bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 23 settembre 2011

Zara

avanzi di socialismo.
inserti di modernismo.
tentativi di fotogiornalismo.






martedì 20 settembre 2011

un giorno da leone, parola di puttana

prima di vedere il video sull'intervista avevo letto e conservato, a imperitura memoria dell'incoronazione imperiale dell'imbecillità, un trafiletto di giornale, corriere della sera del 17 settembre, a seguito della lettura delle intercettazioni dei due puttanieri.
perchè di puttanieri si tratta, e nulla più. a onta di cariche istituzionali di teorico prestigio e responsabilità, qui si parla di baldracche, e nulla più, e di compravendita da parte di illustri e degnissimi figli di puttana. perchè di solito è una tradizione di famiglia. figli di puttana si va a puttane.
certo il tono è colloquiale, quanti uomini, tutti dai, parlano così di figa tra loro.
certo -faccio il premier a tempo perso- è una battuta per la baldracca di turno, che, secondo me, nemmeno l'ha capita. vendere il culo è una cosa, usare il cervello è un'altra.
la cosa peggiore di tutte, dicevo, non è certo la mercificazione ad opera del maschio imbufalito, la cosa peggiore di tutte sono le donne.
non venite poi a menarmela sulle donne vendute, svendute, le proteste sulle pubblicità che "montano", sui cartelli pubblicitari a tutto culo, sui posti di lavoro, sulla parità -quale? sessuale?-, sulle opportunità, sui maschi bastardi, sui maschi codardi, sui maschi coglioni, sui maschi bugiardi.
qui, signore -ce ne sono in giro?-, e signori, il problema sono le donne.
donne cresciute fin dalla nascita, cullate fin dall'infanzia -merito di madri illuminatissime pur sempre donne anche loro- nella certezza che avere due tette e un culo paghi. la bellezza -concetto vago ma stiamo parlado basic, tette e culo nulla più-  paga. si vende e rende. questa è la donna oggi. non menatela con le veline letterine belen arcuri olgettine, sulle donne senza talento che fanno strada. queste donne siamo e saremo noi, questa è la donna oggi, questo abbiamo creato e voluto, questa è la femminilità putrefatta e marcescente today, questa è la figa spalancata sui blog, spalmata sullo schermo, il sesso come carta di identità. e non erano altre a farlo, siamo noi.
chi ci governa usa le puttane, a letto e nei seggi, e tutte le donne sono puttane. chi ci governa da il ritmo e la consistenza delle leggi, della giustizia, dei diritti e dei doveri, dei poveri e dei potenti, del denaro e della morale. soprattutto chi ci governa detta le regole del costume ed elegge la donna a prostituta, se per caso ancora non lo era...la fa diventare. dicasi istigazione alla prostituzione. ma non mi sembra che nessuna sia stata obbligata. anzi, c'è la fila. son bastati mille euro per creare la donna oggi, e, se sono bastati, vuol dire che il terreno era fertile.
la figura peggiore la facciamo noi, non solo le troie da ventimila e passa a pompino, pompino presidenziale s'intende, che pure siedono in parlamento, anche le racchie che devono stare a casa con duemila -magari- euro al mese.
se si cresce pensando che non serva altro nella vita che venderla al giusto prezzo, altro non serve.
non prevedo un futuro roseo per questa schiera di femmine in saldo, prevedo, dopo 10 anni di intensa attività sessuale al servizio del maschio che paga meglio, un decadimento depressivo e demenziale, prevedo solitudine e alcool, prevedo povertà e accattonaggio, prevedo morte cerebrale. che è già in fieri anche se, a guadare le tette e il culo, ancora non si direbbe!!
bene queste femmine oggi siamo noi e pure abbiamo da ridire. queste sono le donne del duemila, le adolescenti in fila dal chirurgo plastico, le mogli devote che procacciano figa al marito, le fidanzate in mostra sul post dell'ultima ora, e ci stupiamo della cattiva opinione. o della scarsa considerazione. o del mancato successo. o della sfiga in amore.
non vedo la borghesia benestante, esiste ancora?, che si indigna, e nemmeno la chiesa cattolica che scomunica.
infatti il premier è uno di noi- ed è questa la sua immensa fortuna-  le donne le sue puttane, e tarantini i suoi bambini.
mi chiedo come i suoi figli, soprattutto le sue figlie, sopravviveranno a questa oscenità. ho solo da sperare che vadano a arricchire schiere di analisti, di medici psichiatri, di quei coglioni che vivono cento giorni da pecora.
ma sopratutto, siamo seri, mi chiedo che fine faremo noi. forse finiremo come sborra tra le cosce di una santa brava donna, madre imperitura dell'etica e della civiltà.

