bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 31 ottobre 2014

il giovane favoloso (II)

non è un capolavoro il film di Mario Martone, ma lo è Leopardi. e io lo ringrazio, Martone, di questo regalo che mi ha fatto, comunque.
il film non è del tutto riuscito, si sfalda via facendo dopo un inizio strepitoso, o favoloso che dir si voglia.
la narrazione della giovinezza di Leopardi a Recanati è entusiasmante, la conoscenza del poeta è esaltante, l'incontro con la sua poesia, la sua passione, la sua rivolta è commovente.

tutto quel che segue, soprattutto l'ultima parte, la permanenza a Napoli, è ormai noiosa, ma il finale vesuviano con la sua ginestra è nuovamente convincente.
mi è piaciuto tanto Elio Germano, quanto mi piace quel ragazzo e quanto somiglia a mio fratello!, quel suo esserci senza recitare. per me lui è Leopardi, è diventato Leopardi, con le sue espressioni, il suo godere del sole sulla faccia, dello spazio intorno, del gelato in bocca, dei dolci napoletani, della compagnia degli altri, la schiena curva sui libri e sulle lettere, lo sguardo veloce e furtivo sulla bellezza. e a quel Leopardi penso ancora, lo penso, lo ricordo, lo immagino, mi ha presa, ha colto qualcosa in me. 
finalmente mi sono liberata, come molti, forse tutti, dello stereotipo leopardiano e ho notato qualcosa di diverso, di sorprendente, di inaspettato. mi sono ritrovata partecipe alle fughe dalla prigione del padre, alla ribellione allo statuto familiare e sociale opprimente e soffocante, alla rivoluzione passionale di uno spirito piegato dalla malattia ma non nello spirito. che cuore indomito!
"Non mi parli di Recanati", scrive a Giordani, suo maestro e fonte di immensa speranza di evasione, "m’è tanto cara da somministrarmi idee per un trattato d’odio per la patria".
il film si dipana per blocchi e alcuni passaggi sono inspiegabili e alcune lungaggini sono disturbanti. quel che rimane, indimenticabile, è la natura di Leopardi, il suo ragionare sulla vita e l'infelicità, la sua filosofia che si ostina a volere spiegare la disperazione che appartiene alla vita di tutti, universalmente (indipendentemente dalla malattia), la sua rabbia e la sua ribellione, la sua poetica. in questo il film regala qualcosa di miracoloso, un dono misterioso, la poetica che racconta il dolore senza mai essere depresso. 

questa è la bellezza del film, il recupero di una figura statuaria e altissima della nostra letteratura ma sempre lontana, distante, sempre  presentata come una piaga insostenibile, una rottura tremenda. e invece no, ecco Leopardi raccontare la sua visione della vita, che non si salva né con la fede né con la ragione (caso mai con l'amore e quanto ne declama l'esigenza) senza mai essere depresso. Leopardi è vivo, pulsante, pensante, appassionato, vivace, curioso del mondo, delle cose e della vita. è vivo più che mai. ed ecco che la mia adesione è totale e penso che così dovrebbero raccontarcelo a scuola e farcelo amare. ed Elio Germano è capace di passarmi tutta questa preziosità declamando l'Infinito senza recitarlo, raccontandomelo e facendomi rabbrividire, facendomi guardare, in altri versi, la sua Silvia con gli occhi di un ragazzo innamorato e schivo. 
dovrebbe sempre essere così, che qualcuno ci racconti la storia con autenticità e amore, con conoscenza e bellezza, scevra da pregiudizi, tramandati e mai rivisti con secolare stanchezza scolastica, da visioni ottuse senza spirito critico.
resta dunque un film importante, molto importante, per me, per la scuola, per i giovani e chi insegna loro. meravigliose le scene sulla "vile prudenza" del padre e della madre, della Recanati dolce ma noiosa e sepolcrale, dell'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e sulla mesta landa.
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto Seren brillar il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo?

 (La Ginestra)

2 commenti:

S. ha detto...

l'unica pecca di Martone, è non aver osato, poteva dirci di più, ma ha preferito restare cmq nei canoni della biografia ufficiale se pur rivisistata...perchè toccare un icona
avrebbe fatto saltare parecchi intelletuali dalle sedie ed il suo film non avrebbe trovato distrubizione...di cosa parlo?
della omosessualità di Giacomo.
che pare nessun storico abbia mai letto, nelle sue epistole a Ranieri
cmq sia non cambia nulla, avrebbe solo dato una visione più vicina al reale, di quanto sia stata, anche questo aspetto di se, fonte di grande patimento.
Vedo che ancora usi "dimostra di non essere un robot" bastasse digitare due numeri...

Rossa ha detto...

ah S. non so cosa uso ancora...io scrivo e basta, quel che fa blogger non lo so..
un caro saluto
Rossa