bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

martedì 22 settembre 2009

parole

Se le mie parole potessero
essere offerte a qualcuno
questa pagina
porterebbe il tuo nome.



Riflessi
Parole- vetri
che infedelmente
rispecchiate il mio cielo-

di voi pensai
dopo il tramonto
in una oscura strada
quando sui ciotoli una vetrata cadde
ed i frantuni a lungo
soarsero in terra lume-



Afa
Oggi
la mia tristezza esigente
a starnazzarmi l'anima
pesantemente
come scirocco
pregno di salsedine




Lampi

Stanotte un sussurrante cielo
malato di nuvole nere
acuisce a sprazzi vividi
il mio desiderio insonne
e lo fa duro e lucente
come una lama d'acciaio



Pudore
Se qualcuna delle mie parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrosisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.



Sfiducia
Tristezza di queste mie mani
troppo pesanti
per non aprire piaghe
troppo leggere
per lasciare un'impronta

tristezza di questa mia bocca
che dice le stesse
parole tue
-altre cose intendendo-
e questo è il modo
della più disperata
lontananza.


Anronia Pozzi. Scelgo le più brevi, sono le più intense.
un mondo racchiuso in poche parole.
è il sincretismo della poesia, qualcosa che non mi apparterrà mai, purtroppo.

lunedì 21 settembre 2009

ninfee, ancora ninfee...




Ninfee
Ninfee pallide lievi
coricate sul lago -
guanciale che una fata
risvegliata
lasciò
sull’acqua verdeazzurra -

ninfee -
con le radici lunghe
perdute
nella profondità che trascolora -

anch’io non ho radici
che leghino la mia
vita - alla terra -

anch’io cresco dal fondo
di un lago - colmo
di pianto.

Antonia Pozzi

lunedì 14 settembre 2009

Plastic


si sono andata al Plastic.
e mi sono divertita.
era da tempo che volevo entrare in questa dimensione e farmi un'idea di come gira.
me la sono fatta.



già dalla coda per entrare si capisce parecchio. una calca sovrumana a rischio di attacco di panico che poi si ripete fedelmente all'interno. ressa. affollamento. carenza di spazio. mancanza d'aria. corpi adesi. corpi sudati.
mentre ondeggio in questa massa umana incollata senza un senso se non quello di raggiungere l'entrata, mi dico che una fila indiana educata e rego non si addice a un posto così. questo è solo l'assaggio.
nel marasma osseo si chiacchiera amabilmente, uomini gay a grappoli ci fanno sapere noi donne mai nella vita, si scambiano opinioni sul sesso dell'ultima settimana e chiedono chi è Michi, presentamelo, è gaio? amico tuo? ok.
giunta per miracolo divino all'entrata, dopo aver rischiato la gambizzazione contro un vaso di fiori, a fianco del varco per passare, contro il quale sono stata pigiata con violenza inaudita da una biondina svedese di 20 cm più alta di me che non si faceva molti problemi di carattere umanitario, dopo aver sfiorato la morte per asfissia e aver incassato gomitate ancora dolenti, dopo TUTTO QUESTO mi hanno detto: tu no. quella è l'uscita.
seeee tu scherzi ragazzo. dopo aver visto la morte in faccia mi sono fortificata e io entro sicuro. intanto non mi sposto e voglio vedere.
vedere ho visto che sono passati 5 minuti e il galantuomo, doctor selector, che individua la ggente ggiusta, dovevate vederlo, un dandy secco secco, cappello borsalino, baffetti alla bogart, "tu si, tu no", me non mi caga di striscio. e allora??? seleziona gli uomini, gay o presunti tali, e le donne SOLO se accompagnate. io e la mia amica possibilità ZERO. inizio uno scambio di vedute, diciamo così, con uno dei body guard. posso definirlo scortese? aggressivo? irritabile? pericoloso? stronzo? stronzo va benissimo. mi minaccia e mi dice che non ho speranza e mi invita nuovamente ad andare.
intanto i body guard, alcuni dal sesso indecifrabile, o un uomo con le tette o una donna con il testosterone a mille, spingono indietro potentemente la massa umana e ora capisco il perchè di certi ondeggiamenti che mi hanno fatto rischiare di spegnermi schiacciata spiaccicata in viale umbria sotto scarpe tacchi a spillo e autobus 90 sulla circonvallazione.
poi il miracolo si ripete. compare, uscito dal locale, un signore che non potresti mai dire che possa avere senso in un posto così: almeno 60 anni, grigio di capelli, camicia a quadri ordinaria, basso, gentile, normale. "no dai non esagerate non fate così, piano, queste due lasciatele passare". ma chi è? cosa è successo? ha ricevuto una chiamata da dio? o questa è la pantomima che si ripete ogni sera all'entrata?
chissenefrega. ENTRO.
(dopo 25 euro alla cassa. hai capito?!)



