bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 30 novembre 2015

fondazione Prada

nella stessa area in cui a luglio c'era quello spettacolo di mostra che si è intitolata Serial Classic, ora c'è l'esposizione di Gianni Piacentino.
Fondazione Prada.
a luglio c'è stata la sorpresa di questo luogo sorprendente e di quella mostra strepitosa.
a novembre c'è stato il piacere di ritornarci e la conferma dei miei sospetti.
la mostra di Piacentino è una pura formalità e credo che questo voglia essere. 
estetica, nessuna etica.
e io mi ci muovo male, come un elefante tra i cristalli.
è tutto perfetto e se dico tutto è TUTTO.
le sale sono bellissime, circondate da vetrate enormi, mosse con leggiadre sopraelevate e soavi scalinate. lo spazio è un invito alla metafisica architettonica.
le luci sono perfette, i colori degli oggetti in mostra sono un capolavoro di eleganza.
l'esposizione si muove come un serpente, fluido e silenzioso, spazi si aprono con fenditure che anticipano le sale successive, sempre rispettando un'inquadratura fotografica millimetrica.
tutto è geometrico, calcolato, matematico, perfetto, bellissimo, elegantissimo.
i ragazzi prada, perfetti automi pre programmati vestiti come oggetti su un comodino, invitano perfino a rispettare linee teoriche nello spostamento tra gli oggetti sul pavimento, di lì si, di là no. 
perché? chiedo. perché di lì rovina il senso geometrico dello spazio, di là lo rispetta. risposta.
la mostra, in verità, non sono gli aero-moto-spaziali oggetti di Piacentino, secondari, ma è l'esposizione stessa, un capolavoro di ossessivo senso dell'assoluto.
percorrendola mi viene il sospetto di essere manovrata, di essere in un copione già scritto, penso di essere in un momento truman show, perfino gli spettatori, i fruitori della mostra sono perfetti, sono creature di Prada, assolutamente conformi al dettame della moda, in stile, sembra una sfilata di modelli, io sono completamente stonata, non ho le scarpe adatte!!!
sono uscita frastornata, ancora oggi sono convinta, in termini paranoici, di essere entrata in un momento teatrale, un'esperienza unica, tutto, tutta la fondazione Prada è una straordinaria invenzione fashion.
da provare assolutamente per capire cos'è l'alienazione, se già non si sa.














 Fondazione Prada dedica una mostra antologica all’artista Gianni Piacentino (Torino, 1945), a cura di Germano Celant. Il percorso espositivo, ospitato nei due livelli del Podium, riunisce più di 90 lavori ed esplora la carriera dell’artista seguendo un ordine anticronologico, dalle opere più recenti realizzate nel 2015 fino ai lavori datati 1965. 
 La ricerca di Piacentino si avvia in un contesto culturale e artistico caratterizzato da un crescente distacco dal soggettivismo che aveva animato l’Action Painting e l’Informale e dallo sviluppo di un nuovo linguaggio visivo tra l’attenzione all’immaginario popolare e consumistico e l’apprezzamento per forme geometriche e primarie. Il suo lavoro non s’inscrive però in nessuna delle due tendenze allora dominanti – Pop art e Minimal art – ma opera, secondo la lettura inedita di questa mostra, una sintesi tra le due. 
 Alla ricerca di un punto d’incontro tra le due correnti, Piacentino trova una risposta nel mondo della velocità e dei mezzi di trasporto come l’automobile, la moto e l’aereo, prodotti della cultura popolare che, pur non appartenendo all’arte pura, sono la testimonianza di un’estetica industriale. In tale senso l’artista si avvicina alle fantasie aerodinamiche di molti artisti californiani: da Billy Al Bengston a Craig Kauffman, da John Mc Cracken a John Goode. Come spiega Germano Celant: “È in questo clima storico di oscillazione tra arte e design, tra artigianato e industria, tra utile e inutile, tra unicità e serie, che si colloca il contributo di Piacentino, le cui alterità e unicità risiedono proprio nella dialettica tra le due polarità. Sin dal 1966 le sue sculture approdano a un risultato trascendente l’oggetto funzionale, sebbene quest’ultimo rimanga riconoscibile come possibile entità industriale e dalle caratteristiche decorative, perché derivate da una cultura intrisa di scienza applicata, di esperienza artigianale, di precisione meccanica e di processi strumentali di alta ingegneria”. 
 Come afferma Gianni Piacentino, “al centro del mio lavoro c’è sempre la rilevanza del controllo tecnico e matematico. Non mi lascio sedurre dal rimosso e dalle pulsioni”. Una coerenza dimostrata dall’attrazione per la disciplina costruttiva che comporta sia eleganza e perfezione, sia la predilezione per un controllo assoluto delle proprietà fisiche e cromatiche dei materiali. 
 Durante il suo percorso artistico, Piacentino si è posto alla guida del processo creativo seguendo, come nel settore del design, tutte le fasi inscritte in uno schema di produzione industriale. Come sostiene Germano Celant, la sua avventura artistica ed estetica rappresenta “un’uscita assoluta dall’imperfezione, dall’istantaneità e dalla casualità del fare arte, per accedere a un universo di perfezione, calcolo e concentrazione, così da poter competere, sul piano del sublime e dell’assoluto, con un veicolo da corsa o da volo”.

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