non mi aspettavo niente da questo film, o forse non sapevo cosa aspettarmi. avevo scarsissime informazioni, solo "vale la pena" di vederlo, solo che si aggirava intorno alla morte. o meglio, ai morti.
un film sulla morte che parla di vita. il meglio arriva quando non l'aspetti, l'assenza di previsioni o pregiudizi esalta la purezza dell'ascolto e della visione.
l'accettazione della morte, della fisicità della separazione, e il dialogo con i morti, con la corporeità senza vita, aprono la via alla serenità. alla pacificazione.
il protagonista del film, ambientato in giappone, si occupa di tanatocosmesi, ovvero la composizione della salma, la sua preparazione e cura prima della cremazione. il corpo al momento della morte porta i segni del dolore, della stanchezza, della malattia e la funzione del protagonista è di lavarlo, vestirlo, truccarlo, profumarlo e restituirgli una bellezza originaria. un rituale di passaggio, un'apertura del cancello, un percorso alla presenza dei cari, un'operazione liturgica di contatto con la morte, di accettazione della sua concretizzazione, di pacificazione con l'evento, di risoluzione dei conflitti.
il film mi ha ricordato un'episodio della mia carriera studentesca, una lezione di anatomia patologica, parliamo di secoli fa. aula ad anfiteatro gremita di studenti e un corpo, un cadavere al centro della sala. mi ricordo le parole del professore, me le ricordo tra milioni di parole che ho ascoltato e studiato per un'infinità di anni. mi ricordo quel corpo e quel medico che ci dice, che mi dice, che del corpo, morto, bisogna avere rispetto. che quel corpo, morto, porta dentro di sè una storia, una vita, gli amori, i dispiaceri, i lutti, magari i figli e, ovviamente, le malattie. ricordo che a quel corpo diede un nome: questa e' la sig.ra Maria. ricordo che ne fece un resoconto clinico, ricordo che ne parlo' con osservanza, ricordo che spiegando la toccava, con quel gesto di confidenza e rassicurazione che a volte hanno i medici al letto dei malati. L'apertura di quel corpo, l'analisi dei suoi organi interni, la ricostruzione di un'esistenza, di uno stile di vita, di una genetica, di un'ereditarietà e di una acquisizione ambientale, non hanno procurato in me nessuna negazione, nessun rifiuto. ho guardato, osservato, studiato e capito sapendo che di quel corpo avevo riguardo, di quel corpo ne riconoscevo il bagaglio e l'esperienza. capivo che quel corpo mi stava aiutando. capivo che stavo imparando.
e da allora non ho mai più avuto nessun timore di un corpo senza vita, ovviamente conseguente a una morte naturale e non violenta, perchè non ne ho più avuto soggezione. non dico che mi sono fatta una partita a carte con la paura della morte, direi una bugia colossale, io tremo, ma la morte fisica obiettivata in un corpo esanime non mi sgomenta.
questo film racconta di un passaggio importante nell'accettazione della morte, racconta del contatto necessario con il corpo di chi abbiamo amato e di come, nel rispetto di quella fisicità ancora presente, possiamo ripercorrere, come nella ricomposizione del cadavere, un percorso fatto insieme, una storia vissuta accanto, una riconciliazione con chi abbiamo amato ma magari non capito.
paradossalmente il contatto crea la distanza necessaria, l'intimità produce il distacco che consente l'addio. ed e' questo paradosso che mi interessa.
sembra che la vita a volte sia cieca, e la morte possa essere illuminante.
se ci penso mi dico che nella nostra vita, quella che pulsa e pompa sangue dentro me che scrivo, di voi che leggete ora, di chi concepisce e partorisce in questo momento, di chi crea un quadro o cammina verso scuola, la morte che ci riguarda non e' ovviamente la nostra ma quella degli altri. la nostra e' una previsione, e' un fantasma, e' un mistero inconoscibile che rimarra' tale, quella degli altri e' tangibile, fisica, e' presenza che diventa assenza, e' dolore e solitudine. ma la continua elusione della morte e' ogni volta una sua evocazione, ogni tentativo di aggirarla e' un suo radicamento dentro di noi. guardarla, accettarla, toccarla e' un modo, una modalita' eventuale, per avvicinarsi e sentirla meno opprimente.
i personaggi del film sembrano toccati da questo destino, quel lavoro, inizialmente vissuto come umiliante e sporco, imbarazzante e infimo, restituisce dignità e forza al protagonista. a parte il finale prevedibile e alcuni simbolismi troppo elementari, il film crea con convinzione la dimensione del confronto con la morte -e questo passaggio ci riguarda tutti e dico tutti prima o poi- che apre la strada a una visione lungimirante e riconciliata della vita.
19 commenti:
Nel settimo sigillo la partita era a scacchi, le carte sono più rapide, troppo. Lo scacco matto rende di più l'idea della fine.
Se capita lo andrò a vedere. Grazie
ho adorato questo film.
