bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 29 aprile 2016

il figlio di Saul

cosa posso dire, che è un bel film?
bello è una categoria che non può appartenere a questo evento cinematografico.
non ci sono categorie estetiche che si possano applicare a un film di una grandezza ineguagliabile, un film che riscrive la storia della narrazione.
è il primo film di questo regista ungherese, László Nemes, il primo dico io, e poi cosa mai potrebbe venire dopo questo?
certo al prossimo si potrà decidere se questa era l'unica storia che questa persona aveva nel destino di dover rappresentare o se altre di pari onestà, o purezza qualcuno scrive, ne seguiranno.
perché la posizione etica di chi dirige questo film ha molto da dire sulla persona che sta dentro al regista.
qui è stato rappresentato l'impresentabile, il reale inguardabile, che, infatti, del tutto non si vede, ma si vede moltissimo.
la scelta cinematografica è la sfuocatura del sottofondo, la messa a fuoco del solo protagonista o di chi entra nel suo raggio d'azione a pochi metri, e la cubizzazione dell'inquadratura, come ho già visto in Mommy, la storia si dipana in un quadrato, non nel solito formato cinematografico.
ma le scelte tecniche sono scelte etiche, in questo caso.
lo sfondo è la fabbrica della morte del campo di sterminio di Auschwitz Birkenau.
e, qui, signori, c'è l'orrore della barbarie, c'è l'insopportabilità della morte, della catena di montaggio della morte, del corpo fatto oggetto, cosa, scarto, della peggiore degradazione possibile, dell'inumano, della merda dell'umanità.
la merda la fogna l'inimmaginabile l'orrore del reale
non siamo a Hollywood, non è Schindler's List, e tanto meno la Vita è bella di Benigni (il cui premio assegnato mi è da sempre inspiegabile)
siamo nel reale, intollerabile, per questo sfuocato, ma non per questo secondario, anzi.
la sfuocatura mette il velo all'inguardabile ma non lo rende meno presente.
piuttosto lo esalta nella sua velatura, è uno sguardo continuo, cercato, è un voler sapere, perchè come sempre l'inguardabile ha sull'umano un'attrattiva feroce.
la domanda persistente, in me, è come mai alla strategia, e alla pratica, dello sterminio non è seguito il suicidio di massa di una nazione. quella tedesca, responsabile.
perché ritengo impensabile che si possa pensare di sopravvivere a quel che si è fatto.
trattavasi di psicosi collettiva?
l'assoluzione è arrivata, ma da parte di chi?
il sonoro è la parte del film che mi ha colpita al cuore, al posto della potenza delle immagini, raggiunta altrimenti, è stato esaltato il suono dell'umano e dell'inumano.
la scena della camera a gas non è svolta all'interno, è fuori, è sfuocata, ma si sente, e non la dimenticherò mai.
si sentono, nella storia, i pianti di bambini e di madri che non sono mai e dico mai inquadrati. ma la loro presenza è schiacciante.
si sente il tedesco, la lingua tedesca che urla arbeit, stück. stück? pezzo, spostate "i pezzi". i corpi nudi, gli oggetti corpi, degli ebrei sterminati prima gassati e poi arsi. c'è molta cenere, moltissima cenere da disperdere nel fiume, nel 1944, anno di ambientazione del film, avvertendo la fine dell'avventura, gli ebrei sterminati al giorno erano sull'ordine del migliaio.
e se la camere erano colme, si passava direttamente alle fosse comuni, altra scena sfuocata, ma di una violenza, percepita, inaudita.
qualcuno cercava di fotografare, per far sapere, per rompere il silenzio del segreto. ma Saul non vede più alcuna salvezza, non la sua, forse quella della sua anima.
la storia è quella di Saul e del figlio che crede di vedere in un ragazzino sopravvissuto inspiegabilmente (e per questo, dopo averlo soffocato, oggetto di interesse del medico nazista che ne chiede l'autopsia) alla gassazione.
che sia veramente o non sia veramente suo figlio, fa poca differenze. Saul è un morto che cammina, della vita non è rimasto nulla in lui. è nel sonderkommando. ovvero: speciali gruppi di deportati, per la maggior parte di origine ebraica, obbligati a collaborare con le autorità nazionalsocialiste all'interno dei campi di sterminio. compito principale dei sonderkommando fu collaborare con le SS nel processo di sterminio di altri ebrei deportati insieme a loro, durante le operazioni di rimozione dei corpi dalle camere a gas e quelle successive di cremazione. a loro il compito di condurre i deportati ignari, "ora vi fate la doccia poi avrete un te", di poi recuperare i vestiti, gli oggetti, i documenti, gli oggetti di valore, poi di cremarli  "quelli grassi per primi, sempre". gli operatori del sonderkommando (portatori del "segreto") erano comunque destinati alla morte, dopo 4 mesi di servizio.
differenza: lo sapevano.
fondamentale: le vittime si fanno carnefici, azione di una crudeltà suprema, il peso della colpa si sposta sui dannati, se leggete Questo è un uomo di Primo Levi, capirete di cosa sia stato capace il sadismo nazista.
Saul è un morto che cammina, della sua umanità non è rimasto più nulla, il suo lavoro è l'immondizia umana, è la gestione dell'inferno, non si può sopravvivere a questo. il bambino, sebbene morto, è il suo unico richiamo alla vita, è consegnare la sua morte a una forma di giustizia, quella della benedizione e della sepoltura di un corpo che fu di un uomo.
il volto di Saul è presente per tutto il film, il fuoco visivo è su di lui, tutto accade intorno a lui, la storia si compie, l'infamia dell'uomo si attua, l'atrocità che ci abita diventa realtà, tutto accade e si concentra nel suo volto senza vita.
ci rimane la consegna del suo ultimo sorriso, l'ultima immagine di un film che, per me, segna una svolta epocale.

