bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 31 gennaio 2010

Baaria. un viaggio nella memoria



serpenti neri annunciano la morte. una maddalena vestita di nero, reincarnazione visionaria di una nonna morta prevede il futuro, di chi arriva, di chi se ne va.
finalmente il sasso colpisce le tre rocce una dopo l'altra e il mistero, tanto atteso, che si schiude è la morte. il suo segreto e tutto il senso di una vita concentrati in un attimo. il segreto siamo noi.
questo film, che non è un film del tutto riuscito, non è un capolavoro ,è un viaggio nella memoria è un passaggio nella mente, nel ricordo di un padre e della sua intersezione profondissima con la vita di chi questo film l'ha girato.
tutto il film si spiega e si concede nella prima e nell'ultima scena. tutto il resto è storia, interminabile minuziosa, è narrazione, quasi documentaristica, è evoluzione della sicilia, della sua gente e della sua terra.
il bimbo che corre per prendere le sigarette nazionali senza filtro e torna veloce da chi lo ha comandato, viaggia in una terra primitiva e povera assolata e forte.
io la sento questa forza, la sento, la vedo in quella trottola che gira veloce, giochi di bambini, giochi che non esistono più, tempo che non c'è più, passato, finito, addentrato e denso nella mente, vivo solo in quei corridoi, i corridoi di quella memoria.
la trottola che si rompe e riporta la mosca agli occhi speranzosi e increduli di pietro, andando oltre ogni ragionevole aspettativa, è il sogno che si perpetua, è una storia senza fine affidata a una pellicola, è un bisogno personalissimo del regista di ricordare i suoi sogni, i sogni di quel bambino.



un bambino la cui vita è indissolubilmente legata a quella di un padre, un padre amatissimo e parte della sua stessa carne, in una staffetta di vita che passa le consegne. da cicco a peppino, da peppino a pietro. quando le serpi tornano a farsi vedere e peppino corre verso il treno, consapevole della morte, annunciata dalle serpi come accadde per il suo stesso padre, ecco che peppino si risveglia bambino, nella stanza di quella scuola e ne esce, esce nel mondo moderno, il mondo in cui va a morire e ritrova i pezzi della sua storia, ritrova l'orecchino di una figlia che verrà e già è vissuta, e scappa verso la sua fine incrociando il suo pietro bambino, il suo pietro che corre veloce, in direzione della sua stessa vita.
scappa verso la sua fine ma torna al suo inizio. è un ciclo che si chiude che si completa e si trasmette a chi verrà dopo di lui.
sono sempre affascinata dai racconti che fanno i conti con un tempo che non è logico ma è emotivo, è affettivo, è un puzzle disordinato ma composto di tessere indissolubili solide nella memoria di chi scrive, o dirige, o racconta o dipinge.
questa storia non è perfetta ma coglie in me il senso dell'appartenenza, del legame, del vincolo con la nostra origine che ci fa uomini, che ci fa adulti, che ci conduce lungo il nostro personalissimo percorso.
guardo fuori e vedo questa città, che non è Bagheria, è Milano, ma di certo è stata diversa da così nella storia e nella memoria di mio padre e di mia madre, penso a un luogo che subisce trasformazioni nel tempo, uno stesso luogo che prima era terra e sole e poi diventa cemento e nebbia, ma che posso immaginare dentro di me per il ricordo della mia infanzia, di mio padre e mia madre, del loro incontro e del loro credere nella vita e portarmici per mano.

sabato 23 gennaio 2010

Non c’è vita che almeno per un attimo non sia immortale. La morte è sempre in ritardo di quell’attimo. A nessuno può sottrarre il tempo raggiunto.



