bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

sabato 16 gennaio 2016

polemiche e pace nel direttissimo

che titolo è?
è di Gadda.
dal suo libro, il secondo, Il castello di Udine.
questo è l'ultimo capitolo della terza parte.
l'incipit del libro è noto come Tendo al mio fine.
è una faccenda complicata, molto complicata, un pasticciaccio, e io non ne sapevo nulla, fino a ieri sera.
alla Triennale di Milano, ieri,  alle 19, c'era una situazione, una situazione particolare, c'era Gifuni, Fabrizio, e c'era Gadda, Carlo, con questi due testi, Tendo al mio fine e Polemiche e pace nel direttissimo.
c'era anche un altro personaggio, il prof, Claudio Vela, ma lui conta meno, ha fatto la spiega, anche utile, ma anche prolissa. la gente si innervosiva. quella dietro di me è andata fuori di testa ed è stato necessario contenerla per farla stare un po' zitta.
non so se il post è su Gifuni che legge Gadda o su Gadda letto da Gifuni.
per leggere Gadda io ho bisogno di una mano e Gifuni me la da.
grazie a lui ho letto, in audiolibro, Quer pasticciaccio brutto.
altrimenti non so se ce l'avrei fatta.
Gadda è un fenomeno irripetibile, ma anche Gifuni per la miseria.
Gadda scrive che non ci si può credere e Gifuni legge che ci si crede per forza, una forza della natura.
l'incontro di queste due anime produce un effetto artistico letterario teatrale di altissimo livello.
penso alla prosa, alle parole di Gadda, al suo scrivere, e non mi capacito della incommensurabile perdita che oggi tutti subiamo nel nostro lessico, siamo dei poveretti, in miseria, falliti.
penso alla capacità con le parole di Gifuni e non mi capacito della sapienza e dell'intelligenza umana, quale maestria, quale talento. chissà, mi domando, se è anche simpatico.
da un po' di tempo ha una gran barba, era piaciuta moltissimo a Natalia Aspesi, sembrava eccitata, a BookCity, a Ottobre, alla lettura di Aritmie di Vittorio Lingiardi. e anche lì, Gifuni mi ha dato una mano.
Gifuni da corpo al testo, è un evento, le parole diventano corporee, tramite lui. 
la sua lettura, ieri sera, di quel testo mai conosciuto della difficile e complicata faccenda di Gadda scrittore è stata magistrale, io l'ho vissuta bene, il mio corpo ne godeva, la sua parola corpo ha incontrato il mio. ero dentro la storia, l'ho vissuta.

ricordo, a proposito di un uomo morto che, depositato sulla poltrona dello scompartimento, irrompe nella scena del vagone (il direttissimo) dei viaggiatori, la descrizione dell'abbandono di quel corpo, di una "stanchezza pesante che non avrebbe avuto rivincita". non avrebbe avuto rivincita, non avrebbe avuto rivincita non avrebbe avuto rivincita, mi ripeto.
indimenticabile.

Tendo al mio fine
Tendo a una brutale deformazione dei temi che il destino s’è creduto di proponermi come formate cose ed obbietti: come paragrafi immoti della sapiente sua legge. Umiliato dal destino, sacrificato alla inutilità, nellabestialità corrotto, e però atterrito dalla vanità vana del nulla, io, che di tutti li scrittori della Italia antichi e moderni sono quello che più possiede di comodini da notte, vorrò dipartirmi un giorno dalle sfiancate sèggiole dove m’ha collocato la sapienza e la virtù de’ sapienti e de’ virtuosi, e, andando verso l’orrida solitudine mia, levarò in lode di quelli quel canto, a che ilmandolino dell’anima, ben grattato, potrà dare bellezza nel ghigno. La virtù, senza il becco d’un quattrino, è pur veneranda cosa: e questo si arà da sentire nelle mie note. Era ed è la legge (2) che custodisce ed impone l’inutilità marmorea del bene, che ignora o misconosce le ragioni oscure e vivide della vita, la qual si devolve profonda: deformazione perenne, indagine, costruzione eroica. 
...
Così seguiterò il mio cammino solitario. Seguiterò a pagare e servire la necessità, conterò avaramente il poco denaro, loderò la plastile carne delle infarinate bagasce; appetirò cose non lecite; altre sognerò non possibili; e una grata sarà il termine de’ pochi miei passi. E leggerò i libri sapientissimi delli scrittori, infino a che, sopra alla mia trapassata sapienza, vi crescerà l’erba.
I pensieri più belli si dissolveranno, ogni volere, ogni gioia, ogni più ardente e tenero senso e memoria; e forse l’amore istesso della mia terra! Come avviene che di là, dietro dal monte, la rosea nube in cenere si discolori. E in sul muro, che chiude il Campo, si leggerà, mal vedibile, un segno: un segno inscritto col sangue. Crescerà ne’ vecchi muri l’urtica: e l’erba di sopra la lassitudine mia. E l’erba, che sarà cresciuta, la mangerà il cavallo, che campato sarà. 

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