giovedì 28 aprile 2016

Canzone Della Non Appartenenza

La grande intesa tra me e l’universo 
è sempre stata un mistero
Il grande slancio verso la mia patria
non è mai stato vero
Il tenero attaccamento
al paese natio
mi sembra l’enfasi pietosa
di un mio vecchio zio
Tutto quello che ho
tutto ciò che mi resta
è solo questa mia famiglia
che non mi basta.
Quando non c’è nessuna appartenenza
la mia normale la mia sola verità
è una gran dose di egoismo
magari un po’ attenuato
da un vago amore per l’umanità
La mia anima è vuota
e non è abitata
se non da me stesso
Non so bene da quando
l’amore per il mondo
mi sembra un paradosso.
Ma soffrire per gente di cui
non si sa l’esistenza
mi sembra il segno un po’ preoccupante
di qualche carenza
Tutto quello che provo
è una vana protesta
è solo questa mia coscienza
che non mi basta.
Quando non c’è nessuna appartenenza
la mia normale la mia sola verità
è una parvenza di altruismo
magari compiaciuto
che noi chiamiamo solidarietà.
Ma se guardo il mondo intero
che solidale si commuove in coro
i filmati di massacri osceni
i tanti primi piani di mamme e bambini
mi vien da dire che se questo è amore
sarebbe molto meglio non essere buoni.
Se provo a guardare il mondo civile
così sensibile con chi sta male
il cinismo di usare la gente
il gusto più morboso di un corpo straziante
Mi vien da dire
che se questo è amore
io non amo nessuno
non sento proprio niente.
E invece siamo nati per amare proprio tutti
indiani russi americani schiavi papi cani gatti
è proprio il mondo della grande fratellanza
per nuove suffragette piene d’isteria
O peggio ancora
è quella sporca convenienza
come sempre mascherata
dalla grande ipocrisia
la nostra ipocrisia.
Quando non c’è nessuna appartenenza
la mia normale la mia sola verità
è una gran dose di egoismo
magari un po’ attenuata
da un vago amore per l’umanità.
E non ci salva l’idea
dell’uguaglianza
né l’altruismo
o l’inutile pietà
Ma un egoismo antico e sano
di chi non sa nemmeno
che fa del bene a se e all’umanità.
Un egoismo antico e sano
di chi non sa nemmeno
che fa del bene a se e all’umanità.

non metterò punti, così per stargli dietro
ieri sera Gaber al Piccolo Teatro Grassi
con Alessio Boni e Marcello Prayer che hanno costruito un concertato a due su testi di Giorgio Gaber e Sandro Luporini 
la serata è stata molto bella, ho ritrovato quel poco che di Gaber so, ma quel che so è che l'ho ascoltato molto in adolescenza
e credo di aver fatto bene
ho ritrovato quel suo tono di voce, quell'ironia graffiante e quella meravigliosa distanza dalle cose  e quel sarcasmo sempre rispettoso che me lo fanno sentire unico e inimitabile
si sentiva anche la sua voce, anche affiancato dalla Melato, che brividi
quel che amo di più di Gaber è la sua posizione non ideologica, è l'anti-ideologia, è il senso delle cose secondo il suo personalissimo pensiero
e pensare che c'era il pensiero, scriveva
Gaber ci dovresti essere, qui, ora, vorrei sentire una tua canzone ora, ne avresti di cose da direi e io ti amerei ancora, il tuo senso darebbe ancora senso al pensiero
manchi

