giovedì 22 luglio 2010
Tieni un capo del filo, con l'altro capo in mano io correrò nel mondo. E se dovessi perdermi tu, mammina mia, tira.
"venuto al mondo", margaret mazzantini, conosce nessuno?
un libro da paura. veramente. altro che caldo, da sciogliersi per eccesso di calore intensita' mannaia del pensiero. quella scrive come pensa. e' pericolosa, credetemi.
l'ho già sentita vibrare sulla pelle con "non ti muovere" e anche questa volta penso che questa donna scrive senza la mediazione della buona educazione. a me il suo pensiero arriva diretto ovunque, in questo caso non ha risparmiato nemmeno l'utero.
un libro da leggere solo se dotati di buon equilibrio psicofisico: io non ce l'ho, nè ora nè mai, ma l'ho letto lo stesso.
e si vede, ne porto i segni qua e la'.
un libro da leggere, preferibilmente se si sono risolti, o almeno valutati, i dubbi sulla maternità, oltre alla propria, ipotetica o reale, anche su quelle che si desiderano oltre ogni ragionevole dubbio, quelle che sventrano l'utero nonostante tutto, nonostante il corpo e la mente dicano NO.
è Sarajevo che fa da sfondo a un amore che sembra illusoriamente senza fine, morte e guerra che fanno da culla alla nascita. un parallelismo che la dice lunga su una maternità che fa morti intorno a sè. da un ventre malato moribondo sanguinante e putrefatto nasce la vita.
un libro senza sconti, una storia che sgretola certezze, una scrittrice con un talento, per me, senza scampo.
"Raggiungiamo l'ospedale del Kosevo. Nell'obitorio c'è quell'odore inconfondibile, acre e dolciastro. Passiamo accanto al corpo di una ragazza con i jeans e senza braccia, poi un uomo carbonizzato, la pelle nera, ritirata sulle ossa del cranio, i denti scoperti. Ci hanno dato una mascherina impregnata di disinfettante per proteggerci da quell'odore.
Poi mi accorgo del bambino, è la salma successiva, dopo una barella vuota. Sembra un bambino blu. Si, ha quel pallore leggermente celeste dei santi in chiesa. È composto, non ha sangue sul viso, e ha quel genere di capelli che restano sempre in ordine, ruvidi, tagliati corti, come un cappello di pelo ... sono così vivi che mi sembra di sentirne l'odore, quello della testa un po' sudata sotto, di bambino che ha giocato. È una lucertola blu, questo bambino. Un piccolo santo. Dev'essere morto da poco, da pochissimo. Mi avvicino per guardarlo meglio, non c'è nessuno con lui...Fuori da qualunque realtà. Il retrobottega della guerra, corpi ammucchiati come giocattoli rotti. Il bambino ha un golf a strisce. Gli guardo una mano, leggermente schiusa, abbandonata come nel sonno. L'innocenza reclinata umilmente alla morte. Gli guardo le unghie, dove mi sembra si sia fermata l'anima. Dovrei andarmene perché sento che non mi salverò più da questa visione, che questo bambino entrerà in me e uscirà solo quando anch'io morirò. Sarà l'ultima cosa che vedrò, e la prima che vorrò raggiungere, dopo, quando cercherò le unghie di questo bambino nel volo azzurro delle anime. Non mi chiedo dov'è sua madre, perché non è qui a piangere, forse è morta anche lei. Perché adesso sono io la madre del bambino, gli tocco la mano. So che non dovrei farlo. È che mi sembra di poterlo fare. Nessuno è qui a piangere sulla salma del bambino, a reclamarla. È appena morto, sembra ancora vivo. Sembra che possa fare un guizzo, piantarmi gli occhi addosso e andarsene in fretta come un topo, spaventato di trovarsi qui.
Ora avrei la cura per i potenti del mondo, per gli uomini in giacca e cravatta intorno al tavolo della finta pace. Bisognerebbe posare il bambino blu su quel tavolo. Dovrebbero restare chiusi in quella stanza, senza potersi muovere. Restare. Vedere la morte che fa il suo lavoro metodico, che se lo mangia da dentro. Distribuire panini, sigarette, acqua minerale e lasciarli lì, mentre il bambino si svuota, si decompone fino alle ossa. Per giorni. Per tutti i giorni che ci vogliono. Questo esattamente farei.
