bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 31 ottobre 2013

il mio sole ha bisogno di sonno

Un albero caduto
sui cui rami
si scioglie una spessa coltre di neve,
come si decompone un cadavere,
d'improvviso ferma i miei passi,
non oso avvicinarmi.

Sto a guardare da lontano,
e non posso che guardare da lontano,
guardo finché
tutta la neve è sciolta
fino a che in terra
resta solo uno scheletro.
Mang ke, 1983

地球是弯曲的
我看不到你
我只能看得很远
在你心中的蓝天
迷人的?蓝
这蓝色的语言
我想听到的欢乐世界
但微笑冻结对嘴的两侧
或给我一朵云
打破艳阳天
我的眼睛有泪水需要
我只需要睡觉
1981年 I月
顾城
La terra è curva
non riesco a vederti
riesco solo a vedere lontano
il cielo azzurro sul tuo cuore

Azzurro? Azzurro
quell'azzurro è la lingua
vorrei far sentire al mondo la gioia
ma il sorriso gela ai lati della bocca

Oppure dammi una nuvola
per spezzare le ore soleggiate
i miei occhi han bisogno di lacrime
il mio sole ha bisogno di sonno

Gu Cheng, 1981


a me pare faccia freddo, qui.

 

martedì 29 ottobre 2013

hai visto quel girasole?

L'hai visto
quel girasole al sole?
Guardalo, non abbassa la testa
ma la gira
la torce all'indietro
come per spezzare con un morso
quel laccio attorno al collo


L'hai visto
quel girasole che tiene alta la testa
con sguardo indignato al sole?
Con la testa quasi lo eclissa
e anche quando il sole non c'e'
continua a brillare


Hai visto quel girasole?
Devi avvicinarti
e scopri
che la terra sotto i suoi piedi
quando ne stringi un pugno
schizza sangue


Mang Ke.
da: Nuovi poeti cinesi, di Claudia Pozzana (professore associato di Lingue e Letterature della Cina e dell’Asia Sud-Orientale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, ha pubblicato molte traduzioni di poeti cinesi contemporanei e scritto numerosi saggi sulla storia della poesia in Cina).
l'ho sentita fare una lezione magistrale alla Statale in un convegno il cui tema era Lacan e la Cina.
forse l'unica cosa buona che ho sentito in due pomeriggi di ascolto.
ho comprato i suoi libri e li sto leggendo.
questi nuovi poeti cinesi sono in conflitto, in forte riflessione,  rispetto al valore ancestrale della loro lingua e, soprattutto, della loro scrittura, unica e singolare. (vedi post su Yang Lian: http://nuovateoria.blogspot.it/search?q=yang+lian). 
un antico detto popolare cinese recita: come il girasole guarda il sole, così i cuori del popolo guardano verso il partito. il poeta chiede coraggio e, come in ogni emancipazione che si rispetti, di leggere a modo proprio, di slegarsi dalla visione comunitaria, di usare e leggere la lingua secondo una modalità individuale, singolare, unica: la nostra.
ma al di là dei legami con la lettura psicoanalitica, al di là della lettura interpretativa, penso che questa poesia, come tutte le poesie, come tutte queste poesie di autori cinesi che sto leggendo in questi giorni -e sono veramente tante-, ciò che conta è il linguaggio della poesia, la poesia in sè, lo stupore e la magia, l'incanto e l'evocazione che anche solo una parola, in quel contesto, fuori da ogni contesto, mi può dare. è lo scardinamento dalla logica e della grammatica, è dire la verità ma mai tutta, che mi fa amare questo mondo poetico.
è quel schizza sangue, finale inaspettato inaudito, mi ha inchiodato alla sedia.

venerdì 25 ottobre 2013

gravity

sono veramente arrabbiata.

