bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 29 agosto 2014

brevi note a margine: il tepore del corpo di lei è lo stesso del sangue che mormora in noi

Piaceri notturni 

Anche noi ci fermiamo a sentire la notte
nell’istante che il vento è piú nudo: le vie
sono fredde di vento, ogni odore è caduto;
le narici si levano verso le luci oscillanti.

Abbiam tutti una casa che attende nel buio
che torniamo: una donna ci attende nel buio
stesa al sonno: la camera è calda di odori.
Non sa nulla del vento la donna che dorme
e respira; il tepore del corpo di lei
è lo stesso del sangue che mormora in noi.

Questo vento ci lava, che giunge dal fondo
delle vie spalancate nel buio; le luci
oscillanti e le nostre narici contratte
si dibattono nude. Ogni odore è un ricordo.
Da lontano nel buio sbucò questo vento
che s’abbatte in città: giú per prati e colline,
dove pure c’è un’erba che il sole ha scaldato
e una terra annerita di umori. Il ricordo
nostro è un aspro sentore, la poca dolcezza
della terra sventrata che esala all’inverno
il respiro del fondo. Si è spento ogni odore
lungo il buio, e in città non ci giunge che il vento.

Torneremo stanotte alla donna che dorme,
con le dita gelate a cercare il suo corpo,
e un calore ci scuoterà il sangue, un calore di terra
annerita di umori: un respiro di vita.
Anche lei si è scaldata nel sole e ora scopre
nella sua nudità la sua vita piú dolce,
che nel giorno scompare, e ha sapore di terra.

