bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 30 settembre 2010

dovunque tu vada, ci sei già


Meditazione è la scoperta che
la meta dell'esistenza
è sempre raggiunta
nell'istante presente
(Alan Watts)


notte notte, abbastanza notte. alla fine sarà notte sul serio.
notte mindfulness, notte sola, notte da sola, notte con il tempo della notte per fare pensare scrivere. notte freddo, profumo di autunno.
dovrei accucciarmi, dovrei. fossi saggia. lo capisci da te che non lo sono.
ho voglia. voglia di scrivere, raccontarmi questa sera di mindfulness.
mindfulness: consapevolezza. ecco tutto qua. seminario di mindfulness. non una tecnica, ma uno stato mentale operativo, una particolare condizione della coscienza. viene, e somiglia, dalla meditazione buddista. concentrazione. attenzione sul sè. respiro, pesantezza, sensi, tutti i sensi, corpo. il corpo. finestra sulla mente. tu dovresti ben saperlo. mal di gola e poi mal di schiena. tu respiri con il corpo e con il corpo pensi, anche tu. ora pensa alla tua schiena, il tuo pensiero è fisso ma produce sintomi diversi. sei il primo a dirlo. non ho fatto niente, perchè ho mal di schiena? ma è la tua mente che fluttua, inconsapevole aihmè, tra pensieri dolenti e il tuo corpo soffre. il corpo parla la lingua della mente, la concretizza.
mindfulness, pensiero, attenzione senza giudizio, attenzione su una cosa sola e presente. separare la verità dal pensiero cattivo, che fa male, che si ritorce contro. imparare ad ancorare la nostra consapevolezza al momento presente. il pensiero sa essere pesante e dirci cose cattive, ripetersi sempre uguale: sono incapace, sono inadeguato, sono solo, sono cattivo, sono obbligato, sono incatenato, mi pensano male, mi vogliono male, sono ingiusti, sono crudeli, gli altri con me. cose così, pensieri ripetitivi, sempre uguali, malefici che scavano dentro, parassiti della mente che non ti lasciano ragionare. pensieri che si immettono nei binari fissi della mente e la percorrono tutta, una dieci cento mille volte.
ecco, mindfulness, consapevolezza e controllo sul pensiero. imparare a concentrarsi e separare la vuota ripetitività dalla concretezza delle cose.

Sarebbe un momento di presenza totale,
al di là della lotta, al di là della mera accettazione,
al di là della voglia di scappare o sistemar le cose o tuffarcisi dentro a testa bassa:
un momento di puro essere, fuori dal tempo
un momento di pura vista, pura percezione,
un momento nel quale la vita si limita a essere,
e quell'"essere" ti prende, ti afferra con tutti i sensi,
tutti i ricordi, fin dentro i geni,
in ciò che più ami,
e ti dice: benvenuto a casa.
(Jon Kabat Zinn)
 
faccio due serate introduttive, è un corso per operatori. come me, psichiatri psicologi che vogliono imparare su di sè per saper consigliare agli altri.
mi mettono delle uvette nella mano. guardale, come se fosse la prima volta, sei un marziano e non le hai mai viste, guardale, come sono. ora toccale come sono, che sensazioni danno, ora portale alla bocca, strofinale sulle labbra, che cosa senti, ora mettile in bocca, tra le labbra poi tra le guance e le gengive, spostale, ora mettile sul palato, non ingoiare. ora si, puoi masticare, piano, senti la consistenza. ora si puoi ingoiare, passano dentro, sentile scendere, ora sono parte del tuo corpo, dentro.
poi un'altra volta, da capo, ora toccale, ora annusale che odore hanno, ora senti che rumore fanno vicino all'orecchio. ecco, un gesto di dieci minuti per magiare un'uvetta. cosa provo? la sensazione del gusto è a mille. l'uvetta tocca le labbra e sento la salivazione che sale, ma come sale. acquolina, devo deglutire la saliva. è un'uvetta in fondo, ma è, in verità, la prima volta che mangio un'uvetta in vita mia. è la prima volta che sento distintamente la mia salivazione salire. vorrei ingoiarla ma resisto, controllo la tentazione, la mastico, esce la polpa dell'uvetta, è buona è dolce, mi riempie il palato di gusto. così. piacevole.
poi respiro. concentrazione sul respiro. sento il mio corpo che nella parte del contatto con il pavimento diventa magma, non distinguo più i confini. e sento. mi sento respirare, mi ascolto respirare, solo solo solo quello. sento il mio corpo che respira e batte. il cuore, si, quello è pazzo, sono tre giorni che va a manetta, il pensiero del rientro mi ha scombussolata, tachicardia ed extrasistoli. sento il respiro e sento il battito. come è forte, il mio cuore, mi fa vivere, mi fa respirare, ma anche mi da ansia. sono immobile e sono pesante, sono ferma ma sento che il mio corpo dondola lentamente impercettibilmente. sono, adesso sono.
il pensiero a volte entra, bussa, vuole entrare, penso alla vita-casa, alla vita-lavoro, a te, penso al mio corpo e lo sento desiderare, ma devo tornare su di me, allontano il pensiero e torno a respirare, solo quello.
poca roba ancora, è un cammino lunghissimo, se veramente volessi impararlo. è un orto da coltivare. tempo e pazienza. forse mi piacerebbe imparare, forse mi aiuterebbe a separare realtà dalla fantasia,dalla paura della realtà.
ti capita a volte, guidando, per chilometri, in macchina, di innestare il pilota automatico? allo stesso modo si può non essere mai realmente presenti, momento dopo momento, per la maggior parte della nostra vita. ci ritroviamo a chilometri di distanza senza rendercene conto. forse si può, con la consapevolezza del nostro sentire esperire e provare, accrescere la nostra libertà e possibilità di scelta, dimenticarci delle routine mentali, degli automatismi, dei pilota automatici, e svincolare il pensiero, renderlo libero, capace di pensare.
ora sono davvero stanca.

stai con me.

shanti

lunedì 27 settembre 2010

se l'anima prende fuoco

la Pivano ha aperto a metà il libro di Spoon River e ha trovato questa poesia sull'anima giovane che prova il fuoco ma non sa sostenerlo :

Francis Turner
http://spoonriver.deandre.it/index.php?option=com_morfeoshow&task=view&gallery=19&Itemid=207