un'opportunità sprecata.
un potenziale buon film inquinato dalla solita tracotanza holliwoodiana.
dall'obesità americana.
dal delirio di onnipotenza statunitense.
a partire dalla protagonista, Sandra Bullock, che avrebbe anche potuto risultare in forma recitativamente parlando se non fosse che le sue opportuità espressive sono state definitivamente cancellate dalla biologia del suo corpo causa i soliti devastanti e malriusciti e perversi arrangiamenti chirurgici che azzerano ogni possibile sopravvivenza di espressione facciale. ci prova a piangere e disperarsi, a esprimere l'angoscia del vuoto, ma la faccia, gli occhi, le guance NON SI MUOVONO PIU'. sono fissate al connettivo sottostante e il volto si è definitivamente pietrificato.
è impressionante pensare quanto male si fanno le donne colte dall'onnipotenza, o di amore o di eternità. evidentemente mancano sempre di qualcosa che le sostenga altrimenti.
questo per cominciare e, per continuare, il film di Cuaron, che ha già dalla sua un'ambientazione e una sospensione già molto favorenti il sostentamento visuale e narrativo del film, finisce per declassarsi causa le solite battute fuori luogo, la necessità di parlare più del necessario, la patologia di verbalizzare tutto a ogni costo, di esercitare il potere della spiegazione quando la bellezza sta nella creatività dell'intuizione, lo sbrodolamento esplicativo che depotenzia ogni immagine, ogni volo della fantasia, ogni diritto a mettere nella storia quel che siamo noi. quel che vogliamo noi.
dobbiamo metterci per forza la bimba morta a 4 anni, e tutto quel che ne consegue.
dobbiamo metterci Clooney che fa il gigione anche oltre e dopo e ancora la morte interplanetaria.
il film ha immagini "spaziali", sospese e rarefatte, così belle e potenti che potrebbe nutrirsi anche solo di questo per andare oltre la spazzatura dei buoni sentimenti. vagare nello spazio senza peso e senza forma, senza meta e senza luogo, essere soli nell'universo, è già sufficiente a mostrare e proporre l'angoscia no??
la scena finale, così bella, la più bella in assoluto, quel ritrovare il peso del proprio corpo, quell'essere rinato partorito riemerso dal liquido amniotico, quel riprendere il peso specifico dell'esistenza dovendo ripartire dalla terra bagnata e incolta della nascita, quel barcollamento vitale, valeva il film.
evidentemente ci sono registi che non hanno fiducia nei propri mezzi, non si fidano dell'immagine pur pensando di dominarla, non conoscono la potenza del cinema pur facendolo e, immagino, frequentandolo. un peccato, un vero peccato.
scene così forti e così massacrate.
sono veramente arrabbiata.

giovedì 24 ottobre 2013

i volti del 900

I volti del 900.
Palazzo Reale, Milano

I tuoi occhi sono tornati da un paese arbitrario dove nessuno ha conosciuto il significato di uno sguardo. 
Paul Eluard

la mostra, divisa in 5 sezioni, ha tante belle cose da vedere. tanti volti, tanti stili, tanti sguardi e deformazioni.
la pittura lo dice così bene, nessuno di noi vede il mondo come lo vede un altro.
l'altro da sè rimarrà sempre un mistero, tranne quando si svela con l'arte, qualsiasi tipo di arte, anche solo quello dell'incontro e della parola.

"L'invenzione della psicoanalisi, la negazione dell'individuo con i regimi totalitari, l'annientamento dell'identità nei campi di sterminio nazisti, la generalizzazione della fotografia, l'immersione dell'Io da parte di uno pseudo-immaginario collettivo creato dai media: a questo contesto sociale - scrive Jean-Michel Bouhours, conservatore del Centre Pompidou e curatore di questa imperdibile mostra - occorre aggiungere il ruolo dell'arte, la spinta all'astrazione, la perdita del soggetto nell'ideale collettivo delle avanguardie: tutto sembra concorrere all'idea dell'arrivo di un mondo senza più volti." E nonostante questo, "cresce all'epoca una sorta di frenesia a farsi fare il ritratto, come - scrive ancora Bouhours - per far entrare se stessi in una vertigine di ubiquità e di istantaneità dettate dai media contemporanei: l'immagine della propria immagine si è imposta".

Il mistero dell’anima. Tra la teoria psicoanalitica, per cui i sogni sono visti come un percorso nel nostro inconscio, e altre scienze o pseudo-scienze, c’era, all’inizio del Novecento, una certa convergenza nel tentativo di leggere quella che l’Uomo considerava la parte oscura di se stesso. La malinconia di Dédie enfatizza la magica presenza del mondo interiore del modello.

