bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

martedì 19 giugno 2012

a voce alta

a proposito..



Hanna e Michael, amanti inconfessabili nella Germania del dopoguerra, si rifugiano nel mondo epico di Tolstoj senza riuscire a salvarsi. lui ha solo 15 anni, lei più del doppio, la loro passione è fatta di incontri amorosi e letture ad alta voce. Michael legge per Hanna, incolta bigliettaia di tram, che ascolta rapita il liceale innamorato di lei. Hanna è analfabeta. ma non lo dirà mai a Michael, che lo capisce solo molti anni dopo, quando lei, pur di non confessare in tribunale l'ignoranza che le avrebbe ridotto la pena, accetta la prigione a vita, rea di atti omicidi nella Germania nazista. 
quei pomeriggi con Tolstoj tornano alla memoria di Michael adulto:
"Lessi ad alta voce Guerra e Pace, con tutte le digressioni sulla storia, i grandi uomini, la Russia, l'amore, il matrimonio. ci vollero quaranta, cinquanta ore buone. come sempre, Hanna seguì l'andamento del libro con ansia e interesse. ma adesso non era più come prima; ora non esprimeva più i suoi giudizi, non faceva rientrare Natasha, Andrej e Pierre nel suo mondo; entrò invece lei nel loro mondo, così come si viaggia incantati in terre lontane o si entra stupiti in un castello in cui si è ammessi, in cui ci si può trattenere, con cui si prende confidenza, senza però mai perdere del tutto la soggezione".
Hanna imparerà a leggere in carcere, ascoltando i nastri registrati con i racconti di Checov che Michael, incapace di andarla a trovare, la manderà fino all'ultimo dei suoi giorni. 

da La Lettura - Tostoj nel 2000, La resurrezione dei Russi nei romanzi di oggi - Giuditta  Marvelli. 

Hanna sono io. 

lunedì 18 giugno 2012

la felicità domestica

anche questo passaggio attraverso il romanzo, la creatività che costruisce un mondo a sè, è finito, e non nel migliore dei modi.
a parte la scomparsa del fulcro, della fiamma, del senso portante del romanzo, il principe Andrej, il discorso si chiude sulla noiosa dimostrazione da parte dell'autore della bontà della sua ipotesi sulla predestinazione delle azioni degli uomini. sembra ossessionato, Tolstoj, dalla necessità di dimostrare la pochezza di Napoleone, di distruggerne il mito, di ridurne la portata storica, di descriverlo come un omuncolo che solo per un caso insondabile dell'esistenza e dell'universo lo ha portato a muovere migliaia di uomini in giro per l'Europa. difficile da credere. 
ma soprattutto questa sua volontà ossessiva, ripetuta e ripetitiva,  annulla il valore del suo discorso. si sente, sottostante, una forma di ostilità mal celata, un'acredine personale, che lo rende poco obiettivo e poco credibile.
in più, mi tocca leggere di una Nataša ingrassata, spettinata, trascurata, possibilimente in pantofole e vestaglia che rincorre i bambni per casa sempre con un infante attaccato al suo seno. ma che tristezza santo cielo! una figura esile e aggraziata, dedita al canto e alle sue passioni per l'altro, trasformata dal matrimonio in una incubatrice, una donna sfatta, una governante direttiva, una moglie asfissiante e gelosa. 
e anche qui il nostro Lev tradisce la sua misoginia, e la sua convinzione - magari fondata?- della morte dell'amore in qualsiasi matrimonio, tema già affrontato in altri più semplici romanzi. 
a Nikolaj Rostov mette in bocca, parlando con la moglie Mar'ja, parole di agonia dell'amore, una sorta di epitaffio dell'innamoramento. 
«Ah, come sei buffa! Non si ha cara una persona perché è bella, ma è bella perché ci è cara. Solo Malvina e le altre del suo stampo sono amate perché sono belle; ma forse che io amo mia moglie? Non è che l'ami, ma così, non so come dirti. Senza di te, e quando ecco, tra noi c'è qualche malinteso, io mi sento come perduto e non sono più in grado di far nulla. Ma sì, forse amo il mio dito? No, che non lo amo, ma prova a tagliarmelo!»
il legame coniugale è un attaccamento, una dipendenza, un  prolungamento fisico, come il dito di una mano.
non lo ami ma non puoi farne a meno.