Io non potevo correre né giocare
quand'ero ragazzo.
Quando fui uomo, potei solo sorseggiare alla coppa,
non bere -
perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato.
Eppure giaccio qui
blandito da un segreto che solo Mary conosce:
c'è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole addolcite da viti -
là, in quel pomeriggio di giugno
al fianco di Mary -
mentre la baciavo con l'anima sulle labbra,
l'anima d'improvviso mi fuggì.


ho fatto lo stesso, e ho trovato questa:

Jonathan Swift Somers
http://spoonriver.deandre.it/index.php?option=com_morfeoshow&task=view&gallery=20&Itemid=205

Quando vi siete arricchita l'anima fino al massimo,
con libri, pensiero, sofferenza, comprensione;
la capacità di interpretare occhiate, silenzi,
le pause nei mutamenti importanti,
il genio della divinazione e della profezia;
tanto da sentirvi capace, a momenti, di tenere il mondo
nel cavo della mano;
allora se per l'affollarsi di così grandi poteri
nel recinto della vostra anima,
l'anima prende fuoco,
e nell'incendio
il male del mondo è illuminato e reso limpido
siate grati se in quell'ora della visione suprema
la vita non vi canzona.


e non può, no non può essere un caso.
quando il momento si tinge di rosso i volti le voci i luoghi i ricordi i dirupi la meraviglia e lo stupore si illuminano del colore del fuoco ma non per questo i contorni e la materia diventano più visibili, anzi, si offuscano. è in quel momento che perdo la lucidità che da sempre cerco e pazientemente costruisco.


venerdì 24 settembre 2010

Eseguita la condanna a morte di Teresa Lewis

io penso che se si esegue una pena di morte su una disabile mentale -oltre alle domande che mi pongo regolarmente anche su quelle eseguite su persone in pieno possesso delle proprie facoltà mentali- il mondo ha ancora una strada infinita da percorrere.
una strada di cui è difficile intravedere non dico la fine, ma nemmeno l'incipit.
ripongo fiducia nel genere umano e lo voglio fare ancora fino alla fine della mia esistenza perchè sono convinta, nel profondo di me stessa e del mio cuore, che solo la fiducia nel cambiamento potrà ripagarmi della  mia costanza e restituirmi lo stesso trattamento.
non voglio dubitare di me stessa e nemmeno delle persone che amo e tanto meno di tutte quelle che popolano questa terra.
devo credere che un giorno qualcuno penserà dov'è collocato il confine invalicabile tra la giustizia e l'assassinio di stato.
devo credere che un giorno qualcuno capirà cos'è una mente che lucidamente può intendere di uccidere e una mente che non distingue tra realtà e delirio.
devo credere che in un paese sconfinato come gli stati uniti d'america qualcuno, almeno uno, si mobiliterà perchè il crimine dell'ignoranza e del fanatismo venga arrestato per fare spazio a una legislazione che abbia il senso civico e morale che ad essa si confà.
la pena capitale per una psicotica dice di un mondo che sragiona e delira quanto la giustiziata, che applica senza costrutto senza giustizia senza fondamento una pena che travalica ogni possibile ritorno in termini di regolamentazione sociale.
condannare a morte la follia è il gesto più folle insensato malato irrecuperabile manicomiale che mi sia capitato di leggere in questi anni di mondo alla deriva, di mondo dolorante, di mondo senza pace. di mondo senza mente e moralità.
condannare a morte la follia è la condanna a morte di noi sani di mente che non sappiamo distinguere il confine tra l'ordine superiore di una giustizia sociale e la vergogna amorale di una vendetta pubblica e legalizzata.

giovedì 23 settembre 2010

una danza moderna

decathlon, castorama, esselunga.
poco fuori milano, ottimizzazione dei tempi, acquisti sensati e contatto realistico con la nuova polis dell'era postmoderna, il centro commerciale.
soddisfatta della tuta ginnica, contenta della cornice e orgogliosa del commento civettuolo e complice di una cassiera sulle mie unghie, mi dirigo dove ogni donna, con frequenza diversificata, finisce ingloriosamente la propria giornata lavorativa.
al supermercato.