Frantisek Kupka, Il rossetto

Albert-Marquet, Nu-au-Divan

Amedeo Modigliani, Ritratto di Dédie

 Pierre Bonnard, La camicetta rossa

Autoritratti. L’artista diviene lo strumento, e usa un riflesso per riprodurre la sua immagine allo specchio, tratto dopo tratto. In questa ricerca di se stessi, che prende la forma di un incontro con la propria immagine, molti artisti affrontano il tema con un ritratto introspettivo, sapendo che il Sé è indubbiamente il modello più complesso e più resistente all’analisi.
René Magritte, Lo stupro


 Zoran Music, Autoritratto


 Francis Bacon, Autoritratto

Faccia e forme. Per i cubisti, è stato spesso evocato il riferimento al primitivismo della maschera rituale o a espressioni antiche del volto, e i loro dipinti hanno spesso causato il disgusto del pubblico che vedeva in essi un oltraggio all’essenza profonda dell’essere umano, o persino li considerava blasfemi verso la parte umana che Dio ha creato a sua immagine. La somiglianza, concetto per secoli connaturato al ritratto, viene definitivamente rifiutata.

 Max Ernst, L’imbecille


Chaos e disordine. I lavori di questa sezione condividono una pazza gioia nell’imperfezione, l’esatto opposto degli standard di bellezza perfetta ereditati dal classicismo dell’Antica Grecia. Sia Bacon che Giacometti producono figure sempre sul punto di rompersi, fatiscenti o destrutturate. “Collasso dell’essere”, come ha sottolineato Jean Clair. 
 Francis Bacon, Ritratto di Michel Leiri


Alberto Giacometti, Isaku Yanaihara

Alberto Giacometti , Diego

Joan Mirò, Testa d’uomo

Il ritratto dipinto dopo la fotografia. In contrasto con il progressivo sviluppo del ritratto accademico attraverso lunghe sedute, alla metà dell’Ottocento la fotografia offrì il miracolo, ma forse anche la dittatura, dello scatto istantaneo. Fare un ritratto significa ora rivelare il soggetto in un istante, dando una garanzia di naturalezza e obiettività.
(http://www.formiche.net/2013/07/28/da-matisse-a-bacon-i-grandi-capolavori-del-centre-pompidou/)

Tamara de Lempicka, Kizette al balcone

quel che ho messo qui è quel che più mi è piaciuto. alcuni volti, e alcuni non-volti, sono straordinari per espressività, o, al contrario, per destrutturazione. mi fanno rabbrividire Modigliani e Bacon, Giacometti  e Music, dalla precisione narrativa dell'interiorità all'imprecisione decomposta più drammatica.
un bel giro, rigenerante occhi e anima. 

martedì 22 ottobre 2013

ruwsari

l'ho guardata molto, probabilmente troppo.
da lontano l'ho guardata, comunque stupita, pensando quanto fosse raro vedere una donna araba fare la cassiera, alla mondadori, come in qualsiasi altro posto.
ci ho pensato e ripensato e mi sono ridetta che proprio non mi era ancora mai successo di vedere una donna con il foulard per coprire i capelli fare la commessa in un negozio di Milano. una donna araba musulmana osservante ricoprire un ruolo lavorativo in un paese occidentale.
e guardandola da lontano ho dato per scontato fosse di origine araba. forse marocchina, forse iraniana, forse tunisina.
avvicinandomi e guardandola sempre più fissa e senza poter farne a meno, quasi vergognandomi di tanta morbosità, mi sono accorta che mi ero sbagliata.
una donna musulmana con il foulard ma occidentale, italiana, probabilmente milanese.
buongiorno, bancomat?, grazie, buona serata e arrivederci.
italiana, convertita all'islam e con tanto di stretta osservanza della regola che vieta di mostrare i capelli se non al proprio marito.
avete mai visto come appuntano il copricapo? la tecnica si ripete, ogni volta che ho avuto modo di osservarla, nelle pieghe e nei giri che fanno i lembi del foulard, nelle spille che tengono fisso il copricapo, come sono disposte e appuntate.
la mia testa si è trasformata in un vortice, ho pensato simultaneamente a mille casualità e congiunture, alla scelta di quella donna, a cosa l'ha portata a scegliere, probabilmente, anzi sicuramente, il matrimonio con un egiziano, alla rinuncia alla propria cultura per abbracciarne un'altra così radicalmente differente...con fede? con convinzione? con consapevolezza? o con superficialità affrettata, con compiacenza, con costrizione? cosa vede nella fede musulmana che la convinca ad assumerla? la posizione femminile così più sottomessa ma al contempo esaltata dal mistero delle donne dell'harem di Costantinopoli? come vive la sua giornata con un uomo osservante la fede di maometto, ma non in Egitto, in Marocco o in Pakistan, ma a Milano in via Marghera angolo piazza De Angeli?
cosa non capisco, cosa mi sfugge? so che l'amore è un grande mistificatore, un grande inganno, un'enorme lente che sfuoca e allontana dal senso, un equivoco che confonde l'attaccamento con la scelta, la dipendenza con la condivisione. so che queste coppie, ad oggi, non funzionano, forse come tutte le altre, forse con qualche problema in più, sento nei CPS queste donne che hanno scelto un uomo antico pensandolo più virile e che non hanno poi retto alla diversità delle culture, della visione, dello sguardo, della stretta, del legame soprattutto con la nascita dei figli.
ho guardato e riguardato quel volto, quelle mani, quel vestito, quel divieto sul corpo, quella diversità in casa propria e mi sono domandata fino a non poterne più se nascondevano un privilegio o una condanna.



