bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 29 aprile 2019

Casa Museo Boschi Di Stefano

Dal 5 febbraio 2003 in via Giorgio Jan n. 15 è aperta al pubblico la Casa-Museo Boschi Di Stefano, che espone – nei locali abitati in vita dai coniugi Antonio Boschi (1896-1988) e Marieda Di Stefano (1901-1968) – una selezione di circa trecento delle oltre duemila opere della loro collezione, donata al Comune di Milano nel 1974. La collezione rappresenta una straordinaria testimonianza della storia dell’arte italiana del XX secolo – comprendente pitture, sculture e disegni – dal primo decennio del Novecento alla fine degli anni Sessanta.

un luogo di meraviglia, di meraviglie e di stupore.
si parte dalla casa, anni '30, costruita e in parte arredata dal mio amato Portaluppi -inconfonbile è la sua cifra- si salgono le solite stupefacenti scale, si visita l'interno del museo, si perdono gli occhi sulle tele appese ad ogni angolo disponibile delle pareti, si ascolta la musica (giovani muscisti si esercitano al piano), si gode di questa gioia del creato, ci si domanda come dovevano essere questi due mecenati, bulimici pazzi dell'arte, ci si chiede come si viveva in questa casa, in questo museo vissuto, c'era spazio per le facezie? chi si è seduto qui a tavola? chi ha preso il te su questo divano? quanti soldi avevano questi due signori per acquistare questo impressionante numero di quadri con un'intuizione artistica e commerciale senza pari?

All’ingresso si trovano i ritratti dedicati ai coniugi Boschi e le ceramiche della stessa Marieda, indi attraverso un corridoio con tele di Severini e di Boccioni si raggiunge la “sala del Novecento italiano” con opere di Funi, Marussig, Tozzi, Carrà e Casorati. Nella “sala Sironi”, interamente dedicata all’artista, sono presenti sculture di Arturo Martini. Il successivo ambiente comprende il Gruppo di Corrente, sette Moranti e sei De Pisis. In un piccolo corridoio sono riuniti i Chiaristi, mentre proseguendo la visita si giunge nella sala degli “Italiens de Paris”: Campigli, Paresce, Savinio con L’Annunciazione (1932) e de Chirico con La scuola dei gladiatori (1928). La “sala Fontana” propone un prezioso insieme di venti lavori, mentre le ultime due stanze sono riservate ai postcubisti picassiani, agli spazialisti, ai nucleari e ai pittori informali, fra cui Piero Manzoni con i celebri Achrome.

di fianco scorre Corso Buenos Aires, è stridente il contrasto, la gente pazza compra compra compra, acquista oggetti inutili consolatori, ingoia mutande di pizzo scarpe e borse per poi vomitarle un attimo dopo, di nuovo affamata ma più malata di prima, e qui si gode l'arte, l'attimo eterno della bellezza. certo, anche i signori suddetti erano affannati, ma la loro malattia ha lasciato qualcosa, nulla che si possa distruggere o digerire, buttare o vomitare, ma godere, e sentire, e ammirare. con grande senso civico, comunitario e sociale Antonio Boschi ha lasciato la sua immensa opera al Comune di Milano. in seguito alla sua morte è stata istituita la Fondazione, che ha per scopo promuovere iniziative culturali orientate allo studio e alla diffusione del collezionismo d’arte e al recupero d’archivi storici, la comunicazione e l’organizzazione di manifestazioni, oltre ad un servizio di consulenza per studenti universitari e studiosi.

Come affermò lo stesso Boschi la collezione porta di diritto i nomi di entrambi i coniugi: “non è un omaggio reso alla memoria della mia compagna” – morta nel 1968 – “ma corrisponde alla realtà. Opera comune nel senso totale: in quello materiale con le implicazioni di decisioni, di applicazione, di sacrifici finanziari e conseguenti rinunce in altri campi; e in quello artistico come concordanze di gusti, di indirizzi, di scelte”.
(http://www.fondazioneboschidistefano.it)