lo vedo. non è la prima volta. ma lo vedo oggi per la prima volta.
è giovane ma sembra vecchio.
il tempo passa e non gli insegna a vivere.
la vita scorre e lui rimane, fuori, a guardarla passare.
bisognerebbe insegnargli a camminare, dal principio, bisognerebbe prenderlo per mano e fargli varcare la soglia.
forse non glielo hanno insegnato da bambino, che per entrare bisogna andare oltre la linea sottile del confine tra un dentro e un fuori. per un attimo hai paura ma poi passa, passa sempre. e dopo diventa un gusto, il sapore insopprimibile della conoscenza.
dieci minuti buoni di colloquio e poi mi dice: mio fratello è morto.
cioè non è entrato piangendo e travolgendomi con il pianto e la disperazione. dieci minuti e poi mi dice: mio fratello morto.
qualcosa penetra in me come una lama, mi fende il cervello e mi fa sentire il sapore del metallo in bocca.
lo osservo mentre mi racconta di questa infamia della vita, che ne è poi la sua diretta conseguenza e che ne sostiene il senso, e sento il peso, grammo per grammo, della sofferenza.
ho imparato a distinguere il dolore dalla sua imitazione.
l'autenticità ci guarda dritto negli occhi, la finzione distoglie sempre lo sguardo.
lo ascolto mentre mi spiega cos'è la mancanza. non è che non lo sappia ma la sua parola la delimita di un nuovo confine, il suo, il suo senso della mancanza ha per me un valore nuovo. mi dice che questa mancanza non avrà mai fine, che il panico si dilegua, che il terrore si allenta, che le lacrime poi si asciugano, ma che la morte non ha mai fine. la morte non finisce mai. la morte di suo fratello sarà per sempre nella sua vita.
vita e morte sono legate e vincolate, l'una non ha senso senza l'altra.
lo percepisco mentre naviga nel suo dolore, che è perdita, che è domanda senza risposta. si chiede perchè la morte prenda suo fratello, vitale dinamico creativo coraggioso, e non lui, spento fermo imprigionato e spaventato da tutto.
perchè?
io sono qua. mio fratello non c'è più. io ero già morto, mio fratello era vivo.
se ci può essere un senso in ciò che non ha logica, gli dico, forse suo fratello aveva vissuto e invece lui non ha ancora cominciato. si può perdonare la morte se porta via una vita che ha dato e preso ma non se strappa qualcosa che non ha ancora radici.
forse la morte di un fratello può dare inizio a una vita, a un ancorarsi al terreno, a dare un senso a una giornata.
a varcare quella soglia, finalmente, e cominciare a camminare.
per poi ritrovarsi vicini, come due fratelli.

lunedì 18 gennaio 2010

il genio in una risata



qui la questione è che ho riso. ma riso. riso parecchio.
potrei quasi dire, se non temessi di esagerare, che sono stata felice per un'ora e mezza.
al di là del fatto che lo spettacolo era confezionato bene e che gli attori circensi acrobati domatori clown erano tutti, tutti e cinque, eccelsi, lo spettacolo aveva una qualità rara e che, oltre al riso che mi ha prodotto senza soluzione di continuità, mi ha appunto reso felice.
era uno spettacolo semplice, basato su una storia semplice, che utilizzava materiale semplice ma semplicemente irresistibile.
nessuna soluzione arificiosa, nessuna forzatura, nessun eccesso, nè di forma nè di linguaggio nè di spettacolarizzazione.
un elefante è scappato dal circo, arriva una nuova acrobata di eccezionale bravura, c'è un clown che fa ridere semplicemente alzando un piede, c'è un'equilibrista di rara simpatia, un giocoliere di un'agilità impressionante e un direttore domatore che dirige il gioco.
tutto qui. miscelato composto diretto e maestralmente irresistibile.
se non fosse che è finito ieri, qui a milano, vi direi di andare a comprare il biglietto ADESSO.



Cirk, Il circo a teatro. storia di un piccolo circo raccontata da una compagnia di attori e artisti circensi di diversa nazionalità (Italia, Belgio e Svizzera), diretti dal regista olandese Ted Keijser sotto l’egida di Pantakin, tra le realtà più interessanti nell’ambito del Nouveau Cirque.

c'è speranza di una forma di spettacolo che vive di se stesso e della gioia vitale che porta dentro di sè, e che genuinamente comunica, e non della svendita oscena e miserabile delle emozioni.