spesa normale la mia, infrasettimanale, nemmeno il carrello, solo il cestino che, comunque, alla fine, mi taglia le mani per il peso. ma niente di epocale.
mi avvicino a una cassa, la scelgo cercando di calcolare in modo improbabile la più veloce -voi ci riuscite?- e mi acquatto, sorniona, dietro di Lei.
ormai ho scelto e solo dopo pochi secondi mi accorgo che, al contrario, il Suo carrello è più che epocale, è cosmico.
mi chiedo se sono fuori fase e poi mi convinco invece che oggi è solo giovedì. una spesa così, di solito, è un classico del repertrorio familiare del sabato pomeriggio programmato alla coop.
eppure, straripa. deborda. e mi dico: ecco, il solito calcolo sbagliato, nella lotta contro il tempo, anche quando non è strettamente necessario, siamo comunque perdenti.
ma avevo sottovalutato Lei.
minuta, capelli neri con taglio geometrico, frangetta e carrè alla spalla. maglietta rossa aderente, pantaloni neri e scarpe basse, sportive. borsa a tracolla. e accessori nascosti alla mia vista in un primo tempo, che, successivamente, ho osservato materializzarsi magicamente. mosse degne di Houdini.
ormai è quasi il Suo turno, il rullo della cassa comincia a lasciare posto.
divisorio cliente successivo.
e Lei entra in azione.
da quel momento in poi, io che mi ero rassegnata a un quarto d'ora di interminabile "cassazione" della spesa infinita, ho assistito a uno spettacolo che mi ha lasciata a bocca aperta, fino alla mia più sincera ammirazione.
già la posa degli oggetti sul rullo era tutt'altro che casuale, ma studiato con precisa valutazione dell'uso di tutto lo spazio disponibile e del loro posizionamento finale nelle sporte.
non un solo gesto era sprecato, o agito sbadatamente. tutto era volto a una ottimizzazione dei tempi e dei modi, credo che Lei avvertisse la sensazione, forse colpevole, che la sua spesa esorbitante sarebbe costata tempo di attesa a chi veniva dopo.
mentre appoggiava la merce con precisione matematica aveva un occhio attento alla signora che stava pagando il conto in quel momento. come quest'ultima si è allontanata ha finito di posizionare tutto quello che poteva nello spazio disponibile e poi si è repentinamente spostata all'altro lato della cassa, dove la spesa finisce una volta passata dalle mani della cassiera, e ha aperto buste, fino a quel momento irreperibili alla mia vista, e ha cominciato a riempirli. naturalmente anche l'imbustamento non era casuale. prima ha spostato le bottiglie pesanti sul carrello, in assetto geometrico in modo da utilizzare al meglio lo spazio squadrato, e poi è passata al cibo vero e proprio.
sistemata una parte della spesa già pagata, è tornata al carrello ancora parzialmente pieno, carrello che aveva già spostato con atteggiamento felino in modo da averlo più vicino a sè e da ridurre gli spostamenti, e ha finito di svuotarlo. in tutto questo affaccendamento era seria, concentrata e velocissima. ogni gesto era preciso, millimetrico, rapido e calcolato. aveva nella testa ogni movimento, in una sequenza temporale che valuta ciò che aveva fatto e ciò che stava per fare senza distrasi mai su ciò che stava facendo in quel momento. ha anche risposto al cellulare, secca precisa e concisa, nell'ultimo passaggio dell'imbustamento. allo squillo nessuna faccia, nessuno sbuffo, nessuna smorfia. suona, risponde e chiude. semplice e inesorabile.
naturalmente, per non deludermi nemmeno in questo, non aveva nessun sacchetto di plastica. nessuno. solo sacchetti in stoffa o plastificati, sacchetti dapprima tutti racchiusi in uno, per questo non li avevo visti, sicuramente degli abituè della spesa di Lei, sempre riposti al termine della fase casalinga finale, pronti per il servizio successivo, la spesa di giovedì prossimo. non mancava nemmeno il contenitore per i surgelati. anche un occhio all'ecologia e alla mancanza di sprechi, la mente di Lei aveva deciso di sedurmi.
forse qualcuno vedendo la mia faccia avrebbe potuto cogliere il mio stupore e la mia ammirazione per questa donna nell'atto apparentemente facile della registrazione della spesa alla cassa. rivedendo la scena poi mi sono resa conto di un momento in cui si è allungata e con una mano, mentre con l'altra spostava la merce sul rullo, e ha preso il sacco che conteneva gli altri, appoggiato sul gancio che di solito trattiene la borsa.
un passaggio rapido ma risolutivo. in perfetta sequenza, ritmico.
la cassiera, in confronto a Lei, sembrava un bradipo, e anche un po' cerebrolesa, ma aveva solo il torto di essere normale. non c'è stata alcuna pausa o attesa, tutta quella montagna infinita di roba è finita ordinatamente e razionalmente in tutte le sporte a disposizione (non le è servito un sacchetto in più e nemmeno ne ha avanzato uno) nell'istante esatto in cui la cassiera ha finito di passare l'ultimo codice a barre. l'estrazione della carta di credito è stata fulminea, ha firmato con una gamba già fuori dall'edificio senza alcuna espressione di rammarico, come spesso le donne in questa fase critica della giornata, tanto meno di stanchezza o di frenesia. tranquilla, concentrata, serena.
alla fine, al colmo della mia ammirazione per questa operazione apparentemente semplice in cui Lei ha dimostrato capacità cognitive razionali operative di coordinamento e di orientamento spazio temporale degne di un organismo dalle capacità metali superiori, non ho potuto fare a meno di dirglelo: lei è una macchina da guerra.
mi ha sorriso, dapprima temendo che io mi lamentassi, poi ha capito e si è scusata. scusata dell'entità della sua spesa e dell'attesa che mi aveva procurato.
certo la sua efficenza robotizzata può far pensare a un'alienazione firmata ventunesimo secolo, ma lo spettacolo cui ho assistito era artistico, la rappresentazione di una danza moderna al massimo della sua reiterata perfezione.

lunedì 20 settembre 2010

un ridere rauco e ricordi e nemmeno un rimpianto- il suonatore jones



epitaffi, l'antologia di Spoon River (1915), di Edgar Lee Masters, è una raccolta di epitaffi, testamenti ideali di una variegatissima umanità della provincia americana.
Fu Pavese a proporli all'attenzione della Pivano e solo nel '43 l'antologia fu pubblicata in Italia proprio grazie alla traduzione della Pivano, che pagò con il carcere. tanta libertà di espressione non era tollerata dal fascismo.
«Si direbbe che per Lee Masters la morte – la fine del tempo – è l’attimo decisivo che dalla selva dei simboli personali ne ha staccato uno con violenza, e l’ha saldato, inchiodato per sempre all’anima.» Così dice Pavese.
la testimonianza dell'epitaffio è la fissazione del tempo e del tormento di chi ha vissuto in una sintesi magistrale.
la sequenza dei personaggi intesse una storia che coinvolge tutti, molti epitaffi sono collegati tra loro, le versioni delle storie si moltiplicano a seconda di chi le ha vissute e poi narrate, il mosaico si allarga e si arricchisce, è un'opera di valore umano davvero sorprendente. la diversificazione degli eventi a seconda dei sentimenti e del temperamento di chi narra apre una visione allargata e amplificata del sentire umano, una moltiplicazione dell'interiorità che esprime un senso di libertà di espressione narrativa e di apertura alle differenze davvero originale.
leggendo tra le poesie mi sembra di passeggiare nel paese e di conoscere la gente, di curiosare dentro le case e dentro le vite, un entrare dentro che amplifica la conoscenza della logica dell'altro, ovvero il mondo fuori.
solo guardando bene dentro possiamo capire, sempre più, sempre meglio, fuori da noi stessi. se siamo capaci di accettare le nostre sfumature, la convivenza di buono e di bello, di pacifico e aggressivo, di onesto e disonesto, di candido e di sporco, se lo sappiamo guardare, conoscere e scandagliare senza timore, avremo gli strumenti adatti per la comprensione dell'altro da sè.
a questo mi fa pensare il mondo fitto e denso di spoon river: un epitaffio che fissa nella morte il senso di un'esistenza con l'effetto di una dilatazione del tempo del vivere.


la più nota, per noti motivi, è il suonatore Jones. ciò che mi colpisce, tra la versione di Lee Masters e quella di De Andrè, è l'uso del linguaggio.
Si sa, il linguggio "parla" di noi, ci identifica.
il ritmo della poesia di Lee Masters da il senso del tempo della musica, con un andamento tra energia vitale della natura e richiamo del desiderio che conduce a una scelta di libertà senza rimpianto.
tutto parla di musica in questa poesia, tutto parla in favore della scelta finale.
le vibrazioni del cuore
nella meliga è il vento
fruscio di gonnelle
vortice di foglie
il passo sul motivo di Toor-a-Loor
ridda di corni, fagotti e ottavini che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa
cigolìo di un molino a vento
ridere rauco e ricordi

le parole sono musica, nella mente un solo desiderio: suonare


http://spoonriver.deandre.it/index.php?option=com_morfeoshow&task=view&gallery=21&Itemid=204