è un buco. 4 sale. nere, senza arredamento con insegne al neon. una dice "bordello". ed è lo stesso timbro cha hanno fatto a me entrando. musica altissima (oggi ancora non sento benissimo). due dj, uno di musica tecno acida in una stanza più piccola della mia cucina, e uno/a nell'altra sala, più grande ma non vorrei esagerare, con musica trasch italiana. mi piace, già canto, alcune le conosco, rettore, vanoni, malgioglio. evvai.
ma ancora non è niente, la gente c'è ma ci si muove. tempo un'ora e non si cammina PIU'. si respira meno, si beve molto, si balla a stento.
però è un mondo.
parallelo.
la trasgressione è di casa, un gesto, fuori da denuncia, qui è la regola e va bene così.
in un angolo la drag queen, due polpacci da ciclista, cappello da poliziotto (un classico) canta come una diva ancheggiando e muovendo la bocca come una medusa. uno spettacolo. ogni tanto la musica si interrompe e tutta la sala sta cantando.
in una sala superiore, dove si entra selezionati, a mo'?, e riesco a entrare grazie ad amici abituè del luogo, grande schermo con immagini di repertorio vecchia hollywood, esther williams la fa da padrona. tutto fa.
ballo canto sudo guardo. pensieri pochi, qui non c'è modo di modulare. qui tutto si primitivizza, è il suo bello.
c'è di tutto qui. uomini gay donne, bizzarria alle stelle, eccentricità spinta.
mi offrono da bere un vodka-redbull. una schifezza inaudita, mi dicono la più bevuta in assoluto e non stento a crederlo, una bomba che ti porta fino all'alba. ne bevo mezzo bicchiere poi, direi inevitabilmente, cade e mi rendo conto che il pavimento è completamente bagnato: è l'alcol che si rovescia ballando. una sciolina dannosa, non invidio le superfemmine con tacchi a spillo. da suicidio.
Thisisplastic: Mouth, south. IS THE MOUTH SOUTH SOMEWAY? OR THE SOUTH A MOUTH? MUST BE SOME.
SOUTH. POUT, OUT, SCHOUT, DROUGHT.

il tempo passa e non me ne accorgo.
alle 4 esco, sono un bagno di sudore.
sono fuori.
sono out.



http://www.youtube.com/watch?v=DiS-GiVumfw

domenica 13 settembre 2009

ricordo di un sogno

Monet aveva bisogno del nulla, affinché la sua pittura potesse essere libera di ritrarre, in assenza di un soggetto, se stessa. Contrariamente a ciò che un consumo ingenuo potrebbe suggerire, le Nymphéas non rappresentano delle ninfee, ma lo sguardo che le guarda.



"Come amava sottolineare lo stesso prof. Mondrian Kjlroy, le Nymphéas presentano un tratto clamorosamente paradossale - sconcertante, lui amava dire - e cioè la deprecabile scelta del soggetto: per novanta metri di lunghezza e due di altezza, esse non fanno che immortalare uno stagno di ninfee. Qualche albero, di sfuggita, un po' di cielo, forse, ma sostanzialmente: acqua e ninfee. Sarebbe difficile trovare soggetto più insignificante, e in definitiva kitsch, né è facile comprendere come a una simile baggianata un genio possa pensare di dedicare anni di lavoro e decine di metri quadrati di colore. Un pomeriggio e il dorso di una teiera sarebbero stati più che sufficienti. E tuttavia, proprio in questa assurda mossa inizia la genialità delle Nymphéas. E' così evidente - diceva il prof. Mondrian Kilroy - quel che Monet voleva fare: dipingere il niente.



