bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 30 marzo 2018

Era un punto di riposo che la tirava in basso, nella tana promiscua di un’unica famiglia sterminata.

"L’invisibile vocio si andava avvicinando e cresceva, anche se, in qualche modo, suonava inaccessibile quasi venisse da un luogo isolato e contaminato. Richiamava insieme certi clamori degli asili, dei lazzaretti e dei reclusorio: però tutti rimescolati alla rinfusa, come frantumi buttati dentro la stessa machina. In fondo alla rampa, su un binario morto rettilineo, stazionava un treno che pareva, a Ida, di lunghezza sterminata. Il vocio veniva da lì dentro.
Erano forse una ventina di vagoni bestiame, alcuni spalancati e vuoti, altri sprangati con lunghe barre di ferro ai portelli esterni. Secondo il modello comune di quei trasporti, i carri non avevano alcuna finestra, se non una minuscola apertura a grata posta in alto. A qualcuna di quelle grate, si scorgevano due mani aggrappate o un paio d’occhi fissi. In quel momento non c’era nessuna guardia al treno.
... L’interno dei carri, scottati dal sole ancora estivo, rintronava sempre di quel vocio incessante. Nel suo disordine, s’accalcavano vagiti, degli alterchi, delle salmodie da processione, dei parlottii senza senso, delle voci senili che chiamavano la madre; delle altre che conversavano appartate, quasi cerimoniose, e delle altre che perfino ridacchiavano. E a tratti su tutto questo si levavano dei gridi sterili agghiaccianti; oppure altri, di una fisicità bestiale, esclamanti parole elementari come “bere!” “aria!”. Da uno dei vagoni estremi, sorpassando tutte le altre voci, una donna giovane rompeva a tratti in certe urla convulse e laceranti, tipiche delle doglie del parto.
E Ida riconosceva questo coro confuso. Non meno che le strida quasi indecenti della signora, e che gli accenti sentenziosi del vecchio Di Segni, tutto questo misero vocio dei carri la adescava con una dolcezza struggente, per una memoria continua che non le tornava dai tempi, ma da un altro canale: di là stesso dove la ninnavano le canzoncine calabresi di suo padre, o la poesia anonima della notte avanti, o i bacetti che le bisbigliavano carina carina. Era un punto di riposo che la tirava in basso, nella tana promiscua di un’unica famiglia sterminata.
...Della presenza di Ida, rimasta un poco indietro al limite della rampa, non s’interessava ancora nessuno: e lei pure s’era quasi smemorata di se stessa. Si sentiva invasa da una debolezza estrema; e per quanto, lì all’aperto sulla piattaforma, il calore non fosse eccessivo, s’era coperta di sudore come avesse la febbre a quaranta gradi. Però, si lasciava a questa debolezza del suo corpo come all’ultima dolcezza possibile, che la faceva smarrire in quella folla, mescolata con gli altri sudori.
Sentì suonare delle campane; e le passò nella testa l’avviso che bisognava correre a concludere il giro della spesa giornaliera, forse le botteghe già chiudevano. Poi senti dei colpi fondi e ritmati, che rimbombavano da qualche parte vicino a lei; e li credette, lì per lì, i soffi della macchina in movimento, immaginando che forse il treno si preparasse alla partenza. Però subitamente si rese conto che quei colpi l’avevano accompagnata per rutto il tempo ch’era stata qua sulla piattaforma, anche se lei non ci aveva badato prima; e che essi risuonavano vicinissimi a lei, proprio accosto al suo corpo. Difatti, era il cuore di Useppe che batteva a quel modo.
Il bambino stava tranquillo, rannicchiato sul suo braccio, col fianco sinistro contro il suo petto: ma teneva la testa girata a guardare ii treno. In realtà, non s’era più mosso da quella posizione fino dal primo istante. E nello sporgersi a scrutarlo, lei lo vide che seguitava a fissare il treno con la faccina immobile, la bocca semiaperta, e gli occhi spalancati in uno sguardo indescrivibile di orrore.Era un punto di riposo che la tirava in basso, nella tana promiscua di un’unica famiglia sterminata."

la scrittura di Elsa Morante, che non sempre mi piace, soprattutto quando indugia sull'ineluttabilità, sulla miseria, sul destino come forme strutturali stabilite da leggi immutabili divine e ancestrali, è capace, indubbiamente di grandissima drammaticità. la sua è una costruzione scenografica della tragedia, molto toccante, troppo toccante, cinematografica.

