bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

martedì 30 settembre 2014

i mostri

ecco i mostri di Gianni Berengo Gardin.
li ho visti alla Villa Necchi Campiglio, ed è sempre un piacere metterci piede.
non posso definirla una mostra, poco più di venti foto, nemmeno incorniciate, dislocate qua e là senza alcuna presentazione.
le foto, che ritraggono il quotidiano passaggio di mastodontiche navi da crociera nel Canale della Giudecca di Venezia, hanno un loro impatto, di denuncia di un grave inquinamento ambientale, di una follia acquatica e cittadina, trattandosi di mare e terra, trattandosi di Venezia.
ma sono molto ripetitive, detto una volta non c'è bisogno di ripeterlo più di 20, ma a volte le cose vanno ribadite perché vengano capite...





Una mostra di grande impatto che intende far riflettere su questi mostri che quotidianamente minacciano Venezia, che con i loro “inchini” fanno tremare più volte al giorno i suoi preziosi monumenti, che con i loro volumi si impongono prepotentemente alla vista, catturando sguardi e obiettivi, che quasi rubano la scena alle meraviglie della città. Intrusi da cui Venezia appare come un modellino, quasi una riproduzione di quelle rifatte a Las Vegas: un prodotto da consumare rapidamente, senza nemmeno scendere dalla nave. 

Giganti smisurati rispetto al fragile contesto – lunghi due volte Piazza San Marco e alti una volta e mezzo Palazzo Ducale: l’opinione pubblica italiana e mondiale è scandalizzata dal passaggio di questi giganti (anche l’UNESCO ha da poco chiesto nuovamente al Governo italiano di risolvere il problema e di tutelare il delicato ecosistema della perla adriatica, altrimenti potrebbe venire meno il riconoscimento come patrimonio dell’umanità) che continuano però a transitare nel Canale della Giudecca visto che a oggi né divieti, né attenuazioni, né soluzioni integrative hanno spezzato l’invasione quotidiana. 

Le fotografie costituiscono un reportage duro, severo, rigoroso: un lavoro di testimonianza, ma soprattutto di denuncia da parte di uno dei più grandi fotografi italiani, Gianni BerengoGardinche ha vissuto a lungo a Venezia, città di suo padre. Un lavoro che equivale a una presa di posizione netta, che il fotografo sente come un dovere civile. “Questo mio nuovo lavoro – dice Gianni BerengoGardin – vuole essere un atto di denuncia e un gesto d’amore per la mia città d’adozione. Il passaggio delle grandi navi nel cuore di Venezia non rappresenta solamente uno sfregio alla bellezza e un ennesimo, eclatante, episodio nella trasformazione della città in una mera immagine da cartolina, in uno sfondo per selfie. Rappresenta un grave pericolo per uomini ed edifici, una irrimediabile aggressione al suo già fragile equilibrio ambientale.”
(Fondazione Forma per la Fotografia)

