bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

martedì 31 dicembre 2019

blu

mah, speriamo in un anno blu, come la montagna di Kandinsky.

domenica 29 dicembre 2019

Il Parenti

mai amata la Shammah.
dai tempi in cui la vedevo a Forte dei Marmi, a casa di un'amica dei miei genitori, amici di Franco Parenti. 
ultimamente qualcosa mi è particolarmente inviso.
ormai il Parenti non è più un teatro, è un centro multifunzionale, simile a un centro commerciale, ci manca solo che organizzino i matrimoni e ospitino il circo o una sfilata di moda.
ma arriverà il momento.
mi ricordo l'anno scorso, forse ne ho scritto, alla ricerca di una mostra in occasione della art week, che poi era nelle sale de "bagni misteriosi", sono finita, non so come -di solito gli estranei come me vengono fermati all'ingresso da energumeni muscolosi con aria feroce - dentro un "evento", si chiamano così, promozionale, penso di Luxottica. io ero vestita come una manifestante ed ero dentro un vortice di paillettes e Luoboutin tacco 12, ho preso un prosecco e poi mi sono elegantemente, non c'è che dire, defilata.
ma è per dire.
capisco che lo spirito imprenditoriale della suddetta sia straordinario, tutto le fa onore nella ricerca di sovvenzioni, soldi, giri di affari, allargamenti del discorso, abbraccio multimediale, sconfinamento dei temi, ma, temo, ci sia dimenticando del teatro e del buon senso.
vedo la serata del 31 dicembre e noto cifre di 170 euro per spettacolo e cena.
accipicchia
ciumbia
che satanassi.
ma che cos'è questa robina qua? cacca?
oppure 20 euro di mensa per i poveri ma 70 per lo spettacolo, che poi mi promuovono a 18 perchè la sala dal 1 al 6 gennaio è vuota.
ho cercato di prendere i biglietti per Dracula, con Rubini e Lo Cascio, e scopro che sono rimasti pochi posti, solo nelle ultime file. di solito le ultime file costano meno, a ragion veduta, delle prime. è prassi che i costi siano diversificati, come è giusto, è prassi anche che i teatri abbiano convenzioni, anche il Parenti le ha: l'anno scorso ho acquistato i biglietti per lo spettacolo Delitto e Castigo, con i medesimi attori, usando la convenzione. altrimenti il costo è per me troppo elevato.
bene, scrivo due righe alla biglietteria e chiedo ragione del costo di 33 euro anche alla fila Z, o oltre, e chiedo anche come mai non mi compare la tendina delle convenzioni al momento dell'acquisto on line del biglietto. qualche guasto? mi viene candidamente risposto che non c'è differenza tra A e Z e che che convenzioni per questo spettacolo sono state ANNULLATE.
ma guarda.
ancora ciumbia
o te possino..
il teatro.
la bellezza del teatro che si apre alla città.
oppure il teatro si fa furbo e pensa agli incassi e dato che RubiniLoCascio va forte, il teatro batte cassa e  si annulano scontistica e differenze di prezzo. 
le convenzioni a discrezione dunque, qualche volta si ma se conviene no.
risultato: al Parenti non ci vado quasi più e devo dire che non piango perchè la programmazione, ma guarda un po', è veramente scadente, ripetitiva di molti spettacoli già visti, e straripante di autori e prodotti che mi suonano vagamente secondari.
tanti auguri Parenti, ti vedo proiettato come una navicella spaziale nel futuro, bada bene di verificare chi sarà rimasto a bordo, la creme de la creme cui chiaramente la Shammah aspira, fatta salva la probabile insipienza.

sabato 28 dicembre 2019

al Jamaica



le donne, anni '60
eleganti, sempre
con le gonne
gambe vita stretta collant velati foulard in testa
che donne

montagne in Saint-Remy



le pennellate di Van Gogh
ci vuole un doppio occhio, cioè un occhio con due punti di visione.


gli alberi alla base della montagna


il cielo

vorticoso giro di colore
vorticosa la vita.

lunedì 23 dicembre 2019

C'è la brina, siamo a tre sottozero e i ciliegi sono tutto un fiore.

lo spettacolo è stato travolgente.
il Giardino dei Ciliegi
bello e denso
minimo e molto
luci e ombre
volti e figure
infanzia e decadenza
Cechov for ever.
amo davvero molto il teatro di Cechov, lo sento teatro che più teatro non si può.
e Alessandro Serra è un giovane talento che mi trafigge con le sue operazioni sceniche.
ho letto su la Lettura (come può sopravvivere alla durezza della vita chi non legge la Lettura?) che, tra i vari personaggi del Giardino, ama in particolare Firs e Charlotta, il servo e l'orfana.
certo, che scoperta, anche io.
probabilmente perché ne fa due monumenti, uno tenacemente nostalgico l'altro magicamente vivo.
c'è da respirare profondo e godersi ogni attimo e ringraziaredio che il teatro esiste.

FIRS (si avvicina alla porta, prova la maniglia)
Chiuso. Se ne sono andati... (Siede sul divano).Si sono dimenticati di me... Non fa niente... io resto qui... E Leonid Andreiè non si sarà messo la pelliccia, sarà partito in cappotto... (Sospira preoccupato).Io non ho controllato... Ah gioventù scapestrata! (Borbotta qualcosa di incomprensibile).La vita è passata, è come se non avessi vissuto... (Si corica).Mi sdraio un po'... Non hai più forza, non ti è rimasto proprio niente, niente... Eh tu... buono a nulla!... (Resta sdraiato, immobile).
Si sente un suono lontano, come se venisse dal cielo, il suono di una corda di violino che si spezza, un suono triste, morente. Cade il silenzio, si ode soltanto, in lontananza, la scure che si abbatte sugli alberi.

bisogna però anche inviare a dio qualche protesta perchè il Teatro Dell'Arte esiste.

per l'ennesima volta ho visto la rappresentazione in condizioni a dir poco oscene. 
è chiaro che chi ha pensato alla ristrutturazione del teatro a teatro non ci va. 
è la terza volta, la prima nel 2015 per uno spettacolo con Baryšnikov, 20 minuti di ritardo e il lato superiore di un vetro, sporco e lurido che la gente piazzata davanti cercava di pulire in tutti i modi con sciarpe e fazzoletti, con effetto barra nera davanti ai miei occhi e visione dimezzata, la seconda con L'uomo seme di Bergamasco, posti in balconata ribassati (ma non segnalati) rispetto alle altre poltrone (ma il biglietto costa allo stesso modo) e di nuovo lo spettacolo con la barra della balconata davanti. la terza volta è questa, 15 minuti di ritardo, posti in galleria, e mi ritrovo con un muro davanti, letteralmente un muro eretto nel mezzo delle poltrone, a ridosso delle sedie, strettissima, scomodissima e con una visione ridicola, ridottissima e tagliata in più direzioni.
il biglietto segnalava visibilità ridotta ma non mi sembra preciso, capisco la distanza e l'angolazione, ma il muro davanti con barre e tiraggi davanti agli occhi, mi sembra troppo. questi posti trappola dovrebbero costare la metà degli altri. oppure più semplicemente, non dovrebbero nemmeno esistere.

è' inutile dire che al Teatro Dell'arte ci vado il meno possibile, e ogni volta mi ricordo il perché.

io direi: abbattetelo.

i cerchi di Vedova



che sconsiderato divertimento questa mostra di Emilio Vedova.
che bell'allestimento in quel della sala delle Cariatidi di Palazzo Reale.
chissà, forse ci sono andata per questo.