giovedì 29 marzo 2018

la storia, "uno scandalo che dura da diecimila anni"

Col presente libro, io, nata in un punto di orrore definitivo (ossia nel nostro Secolo Ventesimo), ho voluto lasciare una testimonianza documentata della mia esperienza diretta, la Seconda Guerra Mondiale, esponendola come un campione estremo e sanguinoso dell’intero corpo storico millenario. Eccovi dunque la Storia, così come è fatta e come noi stessi abbiamo contribuito a farla.

Elsa Morante


"La donna, di professione maestra elementare, si chiamava Ida Ramundo vedova Mancuso. Veramente, secondo l'intenzione dei suoi genitori, il suo primo nome doveva essere Aida. Ma, per un errore dell'impiegato, era stata iscritta all’anagrafe come Ida, detta Iduzza dal padre calabrese. Di età, aveva trentasette anni compiuti, e davvero non cercava di sembrare meno anziana. Il suo corpo piuttosto denutrito, e informe nella struttura, dal petto sfiorito e dalla parte inferiore malamente ingrossata, era coperto alla meglio di un cappottino marrone da vecchia, con un collettino di pelliccia assai consunto, e una fodera grigiastra che mostrava gli orli stracciati fuori dalle maniche. Portava anche un cappello, fissato con un paio di spilloncini da merceria, e provvisto di un piccolo velo nero di antica vedovanza; e, oltre che dal velo, il suo stato civile di signora era comprovato dalla fede nuziale (d'acciaio, al posto di quella d’oro già offerta alla patria per l'impresa abissina) sulla sua mano sinistra. I suoi ricci crespi e nerissimi incominciavano ad incanutire; ma l'età aveva lasciato stranamente incolume la sua faccia tonda, dalle labbra sporgenti, che pareva la faccia di una bambina sciupatella. E difatti, Ida era rimasta, nel fondo, una bambina, perché la sua precipua relazione col mondo era sempre stata e rimaneva (consapevole o no) una soggezione spaurita. I soli a non farle paura, in realtà, erano stati suo padre, suo marito, e più tardi, forse, i suoi scolaretti. Tutto il resto del mondo era un'insicurezza minatoria per lei, che senza saperlo era fissa con la sua radice in chi sa quale preistoria tribale, E nei suoi grandi occhi a mandorla scuri c'era una (dolcezza passiva, di una barbarie profondissima e incurabile, che somigliava a una precognizione). Precognizione, invero, non è la parola più adatta, perché la conoscenza ne era esclusa. Piuttosto, la stranezza di quegli occhi ricordava l'idiozia misteriosa degli animali, i quali non con la mente, ma con un senso dei loro corpi vulnerabili, «sanno» il passato e il fu turo di ogni destino, Chiamerei quel senso - che in loro è comune, e confuso negli altri sensi corporei - il senso del sacro: intendendosi, da loro, per sacro, il potere universale che può mangiarli e annientarli, per la loro colpa di essere nati".


la storia, come Ida, è una specie di destino già scritto, denutrito, e informe nella struttura, povero, misero, lacero, passivo, governato da istinti animaleschi (e nel libro gli animali sono onnipresenti, a tratti più vivi degli uomini), soggiogato ai poteri forti e dominanti, stracciato da violenze insensate, guidato da barbarie profondissime e incurabili, senza conoscenza, solo precorrenza.
Ida, ne La Storia di lsa Morante, è la storia. 

mercoledì 28 marzo 2018

chissà dove te ne vai



Testo Chissà Dove Te Ne Vai - 1969


Chissà dove te ne vai
quando ti addormenti.
Chissà che sorrisi fai
che poi non ti rammenti.

Non so quali strade
conducano ai tuoi sogni
e quali cieli si aprano per te.

Ogni notte ti perdo
e mi si ferma il cuore.
Ogni giorno ti trovo
ma sei un’altra amore.

Chissà dove te ne vai
quando hai gli occhi chiusi.
Lo so e anche tu lo sai
la vita ci ha delusi.

Il nostro orizzonte
è sempre più sfumato
e il tempo vola e preme
su di noi.