http://www.youtube.com/watch?v=qGrJHxLVrsM

venerdì 15 gennaio 2010

l'uomo nero



penso che questo film, di Rubini, abbia davvero a che fare con la paura.
la paura e la riconciliazione con quella paura.
un padre guardato con occhi increduli e non compreso, un padre filtrato dalla memoria di un bambino, trasfigurato dalla paura degli spazi ignoti, quelli che non si conoscono.
e poi la scoperta di un'umanità più ingenua di quanto si pensasse, e il ricongiungimento con l'immagine paterna, necessaria, vitale, fiduciosa.
una nuova adesione che consente il passaggio dalla vita alla morte, che guarda oltre l'irruenza e l'ossessione e ritrova la tenerezza necessaria al perdono.
fa bene pensare di essere in sintonia con il proprio passato e sentirci dentro di riflesso. fa bene pensare ai nostri genitori come una parte integrante di noi, come loro dentro di noi, e poi lasciarli andare, per sempre, senza paura.

giovedì 14 gennaio 2010

il raggio verde

tante tante volte ho visto i film di Rohmer.
il suo cinema mi ha alimentato per molto tempo. ho ascoltato i suoi dialoghi come fossero miei, ho addirittura provato imbarazzo, come stessi spiando le scene della vita di qualcun altro.


è luglio e Delphine, trentenne impiegata parigina, non sa dove andare in vacanza e con chi. finisce a Biarritz dove finalmente, incontrato un ragazzo giusto, vede – guardando il sole che tramonta nell'Atlantico – il raggio verde, quel fenomeno di rifrazione che dà il titolo al romanzo di Jules Verne.
chi lo vede riesce a vedere nei propri sentimenti e in quelli degli altri. chiaramente. per il tempo del raggio sulla terra.
ho amato questo film, per la poesia, la sincerità, i personaggi così veri da risultare antipatici.
e ho amato La Marchesa von..., Reinette e Mirabelle, La collezionista, Il ginocchio di Claire, La moglie dell'aviatore, Pauline alla spiaggia, La mia notte con Maud...



anche i film sono i racconti della nostra vita, una delle rante voci che abbiamo ascoltato.

domenica 10 gennaio 2010

il tempo dagli occhi mi tolgo/ sospeso nella luce del vento/ attento alla voce che tace

non so aspettare, almeno io lo so.
mi muove, come tutti, il desiderio e sono lì dove mi porta, non dove credo di essere.
l'amore parla molto, è un lungo discorso, fatto di parole che non lo sanno contenere, finge di essere completo, recita più l'invocazione che la dichiarazione, chiede continuamente di essere ricambiato. parla molto perchè non sa finire, vuole ancorarsi e chiede eternità.
ho imparato, a fatica, ma ancora oggi non sono guarita, che spesso le cose tornano molto dopo averle costruite. ho imparato che nell'attesa c'è il vivere, che dopo la costruzione c'è il rimando e che il tempo è diverso per ognuno di noi.
quando sono molto fortunata la mia parola incontra quella dell'altro, quando è magia il mio desiderio crea l'altro che in me vede il suo. toccarsi è fondersi, penetrarsi, essere l'altro ed essere altro da sè per quel momento che si crede eterno ma è unico perchè finisce.
altrimenti, solitamente, è rincorrersi.
è aspettare.



L'ancora
Sono rimasta sola nella notte:
ho sul volto il sapore del tuo pianto,
intorno alla persona
il silenzio - che sul tonfo
della porta richiusa, a larghi cerchi
si riappiana.
Lenta nell’acqua oscura
del cuore -
lenta e sicura,
tra le alghe profonde
gli echi delle tempeste le lunghe correnti
le molli ghirlande di onde
intorno a inabissati
scogli -
lenta e sicura,
fino alle sabbie segrete giacenti
sul fondo dell’essere -
fida tenace, con i suoi tre bracci
lucenti
penetra l’àncora
delle tue parole:-
Tu aspetta me -

Antonia Pozzi
16 dicembre 1934

sabato 9 gennaio 2010

Veneto

il Veneto è una strana terra.
luoghi e realtà pregevoli ma anche luoghi e realtà stridenti.
l'entroterra è contadino e commerciale. forse non ho mai visto tanti centri commerciali uno di fila all'altro, ovunque andassi, qualsiasi direzione prendessi. diciamo che il panorama non ne trae beneficio, che la visione d'insieme di strade cittadine e infrastrutture è, appunto, piuttosto piatto cementato trafficato disordinato. è duro, ruvido.
ma giunti a destinazione si aprono le sorprese come i pacchi di natale...
Città
Cittadella, Castelfranco, Montagnana, Treviso, fortificate, ricche, artistiche.





