bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 17 settembre 2018

il corpo della musica

parlava, diceva cose noninteressanti (attaccato), parlava del suo libro senza guardare la sua intervistatrice, molto più interessante di lei (credo si trattasse di Luisa Pronzato, giornalista del Corriere).
parlava, al tempo delle donne, Louise O'Neill, e aveva i piedi sporchi.
ognuno di noi ha il suo oggetto piccolo a, il suo oscuro oggetto del godimento, ognuno di noi ha un luogo segreto, anche fisico, dove accadono le peggio cose. la nostra scrittrce irlandese, mentre parlava di stupro, e diceva cose tipo che la sua protagonista, nel libro, nemmeno sapeva di essere stata struprata e che nemmeno un si significa che il consenso ci sia, nemmeno un si basta a definire la volontà di esserci in quel rapporto, e mentre diceva tutte queste cose, aveva i piedi proprio sporchi, neri.

non ho potuto non fotografarli.
forse non si vedono, ma non avevo uno zoom.

questa faccenda della fisicità incauta e invadente mi si è ripresentata in queste sere durante i miei amati concerti di MiTo.
una sera, venerdì, al Dal Verme incontro un direttore di orchestra, fantastico, giovane e bello, dirige

Pëtr Il'ič Čajkovskij Concerto n. 1 in si bemolle minore per pianoforte e orchestra op. 23 
Sergej Prokof'ev Brani da Romeo e Giulietta, Suite n. 1 e n. 2 

e si chiama Vasily Petrenko, è russo.
il concerto è molto bello e mi prende parecchio, ma è lui la vera star. una passione lo muove, e molto si muove, direi che danza, danza sulla musica che dirige sull'onda dei suoi orchestrali, che sembrano amarlo molto, come me.
a destra tiene la bacchetta ma a sinistra, la mano libera, fa dei movimenti voluttuosi, un movimento incessante in cui tutto il polso e le dita si aprono chiudono slanciano. ha dita molto lughe, direi bellissime, c'è un vero piacere in lui nel muoverla così. la musica lo porta lì, a quel punto del suo corpo in cui il godimento prende forma, quella forma.

alla Scala, sabato, la violoncellista Miriam Prandi suona, di Pëtr Il'ič Čajkovskij, le Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33.
lei è fantastica, la sua musica splendida. diciamo che fa l'amore con il suo violoncello anche se, all'inizio, prima di suonare, appoggia senza alcuna grazia sul palco, lo sposta con forza e con rumore come fosse una valigia. poi la musica parte e inizia un rapporto privato, privatissimo al quale è davvero imbarazzante partecipare, assistere,
lei assume espressioni orribili con la faccia, sembra stare male, smorfie e contorcimenti del volto la sfigurano, in altri momenti guarda il direttore come se pendesse dalle sue labbra, ha uno sguardo supplichevole, poi torna sul violoncello e segue le fughe della musica con movimenti del corpo, del volto e degli occhi che fanno pensare a un'allucinazione. ci ho messo parecchio prima di riuscire a guardadarla, ero colta dalla sensazione di assistere a una faccenda fisica intima molto privata cui non ero stata invitata. anche il respiro si sentiva, ero nelle prime file, prima di poggiare l'archetto sulle corde insipirava l'aria in modo sensuale, con una fisicità forte, come preludio di un'estasi che avràebbe avuto luogo a momenti.
anche in altre occasioni, ascoltanto Paolo Fresu, ad esempio, ho avuto questa percezione che la musica porta là dove si perde il controllo e l'identità si smaschera nelle sue forme conturbanti e segrete, ognuno a suo modo. 

però i piedi no, quelli si lavano e a un convegno pubblico si mostrano puliti.
alla musica lo concedo, anzi.
alla condizione di parola cosciente, no.

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