domenica 20 ottobre 2013

flag

ci sono almeno due cose che mi piacciono nel football americano.
solo due pechè in fondo ci capisco veramente poco. il minimo indispensabile.


la prima è la posizione a giochi fermi: le ginocchia piegate e la mano sul terreno davanti al Q.B. la posizione piegata mani sulle cosce nelle posizioni più retrostanti.
l'attesa.

la seconda, ma forse più della prima, è il lancio del flag, la bandiera gialla a disposizione degli arbitri, 5 in campo, all'osservazione del fallo.
a volte ne vedi 3, 4 per terra, tutti gli arbitri si sono accorti del fallo e, in quel momento, la gettano in campo. gioco fermo.
la resa.
poi gli arbitri si consultano e solo dopo aver trovato un accordo, comunicano la decisione riguardo al fallo e alla sua punizione.
l'intesa.

per uno sport piuttosto grezzo come il football, direi si tratti di spunti inaspettati di signorilità.
soprattutto quei fazzoletti gialli sul terreno.
senza violenza, con molta eleganza.

giovedì 17 ottobre 2013

Sexxx




sabato 12 ottobre
Elfo Puccini sala Shakespeare
ore 20.00
BALLETTO TEATRO DI TORINO 
SEXXX 
un balletto di Matteo Levaggi
musiche John Zorn, David Bowie, John Foxx, The Longcut
con Marco De Alteriis, Denis Bruno, Kristin Furnes, Manuela Maugeri, Vito Pansini, Viola Scaglione.
luci Fabio Sajiz
costumi Maria Teresa Grilli
produzione Balletto Teatro di Torino - Loredana Furno
co-produzione Lavanderia a Vapore - Collegno,
Festival MilanOltre 
durata 60’

Uomini e donne tutti sulle punte, corpi velati, grovigli vorticosi, voci sussurrate per una danza che «penetra senza pudore negli anfratti più nascosti del corpo, scava tra i muscoli per estrarre, con segno pornografico, il movimento». Le tre xxx di Sexxx alludono allo sguardo incensurato dello spettatore sulla danza e all'ossessione di Matteo Levaggi per la propria creazione: un flusso continuo di forti emozioni. Un balletto che pesta i piedi, sbraita come un indemoniato. L’importante è lasciare che la danza sia.
I sei ballerini del BTT danzano incessantemente per 60 minuti “incastrandosi come Lego” in un crescendo musicale che spazia da John Zorn, David Bowie, John Foxx, Ooioo ai The Longcut. Un successo già al suo debutto torinese nel febbraio 2013 che sarà presto un lungometraggio sotto la direzione di Davide Ferrario.











in realtà a me è sembrato molto meno pornografico di quel che si dice e di quel che si vede.
forse i nostri occhi si sono abituati a tutto, forse le immagini si fermano dove il "fermo" non c'è.
la danza è fluida e fluidifica, il gesto si alleggerisce di senso e si intensifica di movimento.
la fotografia e la danza non vanno d'accordo, sono due concetti antitetici.
il balletto è stato bello, intenso, frenetico, irriducibile in parole.
il balletto è sensule, è sexy, è gia sexxx, se Levaggi voleva andare oltre c'è riuscito solo in parte, perchè al di là dei costumi, della nudità dei corpi, di alcuni gesti e movimenti espliciti, il sesso è implicito nella danza sempre. 
le gambe, le braccia, il corpo, il busto, l'inguine, la schiena, l'elevazione, l'apertura, il volo, il salto, tutto rimanda alla libertà di un corpo alla sua massima espressione, fisica, sessuale.
non voglio con questo minimizzare la portata del balletto che rimane intenso espressivamente in molti passaggi, merito anche di ottimi danzatori, più bravi che belli, invidiabilmente liberi e padroni di sè, dominatori di se stessi laddove nella maggior parte delle persone e della vita, questo dominio sul corpo non c'è. neanche un po', neanche in sogno, non c'è.
nella vita è il corpo che domina noi, mai il contrario.
evviva sexxx.