lunedì 29 settembre 2014

il tempo delle donne

Milano, Festival delle donne, tre giorni non stop di incontri dibattiti worshop alla Triennale.
alla mia prima sortita, sabato, vado a sentire una presentazione, le donne sullo schermo, al cinema e in televisione.
discorrono Piera Detassis - giornalista e critica cinematografica, direttrice di Ciak- e Ivan Cotroneo, giornalista, scrittore e sceneggiatore (anche della serie fortunata e da me mai vista "Una mamma imperfetta").
come prima uscita è stata deludente.
domenica invece, almeno in parte, ho recuperato un po' di fiducia.
si parla di cinema e, come temevo, insorge la lamentela vetero-femminista sull'esclusione del sesso femminile.
dopo una carrellata di film d'autore e d'epoca che vedono protagoniste femminili di grande rilevanza seppure in un numero esiguo di pellicole si arriva al panorama cinematografico odierno ed ecco sorgere l'immancabile senso di perdita. le donne si sentono sempre in perdita, in mancanza di. gli altri sono sempre mancanti rispetto a noi, che sia un sintomo isterico ricorrente?
il cinema degli ultimi anni pecca di figure femminili, o meglio, di protagoniste femminili.
pare che il cinema italiano poi sia gravemente colpevole di un'assenza ingiustificata di donne come soggetto principale. il cinema internazionale anche, ma forse con tendenze meno sessiste.
le serie televisive vanno meglio, le donne pullulano, the Good wife va forte, non parliamo di Girls con l'ormai osannata Lena Dunham.
fanno eccezioni pochi film, si cita ovviamente Viaggio sola -di cui guarda guarda Cotroneo è sceneggiatore insieme alla regista Maria Sole Tognazzi- si citano gli attuali Lucy (di Luc Besson con Scarlett Johansson) e Maleficent (protagonista Angelina Jolie).
bene.
o male?
non so com'è ma devo dire che mi sembra che il cinema italiano degli ultimi due anni goda di buona salute. ho visto film molto apprezzabili, storie attori registi e professionalità di lodevole spessore e qui ne ho parlato ogni volta che mi sono entusiasmata. ho visto Anime Nere di Munzi e ho pensato si tratti di un grande film, potente e analitico, espressivo e di forte tensione, sono uscita contenta dal cinema e lo devo dire, non mi sono sentita esclusa o discriminata. ci sono poche registe? ci sono poche protagoniste femminili? dobbiamo pensarci defraudate o semplicemente pensare che contano le storie e la buona qualità? che forse non è un ambito ancora esplorato dalle donne? che non è detto che la figura femminile debba competere in tutto con quella maschile, che debba differenziarsi e trovare gli ambiti, sociali lavorativi espressivi e creativi che più le si addicono? abbiamo Alice Rohrwacher che sta emergendo con grande forza, abbiamo la Tognazzi e la Comencini, ma quel che non abbiamo è necessariamente il sintomo di una esclusione o solo il segno di un interesse che maturerà, forse si o forse no?
se penso ai film citati mi viene da dire che se le donne devo essere rappresentate al cinema in film come Maleficent o Lucy, francamente non mi interessa e posso sopportare di vedere film di mirabile bellezza rinunciando ad essere rappresentata come protagonista principale. 
mi dicono che, insomma, Di Caprio guadagna 50 milioni di dollari a film e la Jolie (peraltro attrice più che mediocre) solo 20. non è che ho pensato povera Jolie, ho pensato che questo mondo gira male se due attori possono portarsi a casa cifre simili, che non basta una vita per spenderle tutte. mi fanno orrore entrambi, e non penso che la Jolie sia una poveretta discriminata per il sesso, non ho ripensamenti femministi in proposito. penso che la Jolie fa un lavoro 20 milioni volte meno rilevante del mio e che guadagna 20 milioni di volte di più. penso che le donne possono sentirsi defraudate se guadagnano meno come medici a parità di competenze, con stipendi che hanno una dignità e una ragionevolezza sociali accettabili. oltre certe cifre non c'è più discriminazione tra i sessi, c'è ingiustizia sociale, e basta. 
penso che La grande bellezza non aveva protagoniste femminili, ed è un film eccelso oltre che di enorme successo, e che la Ferilli, unica ad avere una parte rilevante, ha portato a casa la migliore interpretazione di una carriera non particolarmente qualitativa, diciamocelo, francamente di serie B. posso essere contenta ma non mi sono dannata all'idea che il film avesse Servillo come figura portante, anzi.
sono ancora convinta che quel che conta sia la differenziazione e non la lagna sulla parità in ogni ambito. io non ci tengo a vivere come un maschio, ad aggredire come un maschio, a scopare come un maschio, a competere con i maschi. ci tengo ad essere femmina e me ne faccio anche un vanto.
penso che un  festival così avrebbe potuto avere il pregio di far parlare le donne, usarle come portatrici di un sapere, di una competenza, di una matrice inconfondibile (come peraltro quella maschile), avrei voluto sentire parlare le donne di cinema e di poesia e di lavoro e di relazioni, non di avvertire questo sempiterno sentimento di esclusione che non giova a nessuno. e, in effetti, domenica mi sono ricreduta, ho sentito donne dibattere di famiglie allargate secondo il loro punto di vista, ho sentito leggere testi e poesie, ho sentito Giorgia Fiorio parlare (anche se con un linguaggio a tratti troppo infarcito e quasi irritante) di fotografia. meglio, molto meglio, ma arriverà un giorno in cui non sarà necessario segregarsi in un festival e dire semplicemente quel che si pensa in consessi adeguati e competenti (e succede ormai di prassi di avere presenze femminili in ogni ambito) senza cucirci addosso lo stigma di essere donne. 

giovedì 25 settembre 2014

in ordine di sparizione

Norvegia, un biancore gelido terso teso, una dimensione oltre la realtà, un mondo inimmaginabile.
neve solo neve, bianco ovunque.
già l'ambientazione è unica, il film nel suo complesso, anche.
ironico e spassoso, costellato di cadaveri, una simpatica carneficina.
ad ogni morto, ammazzato, appare sullo schermo una croce su sfondo nero, nome e cognome, e via così per tutto il film.
nomi in ordine di apparizione, si legge di solito nelle sequenze dopo l'END. qui in ordine di sparizione.
il bianco si sporca di rosso sangue, gli insospettabili "primi cittadini" diventano killer all'occorrenza, quella di vendicare la morte di un figlio, trovato morto e archiviato: overdose. così per la giustizia ma non per il padre, professione spazzaneve.
e che neve!
mica la poltiglia di Milano, ma nemmeno quella della Val d'Aosta o del Trentino Alto Adige.
no, un'altra cosa, un'altra neve, una neve TOTALE.
e in questo candore si incontrano varie forme di cattiveria, quella over del top appartiene al Conte, bellissimo e crudelissimo, king dello spaccio di droga, ricchissimo, marito divorziato-incattivito e padre sui generis, ossessionato dalla cura di sé e della sua lussuosissima casa, non si fa problemi ad ammazzare la gente come fossero zanzare.
e c'è da ridere. veramente.
poi c'è il rivale serbo, interpretato da Bruno Ganz, che si spartisce l'altra metà del mercato di droga di Oslo e tutta la sua banda. il Conte, sadico oh mamma che sadico, dice sempre "gli albanesi", e i suoi scagnozzi ogni volta "i serbi".
e io rido.
il serbo, al quale il Conte, che fa male i suoi conti, ammazza il figlio in  modo inverecondo appendendolo poi a un cartello stradale che indica i metri sopra il mare,  vive in una casa garage, arredata di specchi lampadari e tappeti, l'altra faccia, kitsch, del lusso da incassi over.
e...io rido.
poi c'è una scena in cui due poliziotti alla ricerca di indizi, di cui uno sensibilissimo che vomita e si impressiona alla vista del male e ha pure freddo (!!), disquisiscono di welfare e concludono che nei paesi caldi non c'è, basta una banana per sopravvivere. solo al freddo esiste il welfare.
e io rido.
il film fa ridere nonostante e grazie ai morti, con quella irriverenza per la morte che ricorda Tarantino, gli attori sono formidabili, il Conte -che figo- rimarrà per sempre nel mio cuore.




