bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 31 agosto 2017

lunedì 28 agosto 2017

domenica 27 agosto 2017

è Fang Zhaolin











è Fang Zhaolin l'autrice di questi straordinari dipinti.
sono a Palazzo della Permanente a Milano.
una vita a disegnare lo stesso soggetto, una ricerca artistica inconfondibile, unica.
si respirano magia e oriente, c'è aria di pace; lei, vedova e madre di otto figli, era bellissima, da giovane, da anziana, sempre.
lieve, soave, una perla.
esattamente ciò che non sono.
mi piace da morire.

il castello di Heidelberg











di questo breve viaggio in Germania, imponente e teutonica, distrutta straziata dalla guerra e poi disordinatamente ricostruita, la visita di questo castello in una bella città universitaria quale Heidelberg -seppure colpita da sindrome di globalizzazione-, è stata la folgorazione di bellezza, tra romanticismo tedesco e sfarzose facciate rinascimentali.

venerdì 18 agosto 2017

le otto montagne

delle Otto montagne di Paolo Cognetti (e dove mai potevo leggerlo?) non comprendo l'innesto del Nepal, è stonato. capisco sia funzionale allo svolgimento della trama, o meglio alla composizione del titolo, ma sono i pezzi narrativi in cui mi sono completamente estraniata, perché sono corpi estranei.
ne ricavo invece la bellezza della montagna, per chi la ama.
è un libro in bianco e nero, così come sono in bianco e nero le bellissime cartoline e fotografie della montagna, anche di Ortisei, negli anni 60 o prima ancora, quando era montagna. sono struggenti, mi procurano una nostalgia tremante per ciò che era e non è più, sono l'emblema di una purezza perduta, case essenziali, strade ampie, nessuna vetrina, uomini con i pantaloni di velluto alla zuava e donne con i fazzoletti in testa.
io della montagna amo il verde, quello brillante dei prati in contrasto con quello scuro degli abeti.
le rocce mi fanno paura. se rosate dal tramonto mi adeguo al gusto comune, se grigie o nere o graffiate dalle frane, se intervallate da forcelle pietrose, mi irrigidisco, sono luoghi di contrasto, sono anime nere.













mi tranquillizzo al suono delle Ganes, trio ladino che canta e suona rievocando la lingua e le leggende di queste valli. le ho ascoltate in cima al paso Sella, chiuso al traffico ogni mercoledì. l'unica giornata nuvolosa della settimana, l'unico giorno in cui sono in gita. mi sono consolata, nonostante tutto, al pensiero delle fate dell'acqua, alle streghe delle rocce, delle amazzoni dal cuore di pietra (figure mitiche leggendarie delle dolomiti che già avevo incontrato alla visita di Firmiano, qualche anno fa - http://nuovateoria.blogspot.it/2014/09/mmm.html).

oggi, mentre quelli da giorni e giorni e giorni vanno sul Puez, sullo Stevia, verso le Odle, mi avvio verso San Giacomo, in un tentativo di riconciliazione, intenerita dal libro, ma  sbaglio fermata dell'autobus e poi sbaglio strada, allungo di molto il tragitto, mi affanno con la mia insufficienza mitralica che si fa tristemente sentire e ritrovo, seduta e felice, riposata e allegra, in cima alla salita con la bella chiesa svettante, la famigliola con due bambini piccoli che era in autobus con me all'andata.
è lì che il dubbio mi assale: o sono ganes travestite da veneti o io mi sono, non una, ma più volte sbagliata.
montanara fallita.


giovedì 17 agosto 2017

ho perso tutto a occhi sbarrati

Soglia

Nel corpo, dove tutto ha un prezzo,
ero un accattone. In ginocchio,

guardavo, dal buco della chiave, non
l'uomo sotto la doccia, ma la pioggia

che lo trafiggeva: corde di chitarra che si sfilacciavano
sulle spalle rigonfie.

Cantava, ed è per questo
che ricordo. Quella voce-

mi ha riempito fin nel profondo
come fosse uno scheletro. Perfino il mio nome

inginocchiato dentro di me, che implora
di essere risparmiato.

Cantava. Non ricordo altro.
Perché nel corpo, dove tutto ha un prezzo,

ero vivo. Non sapevo
che esisteva una ragione migliore.

Che proprio quel mattino mio padre si sarebbe fermato
-oscuro puledro immobile nel diluvio-

& avrebbe ascoltato il mio respiro strozzato
dietro la porta. Non avevo idea che il prezzo

dell'entrare dentro una canzone - fosse smarrire
la via del ritorno.

così sono entrato. Così ho perso.
Ho perso tutto a occhi

sbarrati.

Ocean Vuong
Cielo notturno con fori d'uscita, 2017

«Tutti gli outsider vivono su una soglia: un luogo precario che a volte fa paura ma mantiene curiosi. Ho imparato a mie spese i danni di questo bisogno di identità uniche e confini certi. Il mito del melting pot, come qualcosa che appiana le differenze in una comunità omogenea, è pericoloso. La letteratura deve fare resistenza a queste semplificazioni, conservare le incertezze. Tutti possiamo scrivere come fossimo stranieri nella nostra lingua: significa produrre uno scarto, non scrivere quello che la cultura dominante si aspetta, ma mantenere uno spazio aperto per la nostra solitudine, lo spaesamento, le nostre gioie strane, le esperienze minoritarie. Quando facciamo qualcosa di davvero creativo siamo tutti degli outsider».