Dovette essere per lui una tale ossessione, dipingere il niente, che, riletti a posteriori, tutti i suoi ultimi trent'anni di vita ne sembrato posseduti - come interamente assorbiti. E precisamente da quando, nel novembre del 1893, acquistò un ampio terreno adiacente alla sua proprietà di Giverny, e concepì l'idea di costruirvi un grande bacino per fiori acquatici - in altri termini, uno stagno pieno di ninfee. Progetto che potrebbe essere riduttivamente, interpretato come il senile imporsi di un hobby estetizzante e che invece il prof. Mondrian Kilroy non esitava a definire come la consapevole, strategica prima mossa di un uomo che sapeva benissimo dove voleva arrivare. Per dipingere il niente, prima doveva trovarlo. Monet fece qualcosa di più: lo produsse.
...



Riferiscono le cronache che Monet, in quei trent'anni, passò molto più tempo a lavorare nel suo parco che a dipingere: ingenuamente, scindono in due un gesto che in realtà era unico, e che lui compì con ossessiva determinazione ogni istante dei suoi ultimi trent'anni: fare le Nymphéas...



Un giorno si svegliò, uscì dal letto, scese nel parco, arrivò sul bordo dello stagno e quel che vide fu: nulla. Un altro si sarebbe accontentato. Ma è costitutiva del genio un'ostinazione illimitata che lo porta a inseguire i propri scopi con un'ipertrofica ansia di perfezione. Monet iniziò a dipingere: ma chiuso nel suo studio.



Nemmeno per un attimo pensò di montare il cavalletto sui bordi dello stagno, di fronte alle ninfee. Gli fu immediatamente chiaro che, dopo aver faticato anni a fabbricare quelle ninfee, le avrebbe dipinte rimanendo chiuso nel suo studio, e cioè confinato in un luogo da cui, per attenersi alla verità dei fatti, quelle ninfee non poteva vederle. Attenendosi alla verità dei fatti: lì, le poteva ricordare. E questo scegliere la memoria, non l'approccio diretto della vista fu un geniale, estremo aggiustamento del nulla, giacché la memoria e non già la vista assicurava un millimetrico contromovimento percettivo che frenava le ninfee a un passo dall'essere troppo insignificanti e le intiepidiva con la suggestione del ricordo quel tanto che bastava a fermarle un attimo prima del baratro dell’inesistenza. Erano un nulla, ma erano".
Alessandro Baricco, City, 1999, Rizzoli



Vado a vedere Monet e le sue ninfee.
e mi ricordi che Baricco ne ha parlato nel suo "City".
e siccome Baricco parla bene e mi piace e dice cose sensate,
lascio dire a lui, meglio di me, quel che sono 'sti fiori rappresentati ossessivamente sulla tela.
mi piace l'idea di creare sulla memoria di qualcosa, più che sulla sua presa diretta.
mi piace l'idea di rappresentare artisticamente uno sguardo curvato dal ricordo, illanguidito, mediato dalla malinconia, trasfigurato dal sogno.
in effetti le ninfee sono questo, la realizzazione dell'impossibile: l'immagine personalissima di un sogno ricordato la mattina.



vado a vedere Monet e le sue ninfee.

e tu vedi solo le stampe giapponesi, che dicono essere l'ispirazione da cui parte lo sforzo visivo di Monet.
ingegnere che non sei altro.






"il vostro errore è di dimensionare il mondo sul vostro metro mentre ampliando la conoscenza delle cose vi trovereste davvero ampliata in eguale misura la conoscenza di voi stesso".

mercoledì 9 settembre 2009

spiagge

cammino sulla spiaggia, sabbia fine, cielo plumbeo, vento teso.
la spiaggia è Omaha Beach.
poca gente, quasi nessuno, c'è silenzio, solo il rumore di mare e di vento.
sono a Omaha beach.
è un'operazione culturale che faccio? è uno sforzo della memoria sui morti della guerra?
non direi, è una specie di coscienza collettiva, è un'impressione fotografica, è una consapevolezza incastonata nella storia di tutti noi.





c'è da dire però che
ora , qui, è solo un posto bello. un posto tranquillo. c'è pace. ora.
allora, qui, c'erano navi da sbarco e soldati e mitragliatrici e bunker e uomini e morte e sangue. c'era guerra. allora



a Utah beach questo scarto tra presente e passato è ancora più forte, stride anche di più.
la spiaggia è corta, isolata, non ci sono case intorno, ciuffi d'erba mossi dal vento la separano dalla strada, come una siepe.
ma si capisce che è tutto così, come sospeso, come in una dimensione atemporale, nel rispetto dovuto alla memoria.





