bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 31 ottobre 2019

Italia Danimarca 4-3



lo si sapeva, vince Canova
dai è evidente
è schiacciante
niente da dire
il rivale è notevole
caro Thorvaldsen
non sei male, tirati su
ma Ninuccio è meglio
ma mooolto meglio
se uno ha dei dubbi vada a vedersi Ebe (è lei, qui sopra), figlia di Zeus e di Era e ancella e coppiera delle divinità dell'Olimpo
beh c'è da impazzire, guarda la veste, guarda come va contro il vento, guarda il movimento. guarda che roba!!
erano due divinità del tempo, Canova e Thorvaldsen, amati e celebrati, venerati e idealizzati, producevano in serie, lavoravano come due forsennati, altro che popolarità mediatica
però la chiudiamo qui
Italia Danimarca 4-3
Antonio, Ninù, era un mago.
(sotto sono misti, uno è Canova l'altro il rivale, trovate le differenze...)



Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna
Gallerie d’Italia
Piazza della Scala 6
Milano

venerdì 25 ottobre 2019

il giardino delle delizie



Dubai è uno dei sette sceiccati che formano gli Emirati Arabi Uniti. Fino agli anni ’60, questo tratto di deserto poco ospitale nel Golfo Persico non aveva elettricità né acqua corrente. Fu la scoperta del petrolio nel 1966 a scatenare l’ondata di modernizzazione che cambiò drasticamente il volto della città. A tempo di record, Dubai si è trasformata in una città globale, dove il commercio, le proprietà immobiliari e il turismo sono diventati i suoi settori economici più importanti. La popolazione è passata da 183.000 abitanti nel 1975 ai quasi tre milioni di oggi. Di questi, solo il 10% è nativo degli Emirati, mentre il resto della popolazione è costituito da espatriati che risiedono e lavorano temporaneamente nell’Emirato. Il 75% della popolazione è di sesso maschile. Nick Hannes è stato a Dubai cinque volte tra il 2016 e il 2018. 
Considerando la città come un caso di studio in un’urbanizzazione guidata dal mercato, egli la definisce come il più grande parco giochi per la globalizzazione e il capitalismo senza limiti o etica. In altre parole, una sala di intrattenimento fuori controllo, meticolosamente progettata per servire il consumismo più sfrenato. Le fotografie di Hannes funzionano come un coltello affilatissimo che usa l’umorismo e l’ironia per attraversare questa metropoli del futuro. Ciò che rimane, per citare le parole dell’architetto olandese Rem Koolhaas, è una “città generica”, senza storia, personalità o identità, una città che è “indifferente ai suoi abitanti”. Per Hannes, è un luogo in cui “le attività umane sono ridotte al loro valore economico”.
(https://www.festivaldellafotografiaetica.it/2019-nick-hannes-ita/)


c'è di tutto al festival, anche l'altra faccia della medaglia.
ma sempre di etica si tratta.

quanto più è dura l'oppressione, tanto più è diffusa tra gi oppressi la disponibilità a collaborare con il potere

ho visto Se questo è un uomo, al Parenti, regia e interpretazione di Valter Malosti, scenografia di Margherita Palli.
non mi è piaciuto, direi di no.
non ho condiviso il tono rabbioso di Malosti.
non c'è rabbia in Levi, non è la sua modulazione.
la sua è una quieta e ferma disperazione.
non ho ritrovato il messaggio di Levi.
la sua è una valutazione filosofica dell'uomo, quello che emerge da questo libro, e forse ancora di più, ne I sommersi e i salvati , è una constatazione sull'uomo che non ci da molta speranza.
nella condizione strema del lager quello che è emerge è che nell'uomo c'è qualcosa di guasto.
c'è una predisposizione - individuabile nella "zona grigia"- alla corruzione interna che è immedicabile, inguaribile, ineliminabile. e non stiamo parlando dei carnefici, parliamo delle vittime.
il lager, nella sua perfetta macchinazione verte non tanto alla distruzione di massa, quanto piuttosto alla desertificazione dell'uomo, alla sua nullificazione. è questo il vero ideale del nazismo, che ha constatao Levi: il lager si costruisce come un dispositivo infallibile, in ogni sua manifestazione e declinazione, per condurre l'uomo all'estremo limite dell'umanità, all'eviscerazione del nocciolo.
e chi ha manifestato umanità è morto, chi è sopravvissuto ha certamente messo in atto alleanze con il male. senza scampo, vivere o morire, in entrambi i casi l'uomo ne esce senza speranza, annientato.
nulla ti tutto questo emerge nello spettacolo che si limita a una narrazione sopra le righe dell'esperienza concentrazionaria.