“La mostra scaturisce dalla possibilità di usare come luogo espositivo la spettacolare Sala della Cariatidi… Oggi, vista la difficoltà nell’utilizzo delle pareti, la Sala ospita allestimenti temporanei che salvaguardano gli apparati decorativi. Ogni esposizione, pertanto, offre una lettura dello spazio in ragione al soggetto prescelto: nel caso dell’artista Vedova… si è optato per un intervento elementare e minimale…”. Elementare, forse, ma definire minimale una parete di 34 metri, alta 5 e spessa 1 che attraversa diagonalmente questa spazio è davvero riduttivo. Un taglio non banale quello disegnato dallo studio Alvisi Kirimoto: un muro grigio con pannelli di OSB circondato da un’impalcatura di sottili tubi metallici neri che si in alzano sino quasi a raggiungere gli stucchi degli alti soffitti, consentendo l’adeguata illuminazione delle opere. Sulla destra Celant ha scelto di esporre i celebri Plurimi, le sculture dipinte snodabili che a suo parere anticipano “l’ondata sensoriale e ribelle del 1968”. Dall’altra parte del muro sono invece stati disposti i Dischi e i Tondi dipinti su due lati sviluppati negli Anni Ottanta come personale retour à l’ordre di Vedova: sono installati a pavimento, arrampicati sul muro o appoggiati gli uni agli altri, persino trafitti da bricole. Figure geometriche perfette che pure Vedova più volte ha definito come “misteriose” e “minacciose”, capaci dunque di rotolare e travolgere.
(https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2019/12/mostra-emilio-vedova-palazzo-reale-milano/)

una scenografia maestosa
un contrasto riuscito
un'energia ruggente e oppositiva
un gran bel godimento.



giovedì 19 dicembre 2019

raggi di luce

Filippino Lippi



L'Annunciazione



qualcuno diceva: è meno peggio di quel che mi aspettavo.
qualcuno si lamentava, a dire che gli ultimi sono stati prestiti farlocchi.
di questa opera è bellissimo lo sdoppiamento nei due grandi cerchi.
due ambientazioni che non sono in continuità, almeno apparente. ciò che li unisce sono quei raggi di luce che dall'angelo arrivano a toccare la vergine e che vengono ripresi dall'allestimento della sala di Palazzo Marino.




qualche attimo di dorata magia è pur sempre possibile anche in una giornata qualunque.

sabato 14 dicembre 2019

No Man is an Island

vince la brexit.
di nuovo.
al netto di un Corbyn catastrofico, inetto e ambiguo, e a parte Londra e la Scozia, gli inglesi non hanno dubbi.

'No Man is an Island'
No man is an island entire of itself; every man
is a piece of the continent, a part of the main;
if a clod be washed away by the sea, Europe
is the less, as well as if a promontory were, as
well as any manner of thy friends or of thine
own were; any man's death diminishes me,
because I am involved in mankind.
And therefore never send to know for whom
the bell tolls; it tolls for thee.

scriveva John Donne.
invece l'iglese è un uomo isola, come la sua terra.
anche questa volta, chissà, inspiegabilmente, ho provato dispiacere.

giovedì 12 dicembre 2019

12 dicembre 1969

Corriere della Sera, 14 novembre 1974
Cos'è questo golpe? Io so
di Pier Paolo Pasolini


Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

lunedì 9 dicembre 2019

17 graffi

alla Casa della Memoria è in corso un atto di memoria.
doveroso.
sono 17 i "tabernacoli" dedicati ad ognuna delle vittime della strage di piazza Fontana, 50 anni fa. 

Diciassette fotografie e diciassette poesie in ricordo di ognuna delle vittime della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell'Agricoltura a Milano. Nel cinquantesimo anniversario di quella che fu una delle pagine più drammatiche della storia della Repubblica Italiana, venerdì 6 dicembre sarà inaugurata la mostra "17 Graffi. Piazza Fontana 50°" alla Casa della Memoria di via Confalonieri. Diciassette delle fotografie, una per ogni vittima realizzate appositamente per la mostra da altrettanti fotografi, sono una rappresentazione e interpretazione di chi allora perse la vita tramite i dati raccolti sul luogo dell'attentato e, a fine mostra, verranno consegnate come memoria storica all'Associazione Piazza Fontana 12 dicembre.