Il suonatore Jones
E. Lee Masters

La terra ti suscita
vibrazioni nel cuore: sei tu.
E se la gente sa che sai suonare,
suonare ti tocca, per tutta la vita.
Che cosa vedi, una messe di trifoglio?
O un largo prato tra te e il fiume?
Nella meliga è il vento; ti freghi le mani
perché i buoi saran pronti al mercato;
o ti accade di udire un fruscio di gonnelle
come al Boschetto quando ballano le ragazze.
Per Cooney Potter una pila di polvere
o un vortice di foglie volevan dire siccità;
a me pareva fosse Sammy Testa-rossa
quando fa il passo sul motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare le mie terre,
- non parliamo di ingrandirle -
con la ridda di corni, fagotti e ottavini
che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa,
e il cigolìo di un molino a vento - solo questo?
Mai una volta diedi mani all'aratro,
che qualcuno non si fermasse nella strada
e mi chiedesse per un ballo o una merenda.
Finii con le stesse terre,
finii con un violino spaccato -
e un ridere rauco e ricordi,
e nemmeno un rimpianto.


De Andrè rispetta la cadenza di Lee Master.
De Andrè ricorda ma non rimpiange, viaggia nei luoghi della memoria senza timore.
aggiunge però, nella sua narrazione, la sua vena malinconica, quel suo errare tra vizi e dannazioni degli uomini verso una vita migliore. una vita libera.
De Andrè è un cantastorie e la sua traduzione in musica è fedele al suo linguaggio. la scelta di libertà del suonatore trova una strofa che non ha un corrispettivo nella poesia originaria.

Libertà l’ho vista dormire
nei campi coltivati
a cielo e denaro,
a cielo ed amore,
protetta da un filo spinato.
Libertà l’ho vista svegliarsi
ogni volta che ho suonato
per un fruscio di ragazze
a un ballo
per un compagno ubriaco


questo è De Andrè, questa è la sua impronta, questo è il suo logo.


Il suonatore Jones
F. De Andrè

In un vortice di polvere
gli altri vedevan siccità,
a me ricordava
la gonna di Jenny
in un ballo di tanti anni fa.

Sentivo la mia terra
vibrare di suoni
era il mio cuore,
e allora perché coltivarla ancora,
come pensarla migliore.

Libertà l’ho vista dormire
nei campi coltivati
a cielo e denaro,
a cielo ed amore,
protetta da un filo spinato.

Libertà l’ho vista svegliarsi
ogni volta che ho suonato
per un fruscio di ragazze
a un ballo
per un compagno ubriaco.

E poi se la gente sa,
e la gente lo sa che sai suonare,
suonare ti tocca
per tutta la vita
e ti piace lasciarti ascoltare.

Finì con i campi alle ortiche
finì con un flauto spezzato
e un ridere rauco
e ricordi tanti
e nemmeno un rimpianto.



« Avrò avuto diciott'anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo. »

questa è la più nota, ma le più belle sono altre.
arriveranno.

venerdì 17 settembre 2010

And she's buying a stairway to heaven


http://nemi23.deviantart.com/

si stava sdraiati sul divano, di pelle chiara, come non ricordarlo.
serate intere passate così.
si era giovani, veramente giovani, adolescenti...una dannazione.
come una vera adolescente doc alla ricerca della complicazione standard che dia un senso alla vita si era innamorata sciolta del fidanzato della sua migliore amica. migliore...è sempre migliore l'amica, ma solo finchè dura.
il '68 era sepolto ma agli studenti piaceva mimarlo. giocarlo. che sballo.
si stava con gli zoccoli e le calze colorate, il golf del padre che arrivava fino alle ginocchia ridotto a un cencio -non fare il fascista cosa vuoi che sia un maglione in più o in meno-, lo saffi psichedelico ormai adeso alla pelle, dello stesso medesimo improbabile colore, ormai, e il patchouli. che se lo odora adesso sviene dall'onda dolciastra nauseabonda che annoda il cervello anche senza nemmeno lontanamente annusarlo.
infinite serate passate a parlare di politica scuola diritti insegnati programmi, parole libere, tante menate, ma è snob dirlo ora, allora era vita, era incontro, era scontro, era ideologia, era esserci. era esistere.
la sorella del suo beloved si chiamava s. e, come tutte le s. assolutamente tutte!!, era rigida supponente antipatica ma era la sorella comunque. e vabbè. inspiegabilmente aveva un fidanzato storico, passavano la serata con le mani addosso, mentre lei parlava lui aveva fissa la mano sulla tetta, dentro, sotto la maglietta. li guardava turbata, la voleva anche lei la mano-tetta, voleva il brevetto.
poi se ne andavano, chiudevano la porta e scopavano. voleva anche quello, almeno un assaggio, ma il suo lui unsognolungounavita era il fidanzato della migliore grande amica.
capitava una sera che lei era lì, e lui anche, ovvio, l'amica, quella migliore, naturalmente, e un amico degli amici, mai visto prima ma anticipato dalla fama di maschio irresistibile, un giovane combattivo agguerrito studente con le palle bello giusto -molto giusto- selefatutte e letrattatuttedimerda. se non fosse che era imnnamorata fusa del fidanzato della sua grande migliore unica amica poteva anche pensare che la vera dannazione, quella per cui vale la pena di essere adolescenti, fosse lì, ma tant'è..
il suo amato e la sua grande migliore unica per sempre amica, senza prevviso, cominciano a limonare. davanti a lei. prima piano poi due furie un'iradiddio non smettevano più si poteva supporre fossero fradici, già venuti nelle mutande, andate di là per amor del cielo!! un attimo afflitta dallo spettacolo non richiesto, l'adorabile sorella si era già appartata da tempo, maquantoscopabeatalei, era in quella stanza sul divano sola con il figodellamadonna e l'aria si faceva calda irrespirabile. ormonale. mucosa. umida.
era tutta la sera che faceva il suo mestiere di sonoquellogiustochecisafare, era nuova non poteva passare immune e a un certo punto si è trovata la sua lingua in bocca, altro che dannazione, una vera benedizione, che dio ti benedica ragazzo. sognava di non fare altro tutta la sera ma la mano di lui, quello benedetto dal signore, si è avvinghiata all'incrocio principale delle cuciture dei jeans, come già cucita su quel crocevia di grande rilievo, in posizione strategica di supporto. fin lì poteva andare ma poi si è scelta imprudentemente una scorciatoia e la mano è finita non si sa come, ma che sorpresa a volte la vita ma veramente te lo giuro, nella parte interna del crocevia, senza difese senza infrastrutture, dentro. la sua sorpresa è superiore al piacere, uno shock quel dito maldestro a contatto con il suo calore, una mossa troppo repentina che avrebbe voluto il suo tempo, per scaldarsi bastavano un paio d'ore a limonare ecchesaramai.
si stacca incredula-ingenua per esporre una protesta, la prima di una lunga carriera, ma solo protestare mica questionare, mica allontanare, solo una breve discussione, uno scambio di opinioni. ma, quella mossa, il suo nuovo migliore amico non la prende bene, permaloso che sei, te la sei presa? se sei un figodellamadonna non ammetti interruzioni o questioni. democratiche peraltro, dialettiche in fondo, costruttive direi. ora lo sa, ma allora era candida, non sapeva che se, molto giovani, si prende la rincorsa occhi chiusi lungo la discesa per avere velocità, solo quella, è perchè, molto giovani, veloci non si pensa non si chiede non ci si ferma ma nemmeno si gusta e tantomeno si gode.
dal caldo al gelo, una paralisi facciale fa capolino.
quelli limonavano ancora. e adesso basta però.
amica, allora, si va a casa?