martedì 26 aprile 2016

San Maurizio al Monastero Maggiore

c'è da vergognarsi ma tant'è.
non conoscevo la chiesa di San Maurizio a Milano.
si lo so, la meno tanto con Milano, ci sono passata davanti decine, forse centinaia di volte, non ultimo quel giovedì del salone del mobile.
sono lì e me la conto su con palazzo Turati prima e palazzo Litta poi, e non ci bado.
c'è sempre tanta gente davanti, ma niente. 
sono il ritratto dell'indifferenza.
e dell'ignoranza.
sabato stavo andando a comprare dei cannoli, diciamoci la verità.
corso Magenta.
prima sono attratta dal cortile del Museo archeologico, poi di nuovo ci passo davanti. San Maurizio al Monastero Maggiore. e vogliamo far finta di niente anche questa volta? ma quante volte ne hai sentito parlare??
e ci entro, finalmente.
sono catturata dalla pienezza, immediatamente.
c'è un pieno di colore degli affreschi che la ricoprono interamente, del tutto, ma tutto l'interno, è un colpo, un effetto di rapimento, sono prigioniera di questo spazio.
sono così stupita che mi muovo come teleguidata, non so nulla di quel che vedo, sento parlare delle monache, degli affreschi del Luini, della divisione in due della chiesa, ma al momento non mi interessa e non ne scriverò. mi porto, trainata da qualcosa, nella parte della chiesa oltre il tramezzo ed entro in un'altra area, ancora più piena della prima, c'è un coro ligneo ai lati, ci sono affreschi ovunque, c'è un soffitto incredibile, noto un'ultima cena, anche un organo, c'è da impazzire qua dentro.
e c'è un blu intensissimo che mi guarda, pieno di stelle e di angeli e di santi e di dio, suppongo, un luogo scuro  ma colorato di blu e luminoso di oro, un buco nero di bellezza che mi calamita. questa parte della chiesa è ancora più magica della prima in entrata, le volte, le cappelle, il tramezzo, sono elementi che compongono un'armonia di spazi, è un posto incantato.
come ormai di prassi mi salgono le lacrime, quando sono colta di sorpresa da una bellezza inaspettata, oltre a quando- ma è ovvio- mi sparano addosso la cattiveria, mi sale questa emozione incontenibile, forse è davvero solo la sorpresa del bello, il dono inatteso di una meraviglia nell'atmosfera mediamente sepolcrale e misera della vita, sarà questo che mi fa andare in eruzione vulcanica, le sento che mi preme sugli occhi e mi accerchia la gola, non so cosa sia esattamente, sarà la vita che ogni tanto ancora mi assale e mi butta a terra, soverchiandomi. 
c'è da tornare capendoci qualcosa, un po' di cultura sarà necessaria, al momento mi porto dentro l'impressione di un luogo unico e pieno, una scheggia di universo che si è travestita di notte e di stelle, una porta che si apre sulla magia dell'arte e del  mistero divino.



lunedì 18 aprile 2016

spazio Nilufar

è vero che per i mobili e il design non faccio una malattia.
è vero che le location sono l'aspetto più interessante.
è tutto vero ma lo spazio Nilufar in Viale Lancetti -e siamo fuori dai grandi giri, non so se piazzale Nigra dica qualcosa a qualcuno- è un luogo di culto!

ci sono finita in base alle preziosissime indicazioni di ViviMilano relative al Fuorisalone, e dopo essermi deliziata dei tulipani a palazzo Turati, e anche essermi persa le luminarie di Palazzo Serbelloni ahimè, sono arrivata in questo luogo dimenticato dal signore, una casa anonima in un luogo anonimo ma, varcata la soglia, un bellissimo spazio di 1500 mq ha invaso il mio sguardo.
mobili vintage e una cura espositiva davvero notevole e singolare.
tutto bello e prezioso, dalle poltrone, ai tappeti, dalle luci ai tavoli.
il tutto alleggerito da uno spazio arioso e movimentato, tre piani di meraviglie e levità, è stato un vero piacere e  mi sono immaginata, e ricordata, il gusto delle case dei miei genitori e della loro generazione, lo stile della loro esistenza, e anche, per una volta, come potrebbe essere per me una bella casa in cui abitare; niente di possibile, niente di fattibile, i sogni fanno anche molto male. rispetto a quella dei miei genitori la mia è una vita ben più limitata e impoverita, una regressione impressionante. 

far bella la gente

mostra ricca e agile. si cammina leggeri.
tante foto, ma una sola impressione sopra qualsiasi altra: l'ossessione del corpo.
non c'è altro nelle foto di Herb Ritts.
solo corpo.
ci sono, certo, maestria, delicatezza, osservazione, attenzione.
cura.
sguardo.
luce e materia.
ma soprattutto corpo. un'idolatria.

