bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 18 gennaio 2019

la morte di Nikolaj, la nascita di Dmitrij

la morte
Mentre il prete leggeva la preghiera, il morente non dava alcun segno di vita; gli occhi erano chiusi. Levin, Kitty e Mar’ja Nikolaevna stavano in piedi accanto al letto. 
Il prete non aveva ancora finito di leggere, che il morente si stirò, sospirò e aprì gli occhi. Il prete, finita la preghiera, appoggiò sulla fronte fredda la croce, poi la ravvolse lentamente nella stola e, dopo aver sostato ancora due minuti in silenzio, toccò la mano enorme, divenuta fredda ed esangue. — È finito — disse il prete e voleva andar via; ma improvvisamente i baffi sottili del morente si mossero, e con chiarezza nel silenzio, emessi dal profondo del petto, si sentirono i suoni netti e precisi: 
— Non del tutto.... Presto. 
Dopo un istante il viso si rischiarò, sotto i baffi apparve un sorriso, e le donne, raccoltesi, si diedero a vestire il morto, affaccendandosi. La vista del fratello e la presenza della morte rinnovarono nell’animo di Levin quel senso di paura dinanzi all’inesplicabile inevitabilità della morte, che lo aveva sconvolto quella sera d’autunno, quando il fratello era giunto da lui. Questo senso, adesso, era ancora più forte; ancora meno di prima egli si sentiva in grado di capire il senso della morte, e ancora più terribile gliene appariva l’inevitabilità; ma ora, grazie alla vicinanza della moglie, questo senso non lo gettava nella disperazione: malgrado la morte, egli sentiva la necessità di vivere e di amare. Sentiva che l’amore lo salvava dalla disperazione e che l’amore, sotto la minaccia della disperazione, diveniva ancora più forte e puro. Dinanzi ai suoi occhi si era appena compiuto un mistero di morte, rimasto sempre inesplicabile, che ne sorgeva un altro, altrettanto inesplicabile, che richiamava all’amore e alla vita. Il medico confermò le sue supposizioni riguardo a Kitty. Il suo malessere era dovuto alla gravidanza.

la nascita
Fuori di sé, entrò di corsa nella stanza da letto. La prima cosa che vide fu il viso di Lizaveta Petrovna. Esso era ancora più agitato e più severo. Il viso di Kitty non c’era più. Nel posto dov’era prima, c’era qualcosa di mostruoso e per l’aspetto di tensione e per il suono che ne usciva. Egli cadde con la testa sul legno del letto, sentendo che il cuore gli si spezzava. L’orribile grido non finiva, s’era fatto ancora più orribile, ma poi, come se fosse giunto al limite estremo dell’orrore, si calmò a un tratto. Levin non credeva al proprio udito, ma non si poteva dubitare: il grido s’era calmato e si sentiva un silenzioso affaccendarsi, un fruscio, un respirare ansioso, e la voce di lei felice e affannata, viva e tenera che pronunciava piano: “È finito”.
Egli sollevò il capo. Abbassate sulla coperta le braccia senza forza, straordinariamente bella e calma, ella lo guardava senza parole e voleva, ma non poteva sorridere. E a un tratto da quel mondo misterioso e orribile, estraneo, in cui aveva vissuto in quelle ventidue ore, Levin si sentì trasportato in un attimo nel mondo solito di prima, ma splendente, adesso, d’una tale luce nuova di felicità, ch’egli non la sopportò. Le corde tese si strapparono tutte. Singhiozzi e lacrime di gioia, ch’egli non aveva in nessun modo preveduto, si sollevarono in lui con una forza tale, agitando tutto il suo corpo, che per lungo tempo gli impedirono di parlare. Caduto in ginocchio davanti al letto, egli teneva dinanzi alle labbra la mano della moglie e la baciava, e questa mano con un debole movimento delle dita rispondeva ai suoi baci. E intanto, là, ai piedi del letto, nelle abili mani di Lizaveta Petrovna, come la fiammella d’una lampada, oscillava la vita d’un essere umano che prima non c’era mai stato e che avrebbe vissuto e creato degli altri esseri nello stesso modo, con lo stesso diritto, con la stessa importanza di sé.
— Vivo! vivo! È pure un maschio! Non vi agitate! —
Levin sentì la voce di Lizaveta Petrovna, che batteva con la mano tremante la schiena del bambino. — Mamma, è vero? — disse la voce di Kitty.
Le risposero i singhiozzi della principessa. E in mezzo al silenzio, come una risposta indubitabile alla domanda della madre, si sentì una voce affatto diversa da tutte le voci che parlavano nella camera. Era il grido ardito, temerario, che non voleva considerare nulla, d’un nuovo essere umano, che non si capiva donde fosse venuto fuori. Prima, se avessero detto a Levin che Kitty era morta e che lui era morto insieme con lei, e che avevano per bambini gli angeli, e che Dio era lì dinanzi a loro, non si sarebbe stupito di nulla; ma adesso, tornato nel mondo della realtà, faceva grandi sforzi per capire ch’ella era viva, sana e che l’essere che strideva in modo così disperato era suo figlio. Kitty era viva, le sofferenze erano finite. Ed egli era inesprimibilmente felice. Questo lo capiva e ne era pienamente soddisfatto. Ma il bambino? Donde veniva, perché, chi era? Non poteva in nessun modo abituarsi a questo pensiero. Gli sembrava qualcosa di superfluo, una sovrabbondanza a cui per lungo tempo non poté abituarsi. 
... 
Quello ch’egli provava per quel piccolo essere era proprio tutt’altra cosa da quello che si aspettava. Non c’era nulla di allegro e di gioioso in questo sentimento; al contrario, un nuovo senso di paura. Era la coscienza di un nuovo campo di vulnerabilità. E questa coscienza era così tormentosa nei primi tempi, il terrore che quell’essere impotente soffrisse era così forte, che proprio per questo non avvertiva lo strano sentimento di spensierata gioia e perfino di orgoglio ch’egli aveva provato proprio nel momento in cui il bambino aveva starnutito.
(Anna Karenina, Lev Tolstoj)


la morte, la vita, l'inizio e la fine del nulla.

2 commenti:

marco eugenio ha detto...

Eh, i classici!
A ogni rilettura si comprende e si prova sempre qualcosa di più e di nuovo.
Un saluto.
Marco

Rossa ha detto...

hai ragione, hai veramente ragione. per certi aspetti lo leggo ora per la prima volta. magari lo rileggerò ancora.