la colonna sonora di quella, come di tante infinite serate, era questa.
che non è veloce, è una splendida immortale sinfonia rock in crescendo.
sintonizzati con Robert Plant, figodellamadonna.
When all are one and one is all
To be a rock and not to roll

martedì 14 settembre 2010

leggo il giornale



mentre il reverendo Terry Jones pensava bene di bruciare il corano, Obama, a Ground Zero l'11 settembre, comunicava al mondo che non è l'islam il nemico, non è la religione, è Al Quaeda, il terrorismo. l'america, dice, è il paese della libertà e della tolleranza, accogliamo le differenze senza odio.
è illuminato Obama, impopolare ma ispirato dal senso di chi si proietta oltre, di chi vede nell'evoluzione progressista della storia la speranza di un mondo pacificato. l'odio però è insensato, irragionevole, è il contenitore della frustrazione e della sofferenza di chi la mette in atto. l'odio alberga ancora, e non posso certo giudicarlo da qui proprio non posso, l'odio fa crollare i grattacieli e poi ne impedisce il rinnovamento.
la giornata che fa da sfondo alla parole di Obama nella contraddizione della sua america è splendente, favolosa, luminosa come 9 anni fa. come qui a milano, come solo settembre sa regalare.
io, come tutti, me lo porto stampato nella memoria quel giorno. la mia incredulità è quella di tutti. mi ricordo di aver mollato il lavoro e di essere finita davanti alla televisione e aver provato la sensazione dell'inverosimile, del non credibile. un'operazione di terrore senza precedenti, piovuta dal cielo in una giornata di una bellezza azzurra infinita senza senso.
la morte si è incastonata nel cielo e ha prodotto angoscia sanguigna incornicianodola in una spettacolarizzazione senza uguali. una crudeltà inimagginabile, una risonanza ineguagliabile, quegli aerei che sventrano i grattacieli e procurano morte immediata, lenta, carbonizzata, asfissiata, lanciata dal centesimo piano, segnata sulle segreterie telefoniche della case -le avranno cancellate?- con un eco che, a me, arriva ancora oggi.
poi è arrivata l'angoscia, e un meccanismo perverso di attaccamento morboso alla tv, per ore e ore, per vedere, guardare, assistere allo spettacolo, fino a tardi, fino al mattino. un'orgia di immagini epilettogeniche per esserci, in qualche modo esserci. ma solo, diciamolo, credere di esserci. l'angoscia che inseguivo era anche la mia, non solo quella degli abitanti di N.Y.: non potevo credere a una scelta di vita quando tutto intorno muore.
dopo due giorni di terremoto e fumi neri dentro di me sono finita in ospedale, con contrazioni premature a raffica. una cosa l'ho imparata, che una cosa è la morte, il terrore, il terrorismo, l'ingiustizia, la pena di morte e una cosa è la sua rappresentazione mediatica. ora so, e bene, che la televisione va spenta, che l'immagine non produce coscienza o consapevolezza, soprattutto se reiterata all'infinito, ma dipendenza morbosa e perversa dalla scena forte, anche se dentro c'è la morte. soprattutto se è la morte che viene rappresentata. è la nostra paura che viviamo e ad annullarla ci sembra di morire davvero.

poche pagine dopo leggo di morti sul lavoro. asfissiati in una cisterna. ancora succede. ancora capita che un quarto uomo muoia mentre va in aiuto dei compagni. c'è eroismo generoso in questo gesto o immensa stupidità? come non pensare che se non respirano in tre per qualche motivo non sarai tu a tirarli fuori da solo? morte, morte sul posto di lavoro, qualcuno ha svolto male il suo compito.

altre poche pagine e mi fermo sulla madre in coma farmacologico dopo l'ennesima diagnosi frettolosa e colpevole, dopo la solita ecografia "ètuttok" nonostante le urla di dolore di chi è incinta al settimo mese e piange d'angoscia: è una paura scuotente quella alle soglie della vita. ancora non basta dopo aver letto di ginecologi che litigano, dopo l'ennesima leggerezza che condanna a morte, ancora una vita persa per noncuranza.

leggo il giornale e penso che la tv l'ho spenta e ho imparato a non lasciarmi ammaliare da immagini bugiarde, che mimano la verita' ma la negano a ogni fotogramma.
leggo il giornale e penso se spegnere anche questo, provo un'indignazione invereconda, penso a un senso etico e civile quasi luterano che mi affligge, a un bisogno di politica della polis pulita e trasparente, penso a me italiana ma soprattutto europea come l'italia ancora non è, penso a cosa si puo' fare per leggere un giornale senza provare sgomento al terzo articolo di cronaca. solo non leggerlo mi sembra una scorciatoia qualunquista che promuovera' la svendita politica, domestica e querula, dei nostri giorni.
a chi posso consegnare la mia coscienza?

