bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 30 maggio 2016

la pazza gioia

pazze di gioia?
non direi.
bellissimo film? 
nemmeno.
con me il problema non è indifferente.
se fai un film sulla salute mentale mi devi convincere fino in fondo.
e non ce l'abbiamo fatta.
vada per Bruni Tedeschi e Ramazzotti in stato di grazia.
due belle attrici, molto convincenti.
l'una maniacale l'altra border. e fin qui ci siamo.
però no alla amabile e dedita psichiatra che dichiara "ti voglio bene" e no all'allegria che regna sovrana in comunità come se si trattasse di un'allegra combriccola, una simpatica brigata di buontemponi.
la psichiatria comporta un reale di una certa pesantezza ragazzi, ve lo dico.
la malattia mentale, e il suo trattamento residenziale, non è una pazza gioia, vada per il film ma non passatemelo come un esempio magistrale e ben riuscito di aderenza alla realtà dei fatti.
bella la maniacalità?
una macchina distruttrice. 
simpatica la border che si butta sott'acqua con il figlio?
sembrava la scena, indimenticabile, di Lezioni di piano. ma quella era un'altra storia. in questa storia pare una passeggiata di simbiotico piacere ma personalmente non ci casco.
sono impossibilitata a godere di questo film, quel che ho visto non mi ha convinto, gli OPG hanno chiuso, o quasi, oggi si chiamano Rems, a parte Castiglione delle Stiviere che già aveva uno statuto diverso e ancora resiste, uguale struttura, stesso numero di internati, ma con denominazione diversa, appunto. ma stiamo parlando dell'inferno. stiamo giocando con il fuoco, non alla pazza gioia.
mi dispiace.

venerdì 27 maggio 2016

veloce come il vento

veloce veloce, via, auto, schianto.
ma il film non è questo.
se cerchi l'ebbrezza della formula 1, qui non la trovi, secondo me.
si, certo, qui è solo il campionato italiano GT e l'Italian Race, ma questi sono dettagli.
se cerchi una grande prova di attore, invece si, è il film giusto.
mai visto Accorsi così, mai visto.
non è tra i miei preferiti, gli ho sempre trovato addosso qualcosa di parziale.
una contraffazione.
non so come, ma nella parte del tossicodipendente dei circuiti emiliani è fenomenale.
la ciabatta è il suo look, la parlata emiliana il suo verbo, la disperazione trasandata e biascicata la sua migliore interpretazione. 

Veloce come il vento, irraggiungibile.

giovedì 26 maggio 2016

quando la fotografia

world press photo 2016.
Galleria Sozzani Milano.
miserie umane.
migranti attaccati come bestie.
bambini mutilati della dignità.
massacri.
schiavi.
catene.
morte violenta.
inquinamento in Cina.
donne abusate alla deriva.
Corea del Nord, agghiacciante.


sono stanca.




lunedì 23 maggio 2016

piano city

insomma, io rimango estasiata.
ma quanta, e dico quanta, quanta gente sa suonare il piano.
sarò scema ma questo stupore mi ha accompagnato per tutto questo bel fine settimana.
e non erano certo tutti lì a Piano City, chissà quali altre decine centinaia di persone a Milano e migliaia nel mondo.
sanno suonare il  piano.
non tutti allo stesso modo, è certo. Michael Nyman fa schifo per esempio.
si schifo, lo dico e lo ripeto.
da vergognarsi che l'incipit di una manifestazione a questo livello inviti per una serata speciale a Villa Reale uno come Nyman. colonne sonore? bene, due accordi suonate per un'ora e mezza di concerto. dico due accordi, una nenia senza fine. il pezzo speciale composto per Milano? indistinguibile dalle nenie prima e quelle dopo. un pianista pessimo, a video inquadravano le sue mani, sempre nella stessa posizione per tutto il tempo, rigide, imprecise, quanti errori.
e se lo capisco io che non capisco un'acca di musica!
dopo quel bleah iniziale è stato un crescendo di meraviglia.
ho visto giovani talenti ancora incerti (anche un bambino, Matteo, avrà avuto 11 anni al massimo) e maestri d'arte.
ho visto mani volteggiare su quei tasti, ho assistito a quell'opera d'arte che è la manualità musicale, ho percepito cervelli raffinatissimi (che competenze incredibili si possono acquisire), ho visto l'energia, la passione, ho sentito l'innovazione (non sempre gradita alle mie orecchie), ho conosciuto un nuovo autore, Gyorgy Ligeti,  ho visto tre piani al Teatro Burri stagliarsi sullo sfondo del castello sforzesco, ho goduto di una serata alle Tre Torri in compagnia della musica dei Beatles.