è la nostra dannazione il corpo, tutto passa da lì, anni di tormento, e di godimento, dalla nascita all'ultimo dei nostri respiri.
e se il nostro non basta c'è pur sempre quello degli altri.
guardavo i provini, esposti in mostra, dalla cui analisi veniva scelta la foto suprema, quella rappresentativa, quella poi nota e famosa, quella che consacra una carriera e mi sono domandata se quel lavoro fosse una gioia o una condanna, dietro a quelle foto ho visto una dannazione.

Palazzo della Ragione Fotografia ospita la prima grande retrospettiva di Herb Ritts a Milano. 
Creatore delle immagini più incisive, sognanti e perfette dello star system hollywoodiano, Herb Ritts è stato un grande interprete della fotografia internazionale. Suoi sono molti dei ritratti che hanno costruito, è proprio il caso di dirlo, celebrities come Madonna, Michael Jackson o Richard Gere. Sue sono le fotografie patinate e oniriche della moda, dove gli abiti lucenti di Versace, i corpi perfetti delle modelle, sono immersi in una luce piena e vaporosa. 
Herb Ritts inizia la sua carriera fotografica sul finire degli anni settanta guadagnandosi la reputazione di miglior fotografo sia in campo artistico che commerciale. Oltre a produrre ritratti per riviste di moda fra cui Vogue, Vanity Fair, Interview e Rolling Stones, Ritts realizza le campagne pubblicitarie per Calvin Klein, Chanel, Donna Karan, Gap, Gianfranco Ferrè, Gianni Versace, Giorgio Armani, Levi,s, Pirelli, Polo Ralph Lauren, Valentino e altri. Dal 1988 dirige alcuni video musicali e commerciali, per i quali ricevette numerosi premi. La sua meravigliosa arte fotografica è stata oggetto di diverse esposizioni al livello mondiale e i suoi lavori si trovano in importanti collezioni pubbliche e private. Ritts era impegnato nella causa per combattere l’ AIDS, contribuendo attivamente a diverse organizzazioni di beneficenza fra le quali amfAR, Elizabeth Taylor AIDS Foundation, Project Angel Food, Focus on AIDS, APLA, Best Buddies and Special Olympics. Era, inoltre, un membro Board Of Directors per The Elton John Aids Foundation. Herb Ritts è morto il 26 dicembre 2002.

venerdì 15 aprile 2016

fuori salone, fuori tutti

non ci vado matta, per il salone del mobile.
poi ti vendono lampade e sembra che ti stiano vendendo la felicità, la chiave di volta della vita.
sono lampade, asciugamani, posate e piatti.
come se la tirano, non mi piace 'sta gente.
sono boriosi, quell'occhiale lì, quella scarpa lì, quella faccia lì...uhhh già visti, che noia.
ma l'occasione è veramente ghiotta per vedere posti straordinari.
non so nemmeno se se ne rendono conto, questi signori (fiumi di stranieri), sono all'interno di luoghi di una bellezza inaudita, sono dentro, sì, il meglio di Milano.
credimi, non  sto guardando la tua cucina, è solo una cucina, sto guardando la cornice, lo specchio, il soffitto, i marmi, i pavimenti.

ho iniziato il mio giro con la nuvola rossa nel cortile di Palazzo reale.
e vabbè. non da strapparsi i capelli.
l'aspetto commuovente è che la nuvola, ove sono localizzati video e fonti sonore da cui, cito dalla didascalia, emergevano i suoni della città, era stata presa d'assalto da uccellini chiassosissimi che la stavano già colonizzando per farne un nido.
più una pianta che una nuvola, dunque.
poi Palazzo Turati (che alla giornata del FAI prevedeva almeno due ore di coda per visitarlo) che ospita il design olandese (...). mi sono tuffata dentro e che meraviglia, sale spettacolari, restauro recentissimo, un luogo incantato.
poi Palazzo Litta che prevedeva roba varia condita da, dicono, tradizione e tecnologia, ma quel che conta erano gli interni sontuosi (e decadenti), da me mai visti prima.
poi una bufala gigantesca in un giardino di via Terraggio.
poi belle atmosfere, inquinate dalla boria generale, e pure quella particolare della padrona di casa, allo spazio Rossana Orlandi, che offre stanze con grandi vetrate che danno su un bellissimo giardino interno. c'era, tra le altre, una strana installazione di luce composta da ingranaggi di orologi incastonata nella cormnice verde del giardino retrostante che aveva un effetto strabiliante.
il tutto condito da una giornata di sole e 24 gradi di temperatura, una luce incredibile.
Milano Milano, consoliamoci così.