giovedì 9 settembre 2010

purche' non sedimenti


Abbott Handerson Thayer - Landscape at Fontainebleau Forest

Mi alzo

Marina Cvetaeva

Il vago grigiore
della finestra
il freddo
la polvere della strada
la notte si affila
s’interroga di colpo
mentre si riscaldano
le foglie sui rami
assumono luminosità
tagliente
la voce
la complessione
soldi indizi tracce
la corda tesa vibra
per questo slancio
per quell’altezza
alla base
uno sguardo
verticale
assoluto


non c'e' una virgola non c'e' una pausa e' una corsa apparente verso l'alto ma avverto una caduta reale dove tutto si perde questa notte aspetto solo cha arrivi il mattino e spero abbia questa altezza vertiginosa e il mondo sembri piccolo senza valore senza peso

mercoledì 8 settembre 2010

kymera, o chimera?



x factor.
l'ho seguito in questi due anni, la prima edizione l'ho persa, poi mi sono divertita.
come spesso accade in tv, un programma e' reso fruibile da chi lo fa.
morgan non e' un mostro di simpatia ma io ho amato e goduto della sua intelligenza. uno spirito critico senza eguali. certo l'occhio, oltre al tono dell'umore spesso sparato in orbita, tradiva un nistagmo non certo procurato dalla red bull, machissenefrega. questa, come altre che diro', sono cose che non mi riguardano.
io prendo, assorbo, dalla sua intelligenza, cocaina e moglie stronza manipolatoria di bambini non sono fatti miei, ma molto privati. e nemmeno la sua redenzione.
amo l'intelligenza che sa esprimersi al massimo delle sue potenzialita', dal linguaggio all'osservazione, dalla sapienza alla conoscenza. questo mi piace, e questo vedo in morgan, in tv.
diciamo che il programma ha perso il suo spirito vivificante, per me e' gia' noia.
l'ho visto con il pc sulle gambe, ho avuto anche il tempo di scrivere al rospo, commentanto il suo ultimo post, che tra i miei traumi ce n'era uno in atto...la visione di NEVRUZ che canta "se telefonando". scioccante, ma almeno divertente.
pensavo fosse finita li' ma era solo l'inizio.
la prima botta e' stato il caso umano, stefano. non e' che sia balbuziente ragazzi, e' una persona con un disturbo grave. una faccenda seria. a tratti ho pensato che solo ruggeri avesse il fegato di dire NO, di pensare a quello che fa. ma vedo che anche lui e' fagocitato. non si salva NESSUNO. no nessuno.
e' l'unico che dice del ragazzo che non e' pronto, ma il problema non e' stefano, o almeno non lo so, e' il meccanismo perverso stritolante della televisione. l'handicap diventa oggetto di interesse se travestito almeno, dico almeno, di talento. questo handicap, una vita immagino infelice fissata sul trauma e raggelata nella comunicazione interpersonale, ha almeno il dono di portare, all'occorrenza, un vestito buono. di essere guardabile. non vogliamo dargli la sua occasione? di cosa? di cantare? pensate che ci fermeremo qui? o di redimersi? di guarire, lo avete pensato.
cio' che il sociale non ha potuto, cio' che per strada non si guarda perche' non piace e non ci somiglia, puo' e fa vedere la televisione.
la televisione puo' tutto, ma solo se cio' che mostra puo' essere consumato come una bibita. bisognerebbe non dimenticarlo.
la televisione non ha mai pudore, ora meno che mai, la televisione vende, anche il brutto, se per la serata puo' mettersi giu' da gara.
provo pena per stefano, che dice si, che ci va in televiione, che canta, che sara' votato perche' non riesce, nonostante uno sforzo sovrumano, a dire una parola per intero, ma sa cantare. chi potra' mai dirci cosa di lui verra' premiato? il buon canto o la pena caritatevole e salvifica dell'anima buona degli italiani sfoderata per l'occasione?
un'esposizione carica di rischi, per stefano prima di tutti.
so che in molti non capiranno, ma il mio rispetto per il dolore e la fatica di vivere nella disabilita' mi dicono che questa non e' un'operazione buona. se lo fosse anche stata nelle intenzioni, vogliamo crederci?, non lo sara' negli effetti.
ma l'affondo arriva con i Kymera. e con la dichiarazione della geniale tatangelo, cisalvichipuo'.
allora cosa dite siamo pronti per avere una coppia gay in rai prima serata? pensate che lady tata abbia fatto un'operazione di grande coraggio? o e' cosa di cui vergognarsi, come probabilmente e' successo per uno dei due componenti della coppia?
la liberta' sta nel fatto che a nessuno, dico nessuno, dovrebbe interessare cosa fanno, oltre a cantare, i due ragazzi da soli in una stanza o la liberta' va a farsi fottere quando un decerebrata ha bisogno di urlarlo come fosse una grande opera di umanizzazione?
la liberta' starebbe nel fatto che per nessuno conti se i Kymera, qual nome piu' azzeccato, sono fratelli di sangue o di letto, se una coppia a ballando con le stelle lo fa a pecorina o preferisce divertirsi con il vibratore o in una gang bang, se il presidente del consiglio tromba con una diciottenne e se marrazzo va con i trans. a me non interessa, perche' sono libera di pensiero e di testa e ognuno fa quello che vuole nella sua vita privata, io prima di tutti.
vengo valutata per come faccio il medico, non se mi piace andare a letto con due uomini o con una mia collega. e poiche' il mio sesso, in tutti i sensi, non interferisce con il mio mestiere e nella mia etica professionale, nessuno mi puo' giudicare. (adoro caterina caselli, da bambina con questa canzone non mi fermava nessuno).
l'umiliazione sta nel fatto che una realta' privata debba essere resa pubblica per essere approvata, pensata come "normale", accettata dal palinsesto. come se questa realta' privata potesse compromettere o esaltare cio' che conta, cioe' la sostanza, cioe' il saper fare. se i kymera sanno cantare, se la coppia sa ballare, se il presidente del consiglio sa badare agli interessi pubblici e non privati, se marrazzo sa fare onestamente il suo mestiere nella regione lazio.
questo conta.
ora i kymera mi hanno fatto pena, sotto molti punti di vista, come due animali rari da esposizione -salvo solo ruggeri, che intuisce la questione, quando dice ai due che rispetto a loro romina e albano sembrano i clash- e soprattutto per il canto, o, quanto meno, per l'esibizione di ieri sera. il loro modulo e' vecchio, gia' sentito in tutte le edizioni di x factor, non mi sono piaciuti. per me l'elimimazione era scontata. ma dobbiamo dimostare di essere pronti, giusto? un altro caso umano, doppio, da proteggere.
ma proteggetemi dalla tatangelo e dalle sue dichiarazioni orgogliose e urlate in nome della liberta' e che, invece, la liberta' di essere chi vogliamo senza bisogno di dichiararlo affossano, proteggetemi dai commenti a canzoni e cantanti che non sono mai andati oltre a "interessante" -a un certo punto lo hanno detto tutti e 4!!- a "imprecisioni", a "intonazione", a "giovane eta'", a " ci sono rimasto male", a "bravo".
BRAVO. cazzo bravo. altro?
se sei niente il tuo giudizio e' zero. mitica, dove l'ha letta?
morgan...dove sei??