Cesare Pavese, 1933
Lavorare Stanca 

giovedì 28 agosto 2014

brevi note a margine: famiglicidio

ho letto figlicidio, sul giornale.
noelogismo dopo femminicidio (che già aveva uxoricidio come definizione classica).
mettiamoci famiglicidio, adesso, così abbiamo fatto l'en plain.
si comincia presto a fare danni, e sono molto diffusi.
qualcuno si salva, nonostante tutto, qualcuno, lo leggiamo tutti i giorni, no.
si comincia presto a innescare quel meccanismo di non riconoscimento dell'altro, di quel figlio, da parte di quell'adulto, non-genitore.
la genitorialità è in crisi, diciamo così per non andare subito sul tragico. sempre più spesso si comincia a pensare di fare i genitori, soprattutto le madri, superati i 40 anni, e guai dopo a non riuscirci, guai e dico guai, sono tragedie e la scienza purtroppo mette pezze a immaturità patologiche che esigono la loro parte nel mondo nonostante il tempo abbia detto stop, ma genitori non si diventa grazie al DNA.
ora le coppie, uomini e donne che hanno vissuto ignari di questo desiderio, coltivando solo il godimento personale, improvvisamente lo colgono come una margherita in un bel prato, pensano di fare figli senza che questo comporti alcun cambiamento nel proprio stile di vita. mettere al mondo un figlio non deve comportare, oggi, alcun sacrificio -in alcuni casi estremi nemmeno la fatica della gestazione affittando uteri in giro, che il girovita mi si deforma- è un gioco come fare un viaggio in Nepal. anzi, finito il viaggio in Nepal, si guarda il calendario, il prossimo viaggio lo faccio in clinica, e quello ancora di nuovo in California, non cambia nulla, tutto rientra in un vortice di gesti dovuti al movimento rotatorio della terra, mondani, di capriccio, di passatempo, di oggettistica che crea stato sociale da esibire su facebook, una spiaggia in Indonesia come un neonato appena nato. è la stessa cosa. lo genero ma non deve generare fastidio, sacrificio, perdita, cambiamento, rinuncia, insonnia, minimizzazione della vita sociale, preoccupazione, presa in carico, educazione, fatica. NIENTE: lo genero e poi ci penserà da sè, il tour operator farà il suo lavoro al posto mio. 
la generazione, e prima ancora ormai la fecondazione, è un gesto alla moda, a un certo punto inaspettatamente si deve, e appunto, se si è un filo in ritardo, lo si esige dalla scienza come dovuto (e la scienza ormai ha dimenticato l'etica, risponde alle esigenze di consumo come un supermercato), senza alcuna assunzione simbolica che la procreazione esige veramente. così si mette al mondo un oggetto di consumo che rimane estraneo e che si può decidere che esista o meno a seconda del fastidio del momento. questo con vari gradi di gravità, ovviamente, si può semplicemente generare l'autismo, oppure il non riconoscimento per tutta la vita, oppure il possedimento come un oggetto d'acquisto per tutta la vita, oppure la violenza per tutta la vita, fino all'eliminazione fisica e la vita finisce come finisce l'estate perché simbolicamente quella vita non è mai stata acquisita, è rimasta nel limbo della semplice molecolarità, senza senso, senza significato, senza assunzione affettiva. 
sono in pizzeria e mangio la mia pizza.
di fronte vedo una piccola famiglia, madre e padre e un piccolino, poco più di un anno direi. il piccolo è sul suo seggiolino da tavolo. ha già mangiato quasi sicuramente, è tranquillo, dico io, veramente tranquillo, un angelo, penso, i genitori mangiano e discorrono serenamente tra loro, mangiano la pizza, nessun problema. riguardo e sono basita, penso a me anni fa, non erano così tranquilli. a quell'età, a tavola, i miei. ma mangiare fuori, a pensarci, non ci si andava proprio, a tavola al ristorantecon i grandi  raramente, solo in occasioni speciali, primo perché era un fatica titanica tenerli al loro posto, secondo perché alle 20 e 30 i bambini di 15 mesi sono già a a letto a dormire -è chiaro che possiamo lamentarci tutta la vita dei figli che non dormono ma se non facciamo la penosissima mondiale snervante e pazientissima fatica di insegnare loro a dormire non dormiranno mai.
poi, improvvisamente, capisco.
il piccolo, seduto al suo tavolo come un adulto ha, piazzato davanti alla sua faccia, posto di fronte appoggiato al bicchiere, un oggetto, immagino l'iphone del papà, magari quello del papà e, perchè no, anche l'altro della mamma. un oggetto, mica transizionale!!, digitale che trasmette immagini.
l'oggetto bambino è ipnotizzato -ecco lo sguardo vuoto fisso immobile che scorgevo in lui- paralizzato dall'immagine virtuale, immobilizzato dai pixel, annullato. l'oggetto bambino viene neutralizzato, e si comincia presto, probabilmente già da mesi, mediante, ancora una volta, l'aiuto di questa scienza tecnologica virtuale duale schizofrenogenica ma utilissima, anzi fondamentale, e non crea disturbo. è come se non ci fosse, nativo digitale.
è fantastico no?, vado al ristorante con un piccolo di 15 mesi  ma è come se non esistesse. il cuore pulsa là dentro, ma non c'è. l'essere è già immerso nel modo simbolico genitoriale, ma non c'è. l'affettività comincia a lavorare là dentro, ma non c'è. tutto succede ma nulla procede.
mangio in pace, chiacchiero, mi godo il primo e il secondo magari il dolce e non mi alzo dalla sedia mai, non mi preoccupo un secondo mai, non mi devo inventare giochi faccine suoni guizzi smorfie canzoncine mai, non devo pensarmi genitore mai, non devo nemmeno mai chiedermi: ma chi me lo ha fatto fare?, mai. non parla, non piange è fisso sullo schermo. è annientato, cresciuto, intrattenuto, stimolato dal videogioco con gli smile. c'è ma non c'è e grazieaddio adesso è così. pensa a quei coglioni dei miei genitori che non uscivano mai...
ed è così che si comincia la lenta distruzione dell'altro da sè, di quel piccolo con diritto di vita, dopo averlo messo al mondo. 
c'è ma non c'è. il corpo c'è -e ha un valore? o vale davvero poco? è un bene? o si svaluta?- ma l'esserci, il consistere, il vivere in quanto umano, mai esisterà, simbolicamente, nella mente dell'altro. di suo padre. di sua madre.

