solo la facciata delle cose e la scambia per l' unica e immutabile realtà. Sono i don Chisciotte ad accorgersi che la realtà si sgretola e può cambiare. Don Chisciotte non ha mai paura, tanto meno dell'imprevedibilità della vita: meglio che i mulini  avento siano giganti o quel che semplicemente sono? meglio che la sua Dulcinea sia una meravigliosa e fatata creatura degna di eterno amore e devozione o la semplice contadina che forse non ha mai visto in vita sua? meglio che l'elmo di Mambrino luccichi splendente e magico sulla sua testa o sia un catino da barbiere? meglio, molto meglio quel che il suo desiderio vede e crede. è la triste normalità degli altri, quello sguardo che non si discosta mai dalla banalità del reale a fare della splendida follia di don Chisciotte l'unica possibile speranza di redenzione e di poesia, di incantata narrazione della vita.

— Insomma, disse Sancio, che è ciò che ha determinato di fare la signoria vostra in questo deserto? — Non tel dissi? rispose don Chisciotte: voglio imitare Amadigi, facendo quivi il disperato, il pazzo, il furioso; e così batterò anche le tracce del famoso Roldano allorché trovò scolpito presso una fonte che Angelica, la bella, si era avvilita a farsi moglie di Medoro: che diventò pazzo di afflizione, svelse gli alberi, intorbidò le acque delle chiare fonti, ammazzò pastori, manomise mandre di armenti, incendiò capanne, rovinò case, strascinò cavalli, e fece mille altre bestialità degne di eterna fama e scrittura. E poiché io non intendo d'imitare Roldano, od Orlando, o Rotolando (che portava tutti e tre questi nomi) a parte a parte ma alla meglio in quelle che mi sembreranno più essenziali: e potrebbe anche darsi che io volessi contentarmi della sola imitazione di Amadigi, che senza estendere gli effetti della pazzia a danno di alcuno, col solo piangere ed angustiarsi acquistò tanta fama che nulla più.
— Mi pare, disse Sancio, che que' cavalieri fossero provocati, ed abbiano avuto un motivo di fare queste pazzie e queste penitenze; ma quale ragione ha mai la signoria vostra di volere diventar matto? quale signora l'ha fatto andare in collera? quale indizio ebb'ella mai per temere che la signora Dulcinea del Toboso lo abbia posposto a qualche moro o cristiano?
Qui sta il punto, rispose don Chisciotte e qui sta l'acutezza del mio divisamento! Non v'è né merito né grazia in un cavaliere errante se impazzisce per qualche giusto motivo: il sublime si è impazzare senza un perché al mondo, e far conoscere alla mia signora che io mi conduco a tal passo senza causa e senza motivo; e poi, non ne avrei io un'ampia causa nella mia lunga lontananza dalla sempre mia signora Dulcinea del Toboso? che come già udisti da quei pastori di Ambrogio, chi sta lontano porta seco tutti i mali e timori. No, amico Sancio, non perdere il tempo a sconsigliarmi dall'eseguire sì rara, sì felice, sì inaudita imitazione; io sono pazzo e debbo restar pazzo finché tu ritornerai a me colla risposta di una lettera che penso d'inviare col tuo mezzo alla mia signora Dulcinea: e se tale sarà la risposta quale si conviene alla mia fede avrà fine la mia pazzia e la mia penitenza; e se mi addivenisse il contrario, allora impazzirò davvero, e come tale non sarò più capace di sentire affanni; ed in qualunque maniera ch'essa risponda, io uscirò dal conflitto e dal travaglio in cui mi lascerai godendo del bene, se bene mi apporterai, o non sentendo il male per essere pazzo, se male mi recherai. Ma dimmi Sancio, hai tu tenuto buon conto dell'elmo di Mambrino? Ho veduto che tu lo hai raccolto da poi che quell'ingrato lo fece in pezzi; dal che si conobbe la finezza della sua tempra.»
Sancio rispose: — Viva Dio, signor cavaliere dalla Trista Figura, che non posso tollerare pazientemente, né lasciar correre cosa alcuna di quelle che dice vossignoria: perché da quanto sembrami di poter concludere dalle cose di cavalleria che ho intese fin qui di conquistare regni ed imperi, di regalare isole, di concedere grazie e grandezze, com'è costume dei cavalieri erranti, debbo persuadermi che sieno tutte un vento, e bugie e menzogne, o come voglia chiamarle. Ed in fatti chi sentisse a dire che un bacino da barbiere fosse l'elmo di Mambrino, e che chi lo dice non si avvedesse del proprio errore dopo quattro giorni, non penserebbe che costui debb'essere un uomo che ha perduto il giudizio? Il bacino io lo tengo nel sacco tutto ammaccato, e lo porto per rassettarlo quando sarò a casa mia, e per usarne a farmi la barba, se pur Dio mi darà tanta grazia da poter un dì rivedere mia moglie e i miei figliuoli.
— Bada bene, o Sancio, che io ti giuro per quel medesimo, per cui giurasti tu stesso, che tu hai il più corto intendimento di ogni altro scudiere del mondo. è possibile che in tanto tempo che meco vai girando non ti sii persuaso che tutte le cose dei cavalieri erranti che sembrono chimere, cose fantastiche e pazzie o cose fatte a rovescio, non sono poi tali in realtà, e soltanto lo appaiono perché le vicende che passano fra di noi sono regolate da una caterva d'incantatori che cambiano e sfigurano tutto quello che ci appartiene; e lo trasformano a loro capriccio, e secondo che li move la intenzione di favorirci o di annientarci? Questa è la ragione per cui quello che a te sembra il bacino di un barbiere a me pare l'elmo di Mambrino, e altrui apparirà altra cosa, e fu esimio provvedimento del Savio, che favorisce la mia persona, il fare che sembri bacino a tutti ciò ch'è veramente e realmente elmo di Mambrino; perché essendo cosa di gran pregio, tutto il mondo si armerebbe contro di me per tôrla dalle mie mani; ma giudicandolo un bacino di barbiere non se ne curano. E ne fa prova colui che lo ammaccò tutto, lasciandolo in terra senza portarlo seco, come certamente avrebbe fatto se avesse conosciuta la importanza sua. Custodiscilo, amico, che non mi è duopo valermene per adesso, perché mi debbo prima spogliare di tutte queste armi e restare nudo come son nato, per attenermi al genere di penitenza usato da Orlando, o a quello d'Amadigi.