martedì 15 agosto 2017

un pastore e il suo cane

Ortisei.
non è più montagna, è solo shopping di montagna.
conta il pantalone targato Mammut.
lo sfoggio è l'attrezzatura.
centinaia di migliaia di euro.
lo squattrinato annaspa nel tentativo di essere all'altezza, si sforza come una bestia da soma di livellarsi, ma niente, si vede che è un pezzente.
si vede che sono una pezzente.
verso il rifugio Fredarola, nelle fasce che si usavamo per trasportare i neonati, cani chihuahua portati come infanti da donne ormai perdute, definitivamente perdute, confuse tra canineria e maternità.
lungo una gita a partenza dai laghetti di Fiè un ragazzo di 20 anni e un uomo di 50 arrivano pesantemente alle mani, tra urla e insulti, madri disperate da una parte, moglie e figlia altrettanto dall'altra, per la rissa tra due cani che ormai, profumati come due puttane in un bordello, liberi sull'erba di un percorso alpino, non si riconoscono nemmeno più. minacce insulti e ringhi, non tra i cani, tra gli umani.
non riconosco più nessuno, sono estranea a tutto. mi fanno pena i figli ignoranti perduti senza attracchi simbolici, le madri che urlano l'innocenza dei loro santi figli, gli amici e i parenti che per un regolare, e nemmeno brillante, esame di maturità regalano automobili agli amatissimi figli (dimentichi della loro propria sana educazione alla vita che li ha visti, nella medesima occasione, ricevere una sana pacca sulla spalla, bravo figliolo hai fatto il tuo dovere) inconsapevoli dei danni a se stessi e alla loro progenie, convinti che i soldi facciano davvero la differenza. vedremo, amici e parenti li avrò ancora davanti ai miei tristi occhi, vedremo come sapranno cavarsela questi figli senza desiderio.
sono nauseata e stanca, la chiamano montagna questo mercimonio, questa compravendita a prezzi folli, questo Alto Adige che se la tira alla grandissima e che parla rigorosamente tedesco e mi si rivolge in tedesco e giuro che la prossima volta mi metto a minacciare anche io,  io vorrei andarmene ora, ma non posso, anche io ho legami sociali, anche io devo abdicare alla mia libertà di espressione, anche io devo coltivare faticosamente un minimo di compravendita affettiva.
ma vedo tutto con distacco, quando, appunto, non mi viene la nausea.

su quel cammino verso il rifugio vedo una sola cosa vera, un pastore con il suo cane, il cane con le pecore, le pecore che rispondono al richiamo e si riuniscono più a nord,  il richiamo degli eventi che rispondono alla natura.
un cane.
un pastore.
ma la natura, ormai, non esiste più, se non attraverso le catastrofi, siamo solo cultura.
questa misera cultura che mi uccide ogni giorno un po'.

lunedì 14 agosto 2017

Lloret de Mar

è appena tornato, era lì, il posto è quello, la discoteca anche, lo immagino, senza saperlo, senza chiederlo.
l'ho letto sul giornale ma soprattutto l'ho visto al telegiornale.
perché le notizie non si leggono più, si vedono.
e finchè leggi una cosa puoi solo immaginarla, se la vedi il reale ti inchioda all'inimmaginabile.
un ragazzo massacrato di botte in una discoteca in Spagna.
un video riprende dall'alto.
da una parte c'è la scena che lascia senza fiato. io letteralmente smetto di respirare.
dall'altro c'è quel qualcosa che allo stesso modo mi angoscia oltre ogni limite.
i ragazzi intorno che guardano. come in un'arena, immobili.
dito su?
dito giù?
telefonini alla mano, e via si riprende, anche questo lo mando a casa.
lo invio a un amico.
quanti like?
quanti cinguettii?
e su Instagram?
l'amico, sul corriere della Sera, dice è durato un istante.
un istante abbastanza lungo per intervenire, comunque.
un istante che fa la differenza tra la vita e la morte.
e tra la vita vera e la vita guardata sempre attraverso un cellulare.
abbastanza lungo per morire di botte sotto lo sguardo acefalo, ebete, imbecille, da encefalogramma piatto, da idrocefalo, di tutti quei giovani instupiditi svuotati cannibalizzati dalla vita virtuale che scelgono, che non fanno, che non vivono, tanto da non capire se sono in un video gioco, in un video di you tube o su Anime, o su games of thrones, o sul blog di qualche fashion setter o influencer, dentro un like o un selfie.
ahhh qualcuno lo ha fatto, poi, un selfie???
che figo, che giusto perdio, fammi un selfie con il morto ammazzato in disco.
giovani di merda dove cazzo siete???
siete tutti rintronati demoliti sepolti dentro un mondo senza vita al punto da non riconoscere neppure più la morte?
forse siete già tutti morti.
di cosa siete fatti, otre che di tonnellate di nulla, se davanti a un ragazzo inerme che sanguina e geme e muore di dolore non muovete un dito?
che cosa avete nel cervello, oltre a montagne di immagini vuote inutili deleterie consumistiche di puro e semplice godi tutto godi sempre, se  non sapete sviluppare una mossa, un riflesso, un istinto (NON DICO UN PENSIERO) difronte a un massacro di botte e di violenza.
nulla.
non siete nulla.
siete quello che ci meritiamo, siete i nostri sintomi, siete gli ultimi scarti di una vita svuotata di senso, non dico morale, anche solo molecolare.

io i miei figli non li conosco, e nessuno di noi conosce più i propri figli. con buona pace di quelle centinaia di madri rincoglionite che giurano di sapere tutto ma proprio tutto dei loro adorabili bambini.
io i miei figli non li conosco e continuo incessantemente a chiedermi:
mio figlio, due giorni fa, a Lloret de Mar, cosa avrebbe fatto?