la casa della Memoria è un luogo di confine. 
da una parte c'è tutta la nuova area di Porta Nuova, di fianco sale il Bosco Verticale.
milionaria.
dall'arte si sviluppo tutto il quartiere Isola.
popolare.
dentro c'è questo percorso, direi curato, con molte parole da leggere, moltissime, tra poesie, descrizioni, biografie e l'incredibile poesia di Pasolini, Patmos.
la scrisse nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, a poche ore dall'attentato, presagendo suicidi (ma da parte di un fascista responsabile) e citando i nomi e le biografie dei morti. 
non saprei dire se sia una poesia, ma sono invece certa che si tratti di un documento storico straordinario.
ne cito solo le righe finali, di grande potenza visiva:
la porta della storia è una Porta Stretta
infilarsi dentro costa una spaventosa fatica
c’è chi rinuncia e dà in giro il culo
e chi non ci rinuncia, ma male, e tiri fuori il cric dal portabagagli,
e chi vuole entrarci a tutti i costi, a gomitate ma con dignità;
ma son tutti là, davanti a quella Porta.

è stata una lunga sosta, ho letto tutto, ogni riga, ogni poesia, ogni biografia.

Non sono mai stata a Patmos
c’è troppo sangue
e il grido di qualche santo
che discute con Cesare.
Mi sono solo ritrovata due cappelli
e mi sono chiesta
dove fossero gli uomini.
Qualcuno li ha visti brillare
Come le stelline che facevo
scintillare a Natale.
Di questa storia
non so niente
sento solo il sudore
ghiacciato dei saluti.
Qualcuno dice erano due amici
il loro tempo si è fermato
16,37.
Il piombo battezzato
del presente è un antenato e
il sangue mi arriva arrugginito.
Tagliuzzati uomini e carte
ferrato il corso dei cavalli
dietro ad ogni porta.
Oggi sono stata
fossile e ossa.
Agnese Coppola

Questo oggetto marca una soglia, e non solo quella della porta che ha permesso di aprire milioni e milioni di volte prima e dopo quel giorno fatale. Segna il confine tra il tempo prima del 12 dicembre 1969 e il dopo. La soglia invisibile tra la normalità delle cose di ogni giorno, la quotidianità della vita che scorre inconsapevole di se stessa, con la gratuità di un dono a cui non pensiamo mai abbastanza, e l’abnormità dell’orrore che si spalanca, come il cSostiamo su questa maniglia. Guardiamola bene. Per ricordare cosa accadde quel giorno e pensare agli innocenti che l’hanno sfiorata prima di andare incontro alla morte, senza saperlo. E poi per respirare il presente, consapevoli a noi stessi, con stupore e gratitudine per la normalità del nostro vivere quotidiano, che sfioriamo e spingiamo avanti ogni giorno senza pensarci, senza attenzione. Come tanti hanno fatto con questa maniglia.
Benedetta Tobagi



non puoi sapere ma sai
una scheggia nel cervello
l’istinto è in noi, animale
crollano i fogli nel solco
marmo a brandelli ovunque
l’odore del sangue per lo squalo
sotto il tavolo della trattativa
esploso il grande inganno
hai perso, abbiamo perso tutti.
Federico Balzarini

ho letto tutto.
facciamolo tutti

giovedì 5 dicembre 2019

fragile fortissima

Daniel Steegmann Mangrané
A Leaf-Shaped Animal Draws The Hand
A cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli
Hangar Bicocca / 12 Settembre 2019 - 19 Gennaio 2020

la natura
la sua fragilità
la sua potenza
insetti stecco
onde di luce e di spazio
arance e profumi
rami secchi
foglie opere d'arte
che bello passeggiare all'Hanghar Bicocca una domenica mattina bladerunner.