Ville
eleganti, sul brenta, palladiane, classiche.






Luoghi storici
carichi di memoria.
Bassano del Grappa, con il suo ponte sferzato dal vento e il Monte Grappa, impressionante solitario autorevole e dominante. Storia, la nostra.




Arte, pittura.
Veronese, alla Villa Maser, dipinge e lascia la sua impronta allegorica, piena nel tratto e nelle forme, a tratti quasi spiritosa..Ho visto Virtu', maschio, tenere a freno, con il morso, Passione..FEMMINA.






Natura
Colli euganei, insorgono come seni morbidi e dolci, inaspettati e improvvisi, come arrivano se ne vanno.. dopo aver visitato la casa del Petrarca.

Francesco Petrarca
Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese, e l'anno,
e la stagione, e 'l tempo, e l'ora, e 'l punto,
e 'l bel paese, e 'l loco ov'io fui giunto
da' duo begli occhi, che legato m'hanno;
e benedetto il primo dolce affanno ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
e l'arco, e le saette ond'i' fui punto,
e le piaghe che 'n fin al cor mi vanno.
Benedette le voci tante ch'io
chiamando il nome de mia donna ho sparte,
e i sospiri, e le lagrime, e 'l desio;
e benedette sian tutte le carte
ov'io fama l'acquisto, e 'l pensier mio,
ch'è sol di lei, sì ch'altra non v'ha parte.


Mostre
di insperata intensita'. Giorgione a Castelfraco veneto e i segreti della citta' proibita, a Treviso. da capogiro.




Viaggiare
di Fernando Pessoa

Viaggiare. Lasciare paesi.
Essere altri costantemente,
perché l'anima non ha radici
per vivere per vedere soltanto.

Non appartenere neppure a me.
Andare avanti, andare indietro
l'assenza di avere un fine
e dell'ansia di raggiungerlo.

Viaggiare così è viaggio.
Ma lo faccio senz'aver di mio
altro che il sogno del passaggio.
Il resto è solo terra e cielo.

mercoledì 6 gennaio 2010

"tutta l'arte veneziana sembra infiammata dalla sua rivelazione"


Le tre età dell’uomo, 1500-1502


Madonna col Bambino,1498-1500

Castelfranco Veneto. mostra sul Giorgione.
penso di avere avuto contatto, visivo, comunque sensoriale, comunque emotivo, con una linea di perfezione stilistica.
la perfezione, come in un corpo, non è necessaria. anzi.
è l'imperfezione che eccita e lega lo sguardo indissolubilmente.
la perfezione è tendenzialmente noiosa, è saturante quindi non produce la necessità di un approfondimento.


Doppio ritratto, 1502

la pittura di Giorgione ha però qualcosa di assoluto e probabilmente di accecante.
al di là di tutto quello che si può leggere ovunque su questo pittore, la sua storia, la sua pittura, il suo perscorso, c'è un punto di mistero e di avvolgimento dal quale non so districarmi.
guardo, mi sembra perfetto ma riguardo.
i ritratti hanno qualcosa di magnetico. un calore che percepisco.
la Pala, la sua opera più nota, ha un'ambientazione assolutamente simmetrica che mi convince da un punto di vista geometrico, ma i volti della madonna, con quella sua veste rossa, e del santo guerriero, mi parlano di un mondo di inarrivabile bellezza.