ma, tornando alla questione, quella competenza, quella capacità, di suonare il piano, non la possiedono in due, ma in molti.
allora penso che all'uomo tutto, o molto, è possibile. 
è lo stesso stupore che provo nella danza.
ne avverto la complessità, la divinazione, la santità.
sono invidiosa.
ci penso e mi dico che le mie competenze sono comuni, sono facilmente acquisibili, non possiedo nessun talento, nessuna arte, nessun dono. probabilmente c'è anche in me una qualche potenzialità, ma mai l'ho cercata, mai l'ho applicata, mai l'ho coltivata.
ho provato ammirazione e tanto più ho percepito la trascendenza tanto più ho provato invidia. desidero quello che altri possiedono, consapevole della disciplina e del sacrificio che sottendono quel risultato.
mi consolo pensando a uomini e donne che hanno saputo abitare il loro desiderio elevandosi, eternizzandosi, non mi rimane che goderne, da spettatrice.
Piano City.

venerdì 20 maggio 2016

a night in Bohemia

aveva un difetto di pronuncia, credo la esse risultasse male.
poi, catando, svaniva.
forse i suoi denti sporgenti, tratto assolutamente caratteristico del suo volto, gli procuravano questo difetto.
era magro, come anche i suoi compagni, in quel concerto. 
che concerto.
Bryan May era serafico, e magro pure lui, con quella chitarra in mano. uscivano lampi elettrici da quella chitarra, ma lui era impassibile.
tutine aderenti bianche e nere, con le alette che si dipartono dai talloni. incredibili.
poi, malato, chiusi i concerti, disse: "un uomo di 40 anni non può saltare e cantare su un palco con una calzamaglia addosso“.
lui era strepitoso.
magnetico.
poi si era irrobustito, negli anni del successo conclamato il suo fisico non era più così asciutto.
poi era tornato magro, poi scheletrico, poi all'ultima apparizione in televisione nel 1990 aveva un vestito azzurro di tre taglie più grandi. un effetto straniante.
guardandolo cantare e muoversi in quel concerto ho pensato insistentemente al Rocky Horror Picture Show, convincendomi della parentela con Tim Curry, Frank-N-Furter.
poi, per tutto il tempo del film, ho pensato, senza interruzione, che è morto.
suonava cantava componeva ma non sapeva che a 45 anni sarebbe morto.
ora i suoi compagni raccontano di quel concerto del 1975, ma lui è morto.
Roger Taylor è, oggi, un gran signore con barba e capelli bianchi, e parla di lui, almeno nella traduzione, al presente. "lui suona il piano con forza", dice.
Farrokh Bulsara, in arte Freddy Mercury, quindi, è.
di certo sarà per sempre.