Scrive ancora Claudio Magris: L' interiorità solitaria perde facilmente la nozione del bene e del male, come nei sogni, in cui si può commettere qualsiasi cosa senza ritenersi colpevoli. L' interiorità va rovesciata come un guanto e riversata sul mondo, come gli ideali cavallereschi di don Chisciotte si mescolano, divenendo perciò ancora più alti, alla promiscuità del reale. Solo perché don Chisciotte crede di vederlo in una prosaica bacinella da barbiere il mitico elmo di Mambrino acquista la sua incantata poesia. 

venerdì 5 dicembre 2014

lo schiaccianoci

secondo me, nella scena dei balocchi che danzano, il ballerino vestito da cinese era una frana. pessimo.
goffo e pesante, dove l'hanno pescato?
invece la coppia di spagnoli e di arabi è stata molto apprezzabile.
siamo alla rappresentazione, al Teatro Arcimboldi di Milano, dello Schiaccianoci.
il Bashkirian State ballet Theatre di Ufa (Russia), sotto la direzione artistica di Vladislav Samoylov e di Leonora Kuvatova responsabile del corpo di ballo, porta in scena l’opera più famosa e affascinante tra i capolavori del balletto classico nella versione coreografica originale di Petipa, accompagnata dalla maestosa musica di Čajkovskij.
siamo nel classico dei classici, siamo nel mondo dei balocchi e delle fiabe, siamo nello sfarzo dei costumi e delle coreografie, siamo nella dimensione formale e retorica della danza classica, siamo nel romanticismo tutta enfasi e struggimento di Čajkovskij, ma che bello!! è proprio quello che volevo, da tempo.
E' la Vigilia di Natale. Il borgomastro di Norimberga decide di festeggiare attorno all’albero con la moglie e i due figli, Clara e Fritz. Drosselmeyer, un misterioso personaggio, tra numeri di magia e atmosfere oniriche, regala a Clara uno schiaccianoci di legno a forma di soldatino. Al termine della sontuosa festa, Clara, felice per il dono ricevuto, si addormenta stringendo il suo schiaccianoci tra le braccia. La magia farà volare la piccola in un mondo fantastico, dove il suo schiaccianoci si trasformerà in un bellissimo principe.