 


lamento

per fare un post lamentoso non ci vuole talento  ma una semplice nevrosi.
i nevrotici si lamentano, sempre. oggi fa tutto schifo, il meglio, se mai arriverà, arriverà domani. ed è sempre domani.
i miei lamenti, perchè sono una nevrotica DOC, oggi si dispiegano sui ritardi, di orari e di mente.
la prassi sempre più consolidata vuole l'inizio degli spettacoli con un ritardo minimo di 15 minuti.
ma, volendo, con un po' di sana passione per l'argomento. arriviamo tranquillamente ai 20 o addirittura ai 30.
al Base, e non mi fregano più, il ritardo di 30 minuti dei pessimi concerti di musica che propinano è assolutamente standard. il primo: un concerto del Delvon Lamarr Organ Trio, a luglio 2019, davvero al minimo sindacale poi riproposto a jazz mi adesso, a novembre, iniziato con 30 e passa minuti di ritardo in cui mi sono anche ritrovata inondata dalla birra del mio vicino posteriore di fila. e vabbè. l'ultimo, una vera boiata pazzesca, è  un concerto di presunta musica jazz di una bruttezza innominabile, di un'orchestra che rilegge, crede di rileggere, Birth of the Cool, capolavoro del cool jazz di fine anni 40, in cui Miles Davis esegue alcuni suoi brani bebop originali ma arrangiati per orchestra da Gil Evans. sul palco dell'agonia Biagio Coppa & The Flight Band Project. un concerto così straziante non l'ho sentito mai e l'inizio, con 35 minuti secchi di ritardo, mi è sembrato, a posteriori, un insulto ancora più imperdonabile.
ma si può andare anche a un teatrino di periferia, detto Altaluce Teatro, sull'Alzaia Naviglio Grande, un sabato sera immerso nella nebbia per ascoltare l'amata Fracassi che legge il diario di Etty Hillesum, per attendere per ben 20 minuti che i boriosi amici della padrona di casa si degnassero di arrivare a teatro, come fossero ad una cena privata, e si decidessero, una volta arrivati, di sedersi su sedie di una scomodità sconcertante ma non in muto silenzio vergognadosi di fare di un luogo per tutti, in cui però si paga, la depandance di un salottino privato privè quanto  piuttosto attardandosi in spocchiosi convenevoli piccolo borghesi della peggior specie in sfregio totale di quelli che sono arrivati in orario pensando che si trattasse di un posto serio.
non parliamo poi, nella fattispecie, della conferenza a fine spettacolo di un non chiaro personaggio psicologo? agopunturista? boh, che mi e ci ha propinato la spiega dello spettacolo, inquinando irimediabilmente l'intensità emotiva della serata che esigeva un rigoroso silenzio interiore e che ha determinato l'evanescenza immediata, condita da incommensurabile fastidio, del mistero del teatro e della magia dell'incanto che si crea tra pubblico e attore.
uno strazio.
finisco lamentandomi della visita alla Biblioteca Ambrosiana per la mostra di Marina Abramovic.
Estasi.



un titolo che già dice molto e dovrebbe dare qualche indicazione a chi paga 12 euro di biglietto. non poco.
l’esposizione, curata da Casa Testori, presenta il ciclo di video “The Kitchen. Homage to Saint Therese”, con cui l’artista, che ha rivoluzionato il mondo della performance art in un modo ben noto a tutti, si relaziona con Santa Teresa d’Avila, una delle più importanti figure mistiche del cattolicesimo. l’opera si compone di tre video, che documentano altrettante performance tenute nel 2009 dall’artista nell’ex convento di La Laboral a Gijón.
ovviamente, trattandosi di Marina Abramovic, e trattandosi di estasi, è richiesta pazienza.
contatto con il divino.
ascensione
arte dell'attesa
della contemplazione, della meditazione, della conta dei minuti che passano.
dello scandire del tempo e della minuta variazione delle cose, che, comunque, variano, anche solo perchè respiriamo.
la gente, ma perchè?, invece entra nello spazio espositivo dopo il salato biglietto e, ma perche?, si ferma meno di un minuto, che dico, qualche secondo, davanti ai video.
una volta lì, gira, ma perchè?, ad una velocità insensata, passando, ma perchè?, da una sala all'altra in preda, ma perchè, ad un'insana milanese acefala frenesia, senza capire, lo dico, un cazzo.
ogni video richiede tempo.
e respiro.
e percezione del tempo.
e certezza del non senso.
altrimenti
perchè
sei
andato
a
vedere
un
mostra
su
Marina
Abramovic?

fine del nevrotico lamento
amen.