 

Nataša si era sposata al principio della primavera del 1813, e nel 1820 aveva già tre figlie e un figlio,che aveva molto desiderato e che ora allattava. Si era fatta florida e piena tanto che era difficile riconoscere in quella madre robusta l'esile e irrequieta Nataša di un tempo. I lineamenti della faccia si erano definiti e avevano un'espressione di tranquilla dolcezza e limpidezza. Sul suo volto non c'era più, come una volta,quella fiamma di animazione che ardeva senza posa e che costituiva il suo fascino. Sovente ora si vedevano solo il suo viso e il suo corpo, mentre non si vedeva affatto l'anima. Si vedeva unicamente una femmina forte, bella e feconda. Il fuoco di un tempo ormai si accendeva in lei molto di rado. Accadeva solo quando,come in questo caso, ritornava suo marito, quando un bambino guariva da una malattia o quando, insieme alla contessa Mar'ja, ricordava il principe Andrej (col marito non parlava mai di lui, supponendo che fosse geloso della memoria del principe Andrej), oppure, molto più di rado, quando qualcosa la riportavacasualmente al canto, che aveva completamente abbandonato dopo il matrimonio. E in quei rari momenti in cui il fuoco di un tempo si accendeva nel suo bel corpo, ora perfetto, era anche più affascinante di prima.Dal matrimonio Nataša era sempre vissuta con il marito a Mosca, a Pietroburgo e nella campagna nei dintorni di Mosca, o in casa della madre, cioè da Nikolaj. In società, la giovane contessa Bezuchov sifaceva vedere assai poco e quelli che l'avevano vista non ne erano entusiasti. Non era né aggraziata né amabile. Non che Nataša preferisse la solitudine (non sapeva neanche lei se le piacesse o no, le pareva anzidi no), ma tra le gravidanze, i parti, le poppate, la partecipazione intensa alla vita del marito, non poteva soddisfare tutte queste esigenze che rinunciando alla vita di società. Tutti coloro che avevano conosciuto Nataša prima del matrimonio si stupivano del cambiamento, davvero straordinario, avvenuto in lei.Soltanto la vecchia contessa, che con il suo intuito materno aveva sempre saputo che tutti gli slanci di Nataša erano originati solo dal bisogno di avere una famiglia, di avere un marito (come lei stessa, non tanto per scherzo quanto in un impeto di sincerità aveva dichiarato a Otradnoe), solo la madre dunque si stupiva dello stupore della gente che non capiva Nataša, e ripeteva di aver sempre saputo che Nataša sarebbe stata una moglie e una madre esemplare.«Il fatto è che lei spinge all'estremo il suo amore per il marito e per i figli,» diceva la contessa,«tanto che a questo livello la cosa diventa perfino stupida!» Nataša non seguiva quell'aurea massima professata dalle persone intelligenti e particolarmente dai francesi, secondo la quale una ragazza, sposandosi, non deve lasciarsi andare, non deve trascurare i propri talenti, deve invece aver cura del proprio aspetto ancora più che da ragazza, deve cercare di affascinare il marito come lo affascinava quando marito non era ancora. Nataša, invece, aveva abbandonato di colpo tutte le sue attrattive, fra le quali il canto spiccava in modo particolare. E lo aveva abbandonato proprio perché era una forte attrattiva. Nataša non si curava né delle proprie maniere né della delicatezza dei discorsi, né di mostrarsi a suo marito negli atteggiamenti più favorevoli, né della toilette, né di infastidire ilmarito con le sue pretese. Sentiva che quei mezzi di seduzione che l'istinto le aveva insegnato ad usareprima, ora sarebbero risultati solo ridicoli agli occhi del marito a cui si era data tutta sin dal primo momento, cioè con tutta l'anima, senza tenere per sé un solo cantuccio. Sentiva che il legame con lui non si basava su quei sentimenti poetici che lo avevano attratto verso di lei, ma su qualcosa