bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 23 luglio 2015

come si cambia

lago di Como, Cernobbio, Villa Erba.
canta Fiorella Mannoia.
vecchia passione di sempre, interprete meravigliosa di cantautori eccelsi, prima tra tutti Ivano Fossati, mio eterno amore musicale.
il concerto è bellissimo, l'ambiente magico lacustre lo favorisce, ma è tutto merito suo e della sua fantastica band.
la bellezza non sta tanto nella capacità musicale interpretativa, nella voce singolare, unica, nell'esperienza del mestiere, nella professionalità.
la vera bellezza di questo spettacolo è lei.
lei assolutamente lei.
il concerto si snoda sulla sua storia professionale, ripercorre le sue fasi formative, ripropone i suoi amori musicali, gli autori che l'hanno fortemente voluta e ai quali si è generosamente concessa come interprete, presenta la sua nuova esperienza come autrice di canzoni del suo ultimo disco Sud.
ma è lei la meraviglia.
lei è una donna.
una bellezza dominante.
a parte la strepitosa forma fisica di una donna di 60 anni bella come il sole, alta, snella, scattante, agile, quel che folgora è la padronanza di sè.
quel che stordisce, almeno me, è la fortissima sensazione di una condizione non di nascita (quando mai lo è in effetti), ma di faticosa lenta progressiva sudatissima conquista.
la bellezza sta infatti nel suo raccontarsi, nel suo affidarsi e nel suo narrarsi come donna in divenire.
dice lei stessa di alcuni anni fondamentali per la sua trasformazione, la sua liberazione, la sua emancipazione in termini femminili.
l'effetto trascinante sorprendente è che alla fine di brani famosissimi, e tra gli altri C'è tempo di Ivano Fossati, diamante poetico musicale, quel che conclude il concerto è Fiorella Mannoia che balla. 
trascinata dalla musica esaltante della sua band Fiorella balla, balla, balla benissimo, con quella misura che solo la sapiente manovra di sè e del proprio corpo sa dare all'altro consegandoli gioia e liberazione. come dice lei stessa: negli anni della mia liberazione, dell'abbandono dei completi maschili per i vestiti rossi fiammanti, ho liberato me stessa e gli altri, voi, il mio pubblico.
non siamo qui per vederla ballare, ma cantare, eppure la parte più incredibile del suo concerto è vederla regalare agli altri, a me, la conquista del suo mondo e del suo corpo, un messaggio superiore a qualsiasi comizio femminista, a qualsiasi retorica, a qualsiasi parola vestita da confessione.
balla, così bene, così sicura, così misurata, in accordo con la sua altezza le sue gambe la sua faccia le sue braccia le sue espressioni, che mi trasmette un insegnamento di vita. 

«Ho 61 anni e mi sento una bella donna da dieci. Ho scoperto di essere bella a 50 anni e da lì ho iniziato a giocare con la mia femminilità. Prima non ci ho mai riflettuto. E dire che oggi, quando rivedo le foto di quando ero più giovane, dico: ma cavolo, non ero così male, perché non ci pensavo?». Non glielo facevano notare nemmeno gli altri? I suoi uomini? «Ho avuto storie molto lunghe… passati i primi tempi di passione, si traducono in quotidianità. Forse, ora che ci penso, gli uomini con cui sono stata non mi hanno mai fatta sentire così tanto bella, no. Forse da dieci anni a questa parte ho un fidanzato che me lo ricorda». E scoppia in una risata aperta, prima di ammettere che se prima «volevo mi dicessero che ero brava piuttosto che bella, ora mi fa più piacere il contrario… sarà che con la vecchiaia uno rimbambisce…».
Intervista a Fiorella Mannoia di Chiara Maffioletti, Corriere della Sera, 24 giugno 2015

IO NON HO PAURA (dall'album Sud)

Ci penso da lontano da un altro mare
un’altra casa che non sai
la chiamano speranza ma a volte è un modo per dire illusione

Ci penso da lontano e ogni volta è come avvicinarti un po’
per ogni l’anima tagliata l’amore è sangue, futuro e coraggio
A volte sogni di navigare su campi di grano
E nei ritorni quella bellezza resta in una mano
E adesso che non rispondi
fa più rumore nel silenzio il tuo pensiero
E tu da li mi sentirai se grido

Io non ho paura
Io non ho paura
Io non ho paura
Io non ho

Il tempo non ti aspetta
Ferisce questa terra dolce e diffidente
Ed ho imparato a comprendere l’indifferenza che ti cammina accanto
Ma le ho riconosciute in tanti occhi le mie stesse paure
Ed aspettare è quel segreto che vorrei insegnarti
Matura il frutto
il tuo dolore non farà più male e adesso alza lo sguardo
Difendi con l’amore il tuo passato
Ed io da qui ti sentirò vicino

Io non ho paura
Io non ho paura

E poi lasciarti da lontano rinunciare anche ad amare
come se l’amore fosse clandestino
Fermare gli occhi un istante e poi sparare in mezzo al cielo il tuo destino
Per ogni sogno calpestato ogni volta che hai creduto in quel sudore che ora bagna la tua schiena
Abbraccia questo vento e sentirai che il mio respiro è più sereno

Io non ho paura
Di quello che non so capire
Io non ho paura
Di quello che non puoi vedere
Io non ho paura
Di quello che non so spiegare
Di quello che ci cambierà

lunedì 20 luglio 2015

si viaggiare

son tornata a Expo di sera e il mondo è grande.
rispetto alla prima volta ho trovato i cluster finalmente completati e il Nepal coraggiosamente aperto. 
ho mangiato le patatine dei belgi, il pane del Sudan, i tacos del Messico e i mini pancakes dell'Olanda (rigorosamenre conditi di nutella Ferrero, però).
la mia sensazione è ancora gradevolissima, è il mondo a casa mia, scopro quel che altrimenti, del mondo, non saprò né vedrò mai. 
inutile contarmela su, potessi anche iniziare a viaggiare di più, e ora lo faccio pochisimo, al massimo una città europea all'anno, potessi pensare tra dieci anni di ridurre il lavoro e godermi di più la vita (ma con quali soldi?) io non sarò mai una che ha visitato il mondo.
conosco gente che viaggia, anche inutilmente, senza guardare, in modo consumistico, mete usa e getta, machissenefrega, viaggia.
mio fratello farà 5 viaggi all'anno, da solo, lui viaggia, è sicuro, dieci giorni fa era in Algarve. 
i miei genitori hanno viaggiato moltissimo, hanno visto paesaggi increbibili, conosciute culture lontanissime, e hanno portato un pochino anche me, da bambina e poi ragazza.
con loro ho visto la Grecia (ma non quella delle isole, la GRECIA), e l'Europa (anche Lituania, Estonia, Lettonia), soprattutto Francia e Germania, Praga e città dell'allora Germania Est, ho fatto anche un viaggio negli Sati Uniti, io studentessa di medicina.
ma ora guarderei in modo diverso.
io, invece, non viaggio.
fino a tre anni fa ho visitato l'Europa, questo si, viaggi in macchina, migliaia di km, ma ora non più, la vita cambia.
mi piacerebbe viaggiare?
mioddio, cosa darei.
non prevedo grossi cambiamenti della mia vita, lavoro come libera professionista e se non lavoro non guadagno, e guadagno giusto per vivere, non per viaggiare.
la questione è tristemente in questi depressivi termini.
Expo? una finestra sul mondo che mai altrimenti avrò.
ho visto crescere a dismisura, dall'ultima volta che ci sono andata, gli orti di Expo, quello verticale di Israele (che ho imparato a conoscere visitando il padiglione), ho visto le piante giganti del Brasile, e ho visto il cluster del riso, e mi sono goduta le foto di Berengo Gardin, il cluster del caffè, e immaginato la vita di quei paesi sorseggiando le foto di Salgado, ho guardato ammirata il cluster Frutta e Legumi – Il giardino delle meraviglie secondo lo sguardo fotografico della svizzera Irene Kung.
una vita per procura.












domenica 19 luglio 2015

ma non posso fare altro che una fuga partigiana da questo cerchio e guardare il buio che ti oscilla tra le tempie e ti castiga


Questa sera ruota la vena
dell’universo e io esco, come vedi,
dalla mia pietra per parlarti ancora
della vita, di me e di te, della tua vita
che osservo dai grandi notturni e ti scruto e sento
un vuoto mai estinto nella fronte, un vuoto
torrenziale che ti agitava nel rosso dei giochi
e adesso ritorna e ancora ritorna
e arresta la danza delle sillabe
dove accadevi ritmicamente e tu
sei offeso da una voce monocorde e tu
perdi il gomitolo dei giorni e spezzi
la tua sola clessidra e ristagni e vorrei
aiutarti come sempre ma non posso
fare altro che una fuga partigiana da questo cerchio
e guardare il buio che ti oscilla tra le tempie e ti castiga,
figlio mio.