In ordine di sparizione 
Un film di Hans Petter Moland.
Con Stellan Skarsgård, Bruno Ganz, Pål Sverre Hagen, Jakob Oftebro, Birgitte Hjort Sørensen

lunedì 22 settembre 2014

Firenze e la battaglia di Anghiari

Firenze.
agosto.
giornate luminose, sole splendente.
bella città, elegante, godibile, viva, ricchissima d'arte, facile da girare.
due belle giornate in un'estate sfortunata.











questo cos'è?

una copia della Battaglia di Anghiari, un affresco, con tecnica nuova e ardita, che Leonardo da Vinci avrebbe dovuto dipingere, in grandi e ambiziose dimensioni, nell'enorme salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio in competizione e sfida con Michelangelo, che avrebbe dovuto compiere un'impresa simile, un affresco gemello, sulla parete antistante. a causa dell'inadeguatezza della tecnica il dipinto venne lasciato incompiuto e, circa sessant'anni dopo, la decorazione del salone venne rifatta da Giorgio Vasari, non si sa se distruggendo i frammenti leonardiani o nascondendoli sotto un nuovo intonaco o una nuova parete: i saggi finora condotti non hanno sciolto il mistero.
una storia fantastica, con molti e diversi risvolti misteriosi, anche perché le copie del dipinto fanno pensare a un'opera straordinaria, per potenza ed espressività.



Anonimo Gaddiano (Cod. Magliab. XVII, 17, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze): Lionardo da Vinci fu nel tempo di Michele Agnolo: et di Plinio cavò quello stucco con il quale coloriva, ma non l'intese bene: et la prima volta lo provò in uno quadro nella Sala del Papa che in tal luogo lavorava, et davanti a esso, che l'haveva appoggiato al muro, accese un gran fuoco, dove per il gran calore di detti carboni rasciughò et secchò detta materia: et di poi la volse mettere in opera nella Sala, dove giù basso il fuoco agiunse et seccholla: ma lassù alto, per la distantia grande non vi aggiunse il calore et colò. 

sabato 20 settembre 2014

Haruki Murakami

è meraviglioso un mondo di Murakami!
all'inizio, quando ho letto della mostra dell'altro Murakami, Takashi, ho davvero pensato che lo scrittore, Haruki, fosse anche un artista contemporaneo!
povera me.. vedi l'ignoranza...
magari, in quel del Giappone, è come il Rossi di casa nostra.
non ho molto da dire in verità se non 'sta scemenza, lo scrittore l'ho letto, Norwegian Wood e Kafka sulla spiaggia, e non posso dire di esserne rimasta folgorata. 
perchè a me, o folgorano o niente...
due libri molto diversi, il primo molto intimista e riflessivo, il secondo totalmente onirico e misterioso, li accomuna, ovviamente, una scrittura scorrevole e fruibile, ovviamente nella traduzione italiana.
mi manca il suo famoso 1Q84 ma credo che non mi avventurerò in quella landa, mi sono preparata il terreno, con letture anticipatorie, e non mi sembra fertile, per me.

Ma a partire dalla notte in cui morì Kizuki, non riuscii più a vedere in modo così semplice la morte (e la vita). La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere, e questa era una verità che, per quanto mi sforzassi, non potevo dimenticare. Perché la morte che in quella sera di maggio, quando avevo diciassette anni, aveva afferrato Kizuki, in quello stesso momento aveva afferrato anche me. 
(Norwegian Wood)


Il tempo grava su di te con il suo peso, come un antico sogno dai tanti significati. Tu continui a spostarti, tentando di venirne fuori. Forse non ce la farai, a fuggire dal tempo, nemmeno arrivando ai confini del mondo. Ma anche se il tuo sforzo è destinato a fallire, devi spingerti fin laggiù. Perché ci sono cose che non si possono fare senza arrivare ai confini del mondo.

(Kafka sulla spiaggia)

giovedì 18 settembre 2014

gli angeli sopra Duino



Chi, se io gridassi, mi udirebbe dalle coorti
Degli angeli? E se uno mi stringesse d’improvviso
al cuore, resterei vinto per la sua
forte presenza.