E adesso so di essere diventata madre davanti a questo bambino morto. Le ossa del bacino si sono aperte, un parto è passato in questo obitorio.
La ribellione mi fa battere i denti.
Vedo il bambino nel suo fluido azzurro. Gli tengo la mano.
Percorro tutto il corpo, un gomito, i lividi sui polpacci tra la peluria sottile.
Cosa c'è dopo un bambino morto?
Nulla, credo, solo la replica sorda di noi stessi.
Il bambino è qui, con i suoi capelli da bambino, una calotta di pelo che esala ancora l'odore della vita. Gli occhi murati dei santi, dei martiri che indietreggiano. La pelle delle palpebre è liquida, gli occhi sotto traspaiono come acini d'uva ... non sono del tutto chiusi, resta uno spiraglio tra le ciglia. Una strada. Come un camminamento scuro tra la neve fresca.
Prendo la mano del bambino, m'incammino con lui. Perché sei nato? gli chiedo.
Velida si avvicina. «Possiamo andare, adesso.»
Poi anche lei si accorge del bambino, si mette una mano sulla bocca. «Di chi è?» sussurra.
«Non lo so.»
Si guarda intorno come cercasse qualcosa, qualcuno ... il motivo di tutto questo. Anche lei non ha avuto figli, siamo due donne inutili, due biciclette senza catena.
«È il figlio della guerra ... » dico, e non so quello che sto dicendo, quello che sto pensando, non so cosa sono diventata.
Siamo sole in un campo di morti. C'è un bambino blu che non potrò più dimenticare. Non dovevo essere qui oggi, non dovevo essere io a consolarlo, a tenergli la mano. È stato un caso.
Ci avviamo verso l'uscita. La mascherina intrisa di disinfettante mi protegge dall' odore. Non devo più voltarmi. Attraversiamo il buio, lo scheletro della città.
Cammino nel fango delle lacrime, affogo nell'asola di quegli occhi che non s'erano chiusi del tutto e adesso saranno già sepolti, incollati di terra come una lumaca schiacciata. Non piangerò mai più così, nemmeno quando resterò sola. Quel giorno sarò forte come una vedova bosniaca, come Velida.
Davanti al bambino lei ha detto: «I mariti possono morire, i figli no».
Per qualche giorno non sento più nulla. Resto chiusa nel fuoco blu di quella visione. Intorno a me solo materia fredda. Il pensiero del bambino sotto la terra non mi lascia in pace. S'indurisce come un fossile nella pietra, un guscio. È l'ultimo gradino di questa scala che si arrampica nel vuoto. Non posso più toccare questa terra dove pascolano lumache e morti. Insieme al bambino blu mi sembra che siano morti tutti i bambini del mondo. Fa freddo, il ghiaccio si aggrappa alle cose, le cattura. I bambini giocano a scivolare, non li guardo nemmeno, mi sembrano fantasmi, creature incolonnate verso la morte."
“spegni tutto, cazzo aspetti, Dio? Togli il sole, buttaci addosso dal cielo un pianeta nero come il cuore dei bracconieri in cravatta. Oscura tutto una volta per sempre. Cancella anche il bene, perché il male vive nelle sue tasche. In questo istante. In questo. Perche' in questo istante un bambino sta per essere raggiunto. Salva l'ultimo. Spegni tutto, Dio. E non avere pietà, non abbiamo diritto a nessun testimone.”
"Ogni volta che sono andata a trovare una mia amica che a tra cuscini bianchi e fiocchi, ogni volta che ho visto quel nitore, ogni volta che ho sentito quell'odore indescrivibile di carne nata, di bambino nuovo ... ma anche solo quello dei detergenti, dei dischetti per disinfettare i capezzoli prima dell'allattamento, ogni volta che ho sorriso, ho detto che meraviglia, che incanto, ogni volta mi sono sentita un pezzo più sola, un pezzo più brutta. E sono uscita da quelle tane d'ovatta, dopo aver depositato il mio regalino d'augurio, rabbuiata. E ho camminato per un po', randagia, senza essere più io.
Io non ho partorito. Non si guarisce mai da ciò che ci manca, ci si adatta, ci si racconta altre verità. Si convive con se stessi, con la nostalgia della vita, come i vecchi.
lo non ho partecipato all'evento primigenio, alla rigenerazione di me stessa. Il mio corpo è stato estromesso all'origine da questo banchetto che le donne comuni ripetono a raffica, sazie, indifferenti verso quelle come me.