Marinella Pirelli- luce e movimento

la mostra su Marinella Pirelli al Museo del 900 ha un luogo magico.
un punto topico.
non mancano alcune sperimentazioni interessanti, lo devo dire.
forse oggi sono superate, devastate dall'uso delle immagini tramite i device telefonici, oggetti che ci hanno abituati a un commercio costante del nostro corpo, di pezzi del corpo, dalla voce al volto. e di molto altro.
l'uso dell'immagine di questa artista, nata nel '25, sposata dal '53 con Giovanni Pirelli, poi vedova nel '73, è davvero interessante e in mostra ci sono alcune testimonianze di effetto.
ma "Ambiente" è un esperimento di grande impatto visivo, e di garnde modernità, ed è il cuore della mostra.
Filmambiente Environmental Screen, del 1968, è costituito da elementi semplici se paragonati alla disponibilità tecnologica di oggi: una struttura in acciaio, dei teli serigrafati, e delle proiezioni luminose, accompagnate dalla musica.
(http://www.marinellapirelli.org)





Marinella Pirelli era un'artista, una donna, all'avanguardia, originale, creativa, curiosa: si guardava - molti video sono concentrati su di lei, le sue mani, il suo corpo- e guardava fuori, nel mondo. rimanerci dentro, al suo "Ambente", immergersi (come ci hanno abituato poi molte installazioni dell'arte contemporanea) tra luci suoni ed ombre ha avuto un effetto curativo, una temporanea pacificazione con il male che ho dentro.

venerdì 26 aprile 2019

Mein Jesu, gute Nacht!


PIETRO
Ich kenne des Menschen nicht. lo non conosco quell'uomo.
EVANGELISTA
Und alsbald krähete der Hahn.
Da dachte Petrus an die Worte Jesu, da er zu ihm
sagte: "Ehe der Hahn krähen wird, wirst du mich dreimal
verleugnen". Und ging heraus und weinete bitterlich.
E subito dopo il gallo cantò.
Allora Pietro si ricordò delle parole di Gesù, quando gli aveva detto: "Prima che il gallo canti tu mi rinnegherai tre volte". E uscito fuori pianse amaramente

CONTRALTO I
Erbarme dich,
mein Gott, um meiner Zähren willen!
Schaue hier,
Herz und Auge weint vor dir
bitterlich.
Abbi pietà di me,
mio Dio, in grazia del mio pianto!
Guarda quaggiù,
cuore e occhi piangono avanti a te
amaramente.
la parte più straziante e più intensa, fino alle lacrime, è qui, nella negazione di Pietro, che rinnega Gesù, lo disconosce. ed è alla voce contralto che tocca sempre il canto della disperazione e della perdizione, accompagnata dal violino e dal violoncello.

CORO II
Mein Jesu, gute Nacht!

CORO I, II
Wir setzen uns mit Tränen nieder
und rufen dir im Grabe zu:
Ruhe sanfte, sanfte Ruh'!
Ruht, ihr ausgesognen Glieder!
Ruhet, sanfte, ruhet wohl!
soll dem ängstlichen Gewissen
ein bequemes Ruhekissen
und der Seelen Ruhstatt sein.
Ruhet sanfte, ruhet wohl!
Höchst vergnügt schlummern da die Augen ein.

CORO II
Mio Gesù, Buona Notte

CORO I, II
Ci inginocchiamo con lacrime
e gridiamo verso la tua tomba:
Riposa sereno, sereno riposa!
Riposate, o esauste membra!
Riposate serene, riposate!
La vostra tomba, la vostra lapide
dovrà essere un morbido cuscino
per la coscienza tormentata,
e il luogo di riposo per l'anima.
Riposate serene, riposate!
In somma beatitudine gli occhi si chiudono al sonno.