giovedì 19 maggio 2016

La morte era nella casa

Restavo sdraiato lassù, come su un palco aereo. Appesi al muro, tutt'intorno al letto, erano i corpi delle volpi uccise di fresco. Sentivo il loro odore selvatico, vedevo i loro musi arguti all'ondeggiare rossastro delle fiamme, e muovendo appena la mano, toccavo il loro pelame che sapeva di grotta e di bosco. Dalla porta mi giungeva il lamento continuo del moribondo: – Gesù aiutami, dottore aiutami, Gesù aiutami, dottore aiutami, – come una litania di angoscia ininterrotta, e il sussurro delle donne in preghiera. Il fuoco del camino oscillava, guardavo le lunghe ombre muoversi come mosse da un vento, e le tre figure nere dei cacciatori, coi cappelli in capo, immobili davanti al focolare. La morte era nella casa: amavo quei contadini, sentivo il dolore e l'umiliazione della mia impotenza. Perché allora una così grande pace scendeva in me? Mi pareva di essere staccato da ogni cosa, da ogni luogo, remotissimo da ogni determinazione, perduto fuori del tempo, in un infinito altrove. Mi sentivo celato, ignoto agli uomini, nascosto come un germoglio sotto la scorza dell'albero: tendevo l'orecchio alla notte e mi pareva di essere entrato, d'un tratto, nel cuore stesso del mondo. Una felicità immensa, non mai provata, era in me, e mi riempiva intero, e il senso fluente di una infinita pienezza. 
Verso l’alba il malato si avviò alla fine. Le invocazioni e il respiro si cambiarono in un rantolo, e anche quello si affievolí a poco a poco, con lo sforzo di una lotta estrema, e cessò. Non aveva ancor finito di morire che già le donne gli abbassavano le palpebre sugli occhi sbarrati, e cominciavano il lamento. Quelle due farfalle bianche e nere, chiuse e gentili, si mutarono d’improvviso in due furie. Si strapparono i veli e i nastri, si scomposero le vesti, si graffiarono a sangue il viso con le unghie, e cominciarono a danzare a gran passi per la stanza battendo il capo nei muri e cantando, su una sola nota altissima, il racconto della morte. Ogni tanto si affacciavano alla finestra, gridando in quell’unico tono, come ad annunciare la morte alla campagna e al mondo; poi tornavano nella stanza e riprendevano il ballo e l’ululato, che sarebbe continuato senza riposo per quarantott’ore, fino all’interramento. Era una nota lunga, identica, monotona, straziante. Era impossibile ascoltarla senza essere invasi da un senso di angoscia fisica irresistibile: quel grido faceva venire un groppo alla gola, pareva entrasse nelle viscere. Per non scoppiare a piangere mi congedai in fretta ed uscii, con Barone, alla luce del primo mattino.

Cristo si è fermato a Eboli.
Carlo Levi

qualcosa si muove in Carlo Levi, verso la fine del libro. alla dimensione descrittiva, distaccata, si aggiunge un colore emotivo, una felicità, un'angoscia, un'esperienza di morte che esalta la vita, le restituisce il mandato di felicità, di "infinita pienezza".
il luogo in cui cristo non si è fermato è il luogo in cui la civiltà non ha trovato istanza, sopratutto in luogo in cui il simbolico diventa reale, in cui le ombre della morte sono la morte, le maschere di carnevale sono il diabolico, in cui la natura è magica e funesta: "Non c'è posto per la religione, appunto perché tutto partecipa della divinità, perché tutto è, realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra. Tutto è magìa naturale".
in questo luogo la morte del malato si incarna, si presentifica, violentissima. se si supera lo sgomento, se si sopravvive allo schianto, alla percezione del cuore stesso del mondo ne segue, immenso, il senso di sollievo.

lunedì 16 maggio 2016

in Bach

Ramin Bahrami e Danilo Rea.
io li ho visti, ascoltati, ammirati, sabato all'Unicredit Pavilion.
Bach in jazz.
io ho solo ascoltato, si poteva capire di più, riconoscere i motivi musicali.
non sono in grado, ma ho goduto di questo miracolo musicale.
Bahrami dice: Bach come Platone della musica, principio e fine della musica, danza ritmo gioia, dialogo.
tutto è possibile, Bach senza barriere, voci in armonia, Jazz universale.
linguaggio totale, una speranza per l'umanità.

un ultimo tango

María Nieves e Juan Carlos Copes, ovvero la storia del tango in Argentina.
allacciati dall'amore per il tango, separati dall'amore nella vita.
'sta donna e il tango, quella è la vera follia d'amore raccontata nel film, per il resto credo che la signora Maria, voce rauca da fumatrice accanita, abbia vissuto solo nella sua immaginazione.
le donne e l'amore, quel dono insondabile e inenarrabile di cui le donne fanno un idolo, un'idolatria, nella loro vita. le donne ruotano intorno all'amore, vero o presunto, un mandato assoluto, estremo, un fanatismo, a volte, come in questo caso, una dannazione.
siamo tutte libere di soffrire quanto vogliamo, è evidente, solo qualcuna si prende la libertà di dire basta.
stupefatta della forza sociale di emancipazione del tango in Argentina, quella del film è una storia esemplare di rinascita da una povertà altrimenti implacabile. al contempo sposo l'idea di Borges secondo cui il tango è "pensiero triste messo in musica": tango, qui, è  il corpo del dolore.
un bellissimo film documentario, prodotto da Wim Wenders e diretto da German Kral.

domenica 15 maggio 2016

quo vado

non fare la snob, non fare la snob, non fare la snob.
oltre a me deve averlo pensato anche Sonia Bergamasco quando ha deciso di girare il film.
tutti abbiamo un prezzo, evidentemente.
pure il David volevano darle.
non faccio la snob e non dico niente.
solo dubbi sul David, per carità solo quello.
intanto l'ho visto e non è poco.
nel frattempo vado a vedere sul vocabolario alla voce "cinema".

