bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 8 settembre 2013

il primo uomo

questo il titolo dell'ultimo, incompiuto, romanzo di Camus, rinvenuto nella carcassa della macchina dell'autore dopo l'incidente che ne ha causato la morte, nel 1960.
il libro è claudicante, ha una continuità zoppicante, cerca qualcosa che non trova, accenna a una definizione che non si compie.
probabilmente, proprio in virtù di quel che cerca, è un bel libro per questo motivo, perchè è incompiuto, postumo, inconcluso. è un'analisi incompleta, una ricerca paterna che si ferma alla poetica descrizione della propria infanzia, alla venerazione per una figura materna amatissima, all'incontro fortunato, direi salvifico, con una figura maschile, quella dell'insegnante, capace di segnare un'impronta paterna altrimenti assente.
è un'autobiografia, un racconto che ruota prevalentemente nei ricordi dell'infanzia africana ad Algeri, descritta come luogo magico, carico di stupore e di potenziale felicità.
Camus cerca il padre, morto quando lui aveva un anno, in Francia, martire soldato della Prima Guerra Mondiale per una patria che nemmeno conosceva. ignoto quindi in tutti i sensi, nella sua vita, nella sua morte, nei racconti materni. Camus non ne trova traccia, da nessuna parte. cerca una tomba che non parla, un ricordo materno che è totalmente muto, un'origine e un codice che rimangono misteriosi. chi sono senza un padre? che uomo sono se non so che uomo era mio padre? chi è il primo uomo, l'uomo primigenio, l'uomo che da il passo, il segno, il codice del giusto e dell'ingiusto, del possibile e del non possibile, del desiderio?
il primo uomo. è una definizione così bella, un connubio così perfetto, una coppia di senso così riuscita che riesce a commuovermi.
è questo che si cerca e che non si trova, il significato della nostra vita, il senso dell'essere venuto al mondo, segnato dalla volontà, dal seme, dalla testimonianza del padre: nostro padre o il padre in termini assoluti, storici, cosmici, simbolici. il primo padre, il primo uomo.
Camus scrive bene.ho letto pagine gonfie di bellezza e poesia. già dalla prima pagina:
Sopra il calessino che viaggiava su una strada acciottolata, nubi grosse e dense correvano nel crepuscolo verso oriente. Tre giorni prima, si era­no gonfiate sull'Atlantico, avevano atteso il vento dell'ovest, e si erano messe in moto, lente all'ini­zio e via via più veloci, avevano sorvolato le ac­que fosforescenti dell'autunno, procedendo dirit­te verso il continente, e si erano sfilacciate sulle creste marocchine, per poi riformarsi a banchi su­gli altipiani d'Algeri, e adesso, avvicinandosi alla frontiera con la Tunisia, cercavano di raggiungere il mar Tirreno, dove si sarebbero disperse. Dopo una corsa di migliaia di chilometri su questa spe­cie di isola sterminata, difesa a nord e a sud dal mare in movimento grazie ai flutti paralizzati delle sabbie, correndo su questo paesaggio senza nome poco più in fretta di quanto avessero fatto per millenni imperi e popoli, esaurivano lo slancio, e alcune già si scioglievano, e grosse e rade gocce di pioggia cominciavano a risuonare sul mantice di tela che riparava i quattro viaggiatori. 
la sua è una disperata ricerca di senso, di significato, per sè e per il mondo. lo cerca alla tomba del padre, che visita per la prima volta a 40 anni, sepolto nel cimitero di guerra di Saint-Brieuc sulla Manica. 
Adesso a 40 anni, regno su tante cose e tuttavia sono certo di essere inferiore ai più umili e comunque nulla in confronto a mia madre.
all’impatto con la tomba di  quello sconosciuto i suoi sentimenti risultano raggelati ma in seguito un rimpianto, una nostalgia spezzano la paralisi e si aprono alla verità: Ora gli sembrava che quel segreto che aveva sempre cercato con avidità di conoscere attraverso i libri e le persone, fosse intimamente legato a questo morto, a questo padre ragazzo, a ciò che era stato e era diventato: e di aver cercato lontano ciò che gli era vicino nel tempo e nel sangue.
lo cerca speranzoso nei silenzi della madre, figura semplice, povera, triste ma dignitosa e pura: O madre, o tenera bambina adorata, più grande del mio tempo, più grande della storia che ti assoggettava a sé, più vera di tutto ciò che ho amato in questo mondo, o madre perdona a tuo figlio di essere fuggito dalla notte della tua verità. 
lo cerca fino a diventare grande, un uomo a sua volta "Tu, un uomo.", attraversando esperienze, povertà, sole accecante, una nonna severa e ignorante, una madre tenera, un ricordo vuoto senza sostanza.
