bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

martedì 26 novembre 2013

rosso occhio cratere del mattino. Sylvia Plath

Bookcity 2013.
cose buone e meno buone.
tra quelle buonissime, sabato sera: Due ragazze americane, Anne Sexton e Sylvia Plath.
e stiamo parlando dell'eccellenza, della poesia femminile alla sua massima espresssione, due donne, diperate, pazze di dolore, bipolari, suicide, stracolme di talento, diverse molto ma molto diverse tra loro fatta eccezione per l'attrazione fatale verso la morte, animate da una vena poetica inarrivabile.
per me sono entrambe due colossi (per dirla con la Plath) della poesia mondiale, entrambe parlano una lingua che scardina, personalmente mi travolgono, mi trascinano nel loro abisso con una potenza inaudita, mi fanno attraversare dai brividi e dalla paura. le trovo sconvolgenti, la loro forza trascinante è pari alla loro adesione alla morte e al suicidio.
la conversazione, definiamola così, cui ho assistito a bookcity sabato sera, è stata sviluppata da Elena Petrassi, appassionata e studiosa delle due poetesse, in un luogo piccolo e sconosciuto, un'associazione chiamata Apriti Cielo, sostenuta e gestita da due signore in età. una, entrando, la guardo e mi dico: l'ho già vista. dove dove dove? ha un modo e una vestizione che mi dicono qualcosa, qualcosa non della persona in particolare, ma di uno stile in genere. scopro che le composizioni alle pareti sono sue e che richiamano le poesie della Sexton. qualcuno le chiede come sia nata la sua curiosità verso la bellissima poetessa americana e dice di aver condiviso con lei l'esperienza dell'ospedale psichiatrico, dei medici, degli psicofarmaci, della malattia mentale. ecco dove l'ho vista: in ospedale.
la mia vita si interseca con le vite sofferenti degli altri, anche fuori dall'orario di lavoro, in fondo me le vado a cercare, queste sofferenze, queste due donne poeta che amo sono malate, malate di morte. e me la spiegano.

Sylvia Plath, nel 1955

quel che voglio raccontare qui, dopo averlo imparato dai bei modi della relatrice, sono le infinite diramazioni che la poesie di queste donne hanno creato. voglio riportare una delle poesie più belle della Plath, una delle 40 poesie che ha scritto, probabilmente in fase maniacale, dopo la separazione del marito, il poeta Ted Hughes, pubblicate nella raccolta Ariel.
ed è Ariel la poesia.

Ariel
Stasi nel buio. Poi
l’insostanziale azzurro
versarsi di vette e distanze.

Leonessa di Dio,
come in una ci evolviamo,
perno di calcagni e ginocchi! -

La ruga
s’incide e si cancella, sorella
al bruno arco
del collo che non posso serrare,

bacche
occhiodimoro oscuri
lanciano ami -

Boccate di un nero dolce sangue,
ombre.
Qualcos’altro

mi tira su nell’aria -
cosce, capelli;
dai miei calcagni si squama.

Bianca
godiva, mi spoglio -
morte mani, morte stringenze.

E adesso io
spumeggio al grano, scintillio di mari.
Il pianto del bambino

nel muro si liquefà.
E io
sono la freccia,

la rugiada che vola
suicida, in una con la spinta
dentro il rosso

occhio cratere del mattino.

della separazione da Ted Hughes, il marito che la lasciò per un'altra donna, suicida anch'essa pochi anni dopo, si è detto di tutto e di più. Silvya Plath veniva da una solida famiglia borghese, il padre, Otto, di origine tedesca, che morì quando lei aveva otto anni, era una figura assolutamente edipica, un padre, un colosso come lo definì lei stessa, la matrice prima e ultima della sua carne. la sua nascita e la sua morte stessa. i suoi studi furono assidui e feroci, si impegnò ossessivamente a raggiungere le vette della perfezione in ogni cosa. avrebbe voluto spostare un uomo eccelso, svettante, brillante e di successo e guarda caso lo trovò. Ted Hughes viene considerato, ed è, un poeta di altrettanta fama e bravura ma non di eguale talento, uno dei più insigni della sua generazione. ma il fallimento li travolse, lui la tradì, si separarono e lei si suicidò -non forse non a causa di questo abbandono, il suicidio lo aveva già tentato nel '53 senza riuscirci, molto prima di conoscere il marito- serrando la cucina con il nastro adesivo, scrivendo la poesia Orlo, preparando la colazione per i suoi due figli, e infilando la testa nel forno.era il 1963, aveva 30 anni.
dopo oltre 30 anni dalla morte della moglie, forse per tentare una redenzione, forse per autentico dolore, forse per sola ispirazione, Hughes scrisse una raccolta di poesie, Lettere di compleanno, completamente dedicate alla moglie, al loro matrimonio, ai figli, al loro fallimento.

“Verrà la fama. Fama per te, soprattutto.
La fama è inevitabile. E quando arriverà l’avrai pagata con la felicità, tuo marito e la vita”

Poesia tratte da “Poesie di compleanno

Why are you so solemn?
 
Più alta
di quanto non saresti più stata.
Ondeggiavi così snella
che le tue lunghe, perfette gambe americane
sembravano salire su su su.
Quella mano divampante,
quelle lunghe dita danzanti,
di eleganza scimmiesca.
E il viso: una palla tesa di gioia.
Ti vedo là, più chiara, più vera
che in tutti gli anni nella sua ombra -
come se ti avessi visto quell’ unica volta e poi più.
La cascata sciolta dei capelli
quella molle cortina
sul viso, sulla cicatrice.
E il tuo viso
una gommosa palla di gioia
intorno alla bocca dalle labbra africane, ridente,
dipinte di cremisi.
E i tuoi occhi
strizzati nel viso, succo di diamanti,
incredibilmente luminosi,
come succo di lacrime
che potevano anche essere lacrime di gioia,
una spremuta di gioia.
Volevi strabiliarmi
con il tuo brio. 

dei due figli il maschio morì suicida nel 2009, la figlia è pittrice e scrittrice, scrive poesie a sua volta. questa è dedicata a sua madre, la scrisse inorridita dall'uso mediatico, stravolto e cannibalico, della figura di sua madre.

Lettori

di Frieda Hughes

Vogliono soffiare vita nei cadaveri dei loro bambini morti
Le hanno portato via i sogni, raccolto parole da chi
ha sofferto su di sé la loro pena.

Hanno inflilano le dita nelle mutandine del suo cervello
in ogni pagina che ha scritto.  La vogliono nuda.
Vogliono sapere chi l’ha creata.

Hanno cercato di piumare di nuovo l’uccellino.

L’avvoltoio con la sua testa insanguinata
succhiava umori
dentro la sua pancia,

Hanno studiato la sua forma,
le sue ragioni,
la sua stessa morte.

Mentre la loro madri giacevano in tombe tranquille,
imbellite da quell’ordinata, regolare ghiaia smeraldo
mazzi di fiori nel vaso della marmellata, hanno riesumato la mia.

Persino le conchiglie che avevo lasciato sulla sua bara.

L’hanno rigirata come un pezzo di carne sul carbone
per scrutare i segreti delle sue cosce consumate,
dei suoi seni rinsecchiti.

Le hanno tirato fuori le orbite degli occhi per scoprire cosa vedesse,
morsicato la sua lingua in piccoli morsi
per parlare con la sua voce.
Ma ognuno di loro assaggiava carne diversa,
mangiava organi distinti,
toccava altra pelle.

Insistevano nell’essere quello
che la conosceva meglio,
quella che aveva la ricetta giusta.

Quando uscì dal forno
l’avevano ripulita dalle interiora, pelata,
guarnita per bene.

L’hanno reclamata come loro.
E io che per tutto questo tempo pensavo
che più di ogni altra cosa lei fosse mia.

pubblicata l’8 novembre 1997 sul Guardian.

anche Anne, che per breve tempo frequentò Sylvia, durante la comune frequentazione del corso di poesia tenuto da Robert Lowell, professore della Boston University, e con la quale condivise sedute al bar, condite da martini e confessioni reciproche sulla passione per la morte, l'attrazione per il suicidio, la disperazione del vivere, scrisse poche righe per lei.

La morte di Sylvia
Come hai potuto scivolare giù da sola nella morte
che ho desiderato così tanto e così a lungo,

la morte che tutte e due dicevamo di aver superato
... la morte di cui parlavamo tanto, a Boston,
mentre ci scolavamo tre martini extra dry.

ma erano diverse, profondamente diverse. Anne invidiava la cultura e la formazione rigorosa di Sylvia, ma la sua scrittura era facile, era un fiume in piena. Sylvia scriveva soostenuta da un forte rigore, da una conoscenza e uno studio assiduo della lingua, ma faticava a trovare la vena, scrivere era laborioso. la Sexton era una donna audace, bella, sensuale, sessualmente molto promiscua, brillante e già nota in vita. intratteneva il suo pubblico parlando delle sue esperienza psichiatriche manicomiali, seduceva, rilasciava interviste in cui flirtava con la telecamera, una disinibizione pericolosa. Sylvia era timida, introversa, ombrosa, la sua fama arrivò ben dopo la sua morte. 
così la descrisse Robert Lowell:
"…..E' straziante, riandando al passato, capire che il segreto dell'ultima irresistibile fiammata di Sylvia Plath e' nascosto nella discrezione, nel garbo estremo della sua penosa timidezza. Non e' mai stata una mia allieva, ma per due mesi circa, sette anni fa, segui' il mio corso di poesia alla Boston University. La rivedo, opaca contro il cielo luminoso di una finestra priva di qualsiasi panorama ….. Era alta, snella, con il busto lungo e fragile, i gomiti aguzzi, era nervosa, imbarazzata, gentile — una presenza tesa e brillante che la timidezza paralizzava. La sua umilta', la sua disponibilita' ad accettare tutto quanto veniva generalmente ammirato parevano darle a volte un'esasperante docilita' che nascondeva la sua pazienza e la sua audacia fuori moda. Ci mostro' allora poesie che in seguito, piu' o meno cambiate, vennero pubblicate nel suo primo libro, The Colossus. Erano poesie dai toni bassi, perfette nella struttura, facili all'allitterazione e a un'angoscia dolente ed intimista. Un bastardo che si sforza di galoppare / Spinge lo sciame dei gabbiani a volar via dal litorale Non prestai allora, ne' saprei dire perche', un'attenzione molto profonda a nessuna di quelle poesie. Avvertii la sua raffinatezza, la sua confusione, e non seppi immaginare la sua stupefacente, trionfante completezza futura".

e mi dico che le figure più grandi sono sempre straziate e ubriacate dall'odore della morte. 

5 commenti:

corte sconta ha detto...

Già...ma Perchè??domanda sulla tua domanda..finale.Bello davvero il post.ciao Rossa.

monteamaro ha detto...

Come fai Rossa... come fai a fare della tua esistenza tanti "compartimenti stagni", e a separare quindi tutto ciò che è possibile definire Arte, dal resto delle tue giornate... E' bella la passione con cui vivi le scoperte che generano emozioni, e non importa che siano scatti da reflex, acquerelli o parole. Sei una privilegiata: Ma ogni artista ti deve qualcosa, anche la Plath.
Concordo col commento precedente, il post è molto molto bello!

Rossa ha detto...

perchè bisogna passare da lì per aver davvero qualcosa da dire sulla vita.
grazie.

Rossa ha detto...

ma non ragiono a compartimenti stagni!! davvero ti sembra? oppure non ho capito cosa intendi.
il privilegio me lo regalo da me, con immensa fatica. non hai idea che fatica sia seguire tutte queste cose, ma ovviamente che gran soddisfazione.
gli artisti mi devono qualcosa? no dai...sono io quella riconoscente.
comunque GRAZIE davvero di tutto.

monteamaro ha detto...

Compartimenti stagni, come metafora della capacità nella fatica, di saper conciliare le passioni, col tempo che resta delle giornate. Soddisfazione si è vero, in qualche modo quella fatica ripaga ampiamente dei km, e del tempo spesi per ammirare una foto, o conoscere persone che con la loro arte regalano benessere interiore....
p.s. ma come diceva David Hume, "la bellezza esiste solo nella mente che la contempla, ed ogni mente percepisce una diversa bellezza." E (aggiungo io)in qualche modo chi la ammira, ne diventa parte e anche artefice?
Ciao Rossa...