lunedì 14 ottobre 2013

Chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna? (V.Woolf)

è finita.
anche questa volta è finita.
Sense and Sensibility.
titolo infinitamente più bello, sotto ogni punto di vista, di Ragione e Sentimento.
ovviamente, Jane Austen.
"by a lady", semplicemente sulla copertina. da non credersi...
quanto meravigliosamente bene parlava di lei la mia cara carissima Virgina Woolf?
ed è vero, Jane è un vortice travolgente.
così scriveva la Woolf su Jane Austen:
Se una donna scriveva, doveva scrivere nel soggiorno comune. E per di più, come Florence Nightingale doveva lamentarsene con tanta veemenza: "le donne non hanno mai una mezz'ora ... che possono chiamare propria", veniva sempre interrotta. Era comunque più facile scrivere della prosa o un romanzo, di quanto non fosse scrivere della poesia o un dramma. È necessaria meno concentrazione. In questo modo scrisse Jane Austen fino alla fine dei suoi giorni. "Come riuscisse a fare tutto questo", scriveva suo nipote nella sua Memoir, "è sorprendente, perché ella non aveva uno studio separato in cui rifugiarsi, e la gran parte del lavoro deve essere stata fatta nel soggiorno comune, dove era soggetta ad ogni sorta di interruzione accidentale. Ella badava a che la sua occupazione non fosse sospettata né dalla servitù, né dai visitatori, né da qualsiasi altra persona al di fuori della sua famiglia". Jane Austen nascondeva i suoi manoscritti o li copriva con un pezzo di carta assorbente. Dunque tutta l'educazione letteraria che una donna riceveva nel primo Ottocento si limitava ad un'esercitazione nell'osservazione dei caratteri, nell'analisi delle emozioni. Per secoli la sua sensibilità era stata educata dall'influenza del soggiorno comune. Erano stati impressi in lei i sentimenti umani; i rapporti personali erano sempre davanti ai suoi occhi. Di conseguenza, quando la donna della classe media cominciò a scrivere, scrisse naturalmente dei romanzi.
...
Scrissero romanzi, tuttavia; e si potrebbe persino aggiungere, mi dicevo, prendendo Orgoglio e pregiudizio dallo scaffale, che scrissero bei romanzi. Senza vantarsi o addolorare l'altro sesso, si potrebbe dire che Orgoglio e pregiudizio è un bel libro. Ad ogni modo, non ci saremmo vergognate se ci avessero scoperte a scrivere Orgoglio e pregiudizio. Tuttavia Jane Austen era felice che un cardine cigolasse, così da poter nascondere il suo manoscritto prima che entrasse qualcuno. Per Jane Austen c'era qualcosa di sconveniente nel fatto di scrivere Orgoglio e pregiudizio. E mi chiedevo se Orgoglio e pregiudizio non sarebbe stato un romanzo migliore, se Jane Austen non avesse ritenuto necessario nascondere il manoscritto ai visitatori. Ne lessi una pagina o due per vedere; ma non c'era nessun segno che le circostanze avessero minimamente danneggiato il suo lavoro. Questo, forse, è stato il miracolo più grande. Ecco una donna che intorno al 1800 scriveva senza odio, senza amarezza, senza paura, senza proteste, senza prediche. Era così che scriveva Shakespeare, pensai, guardando Antonio e Cleopatra; e quando si mette a confronto Shakespeare con Jane Austen, si intende forse dire che le menti di entrambi avevano distrutto ogni ostacolo; ed è per questo che non conosciamo Jane Austen e non conosciamo Shakespeare, ed è per questo che Jane Austen pervade ogni parola che scrisse, e così anche Shakespeare. Se il modo in cui viveva fu per Jane Austen causa di qualche sofferenza, questa era dovuta alla limitatezza di vita che le era stata imposta. Era impossibile per una donna andare in giro da sola. Ella non viaggiò mai; non attraversò mai Londra in autobus, né pranzò mai da sola in un ristorante. Ma forse era nella natura di Jane Austen non desiderare quello che non aveva. Il suo talento e la sua condizione si accordavano perfettamente.