Milo De Angelis,
Incontri e agguati (Mondadori, 2015)

me la regala La lettura, questa poesia di De Angelis, La lettura nella sua nuova fiammante versione in edicola da oggi. arricchita ed elegante, dedica diversi articoli alla poesia.
un padre guarda suo figlio, che parole per dirlo, divento pazza leggendolo, e la fuga partigiana da quel cerchio, unica cosa da fare, mi spezza il respiro.

venerdì 17 luglio 2015

ieri oggi Milano

“Ieri oggi Milano” è una grande mostra dedicata alla città di Milano, composta di importanti fotografie tratte dalle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea.
Si tratta di un insieme di 170 fotografie e opere video che datano dal secondo Dopoguerra ai giorni nostri, di più di 40 autori italiani e stranieri, che offre  un articolato scenario composto di situazioni diverse capaci di stimolare una importante riflessione sui grandi mutamenti che hanno cambiato il volto della città, dal punto di vista urbanistico (dalle macerie e le baracche del dopoguerra alle periferie in crescita, le fabbriche, i grandi cantieri contemporanei, il nuovo volto della città che si fa metropoli), socio-economico (la Milano operaia, le famiglie, i giovani, le donne, la borghesia), culturale (i personaggi del mondo dell’arte, del design, dell’architettura, del cinema).
All’interno del vasto patrimonio fotografico conservato presso il Museo di Fotografia Contemporanea (oltre 2 milioni di immagini, 33 fondi fotografici, più di 600 autori italiani e stranieri), molte sono le opere che raccontano la storia sociale, i personaggi, le trasformazioni nel paesaggio della città di Milano.
Questi gli autori presenti in mostra: Giampietro Agostini, Marina Ballo Charmet, Olivo Barbieri, Gianni Berengo Gardin, Gabriele Basilico, Luca Campigotto, Vincenzo Castella, Mario Cattaneo, Carla Cerati, Giovanni Chiaramonte, Cesare Colombo, John Davies, Attilio Del Comune, Paola De Pietri, Paola Di Bello, Peter Fischli e David Weiss, Emilio Frisia, Moreno Gentili, Paolo Gioli, Paul Graham, Guido Guidi, Giovanni Hänninen, Mimmo Jodice, Uliano Lucas, Tancredi Mangano, Paola Mattioli, Gianfranco Mazzocchi, Paolo Monti, Toni Nicolini, Enzo Nocera, Federico Patellani, Tino Petrelli, Bernard Plossu, Pietro Privitera, Francesco Radino, Achille Sacconi, Beat Streuli, Thomas Struth, Pio Tarantini, Alessandro Vicario, Massimo Vitali, Manfred Willmann, Giovanni Ziliani.
Per la varietà dei fondi fotografici indagati, il numero e l’importanza degli autori, la diversità degli approcci e degli stili (dal reportage classico, alla fotografia di architettura e paesaggio, al ritratto ambientato e di studio), oltre che dei formati e delle presentazioni, la mostra costituisce anche una concreta opportunità per il pubblico di venire a diretto contatto con decine di significative opere fotografiche appartenenti  alle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea: un vero e proprio incontro con il Museo.
L’ambiente espositivo dello Spazio Oberdan ben si presta a una narrazione chiara e utile ai visitatori: nell’ampio salone al primo piano sono presentate opere datate dalla metà degli anni Novanta a oggi incentrate sul paesaggio urbano, dal centro storico alle periferie ai grandi cantieri, fino ai grattacieli di recente costruzione,  di una Milano postindustriale e postmoderna, quasi tutte di formato molto grande e a colori; nelle stanze che si susseguono nella “balconata”, fotografie che vanno dal dopoguerra agli anni Ottanta, prevalentemente dedicate alla storia della città, alla società milanese, al lavoro operaio e alle fabbriche , ai principali personaggi dell’arte e della cultura, con tipici formati “storici”, quasi tutte in bianco e nero, che rimandano alla funzione di memoria tipica della fotografia.
 
 Francesco Radino
 Gabriele Basilico
 Giampietro Agostini
 Luca Campigotto
 Olivo Barbieri
Thomas Struth

una bella mostra, anche se non tutto è alla stessa altezza.
è divisa per sessioni, per periodi, si parte dalla Milano 2015 e si arriva alla Milano del dopoguerra.
subisco il fascino, oltre che delle foto di assembramento studentesco, della Milano grandi dimensioni, foto enormi che mi capovolgono, mi risucchiano dentro, con il solito orgoglio cittadino.
e poi rimango a bocca aperta sul bianco e nero della vecchia, vecchissima Milano.
 Gianni Berengo Gardin
 Federico Patellani
 Emilio Frisia
Valentino Petrella
 
che dire delle tre ragazze partigiane della Milano 1945? mi affascinano, sembrano in gita con quei mitra in mano, sono anche eleganti, pettinate, belle, decise, quasi sorridenti, precedono gli uomini, sono dominanti. qualcosa è cambiato, la lotta è vinta.