Palazzo di Brera - Cortili - ore 22:00 
Gli Angeli sopra Duino
Tre quadri dalle Elegie Duinesi di R.M. Rilke
Adattamento del testo Giuliano Corti
Musiche Walter Prati
Intermezzi elettronici Jacopo Biffi
Guglielmo Prati

Silvano Piccardi, voce recitante
Matteo Pennese, cornetta e bandoneon
Walter Prati, violoncello e elettronica
Maurizio Ben Omar, percussioni


Gli angeli, ovvero questo presentimento dell’oltre e dell’altro, non danno risposte, e neanche gli uomini ne hanno.
Gli angeli, forza metafisica soprannaturale, spaventosa e terribile, né vivi né morti, senza volto, ma uccelli mortali dell'anima, di una bellezza senza pari, che paralizza, ma di sembianze non immaginabili. l'Angelo è impensabile, è oltre l'umano,  a che mondo appartiene?
si cammina tra i cortili del Palazzo, sembra il Castello di Duino, echeggiano le parole sugli Angeli e le note delle percussioni, della tromba, del violoncello.
è bello, si sta bene, io immagino, ascolto, c'è magia.

Perché niente è il bello  se non il principio 
del tremendo, che noi ancora sopportiamo
e ammiriamo tanto, perché non disdegna
di distruggerci. Ogni angelo è terribile.


Ogni angelo è terribile. Eppure, ahimè, 
a voi si rivolge il mio canto, quasi mortali uccelli dell’anima, 
di voi sapendo. Dove stanno i giorni di Tobia, 
in cui uno dei più risplendenti stette sull’umile soglia di casa, 
un poco abbigliato per il viaggio e già non più spaventoso; 
(giovinetto si mostrò al giovinetto, che curioso guardava fuori). 
Scendesse ora l’Arcangelo, il pericoloso, dietro le stelle 
di un solo passo verso di noi: 
irrompendo dall’alto ci abbatterebbe il cuore. Chi siete voi?


Certamente è strano non abitare più sulla terra, non esercitare più gli usi appena conosciuti,
e alle rose e alle altre cose colme di promesse
non assegnare più il senso di umano futuro;
quello che era in mani infinitamente ansiose,
non essere più, e abbandonare anche il proprio
nome come un giocattolo frantumato.
Strano, non desiderare più i desideri. Strano,
vedere dissolto nello spazio tutto ciò che ci ricopriva.
È tormentoso l’essere morti ed il continuo recuperare il passato,
che sente una impercettibile traccia d’eternità. Ma tutti i viventi
fanno l’errore di dividersi fortemente.
Gli angeli (si dice) non sanno a volte se vanno tra i vivi
o i morti. L’eterna corrente trascina attraverso i due regni
di tutte le età, sempre con sé ed entrambi li sovrasta con il suono.

mercoledì 17 settembre 2014

Clarinet Concerto

Politecnico Sede di Milano Bovisa
Aula De Carli
Andrea Dulbecco
If you find a lethal weapon in your kitchen 
Prima esecuzione assoluta dedicata
alla memoria di Frank Zappa
Igor Stravinsky
Ebony Concerto
Artie Shaw 
Clarinet Concerto
Orchestra laboratorio di World Music del Conservatorio di Milano 
Alberto Serrapiglio, direttore
Andrea Dulbecco, vibrafono
Fabrizio Meloni,clarinetto

Nell'Aula De Carli del Politecnico (sede di Milano Bovisa, ingr. libero) l’Orchestra laboratorio di World Music del Conservatorio di Milano diretta da Alberto Serrapiglio esordisce nel cartellone di MiTo con un programma che spazia nel repertorio del ’900, in bilico fra classica e jazz. In programma la prima esecuzione assoluta di “If you find a lethal weapon in your kitchen” di Andrea Dulbecco (dedicata alla memoria di Frank Zappa), l’”Ebony Concerto” di Stravinskij e il “Clarinet Concerto” di Artie Shaw. Solisti il il percussionista Andrea Dulbecco al vibrafono e il clarinettistaFabizio Meloni.

è stata l'esperienza musicale più intensa che io ricordi.
non mi aspettavo nulla ed è arrivato tutto, è un buon insegnamento per la vita.
intanto siamo alla sede della Bovisa del Politecnico di Milano: un posto veramente bello, moderno e carico di forza vitale. camminando per arrivare alla sala del concerto ho visto aule aperte e giovani, tanti giovani, ovviamente giovani, davanti ai pc e in gruppi, giovani che studiano, giovani insieme, giovani. e già questo è fantastico.
il concerto, di musica jazz, è stato bellissimo per la musica, emozionante di musica, e per i giovani che la suonavano, fremente di giovani. a parte gli artisti di spicco, Dulbecco, Meloni (strepitoso) e Serrapiglio, l'orchestra era composta da giovani allievi del Conservatorio di Milano. credo non avessero più di 25 anni. 
all'inizio non mi davo una spiegazione, ma poi, ho capito. la sala era piena di persone anziane. non capivo bene come mai un concerto jazz, alla Bovisa (non proprio facilissima da raggiungere), al Politecnico di Milano, all'interno del MiTo, potesse richiamare tante persone anziane e coppie di media età. erano i nonni e i genitori dei ragazzi che suonavano. una, accanto a me, non ha potuto resistere: lo vede al piano?, è mio nipote.
e a me viene da piangere dalla commozione, e ho trascorso tutto il concerto con questa emozione fremente, con queste lacrime alle porte, con il magone che scoppiava, con la gioia che esplodeva: giovani giovani giovani che suonano, che hanno passione, che studiano, che si fanno largo e sono tremendamente bravi. 
è il futuro, sono la nostra vita, i giovani.
sarà stato questo, sarà stato Artie Shaw o i suoni del vibrafono di Dulbecco, sarà stata la melodia di "A letter to you" dedicata a un collega morto di recente e non compresa nel programma, sarà stata la magia del clarinetto di Meloni, sarà stato il batterista jazz citato dal suo maestro che ha vinto un concorso internazionale e sta partendo per un  Erasmus, sarà stata l'originalità dell'evento, sarà stato il maestro Meloni che suona e improvvisa con i suoi allievi evidentemente emozionati, sarà stato quel modo entusiasmante che hanno i jazzisti di comunicare tra loro suonando e la soddisfazione che esprimono abbracciandosi e complimentandosi tra loro a ogni pezzo compiuto, non so cosa è stato, ma per me è stato meraviglioso, un'ora e mezza di felicità pura.