martedì 26 agosto 2014

brevi note a margine: quando proprio non capisco

intanto a Milano ho passato il mio ultimo fine settimana di vacanza in pace con i miei provati sensi.
finalmente calore, tepore, luce, bicicletta, finestre aperte, aria tersa quasi settembrina (in compenso ieri e oggi: autunno!)  
la montagna, d'estate, è contro natura. e nessuno potrà mai convincermi del contrario (anche d'inverno lo è ma qui è più difficile trovare le argomentazioni giuste senza magari, che so, sembrare un filo fanatica e stupida, quindi lo penso ma non lo dico).
detto questo per me vacanza è, sopra ogni cosa, lettura, ma non di libri, che divoro -letti e ascoltati- già abbondantemente durante tutto l'anno, ma del giornale. il Corriere della Sera  lo leggo tutto e tutti i giorni, compresi tutti gli inserti, La lettura e Sette i miei favoriti. lo leggo in spiaggia, godimento divino, e anche a Ortisei sotto la coperta mentre fuori grandina, unico elemento che mi rende sopportabile l'agonia della giornata altoatesina.
come comincio a lavorare non lo leggo più. la giornata non me lo consente o, forse, meglio essere sinceri, non me lo consento. una perdita incommensurabile e un ineluttabile re-inabissamento nella mia grigia ignoranza delle cose del mondo. vedi a lavorare...che danni...!?
quel che noto a margine oggi, sono gli articoli, per lo più leggeri e dicostume, di Maria Laura Rodotà.
giornalista del Corriere, si trovano, nel mese di agosto, suoi trafiletti sul quotidiano, ieri anche un articolo già in prima pagina sull'identificazione in personaggi di telefilm americani, e alcune rubriche fisse su Io Donna e su Sette, in particolare. quivi tiene una rubrica "del cuore" -D'Amore e di Altri Disastri-, ma con tono diciamo spigliato, brillante, brillantissimo, neologismi, modernismi, Gran Bastardi, e Vere Depresse, riferimenti cool, linguaggio easy, molto quotato e molto all'ultima moda verbale, molto trendy, all'uso giovanile ma non solo, all'uso internettiano delle nuove relazioni mondane.
insomma, per dirla in breve, un linguaggio che io non capisco.
tipo:
Terapia consigliata. La verità sulla cinquantenne femmina contemporanea, secondo me, più che nelle tue disinvolte considerazioni sul turismo sessuale (che può essere sia patetico sia rischioso) è in una tua parentesi: Detta cinquantenne “qualche volta cerca di fidanzarsi, ma questa è davvero un’altra storia”. In effetti. Trattasi di generazione avventurosa – la seconda e l’ultima che si è potuta permettere, socialmente e finanziariamente, di esserlo – e con gli umarells non si trova. Il che non impedisce di restare amici, o di restare sposati, spesso. 
boh. ma non capisco bene quel che dice e scrive, anche a rileggerla una seconda volta, in risposta alle lettere che riceve. capisco di più, ma non sempre!, negli articoli singoli, brevi e concisi, ma mi perdo senza meta quando recluta quel quel tono di spirito all'ultimo respiro, alla battuta pronta, all'allusione virtuale, alla dimensione relazionale on demand di comevailmondotrauominiedonnemanonsolo.
sono tagliata "fuori". sono ferma a un piccolo mondo antico, la velocità e l'allusività modernista di certo linguaggio mi aliena e mi svuota lasciandomi interdetta. perchè non capisco?
oibò (direbbe lei). oppure vabbè. oppure, fate voi. 

sabato 23 agosto 2014

brevi note a margine: marigold hotel

una nota di merito all'eleganza strepitosa di Judi Dench in Marigold Hotel - film godibile, ironico, senza pretese -che è poi l'eleganza delle donne indiane.
ma lei non è indiana e non è una ragazzina, ma ho invidiato ogni cosa che avesse indosso.






quando andai a Sri Lanka, una vita fa, ero giovane e bella.
piano piano mi vestii interamente di cose comprate sul posto, per due lire. corpetti, pantaloni, tuniche, sari, lunghe sciarpe, cotone e colore.
non sono mai stata così giovane e bella.

venerdì 22 agosto 2014

brevi note a margine: Maria Luisa Spaziani, morgane

La cometa


Quel mio amore per lui aveva ali di cera
lunghe le ali sembravano eterne
battevano il cielo sicure, sfioravano picchi,
puntavano al sole con nervature nervine.

