sabato 3 gennaio 2009
Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole. Ed è subito sera ( Quasimodo)
Sulla morte senza esagerare
W. Szymborska, da Gente sul ponte, 1986.
Non s’intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessitura, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.
Non sa fare neppure ciò
che attiene al suo mestiere:
nè scavare una fossa,
nè mettere insieme una bara,
nè rassettare il disordine che lascia.
Occupata a uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodi, nè abilità.
Come se ognuno di noi stesse imparando.
Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!
A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Più di un bruco
la batte in velocità.
Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
del suo svogliato lavoro.
La cattiva volontà non basta
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
è, almeno finora, insufficiente.
I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all’orizzonte.
Chi ne afferma l’onnipotenza
è lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non è.
Non c’è vita che almeno per un attimo
non sia immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell’attimo.
Invano scuote la maniglia
d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.
la Szymborska ha il dono ineguagliabile della leggerezza.
ma io no.
non ce l'ho ma quanto lo vorrei.
io guardo la morte e non mi do pace.
non mi perdono di essere al mondo senza sfiorare, ogni giorno, di continuo il pensiero della morte.
io vedo, oggi, una donna piangere e stringere i suoi figli davanti alla bara del proprio marito morto, a 45 anni, di infarto, la notte di capodanno e non so che pensare a me.
io piango ma piango per me.
io vedo gente commossa, io vedo gente che prega, vedo gli amici motociclisti sul sagrato che alzano in gruppo i loro caschi per un minuto come in un rito pagano tribale, e vedo che la gente ha paura per se'. per la propria morte. per la propria solitudine davanti al nulla.
io vedo gente che si stringe, che mette le mani in tasca per nascondere il proprio imbarazzo davanti alla morte, che congiunge le mani, che sospira e vedo che dopo 10 minuti la vita torna prepotente e parla dei figli, del lavoro, delle vacanze.
vedo che tornano i ricordi, vedo che la vita e' come la gramigna.
non la strappi via se non per un minuto.
io mi raccolgo, mi chiudo dentro, penso come deve essere morire, penso al vuoto, al nulla, eterno, al nero per sempre, penso alla non vita al non pensiero al non sentire al non corpo, penso all'universo che pulsa oltre la mia vita e al mio pianeta, penso ai quadri di magritte, mi vedo fuori da mio corpo in un'essenza incosistente, ma ci penso per un minuto.
poi mi scuoto, non ce la faccio.
e' un pensiero insostenibile. e' una vista inguardabile.
e' piu' facile pensare alla vita che rimane qui oltre la morte, dopo la morte. la vita di chi rimane dopo la morte, quella morte, la vita che ricorda e che si strugge, dopo, al ritorno a casa. penso a quelle pantofole e a quel pigiama, a quelle scarpe e ai suoi cd, a quel casco e al dopobarba che sono rimasti li', oltre, dopo. e lo strazio infinito di chi lo vede, ora, al ritorno a casa.
a cio' che rimane, di noi, dopo la morte.
a chi rimane qui, dopo di noi, dopo la morte.
rimangono i vivi che per una attimo pensano alla morte ma poi non sanno fare a meno di ripensare alla vita quand'era in vita, sempre.
La morte appartiene alla vita.
Tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate.
(Apocalisse 21,4)
La morte della Vergine
Caravaggio
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2 commenti:
nessuno capisce la morte se non chi le sta a fianco. una moglie, una figlia forse vengono contagiati dall'oscura potenza di marito e di un padre morto, forse loro si avvicinano al significato di morte. solo chi tiene per mano la morte riesce ad intuirne il senso per un istante per il periodo che serve a rinchiuderla in uno scrigno da aprire solo per qualche altro istante nel corso della vita, per non impazzirne. chi ne abusa perde il senno, forse qualcuno lo fa volontariamente. forse. gli altri sono quelli che vedi in tv che piangono e che urlano e che imprecano ma poi, tutti indistintamente, guardano la telecamera per vedere se sono inquadrati per bene. la morte è una cosa talmente personale che l'unico modo che si ha di parlarne è il non farlo, per permettere a ciascuno in un preziosissimo attimo di silenzio, di sentire veramente i propri pensieri.
la morte i pensieri la vita l'amore che sentiamo. tutto è personale. e, allo stesso tempo, non lo è. tutto l'emozionarsi e il sentire può rimanere chiuso dentro di noi, riservandolo solo a noi stessi per ogni istante della vita e tenendolo chiuso in uno scrigno, oppure può essere condiviso. la felicità è vera solo quando è condivisa. così ho letto.
io sento i miei pensieri. ma li racconto e sono veri lo stesso. o nel momento in cui li scrivo perdono di credibilità?
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