bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

martedì 8 dicembre 2009

arrivano i marines a liberare amanda knox?


Ancora una volta solo sconcertata per le notizie che leggo.
ma, per fortuna, leggo anche Guido Olimpio ieri e poi Beppe Severgnini oggi sul corriere e non posso che essere d'accordo con loro.
le ingerenze USA sulla condanna di Amanda Knox sono imbarazzanti.
di più. sono sconcertanti.
quel che viene decretato qui dopo regolare processo è opinabile?
io, come si legge anche sotto, non ho mai avuto idea se la ragazza fosse colpevole o meno. e, a parte il fatto che non lo è da sola ma è stata condannata insieme all'italianissimo Raffaele Sollecito, non l'ho saputo fino al giorno della sentenza. come non lo so e non lo sapevo per il delitto di Cogne. io non so. e se qualcuno che studia il caso da due anni lo suppone, in linea di massima, non posso che credergli.
perchè negli USa devono pensare che, a parte le drammatiche e ingiustificabili lungaggini, qui si faccia della giustizia di serie b?
«Ora pretendo che il governo statunitense intervenga nel caso, in caso contrario sarei molto contrariato», sono state le parole del padre, Curt Knox. Una richiesta in sintonia con certi appelli lanciati in alcune trasmissioni televisive in questi ultimi mesi. Uno su tutti: «Cosa aspetta l' America a mandare un plotone di marines a liberare quella povera ragazza?»
Ecco appunto. a ognuno i propri mezzi e propri sistemi.

I verdetti fai-da-te e quel tifo Usa sbagliato

Il nazionalismo giudizia­rio e la giustizia mediati­ca, quando si mettono insie­me, formano un cocktail mi­cidiale. Lettori-patrioti e giornalisti-giudici ne abbia­mo anche noi, ma quello che sta accadendo negli Sta­ti Uniti, dopo la condanna di Amanda Knox, è imbaraz­zante. Quindi, da meditare.

Televisioni, giornali e siti Internet americani sono convinti che Amanda sia innocente. Perché? Non si sa. Hanno seguito tutte le udienze del processo? Hanno valutato le prove? Hanno ascoltato i testimoni che, ol­tretutto, deponevano in italiano? No, ovviamente: han­no deciso e basta. Lombrosiani al contrario: una ragaz­za così carina, e per di più americana, non può essere colpevole. Ci credo che Hillary Clinton s’interessa al caso: fa politica, non può ignorare gli umori nazionali.

Ci sono, come ho scritto all’inizio, due aspetti della questione. Uno è il nazionalismo giudiziario. Scatta quando «un passaporto è più rilevante di un alibi» co­me ha ricordato Guido Olimpio ieri sul Corriere. Gli Stati Uniti tendono a difendere i propri cittadini sem­pre e comunque (tragedia del Cermis, uccisione di Cali­pari) e mostrano diffidenza verso qualsiasi giurisdizio­ne straniera (da qui la mancata ratifica della Corte pe­nale internazionale). Nel caso dell’Italia, giocano an­che i tempi biblici della nostra giustizia, più volte bac­chettata in sede europea.

Ma c’è un secondo aspetto, altrettanto serio: la giu­stizia mediatica. Meglio: la passione per i processi fai-da-te. Non riguarda solo gli Stati Uniti, ma in que­sti giorni è proprio là che bisogna guardare, se si vo­gliono capire i metodi e le conseguenze. Timothy Egan — un columnist del New York Ti­mes, residente a Seattle, quindi concittadino di Aman­da — scrive che la sentenza «ha poco a che vedere con le prove e molto con l’antica abitudine italiana di salva­re la faccia». E poi: «Il verdetto non dovrebbe avere nulla a che fare con superstizioni medioevali, proiezio­ni sessuali, fantasie sataniche o l’onore dei magistrati della pubblica accusa. Se solo applicassero gli stan­dard di diritto, il verdetto sarebbe ovvio». Ovvio per chi? Egan — bisogna dargliene atto — conosce il caso. Ma sembra deciso, come moltissimi connazionali, a trovare pezze d’appoggio per una sen­tenza che, nella sua testa, è già stata emessa: Amanda è innocente. In giugno — il processo era a metà per­corso — aveva già scritto «Un’innocente all’estero» ( An Innocent Abroad , titolo preso in prestito da Mark Twain, che forse non avrebbe approvato quest’utilizzo). A onor del vero, tra i 460 commenti dei lettori, molti sono pieni di ragionevoli dubbi e disapprovano i giornalisti che partono dalla conclusione e poi cerca­no in tutti i modi di dimostrarla.

Io non so se Amanda Knox sia colpevole. Anzi, non lo sapevo fino a sabato 5 dicembre, quando una giuria l’ha condannata. Ho l’abi­tudine di rispettare le sentenze; e poi non ci vuole una laurea in legge — che possiedo, a differenza di Mr Egan — per sapere come lavora una corte d’assise. È impensabile che i giurati di Perugia abbiano deciso di condannare una ragazza se avevