bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 30 ottobre 2011

Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità. (manifesto futurista)

si passeggia anche questa mattina, che anticipo meraviglioso sul tempo questa oretta in più di passaggio dalla legalità socio-economica alla legittimità solare.
zona porta Venezia. ci sono case e ville di grande maestosità. zona ricca, verde, dalle inferriate dei cancelli si vedono parchi molto vasti inseriti nel contesto di cemento milanese che non ipotizzavo nemmeno esistessero. zona ricca e custodita, vedo macchine di vigilanza urbana, private.
molto ricca. molto verde. molto elegante.
in questo angolo di esultanza borghese vado a vedere una mostra: Sironi, la guerra, la vittoria, il dramma, in una Villa che fa di nome Necchi Campiglio. Via Mozart 14. Milano.
e dai che meraviglia, che sorpresa!  ma io in che milano vivo da molti, moltissimi anni, moltissimi sprecati anni?




costruita tra il 1932 e il 1935 la villa restituisce subito il tenore di vita dei proprietari, esponenti dell’alta borghesia industriale lombarda. in più è fine ottobre e gli alberi parlano di autunno, i vialetti di foglie morte, gli ambienti interni anni trenta di malinconia stagionale.
la mostra è piccola, tre sale, ma espressiva e intensa.
anche questa esposizione è un tributo ai 150 anni dell'unità d'italia, partendo dall’arte ma attraversando la Storia, dalla prima guerra mondiale all’avvento del fascismo, un punto di vista doveroso e necessario.
Sironi, anni 15 e 18, e primi vagiti di retorica fascista fino alla creazione della sua Vittoria Alata. Ci si giunge progressivamente, tra bozzetti preparatori e studi; l'opera si vede già varcando la soglia dell’esposizione, in fondo alla prima sala, ma la si apprezza lentamente, quasi a non volerla bruciare in un attimo, preparandosi.

ma quanto più belli dell'opera finale sono tutti i disegni a matita, carboncino e china, di volti, soldati austriaci, immagini retoriche di vittoria e fedeltà alla patria. un tocco magistrale li caratterizza tutti. nei disegni, a volte sfumati, basta un particolare a individuare il soggetto della scena. un cappello, un elmetto, una divisa.
in alcuni disegni Sironi abbandona la retorica o l'ironia per esaltare umanità e nobiltà della figura, indagando l’espressione del volto tramite un chiaro-scuro forzato che copre i lineamenti del viso per valorizzare  il profilo e l'ombra (Soldato e Ritratto del capitano Fantoni).
la seconda sala è dedicata a disegni e impaginazioni, animati da una colorata vena satirica, che Sironi, convinto interventista, realizzò per il Montello. Quindicinale dei soldati del Medio Piave, il foglio uscito in soli quattro numeri dal settembre al novembre 1918. l'immagine più sarcastica è quella della Scimmietta del Montello in cui il soldato austriaco prende le vesti della scimmia.


ma l'opera più bella che ho visto non è di Sironi, ma di Balla, nell'ultima sala, dedicata ad altri contributi aritstici al tema della guerra, è un Cimiteri di guerra del 1918-19, dove la sintesi strutturale e compositiva è portata all’estremo, dove una linea continua sottile e leggera disegna colline e croci, una luce bianca sullo sfondo, e niente più da dire, niente di più.


un bicchiere di vino bianco offerto al bistrot della villa, poi a casa, annebbiata, contenta.

mercoledì 26 ottobre 2011

sunya


"Se si considerano i problemi cruciali che hanno stimolato il progresso lungo le direttrici più antiche e battute della ricerca umana, si ritrova il nulla, adeguatamente travestito da qualcosa, sempre prossimo al centro delle questioni" (J. Barrow, Da zero a infinito, la grande storia del nulla)