ma è nel finale che qualcosa di divino, e fortemente umano, ci tocca, tutti nella sala, quando il coro canta 
Mein Jesu, gute Nacht! 
che è l'invocazione che si rivolge ad un bambino, ad un caro bimbo prima di dormire, non a dio in terra. Gesù non risorge, nella passione secondo Matteo di Bach, muore crocefisso e viene deposto. riposa, "riposate esauste membra", "in somma beatitudine gli occhi si chiudono al sonno", ma non risorge. la chiesa protestante moderna considera la crocifissione come il preludio alla Pasqua, la resurrezione non è possibile senza la morte. è la crocifissione il punto di arrivo, la passione, la sorgente della redenzione. 
è stata un'immersione completa nella musica e nel canto, all'Auditorium, di venerdì santo, tre ore di ascolto, rapita dalle voci, dal testo, dai movimento dell'orchestra, dall'alternanza dei cori e degli strumenti.
e sono rimasta lì per molto tempo, la musica non mi ha abbandonata dopo l'ascolto, è rimasta ed è sedimentata. i miracoli di Bach e della passione secondo Matteo.

giovedì 25 aprile 2019

grillo

tra gli oggetti del museo del design della Triennale, lui mi ha elettrizzato.
penso che lo spazio dedicato al museo, piccolo sebbene ricco, per la verità credo solo transitorio perché dedicato solo al periodo tra gli anni 50 e 80, sia il luogo di dannazione malinconica e nostalgica di quelli come me.
è la mia generazione che ci lascia dentro gli occhi e il cuore. gli occhi cadono dentro le teche e il cuore pulsa forsennato. 
oggetti della mia vita, della casa dei miei, comprati con lo spirito cieco di ogni tempo in cui si vive, senza sapere che si costruisce, lì in quel momento, in quella casa, in quella via, la storia di questo paese, a volte la storia del mondo.
mi ricordo l'architetto di casa, amatissimo da mia madre, credo lo desiderasse carnalmente, che ci ristrutturava la magione con i soldi della liquidazione di mio padre e la riempiva di oggetti di design. 
tutti lì, eccoli, li ho ritrovati.

ma è lui
grillo
l'oggetto del mio desiderio.
era grigio.

ore al telefono.
era in camera dei miei miei, ovvero nell'unico luogo in cui potevo parlare al telefono senza fare la diva del muto.
stavo seduta al buio, per terra, sulla moquette (altro residuo degli anni 80), con il letto dei miei genitori come sostegno per la schiena. il telefono stava sul comodino di mia madre, era diventato un prolungamento del mio orecchio, aveva l'odore della mia bocca e della mia saliva. era mio. mi apparteneva.
il suo arrivo in casa ha cambiato la mia vita, le mie relazioni adolescenziali.
finché c'era stato solo l'apparecchio in sala tutto era condizionato dalla presenza dei mei nella sala, un inferno, mi contorcevo per non fare sentire la mia voce, parlavo come telecomandata, le relazioni si frantumavano nella freddezza necessaria a non fare arrivare nessuna informazione al nemico in ascolto, ero -eravamo tutti- come spiati nella germania dell'est nel film "Le vite degli altri".
se ci penso, in fondo, i miei si lamentavano con moderazione, qualche protesta, io non avrei sopportato tutte le mie serate attaccata al telefono per ore, con bollette telefoniche alle stelle.
se ci penso, in fondo, è quello che fanno i miei figli ora, ore al telefono, per messaggi o telefonate.
forse non è cambiato niente.
o forse è cambiato tutto.

venerdì 19 aprile 2019

Però quando un reggimento parte, chi gli appartiene, pure lui deve partire

Da alcuni piccoli sintomi, da certe voci che corrono, da certe facce che s'incontrano, viene quasi da pensare che il suo reggimento si prepari alla partenza, e magari partirà fra un mese, fra un anno, fra dieci anni, ma già si prepara. E una giornata bellissima di primavera, il 9 maggio, un sabato, dinanzi alle case della città uomini, donne e bambini si affaccendano intorno alle automobili, caricano valigie, pacchi, giocattoli, sci, battelli; sono vestiti per la gita, è l'amore, la giovinezza, la speranza, la vita. Anche nei grandi cortili del suo reggimento, chissà dove, batte lo splendido sole ma portaordini vanno e vengono, la tromba dà segnali insoliti che nessuno o quasi conosce, si nota una diffusa irrequietudine, il signor colonnello, il capo di stato maggiore e gli altri ufficiali importanti stanno lavorando nei loro uffici benché sia sabato di primavera e la gente della città si prepari al sollievo, alla libertà, alla gioia, perché forse il reggimento deve partire. È il reggimento suo? 
Non è che lui sia militare di mestiere. a tutti senza eccezione nella sua città e anche fuori nelle campagne, valli, rive del mare, per quanto è esteso il mondo, tutti in certo modo appartengono a un reggimento e i reggimenti sono innumerevoli, nessuno sa quanti sono, e nessuno sa neanche quale sia il suo reggimento, eppure i reggimenti sono accantonati qui intorno, anche nel cuore della città, benché nessuno se ne accorga e ci pensi. Però quando un reggimento parte, chi gli appartiene, pure lui deve partire. Altri dicono invece che si tratta di navi. Ciascuno è iscritto come passeggero di una nave, senza sapere dove sia né il nome. E sono navi strane, capaci di salpare dal centro di un arido deserto o dalla precipitosa gola di una montagna. Ma reggimento o bastimento è lo stesso, il fatto è che un bel giorno ciascuno di noi deve partire.