fiocchi di neve, balocchi, alberi di natale, burattini, doni, sciabole e cagnolini, giochi e dolciumi, sogni e trionfi, caramelle, slitte fatate, soldatini, topi, cuochi, leccornie, Fata confetto, Regina della neve, danza spagnola, danza araba, danza cinese, danza degli zufoli, danza di Madama Bomboniera e dei suoi figli, danza russa e il Valzer dei fiori e infine un grandioso pas de deux...che tripudio, una confezione natalizia senza eguali.
un mondo fatato dove spiccano Clara e il suo Principe Schiaccianoci, meritevoli e leggiadri.
mi piace la danza e il su sfidar le leggi di gravità, sono sempre molto ammirata da questo controllo indicibile del corpo soprattutto se penso che, mediamente, del corpo si controlla quasi nulla.
è una disciplina che costa molto, a volte troppo, a volte la salute mentale..ma lo sguardo su quell'opera d'arte che è il corpo in movimento è un piacere pari una fetta di torta al cioccolato con panna.
mi incuriosisce la dimensione retorica del dispositivo del balletto classico in cui chi balla, quel Valzer dei fiori e quel finale pas de deux, si presenta al suo pubblico per riceverne il tributo nel pieno della rappresentazione. è un'interruzione della finzione, della narrazione per tornare al contesto reale. nella recita c'è una professionalità, un'arte nell'arte, che va riconosciuta. anche a teatro si applaude in scena e anche quel gesto sottolinea la finzione difronte a un pubblico, ma nessuno dice grazie e si inchina prostrandosi a terra umilmente devoto ma anche fermamente convinto del merito che riceve. 
ad ogni modo, vorrei uno schiaccianoci per Natale. non il principe, il balocco di legno vestito di rosso.

giovedì 4 dicembre 2014

tra il genio e la filodrammatica

parole di Cesare Garboli, scrittore, saggista e critico letterario italiano, sulle Voci di dentro di Eduardo.
ed è a partire da un suo testo sul teatro di Moliere, Tartufo, che ho ascoltato a BookCity, proprio Toni Servillo e Carlo Cecchi, disquisire di teatro e recitare sulle pagine di Tartufo. 
un'ora speciale, tra saggistica e recitazione.
bell'affare il teatro, e non  resisto a riportare la scena che ho più gradito, 10 giorni fa, al Piccolo Teatro di Milano.

ALBERTO
No, ma vi consiglierei di riposare un poco. Io 'a matina sono felice quando mi posso papariare, fare cioè con comodoquelle cose inutili ma tanto necessarie nello stesso tempo... Che so: «Stu quadro mi piacerebbe più a quell'altra parete...» «Stu tappeto 'o vulesse mettere là...» «Stu mobile 'o mettesse dint' 'a cammera 'e pranzo...» «St'armadio starebbe meglio in quell'altro posto...»

PASQUALE
E già, io 'a matina me sóso e me metto a cambiare 'e mobile d' 'a casa?

ALBERTO
Non dico questo, ma dei piccoli ritocchi. Per esempio: quella credenza (indica il mobile di fronte al fornello) non starebbe meglio ad angolo fra la parete e la porta?... Carlu', damme na mano... (Si avvicina alla credenza per spostarla).

PASQUALE 
Ma nossignore. Io studiai tanto, primma d' 'a mettere là. Quello è il posto più indicato.

ALBERTO
Ah, non la volete spostare, la credenza... è vero??? Carlu', nun 'a vo' spusta'!

CARLO
'O ccredo.

PASQUALE
Ma si capisce che non la voglio spostare. Io, in casa mia, i mobili li voglio tenere dove mi pare e piace. E quando mai io so' venuto a spusta' 'a rrobba in casa vostra?

ALBERTO
E se venite, ve la faccio spostare. Perché in casa mia chiunque vuole spostare i mobili, lo può fare senza paura di arrecarmi danno. Venite, e spostate.

PASQUALE
Don Albe', io non vi capisco. Tengo una nottata addosso che Iddio lo sa... Non ho chiuso occhio.

ALBERTO
E questo dicevamo con donna Rosa, don Pasqua', dormire è diventato un lusso. Le agitazioni sono troppe, è vero don Pasqua'?... 'A capa ncopp' 'o cuscino volle... Chello che sta 'a dinto, 'a notte iesce fora...

PASQUALE (che comincia a trovare incomprensibile il parlare di Alberto)
A me, nun esce 'a fore niente. Ho la coscienza tranquilla e se non dormo è perché... Chi 'o ssape pecché?