Fuse le ali ormai mi ricrescono dentro,
soltanto ora perdute mi diventano vere,
e ai cuori incauti grido: la passione è un fantasma
troppo importante, uomini, per potersi incarnare.

Chiomate vaganti comete di Halley, presagi
disastri prodigi che infiammano e gelano il sangue,
nessuno osi fissarvi, si arrischi a sfiorare
coaguli di pura lontananza - morgane.



cosa fa una poesia? una parola.
morgane.
la Spaziani si diceva poeta, non poetessa. "la poesia è tale perchè lo è, oltre i generi. universale, indefinibile, impenetrabile, infallibile. è la parola perfetta di cui l'uomo, l'umanità, ha bisogno".

brevi note a margine: Romantik Hotel Turm, Fiè allo Sciliar

qui siamo nell'ambito della bella ristorazione, anche se la sensazione, ancora una volta, è di un inquinamento, di uno scivolamento, lieve ma palpabile.






il posto è molto bello e suggestivo.

Fiè allo Sciliar non è, per fortuna, Ortisei.
ogni anno la seconda si carica di costi, di maleducazione, di cattivi servizi solo in odore di soldi e non di qualità, di nuovi e ancora altri e ancora aggiuntivi inutili superflui alberghi, inaccessibili a uno stipendio medio, selziona clientela sempre più ricca ma non per questo raffinata, anzi romana, da portafoglio gonfio, sguaiata, maleducata, grossolana, solo in eccesso vergognoso di euro, ragazzini e madri e intere famiglie travestite, ma non per questo competenti, in modo tecnico con equipaggiamenti, per una settimanella di vasca a fondo valle, che da sole vale una fortuna, madri in accento caciaroso, toni di voce intollerabili, malghe e baite con costi per persona a pasto che nemmeno a Milano in pieno centro.
lasciatemelo dire, uno schifo. di spirito di montagna ormai non c'è più nulla, Ortisei è una vetrina falsa, di plastica, si mangia e basta, si passeggia al massimo. di montanari in odore di gloria di vette e di muscoli tesi, più niente. solo vetrina.
Fiè è rimasta antica, sosta alla base dello Sciliar, la mia preferita tra tutte le dolomiti, non c'è costruzione, abusivismo, negozi intimissimi con il tanga in pizzo difronte all'osteria storica. certo ordine e disciplina, le vecchie abitudini in odore di rigore in tema di razza pura, ma almeno...è bello.
poca gente, piazze ampie e fontane, ci fosse stato il sole (??) avremmo anche avuto il bene del rosa del tramonto.

l'albergo Turm è di un'eleganza raffinata, senza eccessi, caldo, all'ombra delle candele, un bel posto.
esclusivo, ovvio.
caro, abbastanza (ma accessibile).
di gran gusto, certamente.
e si mangia molto bene, ma veramente bene.
ma rispetto alle altre volte in cui sono venuta, ormai moltissimi anni fa, e una volta ho anche cenato fuori con lo Sciliar che mi guardava rosa fisso negli occhi e mi ipnotizzava con le sue candide streghe, qualcosa è cambiato.
il tavolo era nella sala della cena dell'albergo. e questo non va. troppa cagnara della famiglia fissa in hotel che mangia gli spaghetti e si serve al buffet con il maitre che parla troppo, servile, strisciante, troppi aggettivi per la quattordicenne in fase di sviluppo e il fratello ciula alto due metri.
il maitre, apppunto, lo stesso da venti anni, un po' grezzo, con modi rudi e sbrigativi, tono di voce troppo alto. 
domanda: è sempre lei? veniamo qui da tanti anni. 
si sempre io, venti anni, troppi, dice. 
e si vede caro mio, si vede, ti sei consumato.
gli dico che il tavolo è buio, veramente troppo buio, gli chiedo delle candele e mi risponde - prina: CANDELE??-  e poi, un po' scortese e burbero, che alzerà solo la luce, ma buio, il tavolo, rimane lo stesso. al tavolo il paniere contiene due panini in croce. mi ricordo perfettamente il passare continuo del cameriere che riforniva, senza richiesta con pane locale nero di diversi odori e fatture, papavero, cumino, segale...
cambiato. ed è quello il segreto dell'eleganza e del servizio di livello, prevenire la richiesta, osservare che il pane in quel cestino fa pena, sembra lasciato lì dal commensale precedente, e il tavolo è in posizione di buio pesto...non lo devo dire io, non qui.
mangiamo e beviamo bene, ma caspita! nessun accenno di piccola pasticceria finale come una volta. la sensazione generale è buona, ma scaduta. ebbene si.
a tavola si parla, ma amche lì, ormai, si è perso qualcosa, qualcosa che non so più dire, e non voglio mai più discutere ma sorvolare, le parole rimangono ancorate in basso, ormeggiate alle corse vocali, rimbombano solo nella scatola cranica. forse è un bene, a voler ben guardare.