martedì 16 settembre 2014

viaggio al termine della notte.

"Céline è stato creato da Dio per dare scandalo"
Céline.
un bel viaggio, fino alla fine, fino al termine della notte.
non c'è scampo, con Céline.
non c'è salvezza.

La maggior parte della gente non muore che all'ultimo momento; altri cominciano e si prendono vent'anni d'anticipo e qualche volta anche di più. Sono gli infelici della terra.

un libro unico nel suo genere, singolarissimo, a tratti scioccante per tanta assoluta franchezza.
non ci sono veli, nè menzogne, nè mediazioni, la vita per quello che è: dannazione e dolore, disperazione e morte.
è tutto così chiaro che non resta che vivere, che fare qual che si può, la consapevolezza fa da timone, alla fine il risultato non è mortifero,  per quanto impregnato, anzi, è di rassegnazione all'ineluttabile ma con immensa forza di reazione, a tutto.
Forse è anche l'età che sopraggiunge traditrice, e ci annuncia il peggio. Non si ha più molta musica in sé per far ballare la vita, ecco. Tutta la  gioventù è già andata a morire in capo al mondo nel silenzio della verità. E dove andar fuori, ve lo chiedo, quando uno non ha più dentro una quantità sufficiente di delirio? La verità è un'agonia che non finisce mai. La verità di questo mondo è la morte. Bisogna scegliere: morire o mentire. Non ho mai potuto uccidermi io.
mi rammento bene una lezione di Baricco, quelle tenute a Palladium di Roma a gennaio e di cui ho già parlato (http://nuovateoria.blogspot.it/2013/10/dimorare-dentro-una-domanda.html), che trattava di Proust. Mi risultò chiaro che, a Baricco, Proust non piace. dietro al discorso tecnico, che non può che essere reverenziale data la maestria assoluta nello scrivere, emerse chiaramente la critica verso uno scrittore talmente ancorato alla forma da risultare poco credibile nella sua scrittura. Proust traccia una geometria del mondo e una sua interpretazione, a volte iperbolica, a volte enfatizzata, a volte falsa, artista attentissimo al suo sè, dotatissimo ma francamente eccentrico. dopo tanta grazia si sarebbe potuto pensare che nulla sarebbe stato più all'altezza di tanto talento letterario, dice Baricco, ma poi, afferma è arrivato Céline, e tutti hanno dovuto ricredersi.
e altrettanto chiaro, mi fu, l'assoluta preferenza di Baricco per il secondo. certo, stiamo parlando di una frattura iperbolica, tra Proust e Céline non ci passa il mare ma un oceano, siamo in dimensioni, di stile e pensiero, che non condividono nulla. leggendo Céline a volte siamo ai limiti della bestemmia, e un paio ce ne sono nelle primissime pagine del libro, leggendo Proust siamo di fronte all'ossessività stilistica, alla paranoia del dettaglio, della virgola, degli incisi. della parola.
eppure, come sostenie Baricco, la preziosità di Céline, arrivato solo qualche anno dopo Proust, non è certo da meno: "Per quanto fantastico sia Proust si può avere una forza pazzesca facendo tutt'altra cosa e il gesto si chiama sempre scrivere, libertà." (A.Baricco)
ho apprezzato moltissimo la sua prosa, ho ammirato la sua devozione alla verità, la sua aderenza alle realtà, l'assenza di bugia, la franchezza del pensare. lo trovo inarrivabile, singolare e autentico, di un'espressività del tutto originale, notoriamente scandalosa. 