e ancora:
Ma quanto deve essere stato difficile per loro non voltarsi né a destra né a sinistra. Che genio, che integrità saranno occorsi di fronte a tutte quelle critiche, in quella società esclusivamente patriarcale, per poter affermare la realtà, così come le donne la vedevano, senza timore. Solo Jane Austen ci è riuscita; ed Emily Brontë. È un'altra piuma, forse la più bella, del loro cappello. Scrissero come scrivono le donne, non come scrivono gli uomini. Fra tutte le migliaia di donne che scrivevano allora romanzi, furono le sole ad ignorare completamente gli incessanti ammonimenti dell'eterno pedagogo: scrivi questo, pensa quello. Furono le sole a rimanere sorde a quella voce insistente, ora brontolante, ora condiscendente, ora tiranneggiante, ora accorata, ora scandalizzata, ora arrabbiata, ora confidenziale, quella voce che non riesce a lasciare in pace le donne, ma deve star loro dietro, come un'istitutrice troppo coscienziosa, scongiurandole di essere raffinate; ricorrendo persino, nella critica letteraria, alla critica del sesso; esortandole, se volessero essere brave e vincere, come suppongo, qualche trofeo luccicante, a mantenersi entro certi limiti convenienti: "... le scrittrici di romanzi dovrebbero aspirare all'eccellenza soltanto riconoscendo coraggiosamente le limitazioni del loro sesso".

come diceva Tomasi di Lampedusa : la Austen è uno dei pochi romanzieri che ha davvero creato un mondo.
e c'è da crederci, credetemi, un mondo cui vorresti appartenere.
l'ho letta stregata dalle vicende che crea, i personaggi che immagina, i sentimenti che mette in scena, il buon senso che troneggia sopra ogni cosa.
diciamolo, il personaggio di Elinor, una 19enne così sensata e equilibrata che nemmeno una donna di 50 anni con 30 di analisi alle spalle potrebbe venire fuori così, è vincente su tutti. Jane ci fa sapere che riflessività, equilibrio, saper fare e saper dire, educazione, controllo di sè, ragionevolezza sopra ogni cosa sono gli unici elementi che spianano la via verso la felicità. e verso la felicità sentimentale. Elinor è l'unica che, di fatto, sposerà chi ha sempre amato, soffrendo in silenzio e compostezza per umiliazioni e frustrazioni, sopportando con pazienza e capacità di attesa tutti i dubbi, allontanamenti e provocazioni. Elinor patisce ma non enfatizza, Elinor osserva e attende sempre il tempo giusto per parlare e intervenire o, nella maggior parte dei casi, si astiene, quando intelligentemente capisce che il parlare non porterà da nessuna parte se non all'esacerbazione di animi e conflitti. Elinor sa sempre cosa si deve fare. ecco forse, diciamo anche questo, Elinor non sbaglia mai. ma questo è il beneficio che le conferisce la sua creatrice, facile non sbagliare quando siamo scritti da qualcun altro!
ed Elinor sarà premiata dalla felicità suprema. il suo amore, fondato sull'equilibrio e sul bastare a se stessi, premiato dall'intelligenza, lo scrupolo, la riservatezza, sarà un luogo di scambio alla pari, sempre attento, mai oppressivo, mai tormentato dall'egoismo della propria passione.
la sorella, Marianne, al contrario animata da sentimenti sempre in mano, da eccessi temperamentali e risposte a volte inadatte, inadeguate, intempestive, non vedrà coronato il suo sogno coniugale; alla fine sposerà chi non ama ma solo rispetta, un uomo assai pregevole ma da lei sempre considerato vecchio e inadatto all'amore, giudizi da lei stessa espressi con veemenza ma scottanti e inopportuni, se viste poi alla fine del romanzo, quando è a lui che andrà in sposa.
è stato un viaggio fantastico, pieno di colpi di scena, attese e meraviglie, abissi e sconforti. un mondo ricchissimo e mai banale, un mondo di vita come la vita non è.
insomma è finita, sono rimasta sola per l'ennesima volta.
vivo meglio nei romanzi che nella realtà, non so la grande Jane cosa penserebbe di me, se mai lo sapesse.

giovedì 10 ottobre 2013

via castellana bandiera

ci penso e ci ripenso.
e non so cosa pensare di questo film.
un film che aspettavo: Via Castellana Bandiera, regia di Emma Dante, con Emma Dante, Alba Rohrwacher, Elena Cotta (coppa Volpi miglior attrice a Venezia)
l'idea ha una sua polpa, una sostanza, ma non abbastanza succosa.
le immagini hanno contorni definiti, ma non abbastanza forti.
c'è qualcosa che colpisce ma poi, di fatto, il film mi ha lasciato fredda.
il film è freddo.
e non sa cosa vuole dire.