Ogni notte ti perdo
e mi si ferma il cuore.
Ogni giorno ti trovo
ma sei un’altra amore.

Amore.
Amore.

non so cosa dire. questa è la canzone di Gaber che ha fatto innamorare Fossati, giovane diciottenne.
il testo potrebbe essere suo, in effetti.
dopo le canzoni dei primi anni '60, in cui comunque per musica e metrica Gaber aveva già scalzato tutte le norme e presentava canzoni profondamente diverse per quegli anni, Gaber inizia le sue collaborazioni con intellettuali e scrittori per portare a compimento l'esigenza di testi nuovi, testi pregni, testi unici. arriverà così alla collaborazione con Luporini, sodalizio prolifico e magistrale, rendiamo grazie a loro.
in questo video Gaber è diverso, è intenso, è bello, è affascinante.
il testo è bellissimo, è il mistero dell'amore, è il mistero dell'altro, che non possediamo mai.
Gaber, dove sei?

il conformista




ieri sera, come un anno fa, mi sono trovata davanti al grande dilemma.
meglio Gaber? meglio Fossati?
e poi mi sono detta, meglio tutti e due, perchè mai dovrei scegliere??
che due gran geni.
ad ogni modo Gaber mi trafigge, lo amo davvero, è un'altra freccia nel cuore, mi ricorda la mia adolescenza e quanto l'ho cantato, ascoltato, visto a teatro. e mi ricorda il senso del vivere.
sono certa che, giovane, non lo capivo come posso capirlo adesso, l'eterno grande rimpianto, avevo l'età e il mondo davanti ma non capivo niente, nulla di nulla, pur con la presunzione di capire tutto.
invece non sapevo niente e oggi ascolto Gaber con modi nuovi e con la nostalgia dei miei venti anni.
certamente Fossati me lo sono goduto di più.
ieri sera, serata straordinaria dedicata a Gaber dal Piccolo Teatro Grassi, Fossati presenta un nuovo disco, Le donne di ora, in cui ha rimasterizzato successi di Gaber e pubblicato un incredibile inedito, con la consapevolezza dei mezzi musicali, con quel gran gusto che ha, con l'arguzia di capire il genio di Gaber e la sue straordinarie intelligenza e ironia. non ne abbiamo di voci e menti così, oggi: un'ironia lucida, trasparente e trafittiva, una voce inconfondibile, un modo di fare teatro e canzone irripetibili. l'unicità ha in Gaber il suo monumento.
tra le canzoni che ho ascoltato e visto in video ieri sera c'è anche Il conformista. ho trovato solo questo video che ha questa breve incursione di Celentano, quello di ieri sera era una registrazione del 1996, ma anche questo va bene. il testo cantato da Gaber con la sua irraggiungibile maestria e padronanza mi sono valsi minuti di pura euforia. c'è spettacolo, c'è arte, c'è ricerca. c'è futuro, oltre.
Gaber, dove sei?

lunedì 26 marzo 2018

scuri (chiari)