ALBERTO
Pecché 'e muorte so' assaie. So cchiù 'e muorte ca 'e vive.

PASQUALE
Lo credo. N'è morta gente, da quando è nato il mondo.

ALBERTO
Ma vuie, 'e quale muorte parlate?

PASQUALE (superficiale)
'E muorte... 'A ggente che more pecché ha da muri'.

ALBERTO
Ah, ecco! Vuie parlate 'e chille ca mòreno c' 'a morte... Quelli sì. Quelli si mettono in santa pace e danno pace pure a noi. Ma chille c' 'avevan' 'a campa' ancora e che, invece, moreno per volontà di un loro simile, no. Quelli non se ne vanno... Restano. Restano con noi. Vicino a noi... Attuorno a nuie!.. Restano dint' 'e ssegge... dint' 'e mobile... 'A notte sentite: «Ta...» È nu muorto ca s'è mmiso dint' 'o llignamme 'e nu mobile. Na porta s'arape? L'ha aperta nu muorto. Sott' 'o cuscino... dint' 'e vestite... sott' 'a tavula... Chilli muorte là restano... Nun se ne vanno. E strilleno comme ponno strilla'. Perciò nun putimmo durmi' 'a notte, don Pasqua'. Campanello interno. Tutti sobbalzano richiamati da quel suono che li libera dall'atmosfera terrificante creata da Alberto. Pasquale esce.

ROSA
Apri Mari'... (Alludendo alla inopportunità di Alberto) E ccà, 'a matina, ce scetammo allegre... Maria esce seguita da Alberto.

ALBERTO (dopo poco si ode la sua voce)
Carlu', io so' pronto.

CARLO (repentinamente si alza e afferra Rosa per le braccia tenendola ferma. Grida)
Albe', entra. Alberto entra tenendo ferma la cameriera. Lo segue Michele, un brigadiere di Pubblica Sicurezza e cinque agenti, tre dei quali bloccano l'ingresso. Sono tutti armati di mitra e pistole.

ROSA
Per la pace di Dio, che è successo?

CARLO (tenendola ferma)
Non gridate. Raccomandatevi a Dio, che è grande e misericordioso.

BRIGADIERE (impugnando la pistola, a uno degli agenti)
Tu nun te movere a ccà. (Agli altri) Voi venite con me. (Esce per la porta a destra seguito dagli agenti, anche essi con pistola in pugno).

ALBERTO
Finalmente è finita! Il sangue di un innocente diventerà fuoco eterno che correrà nelle vostre sporche vene.

ROSA E MARIA (allibite)
Ma...

CARLO (calmo, mistico)
A Dio... raccomandatevi a Dio, che è grande e misericordioso.

Internamente scoppia un fracasso d'inferno. Grida, strepiti di donne, misti alle energiche proteste degli uomini. Dopo poco, trascinati dalle guardie e dal brigadiere, entrano assonnati e sommariamente vestiti, Pasquale, Elvira, Matilde e Luigi. Chi in pigiama, chi in camicia, chi in maglietta.

PASQUALE (fuori di sé)
Ma cheste so' ccose 'e pazze! Chi vi conosce?

BRIGADIERE
Ci conoscerai. Non fare resistenza.

MATILDE (coprendosi alla meglio)
Io sto in camicia. Ho vergogna.

ALBERTO
Perché, tu conosci la vergogna che cos'è?

LUIGI (scagliandosi contro Alberto)
Tu si' na carogna! Le guardie lo trattengono.

ALBERTO
E tu sei un assassino. Come tuo padre, tua madre, tua sorella, tua zia e questa criminale di cameriera che tenete in casa. (La famiglia Cimmaruta rimane muta come di fronte a una enormità incredibile). Assassini! Signor brigadiere, la denuncia che ho fatto è precisa e documentabile. Questa è una famiglia di degenerati criminali. (Indicando Pasquale) Questo immondo individuo, con due figli, di fronte ai quali avrebbe dovuto sacrificare ogni sua aspirazione per educarli al bene, assiste sereno e contento alle tresche provvisorie e occasionali di sua moglie, la quale, con la scusa di leggere le carte, riceve clienti di giorno e di notte. (Luigi c.s.). Tu, è meglio che non ti agiti. Ho le prove, perciò parlo. Vi ho seguiti, v'aggio fatta 'a spia. E il sospetto è stato coronato dall'autenticità dei fatti. Ma ora la vostra miserabile esistenza è finita. Brigadie', questo branco di iene, questi vermi schifosi, hanno commesso il più atroce e raccapricciante dei delitti. Dopo aver attirato in casa il mio fraterno amico Aniello Amitrano, con l'arma della seduzione di questa donna, l'hanno sgozzato, derubato, e hanno fatto sparire il cadavere.