LA STORIA DEL FILM
Una domenica pomeriggio calda e assolata. Lo scirocco soffia senza pietà su Palermo quando due donne, Rosa e Clara, venute per festeggiare il matrimonio di un amico, si perdono nelle strade della città e finiscono in una specie di budello: Via Castellana Bandiera. Nello stesso momento un’altra macchina, guidata da Samira e con dentro ammassata la famiglia Calafiore, arriva in senso contrario ed entra nella stessa strada. Né Rosa, al volante della sua Multipla, né Samira, donna antica e testarda alla guida della sua Punto, intendono cedere il passo l’una all’altra. Chiuse nelle loro auto, le due donne si affrontano in un duello muto che si consuma nella violenza intima degli sguardi. Una sfida tutta al femminile punteggiata dal rifiuto di bere, mangiare e dormire, più ostinata del sole di Palermo e più testarda della ferocia degli uomini che le circondano. Perché, come in ogni duello, è sempre una questione di vita o di morte…



intanto, lo devo dire, non ne posso più della Rohrwacher -Alba- che fa sempre e dico sempre la stessa parte. sembra trasportarsi da un film all'altro senza modificare mai la sua immagine. mi sembra di ritrovarla immutata e mi sforzo di ricordare cosa faceva prima, nell'altro film: la stessa cosa. stessi vestiti, stesso look, stessa parte, stessa pettinatura. basta.
questo toglie carattere al personaggio, ammesso che ne abbia, alla fine lo rende del tutto anonimo.
la nostra regista e attrice, la brava Emma Dante, artista piuttosto poliedrica nota soprattutto per la dedizione al teatro, sembra voler dire qualcosa con lo strumento cinema ma non riuscirci fino in fondo. ci sono trovate, espedienti, allargamenti, immagini fisse, ma alla fine nulla è convincente.
le immagini più forti sono quelle dei corpi. non so se mi sono fissata sul corpo ultimamente, ma vedo corpo ovunque. qui non me lo sono immaginata, qui il corpo c'è, mangia piscia, sa di corpo.odora di corpo.
ma.


nel procedere del film lo sguardo si allarga, la strada che sembrava così stretta e angusta, e che giustificava il fronteggiarsi delle due macchine, o passi tu o passo io, o ti sposti o da qui non ci muoviamo, diventa larga, molto larga, spaziosa, con tutto l'agio per passare senza fastidio per nessuno.
lo spazio c'era ma nessuno l'ha voluto vedere.
e quindi?
quell'ostinato fronteggiarsi e sfidarsi che senso ha avuto?
è forse quello che accade negli invincibili orgogli? nei rifiuti al cedere? nelle prese di posizione ad ogni costo?
vogliamo dire che la rigidità è solo un prodotto mentale o un comportamento acritico? che la soluzione c'è sempre? è lì ma non la vogliamo intraprendere per la volontà, la caparbietà, la prepotenza di voler dimostrare che abbiamo ragione? almeno questa volta nella vita voglio aver ragione dell'altro dopo che per tutta la vita ne ho sopportato l'abuso? è questa la metafora che sottende i due musi duri, quello delle auto e delle due protagoniste nemiche amiche?
insomma, avrei voluto che questo film mi piacesse, avrei voluto ma non è andata così.