Nicole Ahland
Mia photo fair 2018


venerdì 23 marzo 2018

Bach, alla Scala

credo di essere stata felice.
e la felicità mi procura commozione.
ieri sera ho assistito a un evento di pura bellezza che mi ha spinto verso le meraviglie dello stupore, condizione necessaria alla gioia.
credo di aver assistito alla perfezione della bellezza, quella bellezza che procura stordimento, quella perfezione armonica che causa rapimento dei sensi.
ancora adesso mi sento sbigottita, rivedere, ripensare, mi danno una percezione di altro, altro da me, altro bellissimo, altro scuotente. altro meraviglia. già mi manca, avverto un'assenza, sento nostalgia.
ho visto, alla Scala, il balletto del corpo di ballo della stessa sulle Variazioni Goldberg di Bach.
è chiaro che l'insieme di questi tre fattori, Scala, danza, Bach, erano già condizioni sufficienti, anche solo sulla carta, per creare in me un'aspettativa altissima (e pericolosa) di un evento destinato a produrre estasi. 
il mio godimento, appagato nonostante il rischio dell'aspettativa, è stato altissimo, sono andata oltre quel che speravo di trovare, ho assistito al divino. 
entro alla Scala e mi gira la testa. lo considero il luogo più bello del mondo, lo considero la dimora degli dei. il perchè lo so io, è un luogo della mente in cui faccio convergere l'educazione che ho ricevuto, l'amore dei miei genitori per l'arte e la cultura e il posto della mia eredità. è, nella mia idealizzazione fantastica, la concreta testimonianza del dono genitoriale che ho avuto in dote.
quando calano le luci, momento per me magico oltre ogni dire, innalzo una specie di preghiera e ringrazio mio padre e mia madre per quello che mi hanno lasciato, di quello che mi hanno consegnato. la danza è una forma d'arte sublime e Bach, in particolare con le variazioni Goldberg (di cui ho già avuto modo di parlare, https://nuovateoria.blogspot.it/2017/12/variazioni-goldberg.html), è colui che ha dato consistenza musicale alle sfere celesti del divino. 
lo spettacolo è stato per me l'essenza preziosa inestimabile della bellezza. 
il corpo di ballo della Scala è ad altissimi livelli, in particolare ho qui amato Nicoletta Manni, che considero una ballerina esemplare, senza gli eccessi virtuosistici di molte sue colleghe, per equilibrio fisico ed emotivo, è una perla rara di bravura e sapienza, e Claudio Coviello, un talento umile e brillante, una bella presenza scenica. due primi ballerini da ammirare in un corpo di ballo di 35 corpi scenici.
la musica si adatta alla danza, certamente la segue con degli adattamenti, i costumi e le scene sono essenziali e purissimi, un'alternanza di colori che mi ha riempito gli occhi, raramente ho goduto di ogni passo, ogni nota, ogni colore, ogni metro quadrato, come ieri sera.
ho assistito a tre pas de deux uno più bello dell'altro, ho assistito a passi di danza maschili di straodinaria bravura e ha pezzi corali rispondenti alla celestiale architettura musicale che li sottendeva. la vita è fluita senza tempo, per un'ora e mezza sono stata sospesa e ho asistito alla vita, con un'entrata e un'uscita, i corpi si sono espressi, i respiri sono fluiti, gli incontri si sono verificati, i legami rinforzati e poi tutto si è concluso e io, ora, provo una nostalgia tremenda, che mi fa stare male. vorrei essere ancora lì, forse lì per sempre.
ho partecipato all'armonia, ho visto dio, perché questo è dio, ieri sera.


Goldberg – Variationen
Johann Sebastian Bach
Durata spettacolo: 1 ora e 25 minuti
Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Nuova produzione Teatro alla Scala
Musica Johann Sebastian Bach
Coreografia Heinz Spoerli
Assistenti coreografo Chris Jensen e Arman Grigoryan
Pianoforte Alexey Botvinov
Scene e costumi Keso Dekker
Luci Martin Gebhardt
CAST PER DATA INTERPRETI PRINCIPALI
Claudio Coviello, Nicoletta Manni, Antonino Sutera, Marco Agostino, Antonella Albano, Francesca Podini, Virna Toppi, Vittoria Valerio, Timofej Andrijashenko, Martina Arduino, Nicola Del Freo, Walter Madau, Gioacchino Starace e il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala


giovedì 22 marzo 2018

Sulpicia

all'edizione di Percorsi Di Versi di quest'anno, per festeggiare la giornata mondiale della poesia, alla fondazione del Corriere della sera di Via Balzan, hanno partecipato diversi personaggi, alcuni degni di nota.
interviene, per prima, Eva Cantarella.
mi parla di Sulpicia, poetessa dell'età augustea, e lo fa con quel modo che ormai conosco, come se avesse un mondo da raccontarti, tutto il mondo antico, tutto il mondo dei romani, tutte le consuetudini, tutte le arti, tutte le leggi ma...non può farlo. sottolinea nel parlare una sospensione che sembra l'anticipazione della delusione ma poi si trasforma in un pacato adattamento alle sfavorevoli condizioni cha la costringono alla sintesi.
Sulpicia era figlia dell’oratore Servio Sulpicio Rufo, sua madre era una Valeria, e suo fratello era un uomo di grande cultura, attorno al quale si raccoglievano i maggiori letterati dell’epoca. essendo favorita dalla possibilità di frequentare questo ambiente, oltre che evidentemente dotata di notevoli capacità poetiche, Sulpicia compose le uniche poesie d’amore scritte da una donna romana dell’età classica giunte sino a noi, anche se in modo fortunoso. le sue opere infatti non sono state tramandate sotto il suo nome, ma sono state inserite nel corpus delle opere attribuite al poeta Tibullo. Sulpicia è vissuta all’epoca di Augusto, un’epoca in cui la condizione delle donne romane cambiò totalmente: furono questi gli anni dell’emancipazione durante i quali a Roma vi furono donne letterate come Sulpicia, donne che diventarono medici e, verso la fine della Repubblica, comparvero persino alcune donne avvocato nel Foro.
Sulpicia aveva un grande amore, Cerinto, e il suo livello di evoluzione e progressione culturale era tale da poterne parlare con tutta questa franchezza, con tutta questa inusitata intensità.

