bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 22 luglio 2013

Kogo lo spaccapietre

In un’epoca lontana, molto lontana, in Giappone viveva un povero spaccapietre di nome Kogo. 
Anche se esercitava un mestiere molto faticoso, egli non era da compiangere; era giovane e forte, e mangiava tutti i giorni a sazietà. Disgraziatamente Kogo era nato invidioso. Lui, povero kulì, condannato a spaccare pietre, sognava di diventare un daimio, ossia uno di quei ricchi signori che vedeva passare talvolta per le strade, in una lussuosa carrozza, circondati da numerosi servitori. 
E, ogni giorno, Kogo pregava il suo angelo custode di esaudire il suo desiderio. 
Egli pregava con tanta fede, e il suo desiderio era così vivo che l’angelo custode decise di andare a perorare la sua causa presso l’Altissimo. 
E, con sua grande meraviglia, il Dio dell’universo gli concesse la facoltà di soddisfare tutti i desideri di Kogo. Immediatamente, costui si trovò trasportato in una ricca dimora, vestito con abiti lussuosi e circondato da uno stuolo di domestici. Per qualche mese, Kogo fu immensamente felice della sua nuova condizione di daimio. Gli piaceva passeggiare per le strade e vedere i suoi antichi compagni di lavoro e di miseria scostarsi rispettosamente al suo passaggio. 
Un giorno, tuttavia, di caldo torrido, egli constatò che traspirava come un volgare kulì e che il sole era più potente dei daimi. Subito chiamò il suo angelo custode. “Voglio diventare il Sole”, gli disse. 
L’angelo custode, che voleva molto bene a Kogo, lo guardò con una certa tristezza, poiché capì che sarebbe stato un eterno insoddisfatto, e provò pena per lui. Ma lo esaudì anche questa volta. 
E Kogo divenne il Sole. Egli si mise a brillare nel cielo con uno splendore particolare e era così preso del suo nuovo potere che inflisse al Giappone una delle estati più torride che questo Paese avesse mai visto. Un giorno, mentre egli si era assopito, certamente stanco per aver brillato tanto, il suo splendore fu offuscato da una grossa nube scura che venne a frapporsi fra lui e la terra.
Kogo convocò nuovamente il suo angelo custode e gli disse: “Voglio diventare questa nube più forte del sole!” Ancora una volta fu accontentato. Signore della pioggia, egli riversò sul Giappone trombe marine che provocarono terribili inondazioni, spazzando via indifferentemente le case dei poveri kulì e i palazzi dei ricchi daimi. 
Kogo questa volta era veramente il più forte e per diversi mesi fu raggiante di felicità. Tuttavia, proprio all’estremità del Giappone, di fronte al mare, c’era un immenso promontorio roccioso che si prendeva gioco dei suoi tifoni e dei suoi tornado. Kogo finì con l’adombrarsene. Intensificò i suoi assalti, le navi che si trovavano sul mare affondavano, la costa fu devastata. Ma quando, esausto, Kogo dovette fermarsi, la roccia appariva intatta nella sua orgogliosa potenza. 
Furibondo, Kogo volle subito trasformarsi in questa roccia. E fu trasformato. Poté così a sua volta contemplare l’oceano da tutta la sua altezza e veder sfilare davanti a sé navi e barche, simili a gusci di noce. Aveva raggiunto il colmo della felicità. Almeno così credeva. 
Infatti, una mattina, fu svegliato da un colpo come di piccone ed ebbe la sensazione che un pezzo della sua carne si staccasse da lui. Che cosa stava succedendo? I colpi continuarono, e ogni colpo era accompagnato dalla stessa sensazione dolorosa. Ferito nell’orgoglio, Kogo si lasciò andare a una collera terribile e urlò al suo angelo custode: “C’è qualcuno che osa scalfire la mia potenza….. Voglio essere questo qualcuno!” “Con piacere”, rispose consenziente e con voce ironica l’angelo custode. 
E, nello stesso istante, Kogo si ritrovò, come agli inizi, spaccapietre, finalmente contento.

questa fiaba l'ho ascoltata -musicata, parlata e disegnata- al Conservatorio, in attesa di vedere un film, all'aperto. al Conservatorio la proiezione del film è sempre preceduta da un breve concerto e questo è stato singolare: mi sono ritrovata ad ascoltare un trio veramente bizzarro, il Trio chitarristico Trobairitz, tre signore dall'aspetto a suo modo fiabesco, capelli posture abbigliamento appartenenti a un'altra epoca, a un tempo non definibile cronologicamente, così come anche i loro strumenti, la loro età come forse anche il loro sesso.
la fiaba era accompagnata da disegni strepitosi, lievi e leggeri -e che no ho ritrovato in alcun modo- , raccontata in modo altrettanto leggero, non condita e appesantita come l'ho ritrovata io, con tratti appena accennati, sussurrati, più sottintesi che espliciti. pennellature e sfumature, un ritratto intelligente a dimostrazione di un'infelicità che a volte deve solo trovare la giusta prospettiva per riproporsi sotto altra e più meritevole forma.

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