La morte sembra fare meno male a chi resta.
io ho sempre avuto un rammarico: l'impossibilita' di "recuperare" la memoria/sapere di chi se ne va...
non l'ho visto
ogni cosa attorno a me sembra rallentata, statica... ne avanti ne indietro... Che rottura di coglioni... Scusa rossa, il mio commento non c'entra nulla con il tuo post
Diario, bellissimo film quello che citi, ma siamo su piani completamente differenti. Bergman con le sue luci ed ombre si addentra in questioni filosifche e religiose, qui siamo su un piano emozionale puro. vai a vederlo e poi dimmi cosa ne pensi. mi piacerebbe.
Amore, ti adoro per quello che hai scritto.
un abbraccio anche a te.
è un bel pensiero il tuo, surfer, ma penso che ogni persona lasci quello che ha seminato. se lo ha fatto bene, se ha lasciato agli altri cose di sè, molti serberanno la sua memoria e il suo sapere, passandolo a loro volta. è la catena della vita, della vita che abbia un senso e lo abbia coltivato.
vai Lupo amico mio. "vale la pena". e poi torna qui a riferire.
invece forse è più pertinente di quel che pensi. dai raccontami, raccontami bene, la stagnazione a volte è inevitabile e necessaria...
Sono passato in rianimazione, giusto un attimo prima del film...e tutto ciò che era racchiuso in quel corpo era in procinto di abbandonarlo.
eheh, non ci crederai, ma...questo l'ho visto!
bello, poetico.
'un film sulla morte che parla di vita' è una definizione azzeccatissima :-)
nella la mia limitata esperienza posso dire di non aver mai trovato poca sensibilità fra chi lavora quotidianamente fianco a fianco con i morti.
sul 'fare memoria' abbiamo già avuto modo di confrontarci altre volte e direi che ci troviamo d'accordo.
leggendo questo tuo post, il racconto di una scoperta, sarà il tono, sarà il periodo, mi è venuta in mente la poesia di Rilke "sii paziente con tutto quello che è insoluto...", così...
'notte
alla prossima
Non ho visto questo film, capita però che abbia letto in questi giorni una poesia di un amico, poeta e musicista: Francesco Tontoli.
H
Gli ospedali sono pieni di poeti
in posizione supina e sguardo errante
affrescano i soffitti di pensieri
e gli occhi si aggrappano alle cose
lasciandole sospese e irrisolte
come domande di vita disattese.
Circola la linfa della poesia
in questi luoghi anneriti dai lutti
una poesia che dal dolore trae alimento
e dal sorriso e dalla compassione
cerca la vena, ama il sangue
nutre i parenti e gli amici di sospiri.
Lungo la ragnatela dei tubi che sale
dagli organi interni delle sue architetture
l'ospedale assale le sue creature
le rende innocue e docili,
silenziose come alberi
produttori di linfe segrete.
Gioca con gli algoritmi primari
affonda nel corpo di vittime irregolari
pronte inconsapevolmente a versificare.
Un grande saluto
nonsoche tu mi preoccupi...deve essere un momento monumento quello...
ah pesa, alla buon ora!! devo metterla qui quella poesia di Rilke, devo trovarla tutta intera. bel riferimento comunque, grazie.
mi piace questa poesia che mi hai lasciato, molto direi. grazie, e' un gran bel regalo.
a presto
Rossa
ma... l'hai già pubblicata qui sul blog, nel post dei regali, a marzo :-)
se invece intendevi proprio qui, su questo post, eccola:
"Sii paziente con tutto ciò che è insoluto nel tuo cuore.
Cerca di amare le domande in sé...
Non cercare adesso le risposte
che non possono essere date
perchè non saresti capace
di viverle.
E il punto è di vivere ogni cosa.
Vivi le domande ora.
Forse in futuro gradualmente,
senza farci caso,
un giorno lontano ne vivrai le risposte."
(Rainer Maria Rilke)
PS: il brano originale (ok, tradotto) dal libro di Rilke "lettera ad un giovane poeta" è questo: “Lei è così giovane, così nuovo a ogni inizio, e io vorrei pregarla come posso, caro signore, di essere paziente verso tutto l'insoluto del suo cuore, e di tentare di amare le domande stesse come stanze chiuse, e come libri scritti in una lingua estranea. Non cerchi ora le risposte, che non possono esserle date perché non le potrebbe vivere. Mentre si tratta appunto di vivere tutto. Ora viva le domande. Forse così a poco a poco, insensibilmente, si troverà un giorno lontano a vivere la risposta.”
alla prossima
Ciao Rossa, ho letto il tuo post, e mi è sembrato quasi di vederti durante la tua prima lezione con una persona morta,mi piace quando chi scrive riesce anche a farmi vivere la scena.
Personalmente un anno fa nel giro di pochi giorni sono stata due volte sul punto di lasciare questo mondo, e devo confessarti che quando ho capito che era finita non ho avuto paura, per un solo istante ho pensato ai miei figli alla mia famiglia, poi un immenso senso di pace...e stato il risveglio atroce.
ciao Silvia, mi sembra una cosa molto pesante quella che racconti. molto personale. ora però ci sei e scrivi, speriamo di incontrarci anche su altri argomenti.
Posta un commento