TUTTI
Noi?

ALBERTO
Ma la mano di Dio è grande e toglie i lumi agli assassini. Le prove, i documenti, sono nascosti in casa e so io dove. Brigadie', portateli via questi miserabili... Io vi seguirò in questura con tutte le prove, e vedrete che non avranno più il coraggio di negare.

BRIGADIERE (autoritario)
Camminate, andiamo!

PASQUALE
Ma questo è un pazzo. Noi siamo gente per bene.

BRIGADIERE
Cammina... (Gli agenti spingono fuori gli altri componenti della famiglia, i quali protestano energicamente. Carlo li segue confortandoli con parole mistiche). Fa' presto. (Ad Alberto) Noi vi aspettiamo in questura. (Esce spingendo Pasquale).

ALBERTO
Via, via, pulizia!

MICHELE (angosciato)
Chi poteva mai pensare! Signo', e queste prove? Questi documenti, dove stanno?

ALBERTO (sicuro)
Qua, dietro a quel mobile. Hanno tolto i mattoni e ci hanno messo dentro tutti i documenti, la camicia insanguinata e una scarpa. Non hanno avuto tempo di pareggiare il muro, volevano farlo stamattina, e partire. Damme na mano... (Tolgono il mobile dal muro, e osservato in lungo e in largo dietro ad esso, non scorgono nulla. Un po' deluso, si guarda intorno) No, là... (Indica un altro punto. Dal muro di sinistra stacca una grande mensola, alla quale sono attaccate pentole e tegami, e dopo aver osservato c.s. ) No, sott' 'e carboni.
MICHELE
E qua carboni non ce ne sono. Tengono la cucina a gas.

ALBERTO
E che ti posso dire... Forse, dentro a quella cesta. (Indica un altro punto).

MICHELE
Forse?...

ALBERTO (guarda nella cesta. Il risultato è il medesimo delle altre volte. Siede avvilito, passandosi una mano sulla fronte)
Miche'!

MICHELE
Signo'.

ALBERTO Miche', io me lo sono sognato...

MICHELE Vuie che dicite...? E mo'?

ALBERTO
Ma così naturale.. .

MICHELE (insistendo con voce monotona)
E mo'?

ALBERTO (con un filo di voce)
Damme nu bicchiere d'acqua. (Quasi estasiato dalla visione fantastica, dice beato) Ma che bel sogno.

FINE PRIMO ATTO

Le voci di dentro

ALBERTO
Mo' volete sapere perché siete assassini? E che v' 'o dico a ffa'? Che parlo a ffa'? Chisto, mo', è 'o fatto 'e zi' Nicola... Parlo inutilmente? In mezzo a voi, forse, ci sono anch'io, e non me ne rendo conto. Avete sospettato l'uno dell'altro: 'o marito d' 'a mugliera, 'a mugliera d' 'o marito... 'a zia d' 'o nipote... 'a sora d' 'o frate... Io vi ho accusati e non vi siete ribellati, eppure eravate innocenti tutti quanti... Lo avete creduto possibile. Un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni... il delitto lo avete messo nel bilancio di famiglia! La stima, don Pasqua', la stima reciproca che ci mette a posto con la nostra coscienza, che ci appacia con noi stessi, l'abbiamo uccisa... E vi sembra un assassinio da niente? Senza la stima si può arrivare al delitto. E ci stavamo arrivando. Pure la cameriera aveva sospettato di voi... La gita in campagna, la passeggiata in barca... Come facciamo a vivere, a guardarci in faccia? (Esaltato, guardando in alto verso il mezzanino) Avive ragione, zi' Nico'! Nun vulive parla' cchiù... C'aggia ffa', zi' Nico'? (Più esaltato che mai, implorante) Tu che hai campato tanti anni e che avevi capito tante cose, dammi tu nu cunziglio... Dimmi tu: c'aggia ffa'? Parlami tu... (Si ferma perché ode come in lontananza la solita chiacchierata pirotecnica di zi' Nicola, questa volta prolungata e più ritmata) Non ho capito, zi' Nico'! (Esasperato) Zi' Nico', parla cchiù chiaro! (Silenzio. Tutti lo guardano incuriositi). Avete sentito?