cos’è il nulla? lo zero equivale al nulla?
nella cultura occidentale il nulla è "accettabile" o piutttosto un orrore, un terrore, un'impossibile conciliazione con l'inconcepibilità del non essere?
al festival dello yoga, c'è forse qualcosa a Milano che non venga celebrato da qualche festival?, Caterina Vicentini, studiosa ed insegnante di matematica ho condotto questo seminario sullo zero assieme al maestro di yoga Ferruccio Ascari.
la storia che mi hanno raccontato prende le mosse dall’origine dello zero, dagli antichi sistemi di numerazione degli egizi e dei babilonesi, dei maya e degli indiani. sunya è uno dei nomi con cui i matematici indiani denotano lo zero. "Quando sunya viene aggiunto o sottratto da un numero, il numero rimane immutato; e un numero moltiplicato per sunya diventa sunya" afferma nel 628 d.C. l’astronomo e matematico Brahmagupta. il nulla ha trovato un simbolo che lo esprime, che a sua volta assume il rango di una cifra con la quale fare calcoli. "E dividendo qualsiasi altro numero per zero, afferma ancora Brahmagupta, si ottiene l’infinito."
sembra chiaro che la cultura e le tradizioni religiose indiane erano più in sintonia con la sensibilità mistica al contrario delle tradizioni religiose occidentali, quella ebraica e quella cristiana, che rifuggivano dal nulla facendo proprio l’"orror vacui" della filosofia greca classica. non a caso Archimede e Apollonio hanno ignorato lo zero, non sapendo che significato dargli, non sapendo che responsabilità assumersi rispetto al nulla.
il concetto di zero arrivò in Occidente attraverso la mediazione araba. Ci volle però più di mezzo millennio affinché il sistema posizionale in base 10 si affermasse definitivamente in tutta Europa. Da allora il nulla e il vuoto, assieme al loro simbolo, lo zero, hanno svelato tutta la loro potenza ermeneutica e la loro fecondità ideativa e creativa. gli arabi chiamavano lo zero sifr (صفر): questo termine significa "vuoto", ma nelle traduzioni latine veniva indicato con zephirum (per semplice assonanza), cioè zefiro (figura della mitologia greca, personificazione del vento di ponente); da questo derivò il veneziano zevero e quindi l'italiano zero.

lo zero è, aritmeticamente, il trait d'union fra il nulla e l'infinito. zero e infinito sono i due estremi che si toccano, quando, dividendo un numero per zero, si ottiene l'infinito.
se l'occidente si imbatte nel nulla si scompone nel dilemma e nel non-senso, nella cultura orientale, nello yoga, il nulla è desiderabile, è raggiungibile come meta: quando la mente si annulla si tocca l'infinito.
yoga è arresto delle fluttuazioni della coscienza, è fare vuoto, assenza, nella mente.
yoga è zero mentale, è sunya, è sospensione di ogni contenuto mentale. non a caso quindi è la cultura indiana a fare propria ciò che l'occidente non ha saputo assumere, non a caso è in india che si definisce lo zero come assenza di cifra, come operatore matematico e come risultato di un'operazione e da lì ha origine lo yoga, che significa unione, che è compenetrazione di individuo nell'universo, che è fusione di anima individuale nel respiro cosmico.
è così?
allora mi chiedo come, in che modo, attraverso quale via,  un uomo nato e vissuto nella cultura occidentale possa fare propria una trascendenza che storicamente, visceralmente, geneticamente non gli appartiene. ho ascoltato un seminario in questi giorni in cui si è accennato, guarda caso, che Freud rifiutò un invito a partecipare a questa visione universale di fusione tra uomo e natura. Freud diceva che l'uomo è un essere parlante, il cui inconscio, come sostenne poi anche Lacan, è strutturato come un linguaggio. dal momento di questa introduzione uomo e natura si sono definitivamente differenziati.
io pratico lo yoga e ne beneficio (ringrazio il cielo tutti i santi giorni), ma capisco che non sono, nemmeno ipoteticamente, nemmeno tra una vita, in fusione con l'universo (che rimane comunque il risultato di un'esistenza dedicata alla meditazione, al samadhi). forse lo nego proprio come principio in termini razionali: il peso del pensiero, delle pulsioni e del desiderio fanno di me una sfera che circola nell'etere (si dai diciamo così), che a tratti si confonde con il paesaggio, ma rimane pur sempre un'unità inconciliabile con la pienezza del nulla. temo la mia zavorra non sia minimizzabile, forse purtroppo per me.