Ah! Se l'avessi incontrata prima, Molly, quando c'era ancora il tempo per prendere una strada invece che un'altra! Prima di perdere il mio entusiasmo su quella troia di Musine e su quella stronzetta di Lola! Ma era troppo tardi per rifarmi una giovinezza. Si diventa rapidamente vecchi e in modo irrimediabile per giunta. Te ne accorgi dal modo che hai preso di amare le tue disgrazie tuo malgrado. La natura è più forte di te, ecco tutto. Ci prende le misure in un certo genere e non puoi più uscirne da quel genere lì. Avevo preso la strada dell'inquietudine. Si prende pian piano sul serio il proprio ruolo e il proprio destino senza rendersene ben conto e poi quando ci si volta indietro è troppo tardi per cambiare. Si diventa tutti agitati e rimane tutto così per sempre...
Il treno è entrato in stazione. Non ero più molto sicuro della mia avventura quando ho visto la macchina. L'ho abbracciata Molly, con tutto il coraggio che avevo ancora nella carcassa. Avevo una gran pena, autentica, una volta tanto, per me, per lei, per tutti gli uomini. E' forse questo che si cerca nella vita, nient'altro che questo, la più gran pena possibile per diventare se stessi prima di morire ...   Per lasciarla mi ci è voluta proprio della follia, della specie più fredda e brutta. Comunque ho difeso la mia anima fino ad oggi e se la morte domani venisse a prendermi non sarei, ne sono certo, mai tanto freddo, cialtrone, volgare come gli altri, per quel tanto di gentilezza e di sogno che Molly mi ha regalato nel corso di qualche mese d'America.

diceva Céline:
..La cosa che mi interessa più di tutto è scrivere, dire tutto quello che ho da dire, con passione; non potrei fare altrimenti. Ci ho messo gli anni a mettere giù Viaggio al termine della notte. Ma ce ne vorranno forse cinque di anni per scrivere il libro che ho cominciato. Voglio che sia come una cattedrale gotica. Ci saranno buoni e cattivi, assassini, massoni, come viene in principio, finché tutto prenderà ordine, se ne avrò la forza, come in una cattedrale. [...] Il mio stile? Se lo abbasso al livello famigliare e volgare, è perché è così che lo voglio.
il linguaggio di Céline, frutto quindi di pazientissimo lavoro, è forte, impattante, tutt'altro che evocativo, presente e potente. un linguaggio parlato, immediato, senza sconti, spesso esclamativo e sospeso, violento e inesorabile. il suo grido è spesso di valore sociale, è in difesa dell'umanità debole, oppressa e muta, e intrisa d'odio verso quella agiata, egoista e marcia, cinica e faccendiera. si c'è l'odio in Céline, mai celato, sfacciatamente espresso, come ci sono la paura, il terrore, il pisciarsi addosso per l'orrore.
La paura non dice né si né no. Prende tutto quel che si dice la paura, tutto quel che si pensa, tutto.
Céline aveva vissuto le esperienze più drammatiche: la Grande Guerra e le trincee delle Fiandre, la vita grama dell'Africa coloniale, l'isolamento di New York , le catene di montaggio della Ford a Detroit, la vita di Parigi fatta di incontri con una piccola umanità meschina e desolata, la povertà più spinta della gente che curava, Louis Ferdinad Céline era un medico.
c'è tutto l'immaginabile del vissuto umano, c'è una rivoluzione assoluta, c'è l'uomo, al termine della notte, così com'è.

La grande sconfitta, in tutto, è dimenticare, e soprattutto quel che ti ha fatto crepare, e crepare 
senza capire mai fino a qual punto gli uomini sono carogne.
Quando saremo sull'orlo del precipizio dovremo mica fare i furbi noialtri, ma non bisognerà 
nemmeno dimenticare, bisognerà raccontare tutto senza cambiare una parola, di quel che si è 
visto di più schifoso negli uomini e poi tirar le cuoia e poi sprofondare.
Come lavoro, ce n'è per una vita intera.

lunedì 15 settembre 2014

Takashi Murakami

Takashi Murakami è una vera superstar nel sistema dell'arte contemporanea che però, nonostante l'estetica iper Pop dei suoi lavori, riveste le proprie opere anche di significati molto profondi. Palazzo Reale a Milano, nella sala delle Cariatidi, presenta ora la mostra "Il ciclo di Arhat", curata da Francesco Bonami, che racconta un nuovo volto di Murakami che passa, nelle parole del critico italiano, dalla dimensione appiattita del "Superflat" dei primi anni Duemila a quella decisamente profonda del "Superdeep", influenzato dalla storia recente del Giappone, e in particolare dalla tragedia di Fukushima, nella quale l'imponderabilità della Natura ha distrutto il frutto del progresso umano. Da questa riflessione, che non rinuncia ai colori sgargianti e a una tecnica curatissima, nascono i nuovi lavori che nella mostra milanese si concentrano su due tipologie: in primo luogo gli autoritratti nei quali l'artista si mostra in piedi su un corpo celeste e con una sorta di buco nero alle spalle. 

La serenità del volto dipinto trasmette, più che paura, il senso di una pacata inevitabilità. In secondo luogo ecco i colossali lavori ispirati alle figure religiose giapponesi degli Arhat, presenze che accompagnano il ciclo della vita in tutte le sue manifestazioni. L'estetica è brillante e apparentemente facile, ma il messaggio di Murakami punta all'universale. 