A Cerinto
È giunto amore finalmente

È giunto amore finalmente. Nasconderlo
sarebbe vergogna assai più grave che svelarlo.
Commossa dai miei versi, Venere lo portò sino me,
tra le mie braccia, compì la sua promessa. I miei peccati
li racconti chi si dirà non ebbe i suoi.
Io quasi non vorrei neppure scriverli:
prima di lui, temo li legga un altro.
Ma giova aver peccato. Mi disturba
atteggiare il mio volto alla virtù.
Si dirà che son degna di lui, e lui di me.

(traduzione di Eva Cantarella) 

Tandem venit amor
Tandem venit amor, qualem texisse pudori
Quam nudasse alicui sit mihi fama magis.
Exorata meis illum Cytherea Camenis
Adtulit in nostrum deposuitque sinum.
Exsoluit promissa Venus: mea gaudia narret,
Dicetur siquis non habuisse sua.
Non ego signatis quicquam mandare tabellis,
Ne legat id nemo quam meus ante, velim.
Sed peccasse iuvat, voltus conponere famae
Taedet: cum digno digna fuisse ferar.

lunedì 19 marzo 2018

volti (occhi?)










Tom Hoops
Mia Photo Fair 2018

una piacevole malagrazia.

domenica 18 marzo 2018

archivio storico e sepolcreto Ca'Granda

pioveva, parecchio.
come oggi del resto.
e probabilmente come domani.
non amo la pioggia, anzi, per dirla francamente, la detesto.
pioveva, parecchio, e sono andata a vedere gli archivi della Ca' Granda (lo chiamano il percorso dei segreti), ultima tappa del mio giro in quel di Museo City, visita inaugurata da una lunga narrazione da parte di una di quelle giovani e preparate guide che spesso si trovano in questi contesti di visita della città, che siano del comune di Milano, del Touring o del Fai. 
verso il 1440, Francesco Sforza, condottiero mercenario, sposa l'ultima Visconti, Bianca Maria. 
una buona mossa. dopo la pace di Lodi, altra buona iniziativa, si dedica al Ducato di Milano, si occupa del Castello, ottima trovata, e della costruzione del primo ospedale lombardo, la Ca'Granda, che dio gliene renda merito. 
l'idea è quella di superare la concezione circoscritta della sanità, relegata a cappelle religiose, per unificarle in un grande progetto assistenzialistico di un'istituzione clinica gratuita a scopo medico e laico. i pazienti ricoverati sarebbero stati quelli in condizioni acute di malattia, per i cronici era già in azione il lazzaretto. i lavori cominciano nel 1456, su progetto iniziale del Filarete, e si concentrano sul grande, e magnifico, cortile d'onore, quello in cui terminava la grande Festa del Perdono. sono sostenuti da donazioni private, tutta la costruzione dell'ospedale maggiore si regge sui lasciti dei ricchi signori di Milano, la famiglia Carcano sarà quella che consentirà la chiusura dei lavori del cortile d'onore, ormai però nel 1600. durante la seconda guerra mondiale i danni sono ingenti, intere ali dell'ospedale maggiore sono distrutte, sbriciolate. l'opera di restauro è straordinaria e di livello eccelso. la prima crociera, di destra, del '400 viene ricostruita, come l'originale, una briciola dopo l'altra, l'altra viene rifatta ex novo, neoclassica, sotto la direzione del geniale Portaluppi.
nel percorso della visita, dopo l'accurata spiega della guida, siamo passati alla visita degli archivi.
una bella sala del '600, dall'aria traballante, si è aperta ai miei occhi. una biblioteca affollatissima di faldoni e affreschi alle pareti, pare del Volpino (carneade? chi era costui?). ci sono dei camminamenti, dell'800, e la sala, prima di essere coperta da librerie, aveva pareti affrescate e ricche di ritratti dei benefattori. ora, questi ritratti, hanno raggiunto la grande riserva doc del policlinico, pare ne possieda 900, con grandi nomi quali Hayez, Segantini, Sironi...hai capito!?