11 donne a Parigi

ma che diamine di film.
la cosa peggiore è che la regista, pure attrice nel film, si pieghi a mostrare le donne come gli uomini le vogliono.
ipersessualizzate e tutte isteriche.
le donne non sono ipersessualizzate nè iperorgasmiche, piuttosto sono piene di questioni sul sesso, nella più parte questioni problematiche.
le donne non sono tutte isteriche, qui c'è la peggior carrellata possibile della volgarità immaginabile, un'insistenza inspiegabile sulla variabilità imposta dal ciclo mestruale.
inoltre non si capisce se il film faccia di tutto per mostrare alcune attrici famose come francamente brutte, o se siano di fatto donne normalmente imperfette anche quelle che vengono mostrate sempre come delle gran fighe.
la Adjani, in ogni caso, deve prenotare un posto da un analista.

11 donne a Parigi, un film di Audrey Dana. Con Isabelle Adjani, Alice Belaïdi, Laetitia Casta, Vanessa Paradis, Audrey Dana, Julie Ferrier, Francia 2014

venerdì 13 maggio 2016

io veggo laggiù lampeggiare officine diaboliche chiomate di boa fumiferi, io veggo un silurificio che ti fabbrica il siluro del futuro

l'ultima foto con Boccioni in versione dandy, elegante e in posa, è stata la giusta chiusura di un bel percorso espositivo.
sarà l'uomo in posa o quello dell'autoritratto a rappresentarlo meglio? l'uno appartiene all'immagine e all'apparenza,  il secondo interpreta l'anima, dice altro oltre l'immagine.
la sigaretta in mano con le gambe accavallate, quell'aria mondana, non la ritrovo nell'autoritratto, quello sfregio bianco, quella specie di cicatrice sul volto, sono segni, solchi, turbamenti.
è stato interessante scoprire la progressione dello studio e della passione di Boccioni per la pittura e per l'immagine grazie alla raccolta dei suoi diari e dei suoi disegni preparatori, il suo atlante, un album di raccolta di lavori, personali e non, riferimenti culturali, quadri e artisti di suo interesse.
la prima parte della sua produzione proveniva dai classici e dalla contemporaneità, impressionismo e divisionismo, simbolismo, gli piaceva Previati, anche Segantini.












l'incontro con il futurismo è stato fulminante, un cambiamento repentino del suo stile si è imposto alla sua pittura. "i pittori ci hanno sempre mostrato cose e persone poste davanti, Noi porremo lo spettatore al centro del quadro". abbandonata "la schifosa mangiatoia che è il passato", non più "minati dalla carie ataviche del passato", ecco il Futurismo "silurificio che ti fabbrica il siluro del futuro", "un omaggio d'onde d'Elettricità, di Cavalli di Velocità" (inno a Marinetti, Cangiullo).
Evviva!!!


negli ultimi quadri, poco prima di morire, giovane, per una caduta da cavallo, vede il ritorno a un'immagine più figurativa, all'attenzione per i dettagli, alla lezione di Cezanne, un altro mutamento lo aspettava.
 
Sintesi plastica di figura seduta (Silvia), 1915.
poi il nulla, poi la morte, 34 anni, 1916.
c'è la madre, sempre la madre, sua modella sopra ogni altra, quale legame, quale simbiosi, quale ossessione,ritratta in ogni fase artistica della sua vita, una costante immutabile, ma dove c'è l'arte a cura del male, possiamo solo essere grati all'uomo di essere complesso e alla ricerca di una risposta alla propria domanda. e quel che raccolgo è che la domanda di Boccioni era ancora aperta, non aveva trovato una risposta, una collocazione, un termine. il futurismo non aveva concluso il suo percorso, altro lo aspettava, altro cercava, altro indagava. altro avrebbe voluto dipingere per placare quel suo mistero interiore.