E in quest'ottica assume un'altra valenza anche l'ambivalente "Buddha ovale" che accoglie il pubblico all'ingresso della mostra con una sorta di mimesi plastica e vagamente minacciosa tra la cultura di massa più luccicante e il misticismo orientale.

allora: pazzo o genio?
mah, nessuno delle due ipotesi immagino, un artista moderno, un po' furbo, un po' simpatico, creativo. ma molto glamour e molto kitsch, molto orientato dal gusto contemporaneo.
tutto il colore "superdeep" -che simpatica invenzione-, tutta l'eredità manga, le storpiature e distorsioni delle figure, gli autoritratti ironici sopra palle dell'universo conditi da teschi fiammeggianti, il buddha ovale -dove "l'eterno feconda il presente"-, gli Arhat, figure antiche della tradizione religiosa giapponese, a dimensioni superlative rappresentate in modo dissacrante -monaci Buddisti che affrontano il declino e la morte, in cui mostri demoniaci e monaci decrepiti in tonache e paramenti tradizionali vagano percorrendo paesaggi psichedelici- tutto questo è molto divertente. mi sono vista il tutto in 15 minuti con grande gioia e sorpresa.
poi che io abbia pensato a Fukushima e al nucleare proprio non si può dire. ho pensato a una visione disincantata, fatalista, fantascientifica, fumettsitica e giovanilistica, ironica, spiritosa e laica della vita, ed è un gran bene comunque.
poi possiamo inventarci quel che vogliamo.

giovedì 11 settembre 2014

intramood

Piccolo Teatro Studio Melato
Intramood
Enrico Intra Trio
Time of Tai Chi
Alex Stangoni, live electronics
Enrico Intra, pianoforte
Marco Vaggi, contrabbasso
Tony Arco, batteria
con i maestri e gli allievi della scuola Happy Tai Chi
Enrico Intra
Enrico Pieranunzi, pianoforte
Introduce Maurizio Franco

siamo al MiTo SettembreMusica.
edizione 2014.
ad oggi ho sentito solo eventi pregevoli.





mi è piaciuto tutto, Intra nel suo Trio con Marco Vaggi, contrabbasso e Tony Arco, batteria, veramente suggestiva la partecipazione del gruppo di Tai Chi accompagnati da Intra al pianoforte, strepitosi, ma veramente strepitosi, tutti i pezzi suonati con Enrico Pieranunzi, che coppia e che bellezza. che musica.
assolutamente indifferente invece la performance con Alex Stangoni, l'accompagnamento elettronico è privo di qualsiasi fascino. anche nell'esplosiva improvvisazione finale, tutti presenti, i suoni senza note provenienti dalla consolle sono stati sovrastati dalla signora musica, nemmeno si sentivano.
peccato, però.
tutto questo gran bene disturbato dalla gente. la gente esiste, a volte facendo bene a volte male, qualcosa ci piace e molto (a me) no.
sono al Piccolo Teatro Studio. dietro di me una signorina in carne, che ho notato perché le ho chiesto se poteva togliere la giacca dalla mia poltrona, ha cominciato, appena iniziata la performance, a battere, totalmente fuori tempo, il piede. molto, con insistenza e con un rumore veramente fastidioso. forse la sentivo così violentemente perché era esattamente dietro di me, ma era intollerabile. l'ho guardata per farle capire che non gradivo...nessuna reazione. è andata avanti per molto tempo senza che nessuno protestasse (la sentivo solo io..) fino a quando, e questa volta davvero sonoramente, deve aver perso il sandalo o forse più propriamente lo zoccolo dal piede. ed ecco la mia liberazione...ha smesso. 
la sala era percorsa dai fotografi professionisti, che sono dei gatti: grandi zoom, nemmeno un rumore, nemmeno un clic, nemmeno una lucina, niente, la professione insegna. in compenso la sala, ad anfiteatro per chi non la conoscesse, con mio grande stupore per la mancanza di un controllo da parte de personale del teatro, era abitata da molti fotografi improvvisati, e imbecilli, che si sono sbizzarriti con molte foto con flash. non una, decine. ora, forse avete idea, o forse no, ma il flash, bianco, lucente, accecante, distoglie immediatamente l'attenzione da tutto il resto per attirarlo su di sé. nessun  pensiero è passato per quelle menti, nessuna valutazione critica, nessuna analisi del contesto e della circostanza. ho la reflex e la uso (e se solo sai usarla sai anche bene che il flash a metri di distanza serve a un c..), forse illumino d'immenso il cuoio capelluto di chi ho davanti (che interessasse quello?) ma non lo spazio scenico di Intra e del suo trio, illuminato, in fondo alla sala. avranno fatto il bilanciamento del bianco?
risultato, distrazioni continue, pubblico ignorante, evento disturbato.
arriva il gruppo di Tai Chi, ed è un bel momento. improvvisamente la sala si solleva dal suo torpore, si anima ma non dello spirito giusto. la gente si attiva, si eccita sul piano virtuale, digitale, informativo, divulgativo su FB, e non può pensare a occasione più ghiotta per tirare fuori il suo magico oggetto, il suo fallo conquistatore, e inizia a fotografare, a filmare, a inviare:...ehi sono qui...io si e tu no...guarda un po...ti mostro, mi mostro..si sentono i clic, si vede la luce dei cellulari, per non parlare degli iPad, si passa dal buio e dalla concentrazione, necessari, alla luce e alle mani alzate, insopportabili, alle foto che scorrono sotto le dita, alla cancellazione di quella che non va, alla ripetizione infinita del gesto automatizzato senza cervello. robotizzato.
io mi vergogno, mi vergogno dell'epoca malata in cui vivo, mi vergogno per la stupidità della gente, per la sua pochezza: l'evento non può essere fruito né goduto in sé, vissuto e guardato, osservato e valutato. magari raccontato.
no.
va filmato per rappresentanza. va inviato per dire: io filmo e quindi esisto. io posto e quindi sono. io invio e quindi sono guardato.questo posto, questa fatica artistica, esiste perché sarà ricreato sul pc. ma creando molto fastidio in sala, a me e a chi si stava esibendo. un'opportunità di bellezza, lenta e misurata, inquinata dalla follia dei steve jobs e della sua genia. e creando distrazione a se stessi ovviamente, perché come si filma e si fotografa, non si vede né si sente, ci si astrae, ci si aliena in altro, si va altrove, non dove si è ma dove si sarà. 
nel mondo del pixel.
io dico rimaneteci e inventatevi quel che non c'è, non venite a teatro, dove si vive, si sente, si percepisce. 