martedì 14 luglio 2015

libertà è partecipazione



sono molte le foto in mostra a Milano, spazio Oberdan, Ieri oggi Milano.
queste, di Cesare Colombo, sono nella sezione anni 60-70, società , comunità, lavoro.
tra le foto di cambiamento ed evoluzione di questa mia città, queste foto di assemblea studentesca mi colpiscono più di altre.
una capacità di aggregazione così è oggi impensabile. sono passati 50 anni e il mondo non si aggrega più, resta in contatto, virtuale, caso mai. ora c'è la Grecia nell'abisso, c'è l'Europa, allora c'erano solo le isole assolate e la lira. ora Vendola va in piazza Syntagma, e non so se faccia bene o meno, da solo, a sventolare la sua bandiera, 
ma non è più tempo di piazza, che oggi vota no e poi si fa si.
nessun giudizio, non saprei nemmeno quale, ma è cambiato l'uomo. è cambiato tutto.

cosmic things

per casino si intende disordine.
non so se disordinato è stato il mio esperimento, postare solo foto senza commento.
è meglio se mi esprimo, guardo le foto e non mi bastano, ho la percezione, ossessiva, di un lavoro mal fatto, incompiuto.
All'Hangar Bicocca c'è «Casino». È il titolo scelto da Damián Ortega per la sua prima personale in Italia. «Casino come disordine, qualcosa che va fuori controllo. Ma un disordine produttivo, energetico, che esprime idee», spiega l'artista messicano, classe 1967, figura emergente della scena internazionale. La mostra, curata da Vicente Todolì, presenta 19 opere dai primi anni Novanta ad oggi. Filmati, sculture di varie dimensioni e installazioni che rivelano i temi di ricerca dell?autore: materia, spazio, tempo, oggetti comuni, società, politica. Non aspettatevi scultura tradizionale: Damián Ortega è un concettuale, un autodidatta che ha iniziato giovanissimo come caricaturista, uno spirito trasgressivo che ama sovvertire le regole. Così ciò che è solido diventa instabile, ciò che è statico diventa dinamico, e le apparenze ingannano (Vanzetto Chiara, Corriere della Sera).
della mostra di Ortega all'Hangar Bicocca sono notevoli, in particolare, le scomposizioni magistrali, le chiamerei così.
la macchina, un maggiolino Volkswagen, si impone allo sguardo, da un parte è tutto intero e intriso, nelle ruote, di grasso. dalle proiezioni si capisce che  stato in battaglia, un essere, una cosa?, torturata e imbrigliata. so che è anche stata sepolta, se possibile.
la sua scomposizione, Cosmic Things -titolo o altezzoso o sarcastico-, ne ricorda la natura di cosa, fatta di molte cose e la sua esposizione mi fa pensare, in verità, a una dimostrazione ordinata, in cui ogni cosa è al suo posto e non potrebbe che essere che così, pena l'inutilità della cosa.
che Ortega mi voglia ricordare di quante cose facciamo uso? che anche le cose sono oggetti di civiltà? che fanno civiltà? che fanno politica? che rumoreggiano e si esprimono.
se mi volto e guardo un'altra scomposizione magistrale, la più attraente, Controller of Universe -titolo o ambizioso o ironico- vedo un'altra possibile interpretazione: utensili di tutti i tipi, esplodono nello spazio. se sto fuori mi minacciano, mi vengono addosso, mi faranno del male, se sto dentro, sono io la minaccia, tra poco vi faccio fuori, attenti alla mia furia. la cosa esce dal controllo umano, diventa lo strumento di discontrollo, arma contro la civiltà.
più concettuali sono i nove filmati dei domino in mattoni, creano disagio, si passano i minuti a vederli cadere, a uno ad uno: è l'angoscia del tempo, se ci pensi.

boh, fatene quel che volete, è un gioco divertente, nulla più.

venerdì 10 luglio 2015

giovedì 9 luglio 2015

il fascismo ordinario

Non esistono bambini cattivi. 
Tutti i bambini del mondo sono buoni. 
Tutto dipende da come formeremo i loro caratteri, da come li trasformeremo. 
MIKHAIL ROMM Il fascismo ordinario [1965]

le serate migliori della Milanesiana me le ha regalate il Mexico (messico).
anche ieri sera c'è stato di che divertirsi, situazioni paradossali e comiche, altrimenti improbabili.
e c'è stato anche un incredibile film, veramente incredibile, che mi ha regalato, ancora, quel gusto imparagonabile ad altri di stare al cinema a notte fonda a vedere pellicole altrimenti impossibili da conoscere.
la serata è stata dedicata a Andrei Konchalovsky e Maya Turowskaya, e, insieme a loro, sul palco, c'erano Enrico Ghezzi, Aliona Shumakova, critica cinematografica e traduttrice russa, che ha curato diverse rassegne e selezionato film russi delle ex repubbliche sovietiche anche per la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e la Festa del Cinema di Roma, ed Elena Kostioukovitch, che da trent’anni mette in comunicazione la cultura italiana e quella russa, traducendo, curando pubblicazioni, pubblicando ricerche e insegnando in varie università.

