bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 13 febbraio 2020

colibrì

ci sarebbe quasi da ridere.
almeno l'anno scorso si trattava di Javier Marias, il libro era Berta Isla, non un capolavoro assoluto ma certamente un buon romanzo.
almeno era un romanzo.
inoltre c'è tutta la combriccola, la solita combriccola dei soliti noti che, lo devo dire, mi fanno quasi un po' pena.
sono sempre tutti asserragliati insieme, hanno anche scritto insieme un pessimo racconto breve su La Lettura, davvero pessimo, appaiono di continuo su La lettura e su molti dei settimanali del Corriere, sono certamente, molti di loro, pubblicati da La nave di Teseo, e sono la crème, ah ah, dio che ridere, della letteratura italiana contemporanea. sempre in testa la Ciabatti, seguita da Avallone, Missiroli, Covacich, Genovesi e Trevi. 
tutti buoni potenziali giornalisti secondo me, Covacich mi è simpatico.
ma scrivere un romanzo è tutto un altro paio di maniche.
il Piccolo Teatro, ma è da ridere, si appresta, con la combriccola, a breve, a festeggiare il premio de La Lettura che verrà consegnato, udite udite, a:
Il Colibrì.
di Sandro Veronesi.
(un capolavoro, ho ripetutamente letto sui giornali con i sopracitati partecipanti della combriccola che rilasciano brevi ma incisivi e indimenticabili commenti qua e la).
il guaio è anche che l'ho avuto, il Veronesi, come "docente" nella mediocre scuola di scrittura che ho frequentato (anche lì i soliti noti anche se un po' più defilati), circa due anni fa. e non solo è stato un pessimo insegnante, non ci ha insegnato proprio un bel niente, ma è stato anche sgradevole. il Veronesi ha passato le due ore e passa di lezione per parlar male di tutti, compresi gli inglesi che hanno avuto il torto di tradurgli male il suo "capolavoro", ovvero Caos calmo. ci ha parlato dei fattacci suoi, durante le ore di lezione. anche per lui, applauso.
sempre meglio star lontani da attori e scrittori e artisti, conoscerli di persona è sempre a grandissimo rischio di farsi domande senza risposta e di cocenti delusioni.
ebbene il Veronesi non è simpatico, ed è pure spocchioso.
inoltre, e qui andrò contro l'opinione generale, contro un'intera giuria di oltre 300 persone che lo ha giudicato meritevole di un premio, ha scritto un libro mediocre.
il Colibrì non è un bel libro, no, non lo è.
l'ho letto, sia chiaro.
speranzosa.
ma diomio, che ciofeca!
eppure se ne dicono meraviglie.
forse sono indementita.
qualcuno chiami un dottore.
è urgente. salvatemi da questa patologia che mi vede sempre contro corrente.
a me il libro non è piaciuto, mi ha annoiato, non mi ha detto nulla, ho saltato intere pagine di elenchi noiosissimi, mi ha anche infastidito, quei salti temporali santo cielo che sistema indisponente, in diverse e numerose pagine.
però salvo un pagina,
una sola.
quella della telefonata irricevibile nella vita.
la telefonata, quella che no, non si può ricevere
salvo solo quella pagina, ha un certo ritmo, ha un discreto pathos.
ma è una pagina su 350.
sarà che sto rileggendo Il maestro e Margherita e quindi, si dai, è chiaro, come si fa??
ma Veronesi l'ho letto prima, il confronto è a posteriori.
certo è che leggendo de il diavolo Woland, lo spilungone quadrettato valletto Korov'ev e l'enorme gatto nero Behemot che si aggirano per Mosca sconvolgendone la vita, chi mai potrebbe competere?
nessuno, è vero.
ma non posso vivere pensando che i libri migliori siano già stati scritti.
non c'è niente altro?
ce ne sono tanti, per carità, ma basta?
è finita la festa?
tornando al nostro Colibrì nemmeno ne capisco il motivo. di questo nome. al personaggio viene affibiata questa definizione ma nulla del suo comportamento mi ha mai fatto credere alla definizione che, forzosamente, gli viene attribuita.
ecco, forzosa è l'aggettivo più calzante di questa inverosimile storia.
certo, nemmeno il Maestro e Margherita è verosimile, ma non lo vuole essere. quella è arte, altissima purissima arte della scrittura e della parola.
la storia del colibrì vuole essere verosimile, fortemente vuole, ma è un trattato in cui non accadono le cose. vengono di continuo spiegate, e interpretate.
la storia non si evince dagli accadimenti ma della spiegazione della stessa.
e siamo fuori dalla costruzione di qualsivoglia narrazione.
i personaggi non vengono e non arrivano, nessuno è connotato, tanto meno il protagonista, tutto viene affibbiato, forzosamente, come fossero doti dei personaggi ma sono solo costruzioni dell'autore.
si sente l'autore dietro che scrive, si avverte la sua fatica, lo sforzo di dare originalità, di costruire effetti speciali, svolte epocali, sfighe singolari, si avverte l'invenzione di un nome che non appartiene al personaggio ma alla regia , ai ciak si gira di chi si è messo a girare il film.
lo stacco è evidentissimo, nulla è dentro le cose e i soggetti, tutto è fuori ed attribuito per evidente regia di chi scrive. è come un esercizio, in cui nulla, dico nulla arriva veramente come emanazione di una narrazione.
i salti temporali, le lettere, tutto è falso. tutto è costruito, un esercizio noiosissimo, per non parlare degli elenchi che derivano dalla formazione in architettura dell'autore, senza nessuna continuità, come cartoline dall'estero.
un'elencazione di lettere, improbabili, ancora una volta forzosamente originali, ha la presunzione di dare descrizione di un amore, ma riesce solo a creare distacco, abissale lontananza. non parliamo delle sorelle e figlie, nulla descrive il dolore, non parliamo della nipote magica creatura salvifica del mondo, ma dove? ma quando? perchè me lo scrivi tu? ma io perchè dovrei crederci?
non ho creduto a niente, sono costantemente rimasta fuori da tutto, guardando l'orologio.
ma quando finisce?
per non parlare dell'italiano. il nostro povero italiano. la lingua adottata da Veronesi è un italiano impoverito, minimale, sguarnito, senza metafore, miseramente descrittivo, spesso infarcito di parolacce (ma abbiamo ancora qualcuno convinto che nei romanzi odierni dobbiamo mettere la miseria della lingua odierna?)
mi ricordo un commento letto da qualche parte, forse su "7", di una lettrice. commentava il libro, appena finito, e diceva qualcosa come: forse mi è piaciuto, ma non so se mi è piaciuto veramente.
ecco, questo mi dice che la lettrice ha capito, come me, che il libro è una tragicomica finta di scrittura.
cara lettrice, possibile che nessuno se ne sia accorto a parte noi due?
sa il diavolo, direbbe qualcuno.

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