mercoledì 10 settembre 2014

già si arrende il roseto

Lo spirito del fieno impregna l'anima. 
L'addio dell'estate. Si raccolgono 
le rondini sui fili e sulle antenne, 
anomali emigranti verso l'Africa. 

Nuvole non più rosa si scaglionano 
a isterici plotoni nel vento che le opprime. 
Già si arrende il roseto e batte ai vetri 
con raffiche di petali e di spine. 

Maria Luisa Spaziani
Non si riposa il mare

è piena di invenzioni poetiche sull'ineluttabilità del tempo.
sono stregata da questa donna che scrive poesie.
"si fa carico da una parte a figure di ipertempo o di oltrestoria, luoghi di vertigine onirica, e dall'altra a desolati, sgomenti richiami alle sole nostre certezze: l'irripetibilità del tutto, la brevità del tutto, a partire dalle nostre speranze: il tempo oltre la morte è tutto qui / la tua eternità nei diciannove anni che ti rimangono." (Paolo Lagazzi, Poesia)

E battono le ore, sempre battono,
batteranno per secoli e millenni
quando saranno morti, sprofondati,
campanili e campane.

Anche il mio cuore batterà nel petto
dell'universo, e noi saremo cenere.
Cenere di campane, di clavicole,
di macerie e di cellule del mare.

lunedì 8 settembre 2014

Genesi

l'impressione dominante è quello della potenza.
ingovernabile e molto superiore a quella dell'uomo.
perfetta e assoluta, la natura ritratta da Sebastião Salgado incombe paurosa.
a me fa paura, piccola cittadina di una grande metropoli.
la natura è infinitamente più forte della mia mente, delle mie capacità, mi mangia, mi divora.
la guardo in queste foto (troppo belle per essere vere!! ci sarà qualche trucco, no??) e mi dico che ne sono paralizzata, la natura mi domina, non ho consuetudine con questa grandezza, i miei spazi sono piccoli, angusti, non ho dimestichezza con la vastità.















la mostra è a Milano, al Palazzo della Ragione, per anni chiuso e dimenticato, ora riproposto, finalmente, nella splendida piazza Mercanti, adiacente al Duomo.
“Con questa mostra inauguriamo Palazzo della Ragione quale spazio dedicato in modo permanente ed esclusivo alla Fotografia – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Filippo del Corno – e offriamo un contributo irrinunciabile all’approfondimento del tema di Expo 2015, che proprio a Milano interrogherà l’umanità intera sul futuro della sostenibilità per il nostro pianeta”.
Il messaggio di Genesi è infatti incredibilmente attuale oggi, nei mesi di preparazione dell’EXPO, mentre la città di Milano e il Paese riflettono sulla sostenibilità dei progetti energetici e sull’imprescindibile necessità di vivere in un rapporto più armonico con il nostro ambiente, a partire dal tema dell’alimentazione. Proprio Milano sarà nei prossimi mesi il centro nevralgico dell’attenzione mondiale per queste problematiche. Un progetto iniziato nel 2003 e durato 10 anni, un canto d’amore per la terra e un monito per gli uomini, Genesi di Sebastião Salgado rappresenta un contributo importante a questo dibattito. Con 245 eccezionali immagini che compongono un itinerario fotografico in un bianco e nero di grande incanto, la mostra racconta la rara bellezza del patrimonio unico e prezioso, di cui disponiamo: il nostro pianeta. Genesi è suddivisa in cinque sezioni che ripercorrono le zone in cui Salgado ha realizzato le fotografie: Il Pianeta Sud, I Santuari della Natura, l’Africa, Il grande Nord, l’Amazzonia e il Pantanàl. Il percorso espositivo presenta una serie di fotografie realizzate con lo scopo di immortalare un mondo in cui natura ed esseri viventi vivono ancora in equilibrio con l’ambiente.

bisognerà salvarlo si questo patrimonio, nonostante me e il mio mondo piccolo piccolo.