Konchalovsky è regista teatrale e cinematografico, un artista impegnato da oltre cinquant’anni nel cinema e nel teatro. Il suo curriculum, particolarmente esteso, gli ha portato numerosi premi e riconoscimenti a livello internazionale, tra cui un Emmy e un Oscar, oltre al premio per la miglior regia per Le notti bianche del postino, presentato alla 71ma edizione della Mostra del cinema di Venezia.
Maya Turoskaya è un pezzo vivo di storia e un’apparizione rarissima: 90 anni, è autrice di film e sceneggiature, storica del cinema europeo e saggista. Ha lavorato nelle prestigiose sedi di ricerca a Mosca dal primo dopoguerra fino al crollo dell'Impero sovietico, facendo conoscere al pubblico russo numerose realtà culturali europee, tra cui anche il cinema del neorealismo italiano. Ha lavorato con Mikhail Romm, come aiuto regista, e con lui ha girato Il nazismo ordinario (1965), che sarà proiettato durante la serata. Fu di fatto la Turowskaya a montare l’intero film, dopo avere selezionato, in prima persona, il materiale, spulciando negli archivi privati di Göring e Goebbels, tra oltre duemila ore di cronaca in tedesco, Il nazismo ordinario non piacque però al governo sovietico, che ne concesse la proiezione solo nell’ dell'anniversario dei vent'anni della vittoria, nel 1965. Fu poi censurato e vietato fino all’avvento di Micahil Gorbaciov, perché numerose erano le similitudini tra le due atmosfere totalitarie.
oltre a tutta 'sta gente, c'era anche l'interprete, che già si faceva sentire durante l'introduzione della Sgarbi, con un tono e uno stile di voce piuttosto singolari.
poi, tutti sul palco.
le domande sono confuse, le risposte ancora di più.
Konchalovsky insiste su una strana forma di sarcasmo, che non mi dice nulla però, mi annoia.
Maya Turoskaya è veramente un soggetto pregiatissimo, anziana ma sveglia, molto più di me, va dritta per la sua strada, non si può dire però che sia interessante. ghezzi le fa la sua domanda - e l'interprete va letteralmente nel panico, come si traduce il ghezzi-discorso in russo? lo ferma, gli chiede il soggetto della frase, ormai dimenticato, si sposta freneticamente dall'uno all'altra tentando di fare il suo mestiere- e lei ne approfitta per riprendere la parola e finire il suo discorso, prima interrotto causa le lancette dell'orologio che avanzano inesorabili, senza rispondere minimamente alla solita questione di difficile interpretazione posta dal nostro ghezzi italiano.
c'è stato un momento in cui tutti parlavano in russo sul palco, si parlavano e rispondevano tra di loro: il pubblico è attonito, la noia palpabile.
la situazione ridicola.
quando la parodia finisce finalmente inizia il film.
i titoli che vengono ad esso affidati sono ogni volta diversi, prima ordinario poi comune, prima fascismo e poi nazismo, come fossero la stessa cosa, e non lo sono. trattando il film di Hitler e Germania, si potrebbe propendere per nazismo. ordinario. ma è anche vero che il film tratta dell'impostazione fascista della vita e della politica, i fascismi, i totalitarismi, quindi, indiscutibilmente, anche quello sovietico.
il film è pregevolissimo, oltre due ore di proiezione, un documentario assemblato nella Russia post staliniana con spezzoni di pellicola requisiti dopo la fine delle Seconda Guerra mondiale a Berlino, ed è una lunga meditazione sul fascismo, sul nazismo, sui fascismi e sulle dittature in genere, e quindi,  sullo stesso totalitarismo russo; offre molte immagini, alcune ormai familiari, altre ancora inedite, che riescono a sorprendere e ad aprire nuove prospettive di riflessione.
l'aspetto certamente più singolare del film è la condanna del totalitarismo nazista cui però si contrappone, altrettanto fanatica, l'immagine felice dell'unione sovietica, definita come l'unica vera causa della disfatta nazista, luogo geografico e civile felice, patria di libertà e liberazione, ecco dunque l'ideologia nazista commentata da quella sovietica, veramente un film unico, incredibile, pregiatissimo come la Turoskaya.