qui sono custoditi documenti amministrativi dell'ospedale, non cartelle cliniche dei pazienti. ci sono contratti e nominativi di medici, infermieri, personale tecnico, elenco di pazienti morti, note sui reparti (vedi spezieria...), possedimenti della Ca' Granda (da ricordare che Niguarda, che gode della stessa denominazione, nasce come polo del policlinico).





detto ciò ci siamo spostati nella cripta di Santa Maria Annunziata. leggevo oggi sul corriere che ieri hanno aperto anche il sepolcreto, un deposito di ossa straripante e straordinario, da lì gli anatomo-patologi raccolgono materiale importantissimo per studiare stili di vita, abitudini alimentari, malattie e cure del tempo, mentre la gente gode nel vedere il reale della morte. la cripta è molto grande, anch'essa affrescata dal Volpino (sempre lui...), più ampia della chiesa stessa e ha funzionato da cimitero intramurario per moltissimo tempo. anche il cortile d'onore ha svolto la stessa funzione. si trattava di fosse comuni, ci sono ancora le botole ben visibili sul pavimento che portano agli atri sepolcrali. i fluidi di decomposizione fluivano nel naviglio di via Francesco Sforza. possiamo immaginare i problemi igienici di detta usanza? ci sono voluti gli austriaci per insegnarci che i cimiteri si fanno fuori dalle mura della città. nel frattempo, chiusa qui, la pratica sepolcrale si è semplicemente spostata, alla rotonda della Besana, ma la consuetudine malsana era immutata. anche nel 1848, dopo le gloriosissime 5 giornate di Milano, che si festeggiano proprio in questi giorni, dal 18 al 22 di marzo, la cripta viene usata per tumulare i corpi dei caduti, che ci rimangono per 50 anni, e i piloni vengono coperti di lastre marmoree che recitano moti patriottici.
preziosa ecatombe di leoni e di agnelli espiò le nostre vergogne, le nostre colpe secolari.
ora, i corpi della preziosa ecatombe (ahh la retorica) sono nella cripta sotto l'obelisco dell'omonima piazza.








non so bene perchè faccio 'ste maratone narrative, credo per spirito di vicinanza con lo studente giovane uomo. mi sento a scuola anch'io, mi rimetto il grembiule, e la cartella in spalla. è una tendenza mai sopita, i poveretti qui intorno ne pagano le spese: una secchia non si spegne mai, piuttosto morire.

venerdì 16 marzo 2018

Melancholia di Dürer




ho visto la mostra di Dürer.
e ho visto questo!
Melancholia.
come non pensare a quella di Lars Von Trier, film che non smette di interrogarmi.
e questo capolavoro straordinario, carico di simboli, segni, allusioni non poteva che rinforzare la mia passione per l'argomento.
tutte le personificazioni della Malinconia sono femminili, così anche in Melancholia I di Dürer, in cui compare un astro celeste che sta precipitando in mare: è la cometa che, secondo la più diffusa interpretazione, rappresenta il sole nero, simbolo della fase alchemica della nigredo (ma che alcuni mettono in relazione con la caduta di un grosso meteorite a Ensisheim, in Alsazia, nel 1492, evento che attirò l’attenzione collettiva).
lei è Justine, il sole nero che si avvicina, la melancolia è sempre stata accostata all'attesa dell'apocalisse, è il pianeta minaccioso che segna l'avvio della fine.
è un mistero straordinario, pieno di suggestione e che, dopo la visione di questa incisione di Dürer, maestro indiscusso di talento inarrivabile celebrato in questa bellissima mostra, mi inquieta sempre di più. 

interni (o esterni?)