giovedì 15 settembre 2011

impossible project

la magia in una polaroid.




queste foto le fa Sonia Guazzoni che le espone al Fashion Cafè di Milano.
in verità sono esposte malissimo, al buio, senza spazio per osservarle, ma sorvoliamo.
le polaroid sono bellissime.
l'autrice ha chiamato questa raccolta "imprecisa-mente" e, in effetti, la forza di queste immagini sta nella mancanza di definizione, nello sfuocamento, nell'imprecisione. nell'imperfezione in totale antitesi con l'andamento digitale iperdefinito dei nostri tempi. mi ha raccontato le giovane artista che ormai le polaroid, così come le ha fatte lei, non si possono più fare. non esistono più le pellicole e, se si trovano, quelle odierne non hanno più la capacità di catturare la luce in questo modo così, a mio parere, antico. così sognante.
c'è un sito, the impossible project, in cui sono raccolte immagini, indicazioni di mostre, e progetti "impossibili" per coltivare ancora questo ambito fotografico tanto piccolo quanto espressivo, in cui ho trovato foto di luminosa bellezza.


la polaroid la usava mio padre per fare foto immediate durante le feste, in particolare durante il pranzo di natale e santo stefano. mi ricordo quelle immagini prodotte all'istante, la lenta formazione dei profili su quel rettangolo di cartoncino, lo sventolamento per fare prima, l'attesa e poi i faccioni sorridenti.
vi dico che ieri ho rimpianto in modo doloroso di non aver conservato quella macchina, quella scatolina magica. ho provato invidia per questa creatività così suggestiva e ho provato dispiacere oggi a non trovare che 4 foto in croce di quelle 30 che ho visto ieri.

domenica 11 settembre 2011

la filosofia appare sul far del crepuscolo

così leggo su un libro difficile da leggere che fatico a comprendere.
ma oggi è l'11 settembre, che 10 anni fa mi procurò un corto circuito mente corpo che mi costrinse a rimedi di emergenza contro contrazioni indesiderate, e penso che vivo nell'epoca della più spettacolare morte di massa di tutti i tempi.
siamo testimoni e figli di questo tempo, di orrore mediatico.
noi saremo, nella storia, contemporanei al crollo delle torri gemelle.
è vero che la filosofia appare sul far del crepuscolo, e qui siamo ancora in pieno giorno, ma questa mia, nostra, contemporaneità vorrà pur dire qualcosa.
quale caverna si è creata dentro ognuno di noi, di buio e paura?
quanto incide, quel buio, nell'incedere quotidiano, ogni passo sull'asfalto?

perchè l'11 settembre, a New York, c'è sempre quel sole?

giovedì 8 settembre 2011

sicuro azzardo

Fede mia

Non mi fido della rosa
di carta,
tante volte che n'ho fatte
tra le mie mani.
Nè dell'altra io mi fido
della rosa vera,
figlia del sole e dell'ora,
sposa promessa del vento.
Di te che non ti ho mai fatto
di te che mai ti hanno fatto,
di te mi fido, compiuto
sicuro azzardo.

Pedro Salinas




è che venerdì ho fatto un acquisto esteticamente ardito di pelle nera, un azzardo questo è sicuro, e poi mi sono eticamente riequilibrata immergendomi in feltrinelli.
cercando tra i libri di poesia mi sono fermata su questo titolo della raccolta di poesie di Pedro Salinas: sicuro azzardo.
come sempre mi colpiscono le parole e il loro matrimonio d'amore.
questo mi conquista, così contrastato, per la fede nella parola seppure mutevole, contro il silenzio mortale della certezza.
"contro al -luce irresistibile-
suo volto senza rimedio
eternità, lui, silenzio".