Ho cominciato a raccogliere materiale secondo il seguente principio: quello più rilevante su Hitler è stato messo in un rullo, Göring è entrato in un’altro, un terzo rullo era riservato a gente che posava corone, un quarto alle parate militari, un quinto alle folle plaudenti, un sesto alla vita quotidiana dei soldati, e così via. Ho diviso il materiale fino in 120 possibili temi civili e militari, fra temi dal periodo pre-Hitler e del periodo di Hitler. Il materiale è stato organizzato in questi argomenti e poi messo insieme in singoli episodi. (Romm 1965)

il commento del film, in cui il racconto è affidato principalmente al montaggio, ai fermo immagine significativi e alla contrapposizione mirata dei vari spezzoni d’epoca, materiale propagandistico di cinegiornali, Kulturfilm nazisti e fotografie, è affidato alla voce dello stesso Romm, che presenta con tono discorsivo, a volte ironico, a volte solenne, i singoli capitoli, in presa diretta.

Abbiamo montato il film come un film muto. Ho improvvisato il commento sezione per sezione, senza pensare alla sincronizzazione, senza perseguire effetti standardizzati «documentario», come fosse un monologo dell’autore, come se stessi pensando al materiale in quel momento, invitando lo spettatore a pensarci, contemporaneamente. A mio parere è stato proprio questo mezzo artistico – l’interazione fra la carica emotiva, il montaggio artistico e il monologo dell’autore – che ha dato al film la sua speciale qualità. (Romm 1975)

alcune descrizioni della nascita e propaganda nazista, della coltivazione fanatica dell'immagine da parte di Hitler, del fanatismo adorante della gente, della fabbricazione del monumentale tomo mistico del Mein Kampf, con pergamena e acciaio, destinato a durare mille anni come il Reich, di una breve ma rappresentativa apparizione di Mussolini, della permeazione di ogni singolo istante della vita all'ideologia nazista (che comprendeva anche la regolare conformazione del cranio), possono arrivare ad essere tragicomiche ma certamente molto chiara ed efficace, e semplicemente tragica, è la descrizione della mutazione cognitiva della massa (come la definiva lo stesso Hitler), della trasformazione operata sull'essere singolo che diventa informe e si confonde smettendo di pensare, del plagio quotidiano che condiziona il cervello, della quotidianità, dell'ordinarietà dell'azione fascista che si insinua in ogni atto di vita trasformando l'essere da umano a inumano. l'acquisizione di questa insensibilità, questa ordinarietà dell'inumano mi ha fatto molto pensare a Primo Levi e ai salvati e sommersi, mi ha fatto molto pensare ad Hannah Arendt e alla banalità del male.

Dal diario del dottore in medicina e filosofia, professore straordinario Josef Kramer:

Ho partecipato a una speciale attivita’ oggi.
Era piu’ terribile dell’Inferno di Dante.
Abbiamo dovuto ordinare nuovi pantaloni, stivali e una giacca da Berlino.
Abbiamo dovuto assistere nuovamente un’attivita’ speciale.
Questa volta, sono state selezionate donne denutrite per lo sterminio.
Sapevano cosa stava per accadere e le SS hanno un po’ faticato con loro.
Il menu del pranzo e’ zuppa di pomodoro, mezzo pollo, birra a volonta’ e gelato alla crema di vaniglia.
Di sera – una piacevole cena presso la casa del comandante.

MIKHAIL ROMM Il fascismo ordinario [1965]