giovedì 21 agosto 2014

brevi note a margine: gente di casa Ötzi

grazie ad esami approfonditi è stato fugato ogni dubbio: si tratta di una punta di freccia in selce. molto probabilmente dunque, Ötzi è morto a causa di una ferita da freccia alla spalla. la punta di freccia ha provocato un foro nella scapola sinistra, fermandosi nei tessuti a pochi millimetri dai polmoni. Non ha colpito, dunque, alcun organo vitale, ma ha raggiunto i fasci vasomotori del braccio sinistro e molti vasi sanguigni. la loro lesione deve aver causato una forte emorragia e, probabilmente, la paralisi del braccio. l’Uomo venuto dal ghiaccio deve essere morto dissanguato in pochi minuti. Su una mano è stata rilevata inoltre una ferita profonda non ancora guarita, molto probabilmente derivante da una lotta corpo a corpo che risale senz’altro a pochi giorni prima della morte. la recente scoperta di un trauma cranico con forte emorragia nella zona posteriore del cervello e una frattura del cranio fanno ipotizzare una caduta o un’aggressione poco prima della morte.

morto assassinato dunque!! a 3200 metri. 5300 anni fa. roba vecchia, roba di tutti i giorni.
va bene, detto questo e manifetsta tutta la mia simpatia per il vecchio Ötzi vorrei espreimere la mia totale antipatia per le gente di casa sua, del museo, di Bolzano e del Trentino Alto Adige. e, già che ci sono, anche gli austriaci!!
adesso basta!
la già citata impiegata che regolava la coda è stata stupida e maleducata. ci ha contemplato 2 ore di coda -falso- ci ha contemplato più di 2 ore per vedere il museo -falso- ci ha consigliato di andare a casa -ma qual è il suo mestiere?- ci ha invitato a tornare quando c'è il sole e la gente va in gita- ci ha dato dei cretini forse??- ci ha segnalato che avremmo fatto la coda per niente...tradotto: date fastidio, sgomberate la strada, non c'è posto per voi, stupidi che non siete altro a venire a Bolzano quando piove.
l'altra sua collega regolava l'entrata. ne uscivano 10 e ne faceva entrare 5. senza senso. ogni volta aprendo il varco diceva: a piccoli passi eh, a piccoli passi...ogni volta le stessa frase ogni volta ripetuta 2 volte.
un automa senza cervello.
infatti, poi si entra, e il museo è VUOTO.
casse vuote, poca gente dentro. 45 minuti di coda e poco più di un'ora per visitarlo, più che sufficiente.
allora???
allora queste povere ragazze automatizzate come robot rispondono al principio superiore dell'ordine e della pulizia, scoraggiare il turismo, dare ordini anche in entrata (non consigli, imposizioni su dove lasciare gli zaini negli armadietti...vuoti), lasciare una lunga e inutile coda all'esterno perchè il museo sia ORDINATO. PULITO. SELEZIONATO. tutto a posto, come i cassetti di casa. il museo non ha funzione culturale e di accoglienza rispetto a una tradizione locale, non ha valore divulgativo e di apertura conoscitiva, ha solo lo scopo di lustro di una patologia ossessiva, la visualizzazione documentata su come si manda avanti una buona amministrazione di casa, la legalizzazione dell'ossessione, la realizzazione concreta della compulsione, la materializzazione del disturbo mentale del DSM.
e qui è tutto così. il Trentino Alto Adige, e ancora di più l'Austria, sono la condensazione materica ed ineludibile del principio dell'ordine e dell'ossessività, inutili baluardi contro la morte che ci aspetta tutti comunque. quel gran casino della morte. bleah...