martedì 6 settembre 2011

magazzino 26

Trieste. Porto Vecchio.
biennale di Venezia e apertura del magazzino 26.
leggo sul sito che a Trieste le condizioni espositive si sono rivelate anche più favorevoli che a Venezia per la straordinaria opportunità di potere riaprire al mondo, e anche ai triestini, il Porto Vecchio della città con una particolare ed efficace azione di tutela che ne preserva l'integrità. questo ha consentito non solo di preservarlo ma anche di iniziarvi il recupero con il Magazzino 26 realizzando un progetto di Autorità Portuale con un programma di restauro. compiuta l'impresa, il meraviglioso padiglione non era stato ancora utilizzato né aperto al pubblico. e quindi è stata un'occasione straordinaria questa che restituisce il Porto Vecchio alla città, ne riapre gli accessi e ne promuove la rinnovata confidenza attraverso un'estensione della Biennale di Venezia nel luogo più corrispondente e analogo all'Arsenale.
l'ho scoperto casualmente leggendo il corriere della sera proprio la mattina in cui mi trovavo a Trieste, di transito verso la Croazia, luogo del mio viaggio itinerante di questo agosto 2011 appena concluso.
io ho un debole per queste faccende. luoghi della città abbandonati e poi recuperati, archeologia industriale e cittadina. vado matta per il recupero, il restauro, il decadente che si affianca al moderno, il rudere che si associa alla ricostruzione.vecchio e nuovo mondo. è un segnale di speranza, io lo leggo così.
mi è piaciuto passarci per poi buttarmi in città. e che città. e che donne, bellisime donne triestine. da sguardo fisso.
mi è piaciuto battezzarmi qui per poi comunicarmi nel mare della croazia.









sabato 3 settembre 2011

the tree of life

le aspettative erano altissime. e, come insegna la vita, questo è un male.
ma non so arrivare "vuota" a un evento. sono quasi sempre già "piena" di me.
lo ribadisco: male.
quindi cosa succede, che ho visto un film che avrei potuto giudicare buono con dei limiti e che invece mi delude.
mi aspettavo delle aperture, aperture alle mie incessanti -opprimenti?- domande dell'ultimo mese sulla morte e una sua ipotetica accettazione in vita. il film non apre le mie domande, al limite le colora di immagini. seppure molto potenti.
"si può vivere seguendo la via della natura o la via della grazia". l'inizio mi è piaciuto un mondo. bene, mi sono detta, iniziamo bene. la parola "grazia" è una parola per me vicina all'ideale. vivere uno stato di grazia, vivere nella grazia, vivere un'amore in stato di grazia, essere in grazia di dio. parola meravigliosa, a me rende il senso esatto di come vorrei poter stare al mondo, in una condizione ispirata e conciliante. il film di malick si apre così, contrapponendo allo stato di natura, irruente, possente, implacabile, forte e inarrestabile, lo stato di grazia, buono, benefico, mite, benevolente, aperto e disposto al perdono.
in questo film la natura non manca di essere rappresentata: per parlare dell'origine misteriosa della vita, e forse anche della sua ineluttabile fine?, delle radici profondissime e potenti dell'albero della vita, malick mi ha mostrato la natura. ma questo ha solo un potere suggestivo, non convincente.

poi la narrazione si sviluppa attorno a una famiglia media del Midwest, lui lei e tre figli, casa lavoro scuola educazione vita di coppia vita di provincia americana anni '50. ci giungerà notizia che uno dei tre figli muore ma non sapremo mai quale.

chi racconta è il figlio maggiore, ormai adulto, proiettato nei grattacieli moderni di una futuribile città di successo mondiale, ma profondamente ancorato e non affrancato dalle sue figure genitoriali, cosi fieramente contrapposte, e dall'amore per il fratello perduto. a tratti la voce narrante ci porta in una condizione metafisica, a tratti ci ancora pesantemente a una realtà in cui al padre rigido autoritario prepotente e temuto -la via della natura?- si contrappone una madre dolcissima accogliente morbida e salvifica -la via della grazia?-. "Padre, madre, voi siete in lotta dentro di me, e sempre lo sarete." il film si conclude con l'entrata in una terza dimensione, su una spiaggia lambita dal mare popolata di tutta la gente della nostra vita, della loro vita, della propria vita, forse un'immagine di conciliazione con la perdita, la mancanza, il non senso.
inquadrature, immagini, alcune cosmiche e bellissime, altre toccanti e mute, ma slegate, solo sostenute da una voce conturbante che ha un potere ipnotizzante, rinforzata da una musica di sapore ancestrale, ma che non affonda. ricordo strazio struggimento conflitto interiore. modernità attuale e radici antiche. acciaio e terra. torri di cemento e radici. figli e genitori. genealogia.
ma la frattura del film, la mancanza di omogeneità tra le visioni immaginifiche sostentate dalla fede e quelle realistiche di una vita frammentata dal dolore, è la stessa frattura che non da risposte alle mie domande. è una parabola biblica che non restituisce un senso se non forse a chi ha questo tipo di speranza.
niente che possa avermi concesso, fino in fondo, la grazia di capire, di riflettere, di pensare, di cercare.
ho guardato e ascoltato, e in qualche modo ne sono grata, ma io ancora non so, ancora non riesco a sapere.