lunedì 24 ottobre 2011

simoncelli

la morte di Marco Simoncelli  mi colpisce molto e sto cercando di capire perchè. la commozione che ho provato probabilmente trascende la morte di una persona che personalmente non conoscevo. però mi colpisce a differenza di altre che fanno il giro del mondo, personalmente ho chiaro dentro di me le persone alle quali devo essere riconoscente, a Steve Jobs non lo sono.
la riconoscenza non c'entra con questo giovane motociclista ma forse il fatto che era giovane e terribilmente simpatico, anticonvenzionale, pazzo di ricci e dall'accento irresistibile. forse il fatto che era umile.
l'umiltà mi piace sopra ogni cosa, ritengo che sia la dote di maggior successo in assoluto. l'umiltà è la carta vincente, è l'unico modo di lavorare bene e di essere riconosciuti per quel che siamo e valiamo. ogni volta che mi sono compiaciuta di me, un'ora dopo ho dovuto ricredermi sulla mie capacità lavorative, ogni volta che ho pensato sono brava, poi tutto mi è scivolato dalle mani.
questo ragazzo era umile, era riservato, era capace senza bisogno di dimostrarlo a tutti i costi.
o forse è la dinamica dell'incidente che mi spezza, era ancora vivo, era solo caduto, è morto travolto dalla moto dei suoi compagni di gara, dalla moto del suo amico Valentino. che destino è questo? per chi se ne va e per chi rimane?
o forse aveva 24 anni e faceva uno sport che non assomiglia alla pallavolo, si cimentava in una sfida continua, nessuno mi toglie dalla testa che andare a 1000 all'ora è un modo per solleticare la morte, e provarne un'euforia inebriante, per trovare la voglia di vivere i giorni che, semplicemente, ci separano dalla volta successiva. poi la sfida si perde e il gioco è finito.
come sempre davanti alla morte io rimango attonita, la morte precoce e imprevedibile, la morte violenta, la morte ingiusta. c'è qualcuno che, a volte, sembra meritarsi la vita più di altri.
come sempre davanti alla morte rimango sgomenta, mi si riaprono le domande senza fine. domande che prendono il sopravvento e mi schiacciano in un angolo buio e stretto.
come sempre davanti alla morte temo quella di chi amo e mi proietto in quella dimensione di disperazione che ha l'inconoscibile. tutti temiamo la telefonata, quella telefonata che cambia la vita di chi resta. la telefonata del non senso che ti comunica irreparabilmente che l'illogicità ha avuto il sopravvento e che nulla la può fermare.
per quanti sforzi si facciano, per quanto si cerchi di correre veloce, molto molto veloce.

giovedì 20 ottobre 2011

io non vivo qui - festival della fotografia istantanea

Andrea Tonnello, Alan Marcheselli, Carmen Palermo, G.Guido Zurli, Patrizia Gargano, Marco Giambrone e Maurizio Galimberti. e molti altri che non cito, per carità. gente così, che non conoscevo, e per la verità nemmeno ora, ma che l'onda del festival della fotografia istantanea tenutosi a Milano due settimane fa mi ha fatto almeno lambire per un paio di pomeriggi.
quanta gente lavora, quanta gente fa, quanta crea, magari anche con talento, quante sinapsi entrano in contatto, quanti neurotrasmettitori circolano nell'area limbica, quante ma quante iniziative personali e sociali e cittadine possono prendere vita e quante, di fatto, se ne possono conoscere.
a volte temo di essere catturata, come lo fu mio padre, dalla sindrome del sapere tutto, del vedere tutto, del godere di tutto, che è una traduzione de facto di una gravissima sindrome ossessiva di onnipotenza e che tradisce, probabilmente, un terrore primitivo del vuoto.
ma al di là delle mie patologie, che curo da anni senza successo, questo breve viaggio nell'impossible project della fotografia istantanea, che mi ha portato in appartamenti privati, gallerie d'arte contemporanea e spazi ex industriali riadattati della mia Milano ancora sconosciuta, mi ha permesso di vedere diapositive non tutte belle ma alcune pregevolissime, di sbirciare tra i sogni sfumati e opachi di molti artisti, di indovinare le pieghe di corpi tonici e altri meno good looking, di immaginare le tecniche della sfuocatura e dell'accensione di colori tanto innaturali quanto suggestivi, di constatare per l'ennesima volta come l'occhio umano vede cose molto diverse a seconda del cervello che lo governa. inutile cercare la verità, non esiste, inutile imporre e esigere la sincerità, non alberga in noi, inutile. ogni cervello è un circuito a sè, possiamo solo sperare che alcune immagini degli altri somiglino alle nostre e cercare quelche disperato, ma esaltante, punto di contatto.












non so se guardi me, ma io certamente, per qualche attimo, ho guardato te pensando allo sguardo che ti cercava.


domenica 16 ottobre 2011

kassatka- la rondine


sono andata a teatro.
proprio a teatro.
e questo è teatro.
Kassatka - la rondine, testo di Alexej Tolstoj, diretto da Semion Spivak – ucraino di nascita, regista di fama internazionale e direttore dell'innovativo Molodezhny Teatr sulla Fontanke- presentato al Piccolo Teatro di Milano nell'ambito della rassegna Ottobre russo al Piccolo, con i migliori spettacoli della stagione teatrale di San Pietroburgo.
nella rassegna ci sono titoli anche più rinomati famosi e miracolosi di questo, sopra tutti Le tre sorelle e Zio Vanja di Cechov diretti dal celeberrimo Lev Dodin.
mi sono accontentata di meno, ma mi sono divertita moltissimo, forse di più.
scritta nel 1916, un anno prima della rivoluzione, c'è aria pre rivoluzionaria in questo mondo arostrocratico in grave decadenza, sfaccendati e fannulloni, senza tetto e senza lavoro. amori che si sfaldano altri che si rifondano, ma, sembrerebbe, sulle sabbie mobili. niente in questa rappresentazione ha l'aria di poter durare.
ma, al di là, del senso della rappresentazione, del valore artistico del lavoro, della sua levatura morale, la cosa bella, veramente bella, è il teatro.
recitato in russo, con sottotitoli in italiano, la commedia è un godimento autentico del lavoro dell'attore.
qui, gli attori, sono bravissimi, fanno ridere, sono spiritosi, intensi e, soprattutto, magici.
si muovono con maestria, con sapienza, e il giusto tocco di ammiccamento. con il pubblico ci sanno fare.