TUTTI     E che cosa?



ALBERTO     Comme, non avete sentito sparare da lontano?



TUTTI     No.



ALBERTO (ormai calmo e sereno) M'ha parlato e nun aggio capito. (Amaro, fissando lo sguardo in alto) Non si capisce! (Poi rivolto al brigadiere) Brigadie', possiamo rimandare questa formalità in questura a più tardi? Me voglio arrepusa'.



BRIGADIERE     Vuol dire che vi vengo a prendere nel pomeriggio.



ALBERTO (affranto siede)    Grazie.



PASQUALE Andiamo, va'... tante emozioni... 'o zio muorto... Andiamo.



Parlottando fra loro escono. Rimangono in iscena Alberto, Carlo e Michele.



MICHELE (dopo una lunga pausa) Io non mi sogno mai niente. 'A sera mi corico stanco che Iddio lo sa. Quando ero ragazzo, mi facevo un sacco di sogni... ma belli. Certi sogni che mi facevano svegliare così contento... Mi parevano spettacoli di operette di teatro. E quando mi svegliavo, facevo il possibile di addormentarmi un'altra volta per vedere di sognarmi il seguito. Me ne scendo, perché ci ho il palazzo solo... (Va per andare, poi come ricordando qualche cosa) Ah! il mezzo portone, poi, l'ho chiuso... Perché De Ferraris ha detto che la madre non esce, sta poco bene. È sempre un rispetto... Permettete. (Ed esce).



I due fratelli sono rimasti soli, l'uno di spalle all'altro. Alberto seduto al tavolo, in primo piano a sinistra, col capo chino sulle braccia. Carlo, accasciato su di una sedia, in fondo allo stanzone. Alberto, dopo una piccola pausa, solleva il capo lentamente, e con uno sguardo pietoso cerca il fratello. Dopo averlo fissato per un poco, per non prorompere in lacrime, con gesto che ha della disperazione, comprime fortemente le mani aperte sul suo volto. Il sole inaspettatamente, dal finestrone in fondo, taglia l'aria ammorbata dello stanzone e, pietosamente, vivifica le striminzite figure dei due fratelli e quelle povere, sgangherate sedie, le quali, malgrado tutto, saranno ancora provate dalle ormai svogliate «feste» e «festicciolle» dei poveri vicoli napoletani.

l'ho visto, al Piccolo teatro Strehler sfidando la mia sordità (che perdura anche se meno grave).
mi è piaciuto tanto.
mi è piaciuto Servillo, Toni, e anche il fratello, Beppe. in scena Alberto Saporito e Carlo Saporito.
coppia di fratelli, nella vita e nella finzione teatrale.
un testo semplice, una splendida intuizione, uno spettacolo teatrale classico, intenso, vivo. 
da un sogno nasce un equivoco. Alberto Saporito accusa la famiglia Cimmaruta di un omicidio, orientato da una dimensione onirica che ha un trascinamento diurno. compreso l'errore la situazione non si risolve, piuttosto ne segue una sequela di accuse e delazioni intrafamiliari, emerge il sospetto, la disistima, la distanza tra persone che vivono vicine, una prossimità spaziale ma non sentimentale. 

“Eduardo De Filippo è il più straordinario e forse l'ultimo rappresentante di una drammaturgia contemporanea popolare”, spiega Toni Servillo. “Dopo di lui il prevalere dell’aspetto formale ha allontanato sempre più il teatro da una dimensione autenticamente popolare. E’ l’autore italiano che con maggior efficacia, all’interno del suo meccanismo drammaturgico, favorisce l'incontro e non la separazione tra testo e messa in scena. Affrontare le sue opere significa insinuarsi in quell'equilibrio instabile tra scrittura e oralità che rende ambiguo e sempre sorprendente il suo teatro. Il profondo spazio silenzioso che c'è fra il testo, gli interpreti ed il pubblico va riempito di senso sera per sera sul palcoscenico, replica dopo replica”. "Le voci di dentro”, continua Toni Servillo, “è la commedia dove Eduardo, pur mantenendo un'atmosfera sospesa fra realtà e illusione, rimesta con più decisione e approfondimento nella cattiva coscienza dei suoi personaggi, e quindi dello stesso pubblico”.Si arriva ad una vera e propria "atomizzazione della coscienza sporca", di cui Alberto Saporito si sente testimone al tempo stesso tragicamente complice, nell'impossibilità di far nulla per redimersi. Eduardo scrive questa commedia sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale, ritraendo con acutezza una caduta di valori che avrebbe contraddistinto la società, non solo italiana, per i decenni a venire. “E ancora oggi”, conclude Servillo, “sembra che Alberto Saporito, personaggio-uomo, scenda dal palcoscenico per avvicinarsi allo spettatore dicendogli che la vicenda che si sta narrando lo riguarda, perché siamo tutti vittime, travolte dall'indifferenza, di un altro dopoguerra morale.”