Suzanne Moxhay
Mia Photo Fair 2018

questa con lo specchio mi è sembrata un incantesimo.
tutti fotomontaggi con lastre di vetro sovrapposte.
la fotografia è un'altra cosa, questo è un gesto teatrale, ma l'effetto merita uno sguardo.

giovedì 15 marzo 2018

Frida Khalo, influencer



la dicitura della mostra dice: oltre il mito, ma non so se ci siamo andati, oltre.
di fatto si celebra il mito, niente di più.
della mostra ho amato quasi più le foto dei dipinti.
la pittura di Frida Khalo è spaventosamente autoriferita e devo dire sostanzialmente ripetitiva.
lei è l'unico soggetto al mondo, avrà avuto le sue sacrosante ragioni ma, artisticamente e creativamente, non siamo andati molto lontani. in più temo che la qualità pittorica sia piuttosto scadente. io la trovo semplicemente naif, al di là dello sbandierato surrealismo, che pure lei trovava inadatto a descriverla: "Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni."

 

le foto mi piacciono immensamente di più perchè di lei rappresentano la parte più attraente e straordinariamente moderna. potrebbe essere una blogger, una influencer.
di lei spiccano lo stile eccentrico, elegantissimo, la ricerca dattagliata di collane e monili, lo studio attento del disegno delle sopracciglia e l'uso decorativo regale dei capelli, la sottolineatura della peluria dei baffi.
era veramente un personaggio scenico straordinario, una costruzione estetica perfetta, si è promossa e propagandata attraverso i quadri, che certamente erano anche terapeutici, ma oggi pubblicherebbe post. e farebbe strage di fan.
lo fa comunque, le masse sono adoranti, ma credo che i suoi quadri siano una misera parte di lei, piuttosto la sua vita, la sua storia, le sue battaglie per la vita, quell'orco che si era scelta per marito che sfigurava pietosamente di fianco alla sua sgargiante ed eterna bellezza, la forza epica delle battaglie rivoluzionarie (il Messico allora si credeva la vera forza rivoluzionaria del mondo, ancora prima dell'Unione Sovietica), la storia d'amore con Trotskij, tutto converge a farne una diva, un vero mito.
non andrei oltre, è nata e si è molto prodigata per esserlo. 

 





lunedì 12 marzo 2018

mare (o ricordo del mare?)















Candido Baldacchino
Mia Photo Fair 2018

mare, in effetti lo ricordo un po' così.