L'avviso arriva a tutti, con maggiore o minore anticipo, che talora è di ore, o di giorni, talora è di mesi o addirittura di anni: eccezioni non esistono. Senonché quasi nessuno se ne rende conto. Questo perché nella maggioranza dei casi l'annunzio non consiste in un modulo esplicito come la chiamata alle armi bensì in piccoli segni che facilmente si possono scambiare per fenomeni casuali del tutto indifferenti. Ma soprattutto perché gli uomini ripugnano selvaggiamente all'idea del loro fatale destino, arrivano ai ragionamenti più assurdi per negare gli indizi premonitori e vivono come se ciascuno di loro, per misterioso privilegio, fosse sottratto alla legge universale.
...
Senonché io avevo ricevuto l’avviso non ero più come gli altri che intravedevo per la strada nella buia sera di dicembre, come loro esattamente camminavo, parlavo, ridevo, fumavo, guidavo l’auto, eppure con loro non avevo più niente a che fare, loro maledetti con tutta la loro vita disponibile senza fine, loro benedetti che al mattino si svegliavano pensando con speranze al futuro.
...
Dovrei tremare perché quello è il mio reggimento in marcia, che è partito prima dell'alba? No, non aver paura. Hai fermato la macchina, sei sceso, ti sei affiancato all'ultimo plotone del reggimento destinato, che marcia nella gloria crudele dell'aurora, dell'alba, del principio della notte senza fine. Meno male; non ti senti più così solo, vero che non ti senti così disperato? 

Dino Buzzati
(brani tratti da Il reggimento parte all'alba)

l'ho visto un mese fa a teatro, al Parenti, recitato e adattato da Giuseppe Nitti
non siamo nel deserto dei Tartari ma la questione si ripropone.
siamo in attesa di un evento ineluttabile, un peso incombe sulle nostre vite.
l'angoscia ci coglie, dobbiamo ricostruire, o costruire proprio all'ultimo qualcosa che ci difenda dall'inesorabile.
quasi sempre è troppo tardi per farlo.
bisogna partire.
bisogna morire.


genio futurista

il trionfo dell'uomo, stella lucente, macchina pulsante, essere patriottico italianissimo tricolore, immerso nella simmetria del creato, rilucente e autoriferito, motorumorista iridescente, un sistema perfettamente funzionante. nessun dubbio, nessuna crepa, avanti tutta










.
ecco il genio futurista di Giacomo Balla.
un bel colpo di scena.

giovedì 18 aprile 2019

Etty Hillesum nel libretto rosso di Patrizia Laquidara

ieri sera, alla Sala Fontana, la brava Patrizia Laquidara cita, durante il suo concerto, insieme ad altri nomi femminili, Etty Hillesum.
estrae il suo nome da un libretto rosso che porta legato in vita, un gesto inedito e un po' eccentrico che però apprezzo e condivido. anche io sono sempre in giro con un libretto di appunti citazioni e notazioni.
di Etty Hillesum sto giusto leggendo il diario, anni 1941-43.
ebrea olandese, deportata ad Auschwitz e morta nel '43, colta e in terapia con lo psico chirologo Julius Spier, allievo di Jung, Etty è intelligente e generosa. pensa e riflette, cerca la sua strada nel mondo di odio e sterminio in cui è vissuta. e cercarlo lì non è come cercarlo qui, tra agio e raffinatezze. 
scrive:

Lunedì 4 agosto 1941, le due e mezzo di pomeriggio
 S. dice che l'amore per tutti gli uomini è superiore all'amore per un uomo solo: perché l'amore per il singolo è una forma di amore di sé. 
 S. è un uomo maturo di 55 anni, che ha raggiunto questo stadio di amore per tutti gli uomini dopo aver amato molte persone singole, nel corso della sua lunga vita. Io sono una donnetta di 27 anni: anch'io mi porto dentro questo grande amore per tutta l'umanità, eppure mi domando se non continuerò a cercare il mio unico uomo. E mi domando fino a che punto questo sia un limite della donna: fino a che punto cioè si tratti di una tradizione di secoli, da cui la donna si debba affrancare, oppure di una qualità talmente essenziale che una donna farebbe violenza a se stessa se desse il proprio amore a tutta l'umanità invece che a un unico uomo (non sono ancora in grado di concepire una sintesi). Forse, la mancanza di donne importanti nel campo della scienza e dell'arte si spiega così: col fatto che la donna si cerca sempre un uomo solo, a cui trasmette poi tutta la propria conoscenza, calore, amore, capacità creativa. La donna cerca l'uomo e non l’umanità. 
 Non è proprio così semplice, questa questione femminile. A volte, quando vedo per strada una donna bella e ben curata, assolutamente femminile e magari un po' stupida, sono capace di perdere la testa: allora il mio cervello, le mie lotte e sofferenze mi diventano un peso, li sento come qualcosa di brutto e di non femminile e vorrei essere solo bella e stupida, una specie di giocattolo desiderato da un uomo. E’ tipico che io voglia essere sempre desiderata dall'uomo, che la nostra femminilità sia sempre la suprema conferma del nostro essere, mentre si tratta di una dinamica oltremodo primitiva. I sentimenti di amicizia, stima, amore per noi donne in quanto persone sono tutte belle cose - ma in fn dei conti, non vogliamo forse che l'uomo ci desideri come donne? Non riesco quasi a esprimermi, è una questione infinitamente complicata ma è essenziale che ne venga a capo. Forse la vera, la sostanziale emancipazione femminile deve ancora cominciare. Non siamo ancora diventate vere persone, siamo donnicciole. Siamo legate e costrette da tradizioni secolari. Dobbiamo ancora nascere come persone, la donna ha questo grande compito davanti a sé.

cara, carissima Etty, ti voglio bene e mi domando, insieme a te: la vera sostanziale emancipazione femminile è mai cominciata?

per finire


Claudio Marcozzi


Lucretia Moroni


Niccolò Aiazzzi


Guy Russel


Gabriele Corni


Antonella Sacconi


Vera Rossi


Nicola Cicognani


Dafna Talmore

Mia Photo Fair
Milano, Aprile 2019

domenica 14 aprile 2019

Teia



teia
rete
tela
Lygia Pape
Fondazione Carriero
impalpabile bellezza
teia tela ragnatela
fili di nylon per tessuti, dorati
buio, silenzio
luce radente
specchi
ingredienti di una magia
tessitura dello spazio
dentro fuori intorno rapporti di tutto e di niente
scomposizione per ricomporre la poesia, una materia preziosissima.
un incanto commovente.

Villa Mozart - doppa firma

si va bene, qualcosa di buono, e anche di buonissimo, l'ho visto, in questo fuorisalone 2019.
non è solo apparenza mondanità soldi e commercio, a volte la competenza artigiana è dirompente per forza bellezza e talento.
nell'incredibile Villa Mozart, di cui ho potuto vedere solo due sale, un camino con specchiera e l'entrata maestosa, si è fatta avanti con coraggio l'esposizione doppia firma, in cui design e talento artigiano si accoppiano, si sposano, fanno figli e vivono felici e contenti.
qui ho visto oggetti pregevoli, delicati ed eleganti, encomiabili prodotti della sapienza umana al suo meglio creativo.