lunedì 11 aprile 2016

trame

già la passerella è emozionante, è chiaro che si sta varcando la soglia, quella di un mondo altro, del luogo dell'accoglienza, del destino uterino.
la prima sala è già tutto quello che si può desiderare da una mostra, bellezza, arte, talento, maestria espositiva, emozione. tutto quel che segue è solo una scia, seppure abbia una sua degnissima dignità e ricca ricchezza. gli oggetti di design sono interessanti, le icone delle sante sono un'idea geniale, la curva architettonica dell'esposizione è piena di luce e di vita.
ma.
la sala, la prima, è lì che tutto accade. sono ricami, ricami, pizzi, merletti in tutte le possibili declinazioni.
trame.
tramare, ricamare, declinazioni del verbo amare? non so, così c'è scritto, ma non è questo.
è il ricamare di Penelope, è la trama della vita, dell'attesa, delle mani esperte poggiate sul grembo, è l'immagine femminile, il gesto antico e ancestrale della sapienza, la sua delicatezza la sua bellezza la sua intimità.
gli oggetti esposti sono meravigliosi, esposti in modo supremo, la luce il suono le angolature, non manca nulla, è un'esplosione di stupore.
mi sono emozionata, così tanto, mi veniva da piangere, mi capita spesso, ultimamente, in alcune specifiche occasioni: quelle della bellezza, quelle della solidarietà, quelle della giovinezza che sale, che emerge, che si fa strada.
e quelle della memoria.
ero nella memoria, la mia, quella dell'umanità femminile, mi sembrava di circolare nel mio liquido amniotico, ho avuto una percezione fortissima di appartenenza.


Silvana Annicchiarico, curatrice, Margherita Palli, progetto dell'allestimento.
i miei complimenti. siete due giganti di bravura.

W. WOMEN IN ITALIAN DESIGN
DESIGN MUSEUM NONA EDIZIONE
2 APR 2016 - 19 FEB 2017 PALAZZO DELLA TRIENNALE
Dal 1923  La Triennale di Milano è un’istituzione culturale che produce mostre ed eventi di arte, design, architettura, moda, cinema, comunicazione e società. Dopo vent’anni torna l’esposizione internazionale della Triennale. Da aprile a settembre un appuntamento diffuso in tutta la città.

giovedì 7 aprile 2016

matrimonio creativo

lo spazio Tadini di Milano mi ha inquietato, non l'ho trovato accogliente, sapeva di cantina, era straniante.
le foto di Carlo Carletti, in compenso, erano straordinarie.

LA FOTOGRAFIA DI MATRIMONIO DI CARLO CARLETTI
Carlo Carletti, Leica Ambassador e fotografo di matrimonio di livello internazionale.

Nominato due volte fotografo dell’anno dall’americana WPJA (Wedding Photojournalist Association)
A CURA DI FEDERICAPAOLA CAPECCHI
dal 19 marzo al 8 APRILE 2016
Spazio Tadini, Milano

“La fotografia di matrimonio di Carlo Carletti” è una mostra che celebra uno dei primi fotografi a fare della fotografia di matrimonio ricerca d’autore. Le sue scelte narrative lo hanno premiato a livello internazionale e oggi, oltre ad essere Leica Ambassador è tra i primi 5 al mondo secondo la rivista internazionale JM Just Married Magazine. Sono esposte 29 fotografie in bianco e nero che manifestano l’assoluta distanza da stereotipi, sentimentalismi affettati e da una fotografia celebrativa e cliché: immagini suggestive che raccontano uno sguardo originale e una narrazione da reportage.

c'era anche una mostra collettiva, foto di nuovi autori, sempre in tema di matrimonio, ma la differenza era schiacciante. 
se nella mostra collettiva si trattava di matrimonio, foto di gruppo, mamme, bambini, spose, sposi, gli amici del marito, le amiche della moglie, lo strascico e la chiesa, con qualche angolazione e originalità, ma pur sempre iniquivocabilmente matrimonio e difficilmente altro, le foto di Carletti, trattandosi di un artista, partono da un matrimonio ma diventano narrazione, racconto, discorso.
creazione.