entri in un negozio, ti accolgono con un falso sorriso, dici che vuoi dare un'occhiata -avete idea di quanta roba c'è dentro un negozio di manifatture di queste parti??- e le due commesse, a Ortisei, commentano la tua affermazione in ladino. cosa si saranno dette mai? indoviniamo? cosa dire di queste altre due povere ragazze lasciate al loro triste desino? l'analisi mi ha insegnato a non reagire, guarda e passa, ma le mie pulsioni aggressive, solo addomesticate, le avrebbero massacrate con commenti, in italiano, di vergogna.
vige il razzismo, della peggior specie, quel senso triste e vigliacco di una genia che si crede migliore, solo perchè tiene i gerani nella stessa identica filiera e stesso colore e stessa impostazione e stessa altezza in tutte le case che ha costruito in ogni singola strada e angolo di terreno, solo perchè le follie del consumismo sono poste in orizzontale anzichè in verticale -ma è aberrante anche qui, come ovvio, la costruzione di alberghi, di negozi, di cose inutili, di volgarizzazioni a costi allucinanti, di mercificazione a scopo di lucro e raggiro.
due anni fa sono andata in Austria e sono stata travolta da questi senso di noia e di inutilità, di questo ordine che cerca di creare la bellezza, come se la bellezza fosse ordine.  la bellezza è in sè, è autentica e incalcolabile, immisurabile, cercare di ricrearla sotto l'egida della paura del fuori ordine è francamente penoso. è stupido. è la banalità della stupidità, che poi è anche quella del male...
entrati in Repubblica Ceca ho respirato, bellezza pura, autentica, paesaggi fiabeschi, secondo natura...
da ultimo, il museo è bello e godibile, commenti bravi e molto chiari, una bella esposizione dell'audace storia del buon Ötzi, si vede tutto bene e si capisce tutto bene.
ma. le didascalie: in tedesco prima, in italiano poi e in inglese da ultimo. in tedesco normale, in inglese cubitale, in italiano un carattere di dimensioni tre volte inferiore agli altri due.
dobbiamo ancora informarli che in base al Trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919) il Trentino, in quanto parte del Tirolo a sud del Brennero, fu annesso al Regno d'Italia?  a quel guazzabuglio laido e disordinato del Reno d'Italia? che sporcizia, che casino, che fastidio...

martedì 19 agosto 2014

brevi note a margine: Ötzi.

in quel gioiello di Bolzano incastonato tra le dolomiti altoatesine
 (cosa si fa quando sulle mitiche dolomiti non fa che piovere?)
dopo 45 minuti di coda 
(fattibili direi, nonostante i tentativi maleducati e odiosi e incomprensibili a mio dire di una signorina all'entrata del museo che terrorizzava i turisti dissuadendoli con minaccia di almeno 2 ore di coda e quindi di trovarsi alla fine della stessa con il portone chiuso-data ora di chiusura ore 17.30)
ho fatto conoscenza di Ötzi, l'Uomo venuto dal Ghiaccio.
20 anni fa, sul ghiacciaio delle Alpi Venoste, una coppia di escursionisti rinvenne una mummia, rendendosi protagonista di una scoperta sensazionale. a seguire il recupero di Ötzi, l’Uomo venuto dal ghiaccio, conservatosi in ottimo stato per 5.300 anni insieme al vestiario e all’equipaggiamento. 

impressionante e commuovente.
vite che non finiscono mai, morti che non finiscono mai, per lui l'eternità.