tempo di libri, tempo mio

si lamentavano dello scarso successo dello scorso anno.
bene.
quest'anno: una bolgia!
infernale (ho acquistato l'audiolibro di Vittorio Sermonti che legge l'inferno di Dante).
no, piacevole, a parte la solita varia e amena umanità.
domenica mi sono fatta la solita scorpacciata di nevrosi e ossessioni, in primis una truccatissima signora che già in fila per entrare in una sala dichiarava al mondo che il marito la vuole internare per dipendenza da cellulare, pensavo scherzasse (quanto poteva poi interessarmi la questione? nulla, ma ero ignara della fine che avrei fatto) ma, in seguito, trovandomela seduta di fianco, le avrei volentieri fornito i numeri di numerosi miei colleghi e psicoanalisti perché la faccenda era seria, grave, tragica e francamente insopportabile.
la poveretta era colta da una compulsione incoercibile tale per cui maneggiava l'oggetto cellulare con tormento inesauribile, apriva senza sosta (e, ovviamente, senza alcuna attenzione per l'evento per cui era seduta in quella sala), la pagina di whatsapp, senza nessun'altra condizione possibile alternativa, apriva di continuo le stesse icone, che non modificavano assolutamente il loro stato, per rivedere incessantemente le stesse pagine e fotografie, aggiungeva reiteratamente nuove righe che non ricevevano nessuna risposta. 
così per un'ora, chissà nella vita. 
inutile sottolineare l'assenza di qualsivoglia interrogativo sul fastidio che questa sua continua manipolazione erotica dell'oggetto fallico potesse infastidirmi e distrarmi. 
la condizione era ancora più penosa se consideriamo che il suddetto marito, seduto lontano da lei qualche sedia più in là nella fila davanti, era colto dalla medesima ossessione, si girava ogni due minuti per controllare se la moglie stesse guardando il cellulare, e mai veniva deluso.
voi capite che io, in mezzo a questa preoccupante nevrosi di famiglia, ho avuto ben poco scampo se non augurandomi la riapertura dei manicomi.
tempo di nuove leggi sulla salute mentale.
di situazioni bizzarre ne ho avute anche altre ma non vorrei che tempo di libri si tramutasse, nella mia narrazione, in tempo sprecato.
l'ubriacatura da libri è di grande godimento, è un'estasi e un'oasi.
poi tutto riprende come prima, anche peggio, al solito le sbronze fanno più male che bene.
gli incontri sono stati di livello medio, forse lo scorso anno ho sentito storie e interviste più interessanti.
non poteva mancare Recalcati (anche in compagnia della moglie, biondina mechata carina, direi figura convenzionale da compagnia di uomo famoso di successo, lui augura a tutti una vita felice, gliela auguro anche io!!) che si è speso in una lezione sul superamento della nevrosi sacrificale e, soprattutto, nella presentazione dell'arte di Kounellis e di un libro, pare di discreto successo, "Le assaggiatrici" di Rosella Postorino. quest'ultima mi è sembrata una persona interessante, ha più volte dichiarato la sua analisi -in compagnia di Recalcati tutti calano le braghe- e, devo dire, la sua analisi si sente, si percepisce. chi è stato in analisi, una buona analisi, acquisisce uno sguardo sul mondo inconfondibile. 
chi non mi è piaciuta, affatto, è Concita De Gregorio, presentava un libro di raccolta di storie differenziate tratte dalle canzoni di De Andrè, qualcosa di stonato, forzato, di mamma di 4 figli, di ricordi di infanzia già politicamente corretti, orientati a sinistra, di gioco delle biglie come invocazione alla buona politica, tutto molto poco autentico, una sceneggiatura nauseabonda. è stata, anche a causa della mia psicopatica preferita, un'ora di noia.
Alain Badiou è stato intervistato da Maurizio Ferraris, un dialogo tra sordi, uno diceva delle cose e l'altro (Badiou) visibilmente si innervosiva e rispondeva tutt'altro, una rappresentazione dell'assurdo, ma divertente. marxismo, comunismo, evento, ho capito che il vero comunismo è ancora da venire, l'evento non si è ancora mai concretizzato. 
bella la lettura dei Promessi Sposi, piacevole la biografia della Melato, noiosissima la lettura teatrale della Curino, interessante l'amicizia conflittuale Woolf-Mansfield, interrotta la presentazione della "Ragazza con la Leica" Gerda Taro a causa della pallosissima premessa di uno storico che mi ha reso insopportabile stare in quella stanza, fuori tema e prolisso Philippe Daverio che avrebbe dovuto parlare di Frida e le figure femminili nell'arte (speravo la Scorranese lo contenesse, ma invano) ma si è solo salivato addosso, seppure simpaticamente. 
mi sono goduta la storia della vita densissima di Sabina Spielrein, mi sono ricordata di "Salvami l'anima", indimenticabile film di Faenza, e anche di "A dangerous method", film più dimenticabile. 
mi sono andata a sentire il super virologo Roberto Burioni, dovevo vederlo all'opera. è meno arrogante di quanto pensassi, è una persona seria, accecata dalla verità della scienza. la scienza non spiega ogni cosa, la conoscenza può invece fare molto. sui vaccini dice cose sante, imprescindibili, potrei anche condividere la non democraticità della scienza ma, a quest'uomo, così appassionato, manca la forza delle domande, dei dubbi, dei non so. è un uomo che non calcola la paura, e la violenza della sua portata, cerca di spiegare anche quella scientificamente, cerca una spiegazione scientifica a ogni cosa dimenticando, o forse semplicemente anche lui non sapendo, che c'è un'enorme parte di noi che non sa, proprio non sa, non sa dire, non sa spiegare, è agita dall'inconscio, che scienza non è. 

al prossimo anno, se ci saremo ancora.

venerdì 9 marzo 2018

Casorati



è una delle prime sale della mostra alla fondazione Prada.
e i suoi ritratti mi ipnotizzano.
c'è qualcosa di sorprendentemente semplice, ma è una percezione immediata ingannevole. 
avverto un mistero, un enigma, eppure è un  ritratto, pulito, equilibrato.
credo di aver capito che ci siano rimandi a grandi classici, da Leonardo a Piero della Francesca, ma questa normalizzazione, dalle grandi figure mitiche della storia della pittura alla banalità del quotidiano nasconde un intento narrativo molto forte. la semplice quotidianità cela il mistero della vita, per ognuno di noi. è vero, possiamo dire, è intimo, anche.
lo leggo così.