UMBERTO BOCCIONI (1882-1916): GENIO E MEMORIA
Palazzo Reale, Milano
dal 23.03.2016 al 10.07.2016

aggiornamento

per dovere di cronaca, a anche per dovere riabilitativo, il signore del Fresco, mi ha chiamato.
si è scusato.
meno male.
non ci torno a mangiare, nonostante l'invito a farlo, perché ho mangiato male, ma sono contenta di sapere che esistono ancora l'onestà e le brave persone.
il menù va cambiato, comunque

giovedì 12 maggio 2016

cialtroni, al fresco

ne avevo parlato bene, due anni fa.
(http://nuovateoria.blogspot.it/2014/05/al-fresco.html)
ci sono tornata contenta, certa che avrei ripetuto la felice esperienza.
invece è stata un'amara delusione.
la vita è dura e crudele.
anche a tavola.
già il menù era impresentabile.
si trattava, una volta, di fresco, ora invece è avariato.
scomparso il pomodoro, nessuna traccia, nemmeno una melanzana faceva capolino. forse c'era un cipollotto.
piuttosto rognone, foi gras, patata. mah, abbiamo cambiato campo d'azione temo. siamo nell'ordine del sottosuolo.
accostamenti azzardatissimi (una specie di politerapia che, si sa, è sempre foriera di effetti collaterali), e quelli che ho assaggiato erano irriconoscibili al palato; c'era anche del corallo ma ho temuto per i miei denti e, per come sono andate le cose, credo di aver fatto bene ad evitare.
quel che ho dovuto sopportare è stato un cosiddetto "Ravioli di patate e coda al pepe, pesche, argan, tartufo nero" che comunque era una scelta per modo di dire, non trovavo alternative possibili, alternative fresche soprattutto, come l'illusione di un tempo mi aveva fatto sognare.
la pesca aveva accesso una luce di speranza nel buio del tartufo nero (di cui non si è sentito nè l'odore nè il sapore, ahimè). ma invano.
mi si è presentato un oggetto orribile, d'aspetto e di gusto.
temevo anche che potesse prendere vita propria e cominciare a muoversi, come un verme.
una roba bianchiccia - ma la pesca (traditrice) mi guardava e tentava di sedare la mia ansia -era collocata lì. diciamo che anche la presentazione dei piatti si è un po' lasciata andare, alla deriva, ma pazienza, si poteva soprassedere all'evenienza. il raviolo era, o si era trasformato in, un tunnel molliccio patatoso ripieno di una cosa rossiccia, carne credo, ma il sapore era dubbio.
cioè, superata la diffidenza della infida consistenza, il sapore era irreperibile.
brutto molle e insapore.
prima avevo tentato un foi gras, ma la mia mente già era in allerta (tipo inside-out) per la non reperibilità di piatti freschi nel menù, cercavo infatti di recuperare nel mio cervello i ricordi di quella allegra saporita e gustosa esperienza di due anni prima.
la scelta del dolce, dopo aver scartato tutti queli del menu di cui non capivo il significato (ditemi voi se capite qualcosa di questo: i l g i a r d i n o i n a s p e t t a t o percorso di sapori, consistenze e profumi ispirati al nostro giardino, stagione per stagione composta di fico d’India, gel di erba cedrina, spuma al cardamomo, mousse ai semi di finocchio, gelatina di limone e rosmarino, sorbetto di uva fragola, frutta CBT e cialda di latte salato, meringa al the matcha, terra al cioccolato) è finita sulla tradizione orale (nel senso che la cameriera ci ha detto che volendo c'era anche questo) di cui mi sono fidata per la semplicità: panna cotta al lime con crema di lamponi, ma è meglio che non dica dello strazio, penso si trattasse di avanzi.
già la notte aveva annunciato la disfatta, ma il giorno successivo a questa esperienza di aberrazione del gusto ho avuto nausea, mal di testa, capogiri, diarrea.
pure male oltre che dispiacere.
scrivo al ristorante, anche per una questione di allerta igienica.
nulla.
in un ristorante serio le scuse sono d'obbligo.
trattandosi invece di cialtroni si fa finta di nulla.
credo che il cuoco giapponese, Kokichi Takahashi, se ne sia andato, non ne trovo più traccia, da dicembre 2015 è arrivato qualcun altro in cucina, buona fortuna...
cancellatelo dalle vostre agende: Al fresco, Via Savona 50, Milano

