bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 7 ottobre 2012

quando tutto sarà finito resterà solo l'arte




è che qui è la fine del mondo.
si vedono reperti di un mondo che fu..oppure che sarà. è lo stesso.
è l'apocalisse, è tutto finito, è venuto giù il mondo, l'uomo si è inabissato, l'arte pero' è rimasta, unica sopravvissuta.
e noi siamo qui  guardare la fine che sarà, quel che rimarrà, la fine che tornerà a essere la genesi, l'inizio, il principio.
Kiefer si fa capire bene, almeno io lo capisco bene. lo capisco così: la fine e l'inizio si toccano. 
l'ho conosciuto all'Hangar Bicocca, con le sue torri, imponenti, a monito della fine, o a ricordo dell'inizio. un mondo senza uomini, con le vestigia, scritte e in muratura, di un tempo che si è definitivamente spezzato. questi ingredienti ritornano nelle opere bibliche (realizzate negli ultimi anni) esposte da Lia Rumma, a Milano. si vedono scorci di un’apocalisse senza redenzione, memorie archeologiche: l’Egitto, la Mesopotamia, e, poi, Babele rappresentate mediante motivi che vengono trattati fino a essere resi illeggibili. tracce che lasciano supporre e immaginare il tempo della vita quando ormai di vita non ce n'è più. paesaggi argillosi e fangosi, tra reliquie e vestigia. fortezze di pietra potentemente espressive. una vecchia macchina tipografica da cui fuoriescono impazzite lingue di piombo che riportano in sequenza fotografie di reperti archeologici...e le torri ricompaiono, imponenti macerie di un mondo disabitato. enormi fotografie di templi che sbiadiscono grazie a un’azione chimica, in un sofisticato gioco tra materia e memoria. «Lavoro con l’elettrolisi: metto i quadri in un bagno di acido, sottoponendoli a scariche elettriche. Una parte dell’immagine scompare. Quello che resta si modificherà nel tempo».







Leggo su "la lettura" del Corriere della Sera
Forse, è l’ultimo artista «epocale». Come pochi, Anselm Kiefer sa farsi interprete del destino tragico della modernità. Eppure — almeno a un primo sguardo — siamo dinanzi a una personalità poco partecipe alla cronaca. Un architetto che, con lenta sapienza, da anni è impegnato a edificare muri sempre più alti: argini contro le pressioni dell’attualità. I suoi segni potenti celano un profondo disagio nei confronti della contemporaneità. Riprendendo una domanda che si pone Milan Kundera ne L’immortalità, gli chiediamo: «Come vivere in un mondo con il quale non si è d’accordo?». La risposta è un elogio dell’antirealismo. «Il mondo che vedo non è reale. È solo un’illusione. Non mi ci posso adattare. Reali sono solo quadri, poemi, brani musicali. Le opere d’arte, per me, sono come boe in un mare infinitamente privo di senso, alle quali mi aggrappo passando dall’una all’altra».
Le opere, dunque. Per Kiefer, nascono da illuminazioni inattese. «Per cominciare un dipinto, ho bisogno di uno choc. Che può arrivarmi da una poesia, da un’esperienza privata, da un paesaggio».
Un’epica che attinge continuamente a figure e a leggende della Bibbia, straordinario sillabario per leggere il nostro mondo, luogo nel quale è iscritto il grande codice della civiltà occidentale, imponente repertorio di simboli e di icone, affresco sublime nel «dire» la nuda verità della nascita e della morte, dell’eros e della violenza, dell’incanto e della polvere, una sorta di terribile cronaca nera dell’umanità. In particolare, Kiefer — come emerge nella mostra nella galleria milanese di Lia Rumma — ha studiato il libro della Genesi, dove, ha osservato Claudio Magris, si racconta «quello squarcio e stupro del nulla che è la creazione della vita». Kiefer spiega: «Ma la Bibbia è solo una parte dell’universo del mito. Ci sono molti altri alfabeti delle più diverse culture: tutti insieme formano un alfabeto completo».

sono molto attratta dal suo linguaggio biblico, ancestrale, babelico, catastrofico che disegna il futuro di un universo senza uomini. quel che resterà dopo la distruzione sistematica adoperata dai noi abitatori della terra. non posso che credergli e rimanere inclusa nel suo linguaggio, nei suoi codici, nel materiale che usa e trasforma, nell'uso dell'archeologia come mastodontiche testimonianze di un passato da solo destinato a rimanere, data la transitorietà drammatica e incosistente del tempo che ORA viviamo.
un'incosistenza che personalmete mi terrorizza, a proposito di un mondo con il quale non sono d'accordo, dal quale mi desintonizzo totalmente, che mi lascia sgomenta e che ritrovo nell'imponeza e nella solennità del deserto disumanizzato che si concretizza nelle sue opere. sconvolgenti.
Kiefer rimane in ascolto delle voci del mondo: sono echi che si depositano negli interstizi dei suoi quadri e delle sue sculture. «Difficile dire in che misura la nostra èra si rifletta nella mia ricerca, perché io mi muovo sempre nell’oscurità dell’istante. So solo una cosa: l’arte è una necessità. Per la scienza e la politica, essa non ha un’utilità concreta. Invece, senza l’arte non c’è nulla. Quando tutto sarà finito, l’arte continuerà».

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