d'altro, di nondefinibile, ma forte, come il legame della sua anima con il corpo.Farsi i boccoli, mettere le robes-randes e cantare romanze per affascinare suo marito le sarebbeparso altrettanto strano che abbellirsi per piacere a se stessa. Abbellirsi per piacere agli altri forse leavrebbe anche fatto piacere - non ne era proprio sicura - ma non ne aveva assolutamente il tempo. La ragione principale per cui non si dedicava né al canto, né alle toilettes, né si curava di riflettere su quantodiceva, era che non aveva assolutamente il tempo di occuparsi di queste cose.È noto che l'uomo ha la capacità di immergersi tutto in un oggetto, anche in quello che può sembrare il più insignificante. Ed è noto che non esiste un oggetto così insignificante che non si dilati fino all'infinito qualora vi si concentri l'attenzione.
L'oggetto che assorbiva completamente Nataša era la famiglia, ossia il marito, del quale bisognava occuparsi in modo che appartenesse completamente a lei, alla casa; e ai figli, che bisognava portare nelventre, partorire, allattare ed educare.
 E quanto più non con l'intelligenza ma con tutto il suo essere penetrava nell'oggetto che la occupava, tanto più questo oggetto si dilatava e tanto più deboli e insignificanti le apparivano le sue stesse forze, per cui le concentrava tutte sempre in quella direzione, e ciò nonostante non riusciva a fare tutto quello che le pareva necessario.Anche allora, esattamente come oggi, si discuteva e ragionava sui diritti delle donne, sui rapportifra i coniugi, sulla loro libertà e sui loro diritti, anche se allora non si chiamavano ancora questioni; ma erano problemi che non solo non interessavano Nataša, ma le riuscivano anche incomprensibili.
 Anche allora, come oggi, tali questioni esistevano soltanto per quelle persone che nel matrimonio vedono unicamente il piacere che i coniugi si danno l'un l'altro e non tutto il suo significato che sta nellafamiglia. Le discussioni di un tempo e le odierne questioni, analoghe a quelle sul modo di ricavare il maggiorpiacere possibile da un pranzo, allora non esistevano, come non esistono neanche oggi per le persone perle quali lo scopo di un pranzo è nel nutrirsi e lo scopo del matrimonio è nella famiglia.Se lo scopo del pranzo è il nutrimento del corpo, chi mangia in una volta sola due pranzi ne avràforse un maggior piacere, ma non raggiungerà lo scopo, perché lo stomaco non digerisce due pranzi. Se lo scopo del matrimonio è la famiglia, chi vorrà avere molte mogli o molti mariti, ne ritrarrà forsemolto piacere, ma in nessun caso riuscirà ad avere una famiglia.Tutta la questione, se lo scopo del pranzo sia il nutrimento e lo scopo del matrimonio la famiglia sirisolve solamente col non mangiare più di quanto lo stomaco possa digerire e non avere più mogli e mariti di quanto è necessario per una famiglia, ossia una e uno. Nataša aveva bisogno di un marito. Ora l'aveva. E non solo non vedeva la necessità di un altro, miglior marito, ma, dato che tutte le sue energie spiritualierano concentrate su questo marito e sulla famiglia, non poteva nemmeno immaginarsi e non leinteressava minimamente farlo come sarebbe stato se tutto fosse stato diverso.
Nataša non amava la compagnia degli estranei in genere, ma tanto più aveva cara la compagnia dei familiari, della contessa Mar'ja, del fratello, della madre e di Sonja. Le era cara la compagnia delle personealle quali poteva presentarsi spettinata e in vestaglia, uscendo a grandi passi con aria felice dalla stanza deibambini, e mostrare un pannolino con una macchia gialla anziché verde e ascoltare parole rassicuranti sullasalute del bambino.