domenica 8 maggio 2016

Orticola

non sono brava con le piante, ci provo, le metto ovunque ma i risultati sono spesso scadenti.
non ho studiato, in effetti, mi piacciono moltissimo ma non applico nessun tipo di sapienza, le bagno, o non le bagno, le curo, cambio vasi, ma sbaglio anche parecchio.
nei luoghi di cui posso appropriarmi, e sono pochi, si vede la mia traccia verde.
piante.
qualche volta fiori.
allora ho visto "Orticola" e mi sono fiondata.
già l'anno scorso ci ero finita, per caso, in bicicletta, in una bellissima domenica mattina di maggio.
ma, non so perché, forse per timore e timidezza, non ero entrata, avevo esplorato la fiera da fuori, ai bordi, dai confini, estranea.
ma quest'anno mi sono fatta coraggio, e dai, non sei buona ma puoi certo guardare e ammirare quelli che sanno.
intanto siamo ai giardini pubblici Indro Montanelli di via Palestro, e già questo è un must.
mi piacciono.
e poi è stata un'orda di verde.
ho visto di tutto, ogni campo di sapere ha infinite angolature, spazi immensi, luoghi inesplorati.
piante erbivore, che impressione.
piante di agrumi, anche il chinotto.
marmellate di agrumi, il chinotto e il pompelmo buonissimi, anche più del mandarino
prezzi stellari, non ho comprato nulla.
piante che vivevano di vita propria, senza vaso, radicate in sfere di terra contenute da un involucro di muschio, appese ad un albero, un effetto da Harry Potter.
piante grasse fiorite, che spettacolo.
arte dei vasi, anche coloratissimi.
piante antismog, assorbenti il male del nostro tempo.
frutti antichi, cose mai viste, specie sconosciute, forme secolari. mele? pere? davvero??
oggetti da giardino, alcuni singolari.
cappelli di fiori, signore molto consapevoli del loro talento. altre solo della loro immagine.
sole luce molta allegria.
vita natura bellezza.
gerani rose azalee ranuncoli.
mediterraneo ombra agrumi.

e, in certi tratti, profumo, intensissimo profumo di fiori.


venerdì 6 maggio 2016

MIA Photo, foto mia

mia mia, mia fair.
the Mall, Milano.
primo corridoio, nix.
secondo corridoio, meglio.
secondo corridoio anche D'Amico e Buffon aria da eterni innamorati, bacino bacino bacino. che ridere. o che pena, non so. ancora 'sto colletto alzato.
foto molte, mii quante, alcune interessanti.
ma, lo dico subito, la fotografia moderna attuale non mi convince per nulla.
per me la foto è sguardo, immagine, scatto.
fotografia è questa cosa qua, l'attimo che si eternizza e crea la memoria visiva, al bravo fotografo la responsabilità di quale attimo in quale contesto con quale angolazione luce e intensità.
ora è tutto un affannarsi dietro alla trovata, al rimaneggiamento, alla falsificazione.
la foto non è arte, non prevede l'intervento dell'uomo.
è luce, in quella conformazione.
se cominciamo a metterci le mani come a un dipinto, a volare a 1000 metri, a cambiare i colori, a sovrapporre le immagini, a usare macchinari improbabili, a forzare gli zoom, a selezionare i soggetti e a metterli in posa, a usare Google e ne ho sentite di tutti i colori, allora ciao.
Cartier Bresson.
punto.
ah e poi c'era la scema, ma di tutto punto, che a ogni stand diceva bellissimo e chiedeva il prezzo. una macchietta.
infine il fotografo del legno, dentro le sue rughe, affiliato al circolo dei poeti. grandissimo.

Bugno, Sepeher, Meuli, Benazzo, Borlenghi, Sestini, Bertellotti.
alcuni.

però c'erano anche Mario Dondero e Paola Agosti e il sogno femminino (si lotta femminista ma dico sogno femminino).