a volte, capito l'andamento del senso logico, era fantastico ascoltarli recitare, senza capire la lingua, e senza leggere la traduzione, e ridere e condividere e godere della rappresentazione scenica di gesti parole musica e di una scenografia semplice ed essenziale ma viva.
tutto era vivo e io ho sentito il calore di quella recitazione, ho avvertito il regalo che mi stavano facendo quei professionisti sul palco.
il teatro è magia, il teatro è sogno, è immaginazione, è pensiero ed emozione.
soprattutto il teatro è, come tutti gli ambiti letterari, un'inimmaginabile possibilità di ampliamento del proprio spazio di vita, è un'espansione del tempo di vivere, come sempre quando si conoscono, o leggono, le storie degli altri, le vite degli altri. è vita in più, oltre il mondo noto, oltre la nostra personale esperienza.
mi sono divertita, ho goduto e ampliato il mio tempo.



In qualche luogo c'è una vita semplice
e un mondo tiepido, trasparente e gaio...Là,
verso sera, il vicino parla alla fanciulla
attraverso lo steccato e le api
testimoni odono la più tenera
tra le conversazioni.

La nostra invece è solenne e intricata
e amiamo i riti dei nostri amari incontri
quando il vento d'improvviso ci tronca
il colloquio appena iniziato.

Ma con niente scambieremo la sfarzosa
fortezza della gloria e della sventura
e gli splendenti ghiacci dei larghi fiumi
e la voce appena udibile della Musa.

Anna Achmatova

giovedì 13 ottobre 2011

24 manichini

una frivolezza, ma tanto tanto carina.
non si può essere sempre tutta d'un pezzo.
prima una fila, poi l'altra.
mi guardano 'ste signorine ben vestite.
forse sono fredde, un filo algide, ma che look.
che scarpe. che borse. che vestiti.
sono tanto magre, non somigliano alle mie forme.
non le invidio, ma un paio di mantelle e di sandali mozzafiato glieli ruberei.
vedo fiori, vedo stampe, vedo colori.
ammiccano e mi attraggono. mi piace l'eleganza. amo il buon gusto.
mi sono invaghita, comincio a desiderarle.
il cappottino scozzese con la borsa in nuance di colori...irresistibili.
nero in trasparenza sulle spalle e collana che sfiora l'orlo del vestito.
tacco 12, o di più?, saprei quando metterlo per far girare la testa a chi so io.
che femmine, che sogni, che fantasie di seduzione...
o solo 24 manichini in plastica addobbata di lusso inutile indigeribile?

martedì 11 ottobre 2011

la gente vola

nell'universo della sua pazzia
una nuova teoria - per lei la gente vola.





nelle foto di Lartigue la gente vola. vola davvero, vola fisicamente, vola di fantasia, vola di gioia, vola verso il cielo, diventa cielo.
vorrei che la vita fosse così sempre. o forse, fortunatamente, non lo è e ci lascia il tempo di sognare, così, di volare, di più, ogni volta che il respiro si fa più lungo e profondo.










domenica 9 ottobre 2011

la fabbrica dei sogni

Milano. domenica. stop alle macchine.
così fosse tutte le domeniche dell'anno?
sara' che oggi il sole splende, il vento spazza, la luce acceca, ma in bici per Milano alla scoperta delle meraviglie del design nel corso del Milano Design Week End e' un vero godimento. e' un lusso.
alla Triennale va in onda "La fabbrica dei sogni", mostra eccezionale. divertente, godibile e allegra. e anche ben " parlata".
oggetti fantasiosi, eleganti, bizzari, funzionali, inutili, belli, scomodi, coloratissimi, fulminanti. oggetto valore di status, oggetto valore di stile, designer paranoico direttivo o metanoico ricettivo, epifanizzazione del quotidiano che si appaga tramite il godimento del buon design, "bollitore che non funziona" di Alessi ideato durante la guerra del golfo a forma di proiettile attraversato da una freccia.
cos'è tutto questo? il valore sociale del consumismo.
per chi ha voglia di leggere, e di guardare, in questo mondo dell'immaginario in cui gli oggetti parlano per noi, parlano di noi, lascio che le immagini degli oggetti e dei fumetti raccontino del sognante, al contempo materialistico, mondo del design.