I parti cambiano le ossa, le spostano. Mia nonna diceva che ogni nascita è un chiodo nel corpo di una donna, un ferro di cavallo. E che prima di morire le madri rivedono i parti che hanno fatto, il corpo che si spalanca e cede al mondo carbone bianco. Vedono i chiodi, la traccia del loro percorso. Morendo cosa ricorderò? Quale sarà il mio ferro di cavallo?"
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14 commenti:
allegriaaa ^_^
dici che sono pesante?non sei il solo.
Beh... Sì. Il dubbio che tu sia pesa è forte.
Lette due o tre frasi enormi.
Domanda: Ma come diavolo fai a postare tutto questo fiume di parole? Scannerizzi la pagina e converti l'immagine in word? Non mi dire che leggi e trascrivi tutto! NON DIRMELO!
Yang
mi dispiace per il dubbio. il fatto che il mio blog porti le mie riflessioni e non i dettagli delle mie trombate non significa...no dai, sono seria ma anche molto faceta. sono riservata sulle mie faccende e qui di certo non le scrivo. non mi va. non lo trovo giusto per mariti amanti trobamici et al. messi tutti in pubblico senza il consenso. non mi va.
il libro è bello al di là del fatto che sia tosto. anzi è bellissimo. a me piace il bello, come a te. ma su certo bello sono pudica, in pubblico.
sono pesa ma non torda...non scrivo a mano no Yang, non lo faccio...e quindi NON TE LO DICO!!
Rossa
Un post drammatico ed un commento stizzito... come mai???
ho pensato "non leggo tutto il post, che poi ho lì il libro da leggere...".
eh, facile da dire ma non da fare. vero, verissimo, ti tira dentro. anche solo in queste poche righe. senti (sento) le cose che scrive come fossero le tue (mie) proprie. concordo con tutta la tua descrizione del coinvolgimento (a parte l'utero, s'intende :-))) ). nessuna mediazione.
forse ti ha coplito così tanto perchè quando scrivi del tuo anche tu vai dritta sul tuo pensiero, per il lettore diventa difficile 'scansarsi'.
grazie :-)
alla prossima
sono una donna incompresa!! il libro è drammatico, il post è solo per dirvi le mie impressioni e che vale la pena, con i dovuti accorgimenti dati, di leggerlo.
commento stizzito...non avrebbe voluto esserlo. solo spiegare che sono pensocentrica ma non solo. mi sono spiegata in un post, tempo fa, forse a marzo, si intitolava "la nudità che ho scelto". magari si capisce qualcosa di più di me, che non sono pesante, magari lo spiega anche a te che qui non ti trovi a tuo agio. ciao.
seeee pesa, mi piacerebbe scrivere così, come lei, ma come mi piacerebbe cazzo.
eh, io non dicevo 'esattevolmente' come lei, certamente ognuno ha il suo stile di scrittura.
ma il modo, la trasmissione diretta del pensiero, il fatto di impedire al lettore (almeno per me) di svicolare, di tralasciare quello che legge e non esserne coinvolto, ecco questo mi sembra analogo.
'notte :-)
Mia madre ha promesso che me lo presta quando torno a trovarla... Lei lo ha già letto e mi ha detto che lo ha trovato indigesto, ma "da leggere" a tutti i costi.
Questo spezzone è cazzuto, le premesse sono buone... Vedremo.
P.S.
Grazie per il passaggio sul mio blog. Ho aggiunto il tuo al mio reader.
è cazzuto o è buono? o è buono perchè cazzuto? indigesto non direi, non per me, ma impegnativo è fuor di dubbio.
ciao rospo, alla prossima.
Tu mi vuoi morto. Ho scampato il post su S. e capito dritto dritto su questo.
Già ero un po triste di mio..
anche quello non lo puoi evitare, bel draghetto. la mazzantini è tosta, ha cuore e coraggio.
Semplicemente un libro potente a dir poco. Mi è entrato dentro appena letto e ancora adesso dopo molti molti anni è ancora dentro di me e so che come tutte le più belle storie vere di vita vera, non mi lascerà mai. Fa parte di me. Sono andata a Sarajevo per vedere la città dove è svolta la storia ed è stato" il viaggio"
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