Iris, ore 23.00. è finito alle 2.00 di mattina.
Lolita, di Stanley Kubrick, un film geniale.
geniale, vi dico geniale.
film di Kubrick ne ho visti alcuni, non tutti, questo è straordinario, il migliore.
bianco e nero, vecchio film in cui i montaggi sanno di cartone. sono in macchina e si capisce che dietro è tutto finto, che l'abitacolo è fermo e che gira solo il volante.
se volete in un film la cui costruzione teatrale è così meticolosa sorprendente e ipnotizzante tutto questo aggiunge fascino alla pellicola.
non ho letto il libro di Nabokov e, come mi accade sempre, o uno o l'altro. ora ho visto il film e le immagini non sono sostituibili dalla parola - viceversa quando un libro che ho letto diventa un film- anche perchè queste immagini hanno conquistato la mia curiosità e il mio immaginario in modo definitivo e insostituibile.
un maturo professore, Humbert Humbert, perde la testa per un'acerba Lolita. prima sposa la madre, che muore in un tragico quanto enigmatico incidente, successivamente va a vivere con lei in veste di patrigno e lentamente matura un delirio di possesso e gelosia verso la giovane e apparentemente innocente "ninfetta", che, dopo essere fuggita con un ambiguo personaggio, il commediografo Clare Quilty, finirà sposa e incinta di un altro ancora, alla fine del film.
la rappresentazione dei personaggi rasenta la perfezione stilistica e descrittiva.
oltre alla Lolita diabolicamente ambigua sotto le vesti dell'innocenza candida e della malizia inconsapevole, la contrapposizione tra il professor Humbert e l'amante Quilty, interpretato da un incredibile Peter Sellers, è una rappresentazione senza pari della follia, dell'alienazione, dello sdoppiamento della coscienza. la narrazione del film è sottile e si gioca su allusioni mai esplicitate fino in fondo, su ambiguità supposte, su una passione erotica divorante mai rappresentata e solo sussurrata all'orecchio, sullo sviluppo della follia lungo l'invisibile corrosione di una voce fuori campo. l'aspetto più sorprendente è la presenza di questo secondo pretendente alle attenzioni di Lolita, che si presenta in forma strisciante nel personaggio di Quilty-Peter Sellers. Sappiamo che c'è, sappiamo che esiste, sappiamo che è "l'altro", sappiamo che è l'autore delle telefonate anonime a contenuto sessuale e provocatorio, il destinatario delle telefonate segrete di Lolita, l'oggetto delle sue ripetute bugie al professore, il soggetto di travestimenti burleschi e francamente umilianti, lo zio presunto che consente la fuga di Lolita, il pedinatore nascosto, lo sappiamo ma non si vede praticamente mai. non lo vediamo mai in presenza di Lolita, sono due soggetti separati sulla scena ma complici a spese del professore.
di fatto Quilty non parla mai direttamente con Humbert, ma sempre per interposta persona, attraverso segnali, dimenticanze, mediante il telefono, travestito con i baffi da psicologo scolastico o di spalle mentre parla con accento straniero. il professore percorre la strada della sua perdizione travolto dalla sessualità perversa di Lolita, che si percepisce con forza ma non si concretizza mai, e dalla presenza persecutoria perturbante di Quilty, che segna tutto il percorso ma non si sostanzia mai.
questa è maestria, questa è capacità narrativa senza eguali.
leggo che la censura impedì a Kubrick di esplicitare le scene di sesso costringendolo ad aggirare l'ostacolo con allusioni e sottintesi e penso, al contrario delle opinioni che ho letto, che questa sia stata la fortuna di questo film. il desiderio e la sua perversione si insinuano in tutto il film proprio in virtù della proibizione, ed è la proibizione, la censura, che determinano lo sdoppiamento di Humbert Humbert -insito nel suo nome- destinato alla follia da una parte e alla consegna della realizzazione del suo desiderio alla figura fantasmatica di Quilty.
il film è intriso di erotismo che non si esprime, ovviamente, mai, nelle scene di sesso esplicito, ma nella costruzione narrativa della storia, nella dinamica e nelle relazioni dei personaggi, nella potenza del non detto, nella verità di ciò che solo viene supposto ma mai realmente visualizzato.
un capolavoro, secondo me.
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8 commenti:
Il film di Kubrick è meraviglioso, e giustamente tu lo separi dal romanzo di Nabokov. Però ti suggerisco di leggere quest'ultimo: che è un'altra cosa in ogni senso, e che alla fine (almeno in me) fa eclissare il film di Kubrick. Kubrick coglie infatti moltissime cose di Nabokov, ma non quella essenziale: che le ninfette non sono l'ossessione erotica di un perverso di mezza età, ma sono (come le ninfe greche) la scaturigine della follia e della coscienza attraverso la possessione, e che il solo luogo nel quale la loro esistenza giunge a compimento è la creazione artistica che oscuramente innescano. "Lolita" di Kubrick è uno splendido film, "Lolita" di Nabokov è, come l'altro grande romanzo del Novecento, la "Recherche", un'opera di metafisica.
buonasera Rofrano, che piacere averti qui.
il tuo suggerimento lo seguo, ma se non è come dici poi ne risponderai personalmente!! però, perdonami, non ho capito dalle tue parole cosa siano le ninfette per Nabokov e che non emerge dal film di Kubrick. me lo rispieghi?