le voci di dentro sono quelle soffocate dall'ipocrisia e dalla paura, quelle voci che non possono parlare, esprimersi, perchè nessuno le ascolta. ed ecco, tra le altre, la figura di zi' Nicola, dietro le scene, che non parla, si esprime con i petardi. zi' Nicola è la saggezza inascoltata, un'altra voce di dentro soppressa, un richiamo che va interpretato, ognuno a suo modo, se la saggezza ci incontra, se la possediamo. Eduardo raccontava che lo zio Nicola esisteva davvero, non era un personaggio inventato. aveva trovato la notizia in una raccolta di articoli dove ce n’era uno che parlava di un “fuochista” napoletano e descriveva con precisione questa specialità, questa arte. era un poeta dei fuochi artificiali. è un'altra forma di mutismo, un grido della misantropia, un incarnato dell'incomunicabilità. eppure zio Nicola è presente, è un mutismo che ci perseguita con la sua presenza, anche quando, alla fine, non scoppia più.
la fusione, e la confusione, tra sogno e realtà è solo lo spunto, è l'inizio della fine, della lenta e inesorabile fuoriuscita dei cattivi umori che covavano da tempo, da sempre, inespressi e soffocati. e allora non possono che essere i petardi, a scoppiare, i fuochi dell'indignazione.
è strepitosa la scena della lenta costruzione di Alberto, con l'appoggio del fratello, spalla complice muta ma espressiva, dell'antefatto, del dubbio, dell'inaspettata richiesta di spostare il mobilio della stanza, fino all'esplosione della denuncia: voi avete ucciso. prima scherzava...prima faceva ridere...prima ci si domandava...e poi più.
solo il teatro, e quello di Eduardo senza dubbio, può regalare quest'arte di dire oltre le parole, con la rappresentazione. solo il teatro, e chi lo sa interpretare come Toni Servillo, può esprimere la disperazione di Alberto Saporito, che ha consapevolezza di aver portato in emersione un dramma apparentemente familiare ma universale, senza travasare nell'enfasi, con un narrazione che fa buon uso della farsa e della metafora, degli equivoci e dei rimbrotti, dell'ironia e del sarcasmo, dei fantasmi della solitudine.


teatro. guardatelo.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-3b583ec2-db5b-42fb-a0cd-d5d363d2dfc0.html

In generale, se un’idea non ha significato e utilità sociali non m’interessa lavorarci sopra. Naturalmente, mi rendo conto che quello che è vero per me può non esserlo per altri, ma io sono qui per parlarvi di me e dato che la pietà, lo sdegno, l’amore, le emozioni, insomma, si avvertono nel cuore, in questo senso io posso affermare che le idee mi nascono nel cuore prima che nel cervello: poi ci lavoro su con la mente, e allora ho bisogno dei sensi per rendere le idee concrete, comunicabili, affidandole a personaggi e dando ai personaggi parole per esprimersi. Occhi e orecchie mie sono stati asserviti da sempre – e non esagero – a uno spirito di osservazione instancabile, ossessivo, che mi ha tenuto e mi tiene inchiodato al mio prossimo e che mi porta a lasciarmi affascinare dal modo d’essere e di esprimersi dell’umanità. Un’idea, in fondo, non è tanto difficile averla; difficilissimo è invece comunicarla, darle forma. Solo perché ho assorbito avidamente, e con pietà, la vita di tanta gente, ho potuto creare un linguaggio che, sebbene elaborato teatralmente, diventa mezzo di espressione dei vari personaggi e non del solo autore. Quando parenti e amici si meravigliano che io possa restare così a lungo solo, appartato e apparentemente inoperoso, non sanno che è con quella gente che io continuo a parlare e a ragionare, ascoltando i loro casi, le loro aspirazioni, seguite troppo spesso da delusioni e immancabili proteste. 
Il teatro e il mio lavoro 
di Eduardo De Filippo 