cimitero. tedesco. rigoroso e deserto. le croci sembrano nazi, e non lo dico con ironia, le tombe sono affossate nel terreno, francobolli su una cartolina di morte dal fronte. leggi le date, due calcoli, 18, 20 anni, a bizzeffe.
qui non scherza più, se prima avevi l'illusione rassicurante e bugiarda di essere in un altro tempo, adesso so che è successo davvero.






cimitero. americano. bellissimo curatissimo sorvegliatissimo, un apparente paradiso terrestre.
molti morti. 9.000, ma seppelliti alla grande.
come dio comanda.
ciò che avverto subito è che se il cimitero tedesco era un cimitero, austero, triste, dedicato alla morte, alla morte dei perdenti, questo cimitero è un luogo di propaganda, di celebrazione, di enfasi. le tombe sono posizionate con precisione estrema, da qualunque prospettiva tu le veda, in modo ossessionante. in fondo, penso, sono tombe. ma solo apparentemente.
in realtà sono monumenti alla grandezza americana, come dimostra il ben diverso affollamento.
se le guardi bene, molte croci riportano, come data di morte, il 6 giugno '44: sbarcati- morti.
eppure qui si respira uno strano contrasto, qualcosa che esalta il sacrificio con troppa convinzione, con troppa spettacolarità, togliendo rispetto. come se la morte fosse "dovuta", un tributo alla bandiera.





ma, al di là delle differenze, delle spiagge e dei cimiteri, qui, in normandia, in questi luoghi dai nomi evocativi, c'è un incontro, un incastro tra storico e personale.
è un'esperienza comune, anche se non diretta: il passaggio della morte.
oltre alla celebrazione, ognuno commemora la propria personalissima fine.


Io nacqui sposa di te soldato.
So che a marce e a guerre
lunghe stagioni ti divelgon da me.

Curva sul focolare aduno bragi,
sopra il tuo letto ho disteso un vessillo -
ma se ti penso all’addiaccio
piove sul mio corpo autunnale
come su un bosco tagliato.

Quando balena il cielo di settembre
e pare un’arma gigantesca sui monti,
salvie rosse mi sbocciano sul cuore;
Che tu mi chiami,
che tu mi usi
con la fiducia che dai alle cose,
come acqua che versi sulle mani
o lana che ti avvolgi intorno al petto.

Sono la scarna siepe del tuo orto
che sta muta a fiorire
sotto convogli di zingare stelle.

Antonia Pozzi, 18 settembre 1937

lunedì 7 settembre 2009

sono nuda

difficile reggere il confronto con questa scrittura.
guardarla in faccia senza arrossire.
conosciuta su preziosa indicazione, ora so anche che un film a breve ne parlerà.
Antonia Pozzi. grande piccola poetessa morta suicida.
la sua poesia mi ricorda, pur senza quello strappo violento della follia scuotente, quella di silvia plath.
una parola che entra dentro e non puoi non riconoscerti e sentirti corrodere da qualcosa che scava le stesse buche, in profondità, nella propria nudità più disarmante.
quella che nessuno e dico nessuno conosce, nè mai dovrà conoscere, di te.


Canto della mia nudità
Guardami: sono nuda. Dall’inquieto
Languore della mia capigliatura
Alla tensione snella del mio piede,
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
Palpito azzurrino sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
È la curva dei fianchi, ma i ginocchi
E le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m’inarco nuda, nel nitore
Del bagno bianco e m’inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.

20 luglio 1929



La vita
Alle soglie d'autunno
in un tramonto
muto

scopri l'onda del tempo
e la tua resa
segreta

come di ramo in ramo
leggero
un cadere d'uccelli
cui le ali non reggono più.

18 agosto 1935

giovedì 3 settembre 2009

i fari: attrazione fatale


al di là della simbologia fallica, facile ironia,

i fari sono mitici leggendari, accendono splendidamente la mia fantasia.

solitudine romanticismo mare terra navi acqua.

basse e alte maree, navi arenate, navi naufragate

potere della luna, vicina poi lontana

dominio della natura, dei suoi cicli vitali.

luogo salvifico, solitudine estrema

protezione e forza.

luce intermittente, sicura, ipnotizzante.

voglio vivere in un faro e impazzirci dentro.

mercoledì 2 settembre 2009

sintonia



sonoinmacchinavadoallavoroinquestamattinadimerdasoverchiatadallasolitudineassassinaedaunmaledettosensodisoffocamentoelavedoscenderedaunalberodavantiamesoladavantiamesolodavantiame: LA PRIMA FOGLIA D'AUTUNNO.