Ho letto il libro di Nabokov e non l'ho trovato perverso. La mia impressione è che Lolita sia una metafora del tempo che si vorrebbe fermare in un preciso momento, quello della trasformazione, del "non ancora". Sicuramente Humbert Humbert si illude d'impossessarsi di quel "tempo" in cui vorrebbe restare. E' anche il problema del narcisismo. Il narciso va in crisi quando invecchia. In quel modo si illude di impadronirsi di un potere, visto che ammirare non gli basta. E' un libro ricco di simbolismi secondo me.
Ciao Rossa!!
irene (in letargo)
Un film bellissimo, forte intensità narrativa, splendida fotografia.
L'altra sera mi sono guardato un altro capolavoro da non perdere: "Veronica Voss", R.W. Fassbinder - 1982 b/n.
Quando il cinema sposa il teatro, e il bianco e nero, con maestrìa quasi unica, fanno il resto.
E' lunedì, avrei voluto giorno ancora di me.
Ciao Rossa, buongiorno!
Irene! ciao! in letargo davvero...ma ormai è primavera, è tempo di svernare.
per il resto va bene...ho capito...lo leggerò 'sto libro pieno di simbolismi.
baci
buongiorno Paolo (UNA VOLTA ENZO UNA VOLTA PAOLO, VA COSì...).
"avrei voluto giorno ancora di me" è una frase criptica, avere un giorno di sè potrebbe essere molto introspettivo, quasi femminile come tendenza.
Veronica Voss potrei averlo visto ma non me lo ricordo. non mi ricordo un sacco di cose, ecco la verità. ma Fassbinder è duro, tedesco (ma và??)...non è il mio must.
Cerco di dirlo in due parole. Le ninfe della mitologia greca (le ninfette nella versione di Nabokov) sono le creature che, attraverso la possessione erotica, ingenerano in che ne è posseduto la rivelazione di sé e del cosmo, la coscienza e la conoscenza, una sapienza così profonda e sgomentante da coincidere con la follia: e questo stato di possessione, coscienza e follia è la scaturigine della creazione, la sorgente dell'arte.
Questo è la Lolita di Nabokov: solo superficialmente è un'adolescente graziosa e stupidella che fa impazzire un pedofilo stagionato; in realtà è la creatura che, attraverso la possessione erotica, fa cadere il velo che copre le cose ultime, ne rivela la dimensione eterna, metafisica, impermeabile allo scorrere del tempo, non più costretta dai vincoli rappresentativi della psiche; e questa dimensione metafisica è attinta attraverso la scrittura. Nel romanzo si accenna continuamente, per minuscoli, impercettibili segnali, alla dimensione metafisica, che è pienamente rivelata nel paragrafo finale.
Tutto questo, naturalmente, nel film di Kubrick non c'è. "Tutto l'effimero non è che un simbolo" scrive Goethe nel "Faust", proprio quando parla dell'essenza del femminino. La ninfetta, senza saperlo, schiude attraverso il proprio incanto (o incantamento) la rivelazione ultima, che prende forma unicamente attraverso l'arte. Null'altro importa: né le fluttuazioni psicologiche (per questo non sono sostanzialmente d'accordo con Irene), né gli accadimenti biografici, né l'illusione dei sentimenti. "Penso agli uri e agli angeli, al segreto dei pigmenti duraturi, ai sonetti profetici, al rifugio dell'arte. E questa è la sola immortalità che tu e io possiamo condividere, mia Lolita".
Altre due dimensioni fondamentali mancano nel film di Kubrick: una è il viaggio attraverso l'America, che per l'esule Nabokov è una fuga iniziatica, corrispondente all'iniziazione erotica e metafisica della possessione per Lolita. L'altra, stupefacente, è la reinvenzione della lingua inglese da parte di un russo. Il primo paragrafo di "Lolita" è un tour de force forse impareggiabile nella prosa inglese di tutti i tempi: "Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta"... E tutto il romanzo è così. C'è un raffinatissimo reticolo di invenzioni lessicali, onomatopee, allitterazioni, assonanze, un gioco smagato con il suono delle sillabe e un equilibrio maniacale fra significato e musica della parola, tale da costituire un libro nel libro: non meno sublime. E anche tutto questo, ça va sans dire, nel film di Kubrick non c'è.
Resta un film bellissimo. :)
bene, adesso so tutto. fin troppo direi, caro Rofrano.
grazie per la lezione, leggerti è sempre un piacere, mi sembra che libro e film siano due universi diversi, direi incomparabili.
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