Madonna con il Bambino tra San Francesco e San Nicasio (Pala di Castelfranco)

lunedì 4 gennaio 2010

ombre di guerra

la fotografia ha un potere misterioso. non penso abbia il potere di cambiare le cose. penso che abbia una forza di comunicazione e informazione drammatica.
la fotografia fissa una realta' dinamica e le conferisce un'espressione. fissare un movimento in quel momento e' comunque un'operazione culturale. e' una scelta. è un'opinione.
la mostra alla Rotonda della Besana, fino al 10 gennaio, organizzata dalla Fondazione Umberto Veronesi, da Science for Peace e dall'agenzia Contrasto, propone 84 fotografie che sono una testimonianza dei principali conflitti nel mondo, dalla Spagna del 1936 al Libano del 2006. Quelle che sono riuscita a trovare da pubblicare non sono nemmeno le più impressionanti.
credo che decidere di andare a vedere questa mostra abbia un valore civico.
ma credo anche che guardare le foto e leggere le esaustive didascalie sia un'operazione mentale, non sia un operare nella realtà, sia un lusso, perchè comunque tra ciò che si vede impresso sulla pellicola e quella realtà c'è un abisso spazio temporale che ci permette solo di pensare alla guerra, solo di immaginarla per quanto sia immaginabile con le categorie mentali di chi non c'è stato.

Questo dice Umberto Veronesi, “tutti vogliamo la pace perché l'uomo è un animale pacifico: le istruzioni del nostro DNA, come quello degli esseri viventi, sono di conservarsi, riprodursi e morire. Uccidere, prevaricare, violentare, non sono necessità biologiche, ma meccanismi primitivi di difesa nell'ambito di una condizione di insicurezza o di paura. Rappresentano quindi una deviazione della natura umana. Ma se vogliamo la non violenza e sappiamo che ci fa felici, perché esiste ancora la guerra? Quelle connerie la guerre diceva Jacques Prévert, che fesseria, che assurdità. Proprio questa assurdità esprime la splendida raccolta Ombre di Guerra. Fotografie che sollevano il velo, come solo questa forma artistica sa fare, fermando per sempre un attimo di follia”.


First-aid center, where wounded Marines were treated before being helped to air-evacuation points.
Photo Credit: Larry Burrows, 1966 (Life).


Philip Griffiths, Irlanda del Nord
Philip Jones Griffiths racconta: "In guerra la verità emerge. Tesa tra la vita e la morte, la gente si rivela, getta la maschera e si mostra con un'onestà che non c'è altrove nella vita."


Henri Bureau/Sygma. L'incendio dei pozzi petroliferi. Abadan, Iran, 1980


Eddie Adams. February 1, 1968. South Vietnam police chief Nguyen Ngoc Loan shots a young man, whom he suspects to be a Viet Kong soldier.


Don McCullin
Ghaziveram, Cyprus, April 1964.
A Turkish woman mourns her dead husband, victim of the Greek-Turkish civil war.


1972. Trangbang, South Vietnam, 8 June 1972. Phan Thi Kim Phuc (center) flees from the scene where South Vietnamese planes have mistakenly dropped napalm. Photo Credit: (Nick) Ut Cong Huynh, Vietnam, The Associated Press.

la mostra apre con alcuni dati "interessanti", ma evidentemente politicamente inapplicabili.
1200 miliardi di $: valore delle spese militari dei paesi ricchi per 1 anno.
1200 miliardi di $: 1,5 volte quello che sarebbe stato necessario in 15 anni per dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015.
4 miliardi di $: spesa totale per mantenere gli apparati militari per 1 giorno.
4 miliardi di $: costo per 1 anno dei programmi Oms per controllare la malaria (1 milione di morti all'anno).
1400 milioni di euro: costo della portaerei italiana Cavour. Stesso prezzo per realizzare 4 mila asili nido in tutta Italia.
2,7 miliardi di dollari: costo di un sottomarino classe Virginia. Stesso prezzo per un anno di trattamenti per 7,5 milioni di donne sieropositive africane.

Pensiamoci.

venerdì 1 gennaio 2010

andate mie parole, calcate le tracce dei linguaggi infiniti




Incamminarci

Al giro di boa ancora fiammeggiano le querce,
celebriamo il passaggio dell'anno, del fuoco
quello appena nato non puo' temere il gelo
tutte le foglie lo trattengono nel calore
fin che possa liberare le ali piumate
ruotare sopra di noi che dormiamo, incamminarci.

25.12.1982 - 8.1.1983
Antonio Porta