lunedì 6 luglio 2015

tragedia di un uomo ridicolo

Milanesiana.
martedì, sala Buzzati, parla Carmen Pellegrino, personaggio veramente interessante, una vita dedicata alla poesia, la poesia dei luoghi abbandonati, dello spopolamento e del rudere, del cuore della pietra, del livellamento del tempo. sono ammaliata da questa bella ragazza, una scelta di vita così singolare, così intelligente, invidio la capacità di saper cogliere così furiosamente bene nel proprio desiderio.
mercoledì mi sono goduta una serata, al limite del paradossale, al Mexico con Bernardo Bertolucci e tutta una ganga intorno che non saprei come definire.
intanto il maestro è sulla sedia a rotelle...non lo sapevo...e tra i cortometraggi presenta uno "scarpette rosse" in cui riprende i propri piedi, in scarpette rosse, poggiati sulla sua carrozzina che sembra litigare furiosamente con le strade di Roma, inadatte a qualsiasi tipo di handicap, anche questo.
nella sala fa un caldo intollerabile, è vero che il Mexico, come ripete meccanicamente a ogni presentazione il suo propietario e gestore Antonio Sancassani, è fuori da ogni giro consumistico e biecamente commerciale perchè "solo al cinema il cinema  è Cinema!!", ma, un piccolo compromesso con l'aria condizionata, eviterebbe asfissiati e svenuti per colpi di calore.
cerco posto, temendo di non trovarlo, e mi siedo, io ingenua, vicina a una gentile signora che però, dopo cinque minuti, si sposta repentinamente, e senza dirmelo!!, lasciando che al suo posto si siedano due anziani signori, che pensavo in coppia e invece vicini solo per loro fortuna ma mia infaustissima sorte. si dice che gli anziani siano portatori, insieme ai propri anni, di meravigliosa saggezza ma temo non sia una verità assoluta ma, al solito, correlata alla singola persona e al suo singolarissimo modo di stare al mondo.
a me sono capitati due fenomeni, la signora, mooolto anziana, parlava, quando non dormiva, ad un volume altissimo scandendo faticosamente le parole, alzandosi di continuo, quando non russava, dal suo posto a sedere, facendo accorrere orde di hostess a soccorrerla e anche adularla (ma lei signora, complimenti, qui alla sua età) ma, in verità,  ronfando profondamente ogni volta che aveva il bene di stare seduta per almeno 20 minuti di seguito.
il signore, vicino a me, ha iniziato imponendomi, ordinandomi di spegnere il cellulare, che uso in modo molto parsimonioso e assolutamente a luci accese, descrivendomi la sua tragica situazione oculare causa un'operazione di cataratta che è stato costretto, da chi??, a subire suo malgrado. ho obbedito, diciamo così, ma a modo mio e in ossequio alla sua età (pensando ancora, in quel momento, che avesse un valore) e ho pensato, io furbissima, di non ribattere a una sola parola dell'augusto signore -e ne sono seguite a milioni di parole- per evitare di trovarmi coinvolta in una serie infinita di lamentele e querele. almeno il mio mestiere mi serve a evitare situazioni di pericolo.
alla presentazione di un certo Pezzotta, poco interessante e antipatico, sono seguiti tre cortometraggi di Bertolucci (tra cui "Il canale", reportage veramente interessante della vita sul canale di Suez e la convivenza delle antiche tradizioni locali con le novità del progresso, rappresentate dal passaggio delle grandi petroliere attraverso il celebre canale). poi, al dibattito, interviene anche il mitico enrico ghezzi (rigorosamente minuscolo).
il nostro ghezzi è chiaramente malato, malamente invecchiato, piegato da una malattia neurologica che potrebbe essere un parkinson o forse peggio. già parla per non farsi capire, si aggiungano questi movimenti incontrollati del corpo che rendono del tutto inutile l'uso del microfono (nonostante i ripetuti tentativi del tecnico di trovare una posizione accettabile dello strumento), così di quel che diceva si capiva meno della metà. una situazione inusuale, imbarazzante, umanamente pietosa. a questo si aggiunga il mio vicino di banco che ha cominciato a inveire contro il ghezzi dicendo, a voce altissima certamente per farsi sentire bene dalla piazza, chi il ghezzi morirà spastico, ma come è spastico, ma portatelo via che è spastico. 
ancora una volta mi sono guardata bene dal correggerlo, mi sono morsa la lingua. nonostante mi guardasse con insistenza per coinvolgermi nella sua invettiva alla ricerca di una spalla, l'ho ignorato con tutta la forza che avevo.
si aggiunga una definizione di irripetibile meschinità sul padre poeta di Bertolucci, ed ecco alla fine mi sono convinta che si può diventare dei vecchi orribili (tragedia di un uomo ridicolo), anche se si va alla Milanesiana a 80 anni. la Milanesiana non mi salverà.
Bertolucci ha parlato con garbo e intelligenza, molta ironia e tantissima esperienza.
a una domanda della Sgarbi sulle sue ossessioni o manie ha risposto che, a parte, appunto, l'ossessione relativa ad un padre poeta, le sue ossessioni sono state Pasolini e Godard, "anche se ho fatto di tutto perché non si vedesse troppo".
la serata termina con la proiezione di "Tragedia di un uomo ridicolo", un film dalla fotografia molto nitida in una trama assolutamente nebbiosa (parole del maestro), non si può dire del godimento di vedersi un film degli anni 80, con Ugo Tognazzi alle prese con la sua confusione paterna, a notte fonda, immersi nel sudore dei sopravvissuti.
grazie Mexico, anzi Messico, come il suo gestore si ostina a pronunciarlo, per l'aria torrida del sud america e la bellezza del cinema al Cinema.

giovedì 2 luglio 2015

Arts and Foods

Arts and Foods alla Triennale.
davvero bella, divertente, ricca, sorprendente.
si dipana in 3 sezioni, anzi 4 se consideriamo il giardino esterno.
ricchissima di spunti e anche di grandi opere.
uno non lo sa, ma passando da una sala all'altra, tra un salotto liberty e uno futurista, una collezione di vasellame art deco e una di accessori di Alessi, dai personaggi del Carosello alle copertine di lp storici ispirati al cibo, si incrociano pittori come Sironi, Carrà, Balla, De Chirico, De Pisis, Savinio, Morandi, Fontana e fotografi come  Ghirri, Mulas e Migliori.