lunedì 6 settembre 2010

nulla in terra più l'uomo paventa, se dei figli difende l'onor -Rigoletto



hanno fatto le cose per bene in Rai, almeno questa volta.
prima il saluto del presidente della Repubblica che apre la due giorni di diretta televisiva, su Rai1, del ''Rigoletto a Mantova'', evento tv in mondovisione in 148 Paesi per un pubblico, almeno teorico, di oltre 1 miliardo di persone. si tratta di un film in diretta, ideato e prodotto da Andrea Andermann, che coniuga l'opera con il cinema, ambientata in luoghi storici. non mancano i piu' grandi nomi del mondo della musica e del cinema come Placido Domingo (Rigoletto), Ruggero Raimondi (Sparafucile), Zubin Mehta (direttore d'orchestra), Marco Bellocchio (regia) e Vittorio Storaro (cinematografia). è interessante che sia andato in onda su Rai1, sabato 4 settembre alle 20.30 e domenica 5 settembre alle 14.00 e alle 23.30. nei tempi scenografici di Verdi.

il mondo di Verdi è un mondo perfetto, dove tutto risponde a regole precise, irrinunciabili e molto rassicuranti. l'amore, la passione, la vendetta, il fato, la morte, tutto si presenta puntuale, senza indugi, senza titubanze. come forse la vita non è, ma è proprio per questo che esiste la lirica.
ed è lì, sul quel verso, che l'emozione sgorga immediata, dove non ci sono il dubbio, nè il conflitto che crea contrasto, nè l'esitazione dello sconcerto. si sa, l'emozione che sconquassa arriva quando non c'è più mediazione della corteccia frontale, dove non c'è la costruzione, e la rimozione, del pensiero. pensate a un film che vi ha fatto piangere, a una scena strappacore, a una scena della vostra stessa vita: la sensazione irrimediabile di uno spostamento delle viscere, e del pianto per chi se lo concede, arriva quando la stoccata è dritta sul cuore, un filo diretto tra lama e coronarie. il conflitto e la contraddizione creano inquietudine, dissonanza, anche angoscia, ma l'emotività si mette in moto e si esprime libera quando la consapevolezza non mette mano al sentire: solo l'esperienza, solo il vissuto, solo il ventricolo destro in accordo con il sinistro, e via di batticuore.

Come fulmin scagliato da dio,
il buffone colpirti saprà.

così è l'opera lirica, e così è stato ieri e l'altro ieri.

al di là della bellezza indiscutibile di questa presentazione, palazzo Te e poi palazzo ducale, la ripresa diretta sui personaggi che va oltre la staticità del teatro e regala movimentazione alla scena, le immagini di sera e poi di giorno e di notte ancora, la percezione di esserci, proprio lì, nonostante la distanza spazio temporale, oltre tutta questa bellezza di grande pregio e cultura, è il motivo ben noto della donna mobile, apparentemente lieve come la piuma che le somiglia, intonato dal duca di Mantova, che risuona da lontano, che colpisce in faccia diretto il buffone Rigoletto e lo pone davanti alla morte dell'amatissima figlia, quello quello quello è il "momento" evocativo di rara bellezza. senza scampo, la maledizione ha concretizzato la sua condanna, la morte giunge inattesa come un falco proprio sull'oggetto d'amore infinito, la linea della vita corre dritta su quel binario, la fatalità compie il destino nella dannazione.

Sì, vendetta, tremenda vendetta
di quest'anima è solo desio...
di punirti già l'ora s'affretta,
che fatale per te tuonerà.

è proprio vero che arie così apparentemente leggiadre come "la donna è mobile", estratte dal loro contesto, abbiano un sapore di scherno e di gioco canzonatorio, ma ascoltate nell'interezza dell'opera ne acquistino veramente tutt'altro. proprio il duca, malandrino libertino inaffidabile e senza vergogna, canta "è sempre misero chi a lei s'affida", proprio lui, incapace di parola e di promessa, infedele dopo una sola notte, ripete "la donna è mobile qual piuma al vento", proprio lui, senza alcun affanno e senza coscienza, rimanda l'immagine femminile come "muta d'accento e di pensier". proprio lui.
è una crudele ironia, un colpo di scena formidabile e geniale, una dannazione che fa eco in tutta Mantova, che questo scherzo così superficiale e senza sostanza debba fare da sfondo alla morte, e darne la drammatica certezza, di Gilda, colei che invece di amore eterno fedele e senza inganno è morta e si è sacrificata, cosciente e coraggiosa, proprio lei.
un applauso, veramente un grande applauso, a questo amore paterno di cui è risuonata la mia notte, a questi duetti ineccepibili dove il sentimento è padrone assoluto della scena, interiore e non, senza sfumature ma carico di lacerante certezza, dove l'amore arriva dritto al cuore, lo spalanca, lo divarica e lo divora.



La donna è mobile
Qual piuma al vento,
Muta d'accento - e di pensiero.

Sempre un amabile,
Leggiadro viso,
In pianto o in riso, - è menzognero.

È sempre misero
Chi a lei s'affida,
Chi le confida - mal cauto il core!