  • E' ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema infero, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le assimila a sé, e ciò è tanto più quanto più esse sono disponibili, bianche, prive di un'ossatura politica o morale. Da molti segni, pare che sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa (non solo nei Lager nazisti!) le vittime dai persecutori. (p. 27)
  • In secondo luogo, ed a contrasto con una certa stilizzazione agiografica e retorica, quanto più è dura l'oppressione, tanto più è diffusa tra gi oppressi la disponibilità a collaborare con il potere. (p. 30)
  • Chi diventava Kapo? Occorre ancora una volta distinguere. In primo luogo, coloro a cui la possibilità veniva offerta, e cioè gli individui in cui il comandante del Lager o i suoi delegati (che spesso erano buoni psicologi) intravedevano la potenzialità del collaboratore: rei comuni tratti dalle carceri, […] Ma molti, come accennato, aspiravano al potere spontaneamente: lo cercavano i sadici […]. Lo cercavano i frustrati […] Lo cercavano, infine, i molti fra gli oppressi che subivano il contagio degli oppressori e tendevano inconsciamente ad identificarsi con loro. (p. 33)
  • Non so, e non mi interessa sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetistico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità. […] Rimane vero che, in Lager e fuori, esistono persone grigie, ambigue, pronte al compromesso. La tensione estrema del Lager tende ad accrescerne la schiera. (p. 35)
  • La vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. (p. 55)
  • I "salvati" del Lager non erano i migliori, i predestinati al bene, i latori di un messaggio: quanto io avevo visto e vissuto dimostrava l'esatto contrario. Sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della "zona grigia", le spie. Non era una regola certa (non c'erano, né ci sono nelle cose umane, regole certe), ma era pure una regola. Mi sentivo sì innocente, ma intruppato tra i salvati, e perciò alla ricerca permanente di una giustificazione, davanti agli occhi miei e degli altri. Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti. (p. 63)
  • giovedì 24 ottobre 2019

    Jazzmeia Horn


    così era ieri sera.

    ma la trovi sul web anche così


    o così


    oppure in questo modo


    non saprei se sia giusto parlare di lei per la performance di musica jazz o se per l'eleganza senza fine, indescrivibile.
    al Blue Note, si mangia anche bene, non c'è che dire, si può festeggiare un compleanno prima nell'aria sospesa della sala e poi nell'aria carica di note e di questa voce calda che si fa strumento. 
    poche le parole, in fondo, la voce fa parte dell'orchestra, non più trio ma quartetto.

    oh un geranio di un molle rosa incarnato sopra un abito di stoffa inglese

    questa mostra è uno schianto.
    come una gran bella gnocca che passa per strada.


    Chi potre pensare a Tintoretto o a Tiepolo, a Veronese, o a Piazzetta, senza la luce di Venezia? La luce goriosa e patetica, allegra e funerea.

    "E quel chiaro pomeriggio domenicale, come altre volte, pensò che l'aria di Parigi, la luce del suo cielo, ha in sè una specie di magia. Le cose acquistano in essa un'espressione di sogno e di dolce mistero".




    forse potrei metter qui la mostra intera.
    sono pochi i quadri che non mi sono piaciuti.
    certamente il "gladiolo fulminato" del 1930, è folgorante, già a partire dal titolo, un po' futurista.
    "oh un geranio di un molle rosa incarnato sopra un abito di stoffa inglese, in una mattina primaverile può valere l'universo!...Per l'eleganza si arriva al punto di non andar con l'amico perchè ha una cravatta che stona con la tua."



    De Pisis Museo del 900,
    Milano dal 4 ottobre 2019 al 1 marzo 2010
    promossa e prodotta da Comune di Milano | Cultura e dalla casa editrice Electa con il sostegno dell’Associazione per Filippo de Pisis, a cura di Pier Giovanni Castagnoli con Danka Giacon – conservatrice del Museo del Novecento.
    Suddivisa in dieci sale, l’esposizione segue un andamento cronologico che introduce al visitatore l’universo di Filippo de Pisis (Ferrara, 1896 – Milano, 1956), a partire dagli esordi nel 1916 e dall’incontro con la pittura metafisica di de Chirico fino agli inizi degli anni Cinquanta, con il drammatico periodo del ricovero nella clinica psichiatrica di Villa Fiorita.


    mi ritrovo nel suo sguardo, anche quando si ispira alla metafisica di De Chirico, è come se lo approvassi: si è così.
    è polveroso a volte, e poi è pensoso, come in un altrove.
    mi piace davvero molto.