bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 17 febbraio 2014

l'altalena

dipinto vascolare- il pittore dell'altalena, conservato a Berlino

L' altalena, per i greci, aveva un luogo e un momento di nascita ben precisi, e anche, quantomeno ad Atene, una importantissima funzione sociale. A raccontarci quale fosse questa funzione è, come sempre, un mito. Nella specie, un mito poco noto, ma legato a uno celeberrimo: quello degli Atridi raccontato da Eschilo nell' Orestea. Clitennestra, che d' accordo con il suo amante Egisto ha ucciso il marito Agamennone, viene uccisa dal figlio Oreste, che vuole - e nella mentalità dell' epoca deve - vendicare il padre. Ma, anche in quel mondo, il terribile mondo della vendetta, il matricidio è una colpa inespiabile. Perseguitato dal rimorso Oreste fugge, inseguito, oltre che dalle Erinni che vogliono fargli pagare il terribile gesto, anche dalla sorellastra Erigone, la figlia che Clitennestra ha avuto da Egisto. Ma quando giunge ad Atene Oreste viene assolto: «Il vero genitore - decreta la dea Atena, esprimendo quel che pensavano se non tutti, quantomeno molti greci - non è la madre, bensì il padre». A questo punto Erigone, disperata, si impicca. Senonché, quando la notizia si sparge, le vergini ateniesi, come se fossero state contagiate, prendono a impiccarsi in massa. La città rischia di estinguersi. Preoccupatissimi, gli ateniesi si precipitano a interpellare l' oracolo di Apollo, che suggerisce un rimedio: basta costruire delle altalene, così che le ragazze possano dondolarsi nell' aria, come quelle che si impiccano, ma senza perdere la vita. La città è salva, gli ateniesi sono felici, le ragazze ateniesi ancor più di loro, e l' altalena diventa il gioco preferito delle ragazze di tutti i tempi.


così leggo, ascolto, dal libro di Eva Cantarella: L'amore è un dio, una raccolta di miti, leggende, storie di donne come Medea e Fedra, amori omerici, processi famosi, che parlano, trattano intorno alla questione dell'amore o, forse meglio, della figura femminile al tempo dei greci.
il capitolo finale è dedicato a Erigone e la leggenda dell'altalena. e ne sono rimasta folgorata.
Erigone, della anche Aletis -la vagabonda- si impicca disperata alla notizia di non poter avere giustizia per la morte di suo padre e ne segue una follia collettiva, tutte le giovani donne ateniesi, vergini come lei, si impiccano in massa. l'oracolo indica l'altalena come rimedio, ovvero quel dondolio per aria che mima la morte per impiccagione. questo passaggio simbolico mi affascina e mi cattura e, prosegue la Cantarella, è stato riproposto più volte nell'arte e letteratura greca. Pausania, descrivendo il dipinto di Polignoto: Fedra in altalena, ne ripropone appunto, la lettura in termini simbolici: anche Fedra si è impiccata, rea di amare il figliastro Ippolito, e l'altalena ne è la sua rappresentazione. in una famosa pittura vascolare - riportata all'inizio della pagina, e che si può vedere a Berlino- il pittore dell'altalena aggiunge un ulteriore messaggio a questa connessione tra la morte e l'altalena, inserendo anche un elemento di natura sessuale. l'altalena su cui Aletis -in basso alla pittura si può leggere ALE, Aletis, Erigone-si dondola non è una semplice altalena ma un trono con 4 gambe e drappeggi e rappresenta quindi un mito, in cui compare, di spalle alla fanciulla, la figura del satiro, sicuro riferimento sessuale. il dondolio, mi viene da pensare, richiama la morte per impiccagione, ma richiama anche il movimento ondulatorio del rapporto sessuale, e quel satiro che spinge l'altalena collega l'amore fisico alla morte, a una qualche forma di passaggio rituale.
l'altalena potrebbe così rappresentare il rito di passaggio dalla verginità alla maturità sessuale delle donne. e altri racconti possono confermare questa simbolizzazione. in Tessaglia, il tiranno Tartaro, si faceva portare giovani donne vergini per stuprarle. una di loro, Aspalis, per salvarsi da questa violenza che segnava la fine della sua pubertà, della sua verginità, preferì impiccarsi. dopo la sua  morte il corpo della defunta cominciò a cambiare aspetto.
in Arcadia, una festa in onore di Artemide celebra un gruppo di giovani vergini che, mentre si prestavano a osservare il rito, si sentirono, improvvisamente, minacciate da una forza oscura, il timore di una violenza, di una violazione del loro corpo e si impiccarono, in massa. i loro corpi, dopo la morte, si trasformarono in noci, appese agli alberi presso cui si erano impiccate. ecco dunque che l'impiccagione, quel dondolio che richiama il coito, assume l'aspetto di un rito di passaggio, dalla verginità alla maturazione sessuale, a una rinascita -un cambiamento del corpo dopo la morte- a una morte simbolica dell'iniziata, verso una nuova vita, quella vita alla quale le donne greche erano destinate, il matrimonio e la procreazione. un rito non procrastinabile, un passaggio non demandabile, la donna greca aveva il ruolo di fare figli, di riprodurre la specie.
durante le Antesterie, feste celebrate in onore di Dioniso che hanno a che fare direttamente col piacere del vino e con il "fiorire primaverile", le giovani donne richiamavano il rito di Erigone, destinato a uccidere la vergine per far nascere la donna, un rito che ricorda anche una solitudine estrema, una segregazione nel ruolo. il nome Aletis -la vagabonda- richiama una forma di isolamento, un vagare senza meta, una segregazione appunto: la morte iniziatica è preparata da un periodo di allontanamento dalla comunità e l'altalena, più che mai, esprime anche un distacco, da terra, dal mondo, sospeso nell'aria.

e pensare che, per me, era solo un'altalena.

2 commenti:

monteamaro ha detto...

Ma guarda un po' questi greci... una semplice altalena, e tac diventa una tesi di filosofia antropologica, se così si può dire! Si noi italiani siamo Poeti, santi e navigatori, ma i greci.... Ciao Rossa!

Rossa ha detto...

sono proprio d'accordo...ma i GRECI!! a una conferenza di Umberto Galimberti circa due settimane fa gli ho sentito dire del popolo più intelligente dell'antichità. potrebbe avere ragione.