Pur mai non sentesi
Felice appieno
Chi su quel seno - non liba amore!

giovedì 2 settembre 2010

storia di ordinaria follia medico sanitaria


http://browse.deviantart.com/photography/?q=emergency%20room&order=9&offset=72#/d2b2wu7

la storia del mio simpatico, e atletico, amico merita un piccolo post di protesta, tanto sentito quanto inutile.
M. fa il personal trainer. sul fisico ha costruito la sua professione, e non solo direi. diciamo che la perfezione fisica viene spesso perseguita come un mondo parallelo, come un'alternativa che risponde a regole e consuetudini di ferro, controllabile e regolabile, esattamente come la vita non lo è. se avete mai avuto a che fare con persone che fanno questo mestiere non potrete non notare come il conseguimento dell'effetto desiderato acquisisca il valore di una meta, con una disciplina e un rigore che a me fanno pensare a un tentativo di governare l'ingovernabile. il corpo risponde, ma non sempre. spesso il corpo segue le nostre sofferenze mentali, e, in persone che hanno puntato sulla fisicità per rispondere al proprio bisogno di certezza, se salta la mente, salta anche il corpo.
M. ora ha un dolore alla spalla lancinante, prima è solo dolore, domenica si sveglia e, oltre al male cane bastardo, il braccio non si muove più. machecazzo. certamente M. ora ha molti pensieri, certamente ora M. deve fare scelte. il dolore non arriva in connessione diretta alla sua difficoltà esistenziale, non voglio dire questo, non fino a questo punto, ma temo che il suo corpo voglia parlare insieme alla sua mente, fornirsi di un linguaggio alternativo. dire: sto male.
laddove dovrebbe svincolarsi da una condizione lavorativa opprimente, dove sarebbe richiesto un movimento, il suo corpo, al contrario si immobilizza. il desiderio lo porterebbe fuori, la realtà lo costringe dentro. il corpo riflette in parallelo questa crisi di scelta, questa paralisi di slancio, e quel braccio non si muove più.
il braccio non è paralizzato, no. è una spalla congelata, una spalla iperstimolata periartritica carica di calcificazioni grossolane che, a un certo punto, arrivano alla soglia della capsula articolare e la bloccano. dolore e immobilità. insonnia e bestemmie.
al di là delle mie solite considerazioni psycho, la tragedia si svolge su un piano medico-sanitario.
sul piano dei diritti civili dei cittadini e sulla mancanza di consapevolezza degli stessi.
M. va in pronto soccorso, domenica, a milano, al san carlo. codice bianco, oltre 4 ore di attesa. lo visita una dottoressa, mi dice giovane, di P.S. visita, lastra e una pacca sulla spalla. ah ah...davvero azzeccata direi! l'affabile giovane medico dice al paziente che ci vuole un ortopedico, bene, e che ci vuole un'infiltrazione di cortisone. esatto. brava dottoressa.
a questo punto la prassi vuole: che il medico di PS chiami l'ortopedico, si svolga la visita e che questi faccia l'infiltrazione e dia le indicazioni del caso. oppure, in mancanza del suddetto medico (strano, gli ortopedici sono in pronto soccorso, gran parte degli accessi sono di origine traumatica!!) che il medico di P.S. si faccia forza e coraggio e pratichi la magica infiltrazione.
sembrava una cosa semplice ma, forse, nel paese delle meraviglie di alice.
la giovane dottoressa, invece, saluta il mio amico M., gli da un buffetto sulla guancia e un'altra pacca sulla spalla e gli consegna non uno, ma due numeri di cellulare -gentile non si sa mai!!- di due ortopedici che, gentilmente, lo potranno vedere in privato.
saluti.
baci.
tutti a casa.
dolore cane mondo boia.
che cazzo ci sono andato a fare in P.S??
ora la tragedia si svolge su più piani, non so neanche da dove cominciare.
la dottoressa è giovane. ok. le possibilità sono due: o si caga sotto povera tusa, le infiltrazioni non le sa fare ma nemmeno chiamare l'interno del reparto ortopedia forse causa una paralisi incipiente, oppure, nonostante la giovane età, è già marcia, già infiltrata nel sistema del clientelismo. cosa preferite?
il mio amico M. è solo un esempio di come un cittadino possa essere oggetto di un trattamento iniquo irresponsabile e colpevole, passibile di esposto, ma che non lo sa. NON LO SA. oppure lo sa ma non lo fa. NON LO FA.
la fortuna della dottoressa è di non avere trovato sulla sua strada una come me, ma prima o poi la trova eccome se la trova, che il numero di cellulare glielo avrebbe fatto aderire alla cute del viso come una seconda pelle e poi si sarebbe diretta, anche con una freccia avvelenata all'atropina infilzata nella carne, dritta in direzione sanitaria a chiedere spiegazioni sul funzionamento del pronto soccorso del valido presidio ospedaliero.
ma le capiterà.
il problema è che ci facciamo sopraffarre e non siamo al corrente di ciò che ci spetta.
M. non chiude occhio e mi chiama il giorno dopo, lo faccio venire qui, lo porto al PS e lo lascio in sala di attesa. lo vede l'ortopedico di PS e gli fa un'infiltrazione. è segnato per altre due iniezioni presso l'ambulatorio di ortopedia. 5 minuti. ora va meglio, poi si curerà come si deve, almeno speriamo, farà le sue prenotazioni ambulatoriali, la malattia ha superato la fase acuta, ora bisogna trovare i rimedi adatti.
questo è ciò a cui ha diritto, semplice, facile, doverso, il minimo. non un trattamento di lusso. il minimo.
ma M., e come lui moltissimi altri cittadini, non lo sa o se lo intuisce non fa domande, non chiede, non si informa, non gli viene nemmeno il dubbio? è normale uscire da un pronto soccorso di un ospedale pubblico con lo stesso problema con il quale è entrato e con in tasca il numero di cellulare di due privati?
non avesse avuto la conoscenza di un altro medico, cosa farebbe adesso? sarebbe andato dal medico privato? avrebbe un appuntamento per il 20 di ottobre prenotata al CUP del San Carlo? sarebbe con il braccio dolorante e immobile e con 2 ore di sonno in tre giorni ma con una splendida prescrizione pluriquotidiana di Oki che alla periartrite fa il solletico ma allo stomaco l'ulcera?
perchè l'ente pubblico, il camice la toga il carabiniere è vissuto come dominante e non come dialogante? perchè un cittadino si mette nella condizione di subire quando è nel diritto di avere ciò per cui paga le tasse? siamo in uno stato di diritto? o siamo nella merda?
abbiamo molto da fare. molto da imparare. molto da capire.
probabilmente dobbiamo ancora iniziare.
e forse M. dovrebbe domandarsi come mai un corpo può essere funzionalmente perfetto, come mai tanta energia possa andare nella costruzione di un mondo fisico ideale, ma rispetto al reale non ci siano le energie sufficienti almeno a formulare una domanda: scusi, ma l'ortopedico, lei, non lo può chiamare adesso?