 


 







 
bellissima l'ultima parte, quella dedicata all'arte contemporanea, molte installazioni sono inedite e interessanti, molto usato il pane, raffermo, maleodorante, per la costruzione di case e strutture, bello il video di Marina Abramovic il cui viso si deturpa mangiando una cipolla, molto rappresentata la muffa, in oggetti e quadri, molto rappresentato lo spreco, il disagio della società dei consumi.
ma il bello è che tutto è presentato in bello modo, con una consequenzialità gradevole e appassionante.






 
La multiforme relazione fra le arti e il cibo viene ripercorsa e analizzata nel Padiglione Arts & Foods l’unica Area tematica di Expo Milano 2015 realizzata in città ospitata al Palazzo della Triennale dal 9 Aprile fino al 1 Novembre 2015.
Allestita negli spazi interni ed esterni della Triennale – 7.000 metri quadrati circa tra edificio e giardino – Arts & Foods mette a fuoco la pluralità di linguaggi visuali e plastici, oggettuali e ambientali che dal 1851, anno della prima Expo a Londra, fino ad oggi hanno ruotato intorno al cibo, alla nutrizione e al convivio. Una panoramica mondiale sugli intrecci estetici e progettuali che hanno riguardato i riti del nutrirsi e una mostra internazionale che fa ricorso a differenti media così da offrire un attraversamento temporale, dallo storico al contemporaneo, di tutti i livelli di espressività, creatività e comunicazione espressi in tutte le aree culturali.
Con una prospettiva stratificata e plurisensoriale  Arts & Foods, a cura di Germano Celant e con l’allestimento dello Studio Italo Rota, cerca di documentare gli sviluppi e le soluzioni adottate per relazionarsi al cibo, dagli strumenti di cucina alla tavola imbandita e al picnic, dalle articolazioni pubbliche di bar e ristoranti ai mutamenti avvenuti in rapporto al viaggio per strada, in aereo e nello spazio, dalla progettazione e presentazione di edifici dedicati ai suoi rituali e alla sua produzione. Il tutto appare intrecciato alle testimonianze di artisti, scrittori, film makers, grafici, musicisti, fotografi, architetti e designers che, dall’Impressionismo e dal Divisionismo alle Avanguardie storiche, dalla Pop Art alle ricerche più attuali, hanno contribuito allo sviluppo della visione e del consumo del cibo.
Una raccolta e un viaggio nel tempo che riflette creativamente il tema dell’Esposizione Universale di Milano, “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, attraverso centinaia e centinaia di opere, oggetti e documenti provenienti da musei, istituzioni pubbliche e private, collezionisti e artisti da tutto il mondo.
"Arts & Foods coinvolge tutti i media e linguaggi: dalla pittura alla scultura, dal video all’installazione, dalla fotografia alla pubblicità, dal design all’architettura, dal cinema alla musica e alla letteratura. – ha dichiarato Germano Celant, curatore del Padiglione e dell’ottava edizione Triennale Design Museum - Si articola con un andamento cronologico che copre il periodo dal 1851 – data della prima Expo a Londra e dell’avvio della modernità – all’attualità, attraverso la creazione di ambienti dedicati ai luoghi e agli spazi del convivo, sia in ambito privato sia nella sfera pubblica – dalla sala da pranzo alla cucina, dal bar al cibo da viaggio – in cui arredi, oggetti, elettrodomestici e opere d’arte creano una narrazione di forte impatto visivo e suggestione sensoriale”.
 
veloce e accattivante è anche Cucine & Ultracorpi un viaggio, sempre visivo e sensoriale alla maniera di Expo, tra i cambiamenti della cucina, i cambiamenti della nostra tavola, i cambiamenti della nostra vita, del suo stile.
 






 
“Cucine & Ultracorpi” vuole raccontare la lenta quanto inesorabile trasformazione degli utensili da cucina in macchine e automi.
Un’armata “di invasori” che, dalla metà del XIX secolo con l’avvento dell’industrializzazione, è dilagata arrivando a sostituire molte pratiche umane del cucinare.
L’intento è di tracciare l’evoluzione in Italia dei “cospiratori”, cucine ed elettrodomestici, dalla prima emergenza documentabile fino al 2015, anche in relazione a episodi della progettazione dell’industria internazionale.
Il display espositivo presenterà questo universo di ultracorpi – dal frigorifero al microonde, dalla caffettiera al tostapane, dal trita rifiuti alle cappe assorbenti, dai bollitori ai mixer, dalle friggitrici alle gelatiere – che si è sviluppato dalla prima industrializzazione alla diffusione di massa, dall’automazione all’innovazione digitale.
 
come a Expo, mi sono davvero divertita.