martedì 8 ottobre 2013

dimorare dentro una domanda

l'ho comprato attratta dall'idea che potesse essere un audiolibro.
mi sbagliavo, sono due cd.
si tratta di un ciclo di quattro letture tenute da Alessandro Baricco sul palco del teatro Palladium di Roma nel gennaio di quest'anno. La prima riguarda curiosamente, ma solo esplicativamente, Kate Moss, la modella diventata icona negli anni 90 dopo aver imposto un canone di bellezza che rompeva con il passato.
Baricco si impegna a voler dimostrare come i passaggi, nella vita civile, etica o estetica, artistica, musicale, sportiva o politica si verifichino spesso per "strappi" improvvisi apperentemente ingiutificabili. come il salto Fosbury, il salto dorsale che si impose nella disciplina del salto in alto dopo anni di salto ventrale.
il genio di uno ha modificato il corso imposto per lustri da altri, anonimi altri.
ma, al di là della trattazione in sè, che spazia da Kate Moss alla Callas fino a Le déjeuner sur l'herbe di Manet come esempi di strappi storici sull'idea dominante del bello fino a quel momento, quel che mi colpisce del discorso è poi il suo finale. come spesso, troppo spesso, mi accade, percepisco quando dietro a una persona c'è un'analista. o meglio, quando dentro a una persona c'è un'analisi. Baricco cita il suo, per gioco o sul serio, ma io tendo a credere che siamo più vicini al vero che alla citazione letteraria.
la conclusione del discorso di Baricco è che il sapere è dimorare dentro il paesaggio di una domanda. io direi dentro lo spazio di una domanda, ma anche paesaggio va bene. è la scelta adatta a uno scrittore.
sapere non è avere risposte, ognuno ha la sua e quella sua può variare nel tempo e scoprirsi meno vera di quel che ci sembrava, ma saper stare, muoversi, cercare, sperimentare nello spazio vasto e inesplorato che quella domanda ci pone. tutto parte da una domanda.
ogni analisi parte da una domanda, anche semplicemente: perchè sto così male?
e l'analisi non ti darà risposte, ti darà la possibilità di rettificare azioni comportamenti e reazioni per poter stare dentro una domanda sul proprio essere al mondo senza più soffrire.
ed è chiaro che analisi è sapere, anche il sapere di cui Baricco parla.


lunedì 7 ottobre 2013

Colibrì

il poeta che legge sei tu -acrilico su tela di ivan

Colibrì
Fai conto che io dica estate,
scriva la parola “colibrì”,
la metta in una busta,
la porti giù per la discesa
fino alla buca. Quando tu aprirai
la lettera, ti verranno in mente
quei giorni e quanto,
ma proprio tanto, ti amo.

 Raymond Carver

venerdì 4 ottobre 2013

per il suo cuore passa alto e immenso il ciclo degli eventi che ricorrono eterni

Rainer Maria Rilke
L'angelo

Con un cenno della fronte respinge

lungi da sé ogni vincolo, ogni limite
perché per il suo cuore passa alto e immenso il ciclo
degli eventi che ricorrono eterni.

Nei fondi cieli scorge una folla di figure
che lo chiamano: riconosci, vieni -.
Ciò che ti pesa, perché lo sostengano,
non affidarlo alle sue mani lievi.

Verrebbero di notte a provarti nella lotta,
trascorrendo la casa come furie,
afferrandoti come per crearti
e strapparti alla forma che ti chiude.
 
 
Il cimitero Monumentale di Milano è un'opera d'arte.
scopro che mi piacciono i cimiteri, c'è la morte che incute rispetto, mi piacciono i viali alberati che conducono chissà dove.
sono attratta morbosamente dagli angeli, gli angeli, gli angeli, lì era così colmo di angeli, di ali d'angelo, di braccia d'angelo, di volti angelici,  in tutte le fattezze ed espressioni possibili immaginabili, così colmo e pieno che  lo vorrei anche io un angelo così tutto per me, afferrarlo per crearlo e strapparlo alla forma che lo chiude.
 











giovedì 3 ottobre 2013

la scuola si ridesta, per godersi la festa

mi piace moltissimo passare davanti alla scuola elementare che fu dei miei figli e vedere, alle 8 e 35, le porte di accesso spalancate, come grandi e pazienti braccia aperte, in attesa di accogliere gli ultimi ritardatari.
mi piace vedere le mamme trafelate che si affrettano, i vigili che fermano le macchine per facilitarne la corsa affannata verso quelle braccia, i bambini dietro, trascinati come al guinzaglio dalla voce preoccupata della madre, con gli zaini in spalla che sballottano pesantemente sulle spalle.
mi piace ancora di più quando le mamme portano anche dei piccoli in braccio, il fratello minore che va ancora all'asilo, quello si può portare dopo, l'ingresso alla scuola materna è di maggior agio per mamme  in stato di riserva respiratoria.
poi vanno al liceo, i figli, e si menano all'intervallo.
esattamente, quando è finito il gioco delle filastrocche?

Buongiorno alla scuola
di Gianni Rodari

Che deserto la scuola, tutta l’estate!
Chiuse le porte,
le finestre sprangate,
l’aule parevan morte
e nel silenzio severo
i banchi, tante tombe al cimitero.
Ma una mattina la vecchia bidella
si attacca alla campanella.
“den!, den! den!” la scuola si ridesta:
le finestre si spalancano
per godersi la festa,
il sole inonda l’aula,
salta sulla cattedra
e con il dito d’oro del suo raggio
disegna sulla carta geografica
un meraviglioso viaggio...