bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 23 settembre 2013

rise and fall of apartheid

l'ho vista a luglio, ne scrivo solo ora, a mostra ormai terminata. 
l'ho vista un venerdì al PAC, e ci sono rimasta almeno un'ora e mezza, anche più, una quantità sconfinata di fotografie e commenti. l'ho consigliata a chi, quest'anno, è stato o andrà in Sud Africa: inaspettatamente ben tre persone mi hanno comunicato questa meta per le vacanze estive o prossime invernali. è diventata di moda? è una meta così appetibile? credo che nessuno di questi sia andato a vederla. e credo che le ricchezze di questo paese siano sempre più disomogeneamente distribuite, siamo sempre più vicini alle voragini dei paesi sudamericani. 
detto questo, fuori tema, vi riporto la presentazione della mostra: 

Pietra miliare nel suo genere e frutto di oltre sei anni di ricerche, il progetto raccoglie il lavoro di quasi 70 fotografi, artisti e registi, dimostrando il potere dell’immagine - dal saggio fotografico al reportage, dall’analisi sociale al fotogiornalismo e all'arte - di registrare e analizzare l'eredità dell'apartheid e i suoi effetti sulla vita quotidiana in Sud Africa.
Complessa, intensa, evocativa e drammatica, la mostra analizza oltre 60 anni di produzione illustrata e fotografica ormai parte della memoria storica e della moderna identità sudafricana. Fotografie, opere d'arte, film, video, documenti, poster e periodici: un ricco mosaico di materiali, molti dei quali raramente esposti insieme, documenta uno dei periodi storici più importanti del ventesimo secolo, le sue conseguenze tuttora durature sulla società sudafricana e l'importanza del ruolo di Nelson Mandela. 
L’Apartheid, parola olandese composta da “separato” (apart) e “quartiere” (heid), è stata la piattaforma politica del nazionalismo afrikaner prima e dopo la seconda guerra mondiale. Un sistema creato appositamente per promuovere la segregazione razziale e mantenere il potere nelle mani dei bianchi. Nel 1948, dopo la vittoria a sorpresa dell’Afrikaner National Party, l'apartheid è stata introdotta come politica ufficiale dello stato e si è imposta attraverso un'ampia serie di programmi legislativi. Col tempo il sistema dell'apartheid è diventato sempre più spietato e violento nei confronti degli africani e delle altre comunità non bianche. Non ha solo trasformato il moderno significato politico di cittadinanza, ma ha anche inventato una società completamente nuova sia a livello pratico che a livello giuridico: una riorganizzazione delle strutture civili, economiche e politiche che ha coinvolto anche gli aspetti più mondani dell'esistenza, dalla casa al tempo libero, dai trasporti all’istruzione, dal turismo alla religione e ai commerci. L'apartheid ha trasformato le istituzioni mantenendole in vita con l'unico scopo di negare e privare dei propri diritti civili di base africani, meticci e asiatici. È in questo contesto che nasce la fotografia del Sud Africa così come la conosciamo oggi. 
La mostra parte dall’idea che la salita al potere del Partito Nazionale Afrikaner e la conseguente introduzione dell'apartheid come suo fondamento legale abbiano modificato la percezione del paese da una realtà puramente coloniale, basata sulla segregazione razziale, a una realtà vivacemente dibattuta, basata su ideali di uguaglianza, democrazia e diritti civili. La fotografia ha colto quasi immediatamente questo cambiamento e ha trasformato il proprio linguaggio da mezzo puramente antropologico a strumento sociale. Questa è la ragione per cui nessuno ha saputo cogliere la situazione del Sud Africa e della lotta all'apartheid meglio, in modo più critico e incisivo, con una profonda complessità illustrativa e una penetrante introspezione psicologica, di quanto abbiano fatto i fotografi sudafricani. Lo scopo della mostra è quello di far conoscere i protagonisti di questo straordinario cambiamento.
All’impegno investigativo hanno contribuito, tra gli altri, Eli Weinberg – è l’autore del bel ritratto di Nelson Mandela –, Peter Magubane – particolare è lo scatto (qui sotto) della sparatoria a Sharpeville (1960) –, Jurgen Schadeberg – sua è l’immagine che ritrae 20 leader davanti al Tribunale dei Giudici di Johannesburg (1952) –, Paul Weinberg e gli artisti contemporanei Adrian Piper, Jo Ractliffe, Hans Haacke. Quest’indagine culturale, sociale e antropologica è stata realizzata anche con il contributo di Drum Magazine, dell’Afrapix Collective e del Bang Bang Club.










la bellezza della mostra era nella sua capacità narrativa. a partire dalle case coloniche stile anglosassone dei bianchi ricchi fino alle bidonville ai margini del senso di umanità, dagli arresti alle proteste pacifiche davanti ai tribunali, dalle panchine che segnano il confine della razza ma non dell'affetto, dai morti caduti nelle dimostrazioni ai ritratti dei grandi protagonisti della storia. 
mi piace il potere delle immagini, la traccia indelebile nella storia.
l'irrefutabile testimonianza della disumanità, della stupidità, della violenza e della prepotenza.
quando ancora la fotografia non aveva quel gusto, quel godimento mortifero perverso di mostrare l'intestino che fuoriesce dall'addome squarciato, quando semplicemente sapeva cogliere il momento drammatico o tragico con uno sguardo spietato senza provare piacere ad affondare il braccio dentro il torace sventrato.
basta un morto lasciato a terra nell'indifferenza del potere bianco assassino, basta, basta eccome per dire oltre le parole.
Peter Magubane – sparatoria a Sharpeville (1960)

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