lunedì 1 dicembre 2014

un padre, un figlio

Claudio Magris

Nella sala del monastero di Pedralbes, a Barcellona - uno dei grandi monumenti del gotico catalano - che ospiti una sezione della collezione Thyssen-Bornemisza, si nota fra i poco numerosi visitatori, una coppia di padre e figlio. Il primo è un lindo signore di circa settantacinque anni piccolo di statura e dall'aria tranquilla, e conduce per mano l'altro, evidentemente affetto dalla sindrome di Down ovvero, come si usa impropriamente dire, un mongoloide. 
I due, davanti a me, si fermano di fronte a ogni quadro e il padre spiega al figlio, sempre tenendolo per mano, la Vergine dell'umiltà del Beato Angelico, tema prediletto degli ordini mendicanti, l'ombra da cui esce il Ritratto di Antonio Anselmi di Tiziano, il canarino che scappa dalla sua gabbia nel Ritratto di una dama di Pietro Longhi. Il figlio sta a sentire, accenna con la testa, mormora ogni tanto qualcosa; può avere quaranta o cinquant'anni, ma ha so­prattutto l'età indefinibile di un bambino avvizzito. Il padre gli parla, lo ascolta, gli risponde; probabilmente è da una vita che fa questo e non sembra né stanco né angosciato, ma compiaciuto di insegnare al figlio ad amare i Maestri.
Giunto davanti al Ritratto di Marianna d'Austria, regina di Spagna, si china per leggere il nome dell'autore, poi si rizza di scatto e, rivolgendosi al figlio, gli dice, in un tono di voce un po' alto: «Velàzquez!» e si toglie il cappello, alzandolo il più possibile. La croce che, con la minorazione del figlio, gli è stata gettata addosso da un'ingiustizia imperdonabile non ha curvato le sue spalle, non lo ha piegato né incattivito, non gli ha tolto la gioia di riconoscere la grandezza, renderle omaggio e farne partecipe la persona per la quale verosimilmente vive, suo figlio. Spesso il dolore stronca, inacidisce, spinge comprensibilmente a negare ciò che altri, ai quali la sorte è stata prodiga di doni, sono riusciti a creare ­ottenendo gloria nel mondo; soprattutto una pena che costringe all'ombra, come quella minorazione, rende diffi­cile rallegrarsi e godere dello splendore raggiunto da un al­tro. Quel gesto rispettoso e festoso di togliersi il cappello è un gesto regale e lo è ancor più l'evidente piacere col quale il vecchio comunica il suo entusiasmo al figlio. Quell'amore paterno e filiale fa sì che quelle due persone si bastino, co­me si basta l'amore. È davanti a quell'uomo, che senza sa­perlo è divenuto per me un piccolo maestro, che c'è da togliersi il cappello. 

19 marzo 1996, da: L’infinito viaggiare, Un padre, un figlio.  

la questione del maestro mi è chiara, soprattutto dopo la lezione di Recalcati a BookCity.
ma è una questione che mi è stata in mente da sempre, ovvero l'incontro con il maestro, con il desiderio che si tramanda.
ne ho avuto certamente uno, una mia insegnante di italiano, solo per la 4a liceo scientifico. un incontro folgorante con la passione per l'insegnamento, studiavo di notte per stare dietro ai suoi ritmi incalzanti: "cari ragazzi, la notte è lunga", diceva...ma non ricordo di aver mai fatto tanto volentieri tanta fatica.
una passione contagiosa, silenzio in classe, il silenzio che onora la parola.  
di un maestro non si ricorda tanto il sapere, magari anche, ma si può dimenticare. di un maestro rimane il segno, quel segno, la forma, il modo, lo stile, l'eros, ovvero la passione. 
dopo l'incontro con un maestro il mondo non sarà più lo stesso, avrà subito una dilatazione, un'estensione.
e dopo l'incontro con quel maestro per me è cambiato molto, forse le devo quel che sono ora, la mia curiosità per il sapere.
anche l'incontro che racconta Magris è un'esperienza di dilatazione dello sguardo, di uno sguardo di amore.
avercene.