Nataša si era lasciata andare a tal punto che i suoi vestiti, le sue acconciature, le sue parole dette acasaccio, la sua gelosia - era gelosa di Sonja, della governante, di ogni donna, bella o brutta che fosse -erano continuamente oggetto di scherzi da parte dei familiari. Era opinione generale che Pierre fosse completamente succube della moglie, ed effettivamente era così. Fin dai primi giorni di matrimonio Nataša aveva avanzato le sue pretese. Pierre era rimasto molto sorpreso da questo modo di vedere della moglie,che gli riusciva assolutamente nuovo, secondo il quale ogni istante della sua vita apparteneva a lei e allafamiglia; si era stupito delle pretese della moglie, ma ne era rimasto lusingato e vi si adeguava.La sottomissione di Pierre arrivava al punto che non osava non tanto corteggiare, ma neancheparlare sorridendo con altre donne, non osava frequentare i club, andare a dei pranzi, neppure così
, perpassare il tempo, non osava spendere denaro per sé, non osava assentarsi da casa per lungo tempo, tranne che per affari, tra i quali sua moglie includeva anche i suoi studi scientifici, di cui non capiva nulla purattribuendovi grande importanza. In cambio Pierre aveva il pieno diritto di disporre a suo piacimento in casa sua non solo di se stesso, ma dell'intera famiglia. In casa Nataša era agli ordini del marito, e tutti incasa camminavano in punta di piedi quando Pierre era occupato, leggeva o scriveva nel suo studio. Glibastava manifestare una qualsiasi preferenza per vederla subito realizzata. Gli bastava esprimere un desiderio perché Nataša balzasse in piedi e corresse subito a esaudirlo.
L'intera casa era al suo servizio, al servizio cioè dei suoi desideri che Nataša si ingegnava adindovinare. Il modo di vivere, la residenza, le conoscenze, le relazioni, le occupazioni di Nataša, l'educazione dei figli, tutto assecondava la volontà espressa da Pierre, non solo, ma Nataša si sforzava di intuire che cosa si poteva dedurre dalle idee enunciate da Pierre mentre conversava. Ed indovinava con sicurezza ciò cheformava la sostanza dei desideri di Pierre e una volta indovinatala, vi si atteneva con fermezza edefinitivamente. Quando accadeva che lo stesso Pierre esprimesse l'intenzione di cambiare un propriodesiderio, lottava contro di lui con le sue stesse armi.Così, in un periodo penoso, che rimase per sempre impresso nella loro memoria, dopo la nascita del primo figlio, molto debole di costituzione, quando avevano dovuto cambiare tre balie e Nataša si era ammalata dalla disperazione, Pierre le aveva illustrato un giorno le idee di Rousseau, che lui condividevacompletamente, a proposito dell'innaturalezza e della nocività delle balie. Quando nacque il secondo figlio,nonostante l'opposizione della madre, dei medici e dello stesso Pierre, che erano insorti contro il fatto cheallattasse, cosa che allora era ritenuta inaudita e nociva, aveva insistito nel suo proponimento e da alloraaveva allattato tutti i suoi bambini.Molto spesso, nei momenti di irritazione, accadeva che marito e moglie litigassero, ma moltotempo dopo la lite, con sua gioia e meraviglia Pierre scopriva non solo nelle parole ma anche nelle azionidella moglie quella stessa sua idea contro la quale essa si era schierata. E non solo trovava quella stessa idea, ma la trovava emendata di quanto c'era in essa di superfluo e di esagerato, provocato dall'eccitazionee dalla lite.Dopo sette anni di matrimonio Pierre aveva la lieta e ferma consapevolezza di non essere un uomocattivo; lo sentiva perché si vedeva riflesso in sua moglie. In se stesso sentiva tutto il buono e tutto il cattivomescolati insieme che si offuscavano a vicenda. Ma in sua moglie si rifletteva solo ciò che vi era in lui diautenticamente buono; tutto ciò che non era completamente buono veniva cancellato. E questaoperazione avveniva non per una via logica, ma tramite un misterioso e immediato processo di riflessione.

lunedì 11 giugno 2012

osservare lì dove gli altri sanno solo vedere

Su un  bell'articolo di "laLettura", inserto colto del Corriere della Sera, mi sono ritovata tra le foto di Barnack, Cartier- Bresson e Rodcenko scattate con la Leica, mitica, prima macchina fotografica compatta della storia.
 BISOGNA PENSARE PRIMA DI SCATTARE UNA FOTOGRAFIA E DOPO AVERLA SCATTATA, NON DURANTE. IL SUCCESSO DIPENDE DAL LIVELLO DELLA CULTURA PERSONALE, DAL PROPRIO INSIEME DI VALORI, DALLA BRILLANTEZZA DELLA PROPRIA MENTE E DALLA PROPRIA VIVACITÀ. BISOGNA EVITARE A TUTTI COSTI CIÒ CHE È ARTIFICIALMENTE COMBINATO, IL CONTRARIO DELLA VITA... 
HENRI CARTIER-BRESSON

Henri Cartier-Bresson - Granada, 1933


Alfred Eisenstadt - the kiss


Alexander Rodchenko- ragazza con Leica

Oskar Barnack - alluvione a Wetzlar


credo si sia trattato di una rivoluzione, il segno di un cambiamento epocale, una svolta per il fotogiornalismo, dall'ingombro delle antiche camere alla maneggevolezza della prima compatta. da lì Cartier-Bresson prese il volo e molti altri con lui. 
leggo sull'articolo una curiosità divertente. che i rullini fotografici contengano 36 fotogrammi nasce da una questione estratta dalla normalità intima e quotidiana: Oskar Barnack, l'inventore, per tagliare la pellicola e avvolgerla nei primi caricatori aveva usato come unità di misura la distanza tra le sue braccia aperte. trentasei fotogrammi, appunto.

“La mia Leica è letteralmente il prolungamento del mio occhio ... il modo in cui la tengo in mano, stretta sulla fronte, il suo segno quando sposto lo sguardo da una parte all’altra, mi da l’impressione di essere un arbitro in una partita che mi si svolge davanti agli occhi, di cui coglierò l’atmosfera al centesimo di secondo”.

HENRI CARTIER-BRESSON

lunedì 4 giugno 2012

l’idiozia della perfezione

venerdì sabato e domenica sono a Bologna, non per desiderio di avvicinarmi all'epicentro del sisma ma per seguire un convegno lacaniano: Molteplicità delle indentificazioni. Unicità del godimento.
che titolo non è vero? chissà come e quanto ci capirò...ma non posso che tentare l'impresa, sono attrata come l'ape sul miele, spero la frustrazione dell'ignoranza non sia abissale.
in preparazione all'evento girano nella mia posta articoli dei vari partecipanti che anticipano il senso di quello che andiamo a sentire.
a volte arrivano testi illeggibili per volontà esecrabile di non intelliggibilità della popolazione lacaniana, un vezzo veramente deprecabile di taluni psicoanalisti di questa scuola, altre volte arrivano testi come questo, meravigliosamente chiari e schietti, dettati dalla volontà di chi parla di comunicare, e in che strepitoso poetico modo, e di rendersi parte di un discorso.
pubblico per dovere e per piacere, immensi, doppiamente riconoscente a chi avvalora la mia ipotesi: chi profondamente sa, sa farsi capire molto bene. 


(Dalì per sempre, perchè io l'inconscio lo immagino così.)


Non sempre sfogliare la cipolla fa piangere


Sergio Caretto


Che piaccia o meno, la cipolla è un bulbo rievocato a più riprese nell’opera freudiana quale metafora per rappresentare la molteplicità delle stratificazioni identificatorie di cui l’io si nutre, al fine di evitare al soggetto l’incontro col reale della divisione. In Freud l’identificazione paterna sarebbe fondante e alla base delle successive identificazioni e, anche per questa ragione, dirà che non vi è lutto più doloroso da compiere per un uomo che quello legato alla morte del proprio padre. Come apprendiamo in una lettera a Fliess dell’ottobre del 1896, fu proprio il confronto col reale della morte del proprio padre a costringere Freud ad intraprendere la propria analisi personale, nel tentativo di far fronte ad un doloroso senso di smarrimento e sradicamento mai vissuto prima. Il reale ”se ne fa un baffo” dell’ideale paterno, facendo saltare la pretesa perfezione della cipolla e rivelando che anche il padre, per dirla con l’ultimo Lacan, non era che un sintomo. Analisi dunque quale percorso per elaborare il lutto della propria versione paterna e per giungere a cogliere il nocciolo di reale che concerne il soggetto nel suo più intimo e nella sua unicità.
A far luce sul bulbo in questione: la parola al poeta.
  

La cipolla
La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollinità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.
In noi ignoto e selve
Di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla-cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.
Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.
La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
Da sé si avvolge in tondo.
In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
L’idiozia della perfezione.
Wisława Szymborska