La sera, il padrone convocava ogni impiegato nella sua tana per consegnargli il salario. "Prendi, piccolo," disse a Jacques, porgendogli la busta. E, mentre il ragazzo tendeva una mano esitante, l'altro gli sorrise. "Stai andando molto bene, sai? Puoi dirlo ai tuoi." Ma già Jacques gli stava dicendo che non sarebbe più tornato. Il padrone lo guardò sbalordito, con il braccio ancora teso verso di lui. "Perché?" Bisognava mentire, e la bugia non gli veniva. Rimase muto, e con un'aria così sconfortata che il padrone capì. "Torni al liceo?" "Sì," disse Jacques e, nonostante la paura e lo sconforto, un sollievo improvviso gli riempì gli occhi di lacrime. Il padrone si alzò furibondo. "E tu lo sapevi quando sei venuto qui. E lo sapeva anche tua nonna." Jacques non poté che annuire. Gli scoppi di voce riempivano ora la stanza; erano stati disonesti, e lui, il padrone, non sopportava la disonestà. Non sapeva forse che era suo diritto non pagarlo, e poi sarebbe stato proprio stupido, no, non lo avrebbe pagato, e venisse pure sua nonna, ci avrebbe pensato lui a riceverla: se gli avessero detto la verità, lo avrebbe forse assunto lo stesso, ma questa bugia, ah!, "Non può più andare al liceo, siamo troppo poveri", e lui si era lasciato fregare. "È per questo," disse all'improvviso Jacques, sconvolto. "Come per questo?" "Perché siamo poveri", poi tacque e fu l'altro che, dopo averlo guardato, aggiunse lentamente: "... Che avete fatto questo, che mi avete raccontato quella storia?" Jacques, coi denti stretti, si guardava le punte dei piedi. Ci fu una pausa, interminabile. Poi il padrone prese la busta dal tavolo e gliela porse. "Prendi il tuo denaro. E vattene" disse brutalmente. "No," disse Jacques. Il padrone gli ficcò la busta in tasca. Per la strada Jacques correva, piangendo adesso, con le mani aggrappate al colletto della giacca per non toccare i soldi che gli bruciavano in tasca.
Mentire per avere il diritto di non fare le vacanze, lavorare lontano dal cielo estivo e dal che tanto amava, e mentire ancora per diritto di riprendere il proprio lavoro al liceo: era un'ingiustizia che gli stringeva il cuore. Il peggio, infatti, non consisteva in quelle bugie che alla fine non si era sentito di dire, sempre pronto com'era alla menzogna del piacere e incapace di rassegnarsi alla menzogna della necessità, ma in quelle gioie perdute, in quei riposi della stagione e della luce che gli erano stati sottratti, facendo dell'anno una mera successione di  levate frettolose e di giornate tetre e affannate. Aveva dovuto rinunciare a quanto c'era di regale sua vita di povero, alle ricchezze insostituibili di cui godeva con tanta abbondanza e golosità per guadagnare un po' di denaro che non sarebbe bastato a comprare un milionesimo di tesori. Capiva tuttavia che era stato necessario farlo e, persino nel momento della massima ribellione, qualcosa in lui era fiero d'averlo fatto. Poiché l'unico compenso a queste estati sacrificate alla miseria della menzogna l'aveva a giorno della sua prima paga quando, enrando in sala da pranzo, dove già si trovavano la nonna che sbucciava patate per poi gettarle in un catino d'acqua, lo zio Ernest che, seduto, spulciava il paziente Brillant tenendolo fra le gambe, e la madre che, appena rientrata, scioglieva su un angolo della credenza un piccolo fagotto di biancheria sporca che le avevano dato da lavare, Jacques si era fatto avanti e aveva posato sul tavolo, senza dir nulla, il biglietto da 100 franchi e le monete che aveva tenuto in mano per tutto il tragitto. E la nonna, anche lei in silenzio, aveva spinto verso di lui una moneta da 20 franchi, raccogliendo il resto. Poi, con una mano, aveva toccato un fianco di Catherine Connery per attirare la sua attenzione e le aveva mostrato il denaro. "È tuo figlio." "Sì," aveva detto lei, e i suoi occhi tristi avevano accarezzato per un attimo il ragazzo. Lo zio scuoteva il capo, tenendo fermo Brillant che credeva concluso il suo supplizio. "Bravo, bravo," diceva. "Tu, un uomo." Sì, era un uomo, pagava una parte del suo debito, e il pensiero di avere un po' alleviato la miseria di quella casa lo riempiva di quella fierezza quasi feroce che provano gli uomini quando cominciano a sentirsi liberi e non sottomessi a nulla. In effetti, quindo si riaprirono le scuole, colui che entrò nel cortile della seconda non era più il ragazzo disorientato che, quattro anni prima, aveva lasciato Belcourt di primo mattino, barcollando sulle scarpe chiodate, col cuore stretto nel pensare al mondo sconosciuto che lo aspettava, e lo sguardo che posava sui compagni aveva perso un po' della sua innocenza. Molte cose, d'altronde, cominciarono a staccarlo da quel ragazzo che era stato. E se un giorno, dopo avere sino ad allora accettato pazientemente di farsi picchiare dalla nonna, come se fosse uno degli obblighi inevitabili di una vita di ragazzo, le strappò di mano il nerbo di bue, improvvisamente folle di violenza e di rabbia e talmente deciso a colpire quella testa bianca i cui occhi chiari e freddi lo facevano andare fuori di sé che la nonna capì e indietreggiò e corse a chiudersi in camera propria, gemendo, certo, per la disgrazia di aver allevato ragazzi snaturati ma già convinta che non avrebbe mai più picchiato Jacques, e mai più in effetti lo picchiò, ciò accadde perché di fatto il ragazzo era morto in questo adolescente magro e muscoloso, coi capelli arruffati e lo sguardo collerico, che aveva lavorato tutta l'estate per portare a casa una paga, era stato nominato portiere titolare della squadra del liceo e, tre giorni prima, sentendosi venir meno, aveva assaporato per la prima volta la bocca di una ragazza.

Camus è stato capace di vedere palpitare nell’esistenza offesa e gravata di sofferenza di una donna, sua madre, il mistero di una luce, una resistenza salda e irremovibile che penetra tutto. Camus è stato capace di intravedere il segno di una speranza che mai rinnegò e mai raggiunse, il segno di un padre mai conosciuto ma disperatamente cercato dentro di sè, di una domanda senza risposta ma non per questo meno importante e meno carica di forza vitale. 

Era da questa oscurità che era in lui che nasceva quell'ardore famelico, quella follia di vivere che lo aveva sempre abitato e che ancora oggi lo manteneva intatto, rendendo soltanto più amara — in mezzo alla famiglia ritrovata e alle immagini dell'infanzia — l'improvvisa e terribile sensazione che il tempo della giovinezza stesse fuggendo, come quella donna che aveva amato, oh sì, l'aveva amata con un grande amore di tutto il cuore e anche del corpo, sì, con lei il desiderio era assoluto, e il mondo quando defluiva da lei con un grande arido muto nell'attimo del godimento ritrovava il suo ordine ardente, e l'aveva amata per la sua bellezza e per quella follia di vivere, generosa e disperata, che era anche la sua e che le faceva rifiutare il trascorrere del tempo.
...E anche lui, più di lei forse, essendo nato su una terra senza avi e senza memoria, dove l'annientamento di coloro che l'avevano preceduto era stato ancor più totale e la vecchiaia non trovava quelle consolazioni della malinconia che riceve nei paesi di civiltà, lui come una lama solitaria e vibrante, destinata a spezzarsi all'improvviso e per sempre, una pura passione di vivere contrapposta a una morte totale, sentiva oggi sfuggirgli la vita, la giovinezza, le persone, senza poter in alcun modo salvarle, abbandonandosi soltanto alla cieca speranza che questa forza oscura che per tanti anni lo aveva elevato al disopra dei giorni, nutrito oltre misura, preparato per le situazioni più dure, gli avrebbe anche fornito, e con la stessa generosità instancabile con cui gli aveva dato ragioni per vivere, ragioni per invecchiare e morire senza ribellione. 


2 commenti:

corte sconta ha detto...

Buongiorno,bel commento ed ottimo scrittore,lo leggerò sicuramente.grazie, e, come quasi sempre..brava davvero.hasta la vista Rossa.

Rossa ha detto...

Buonasera.
eh no, ormai sono abituata bene...quasi sempre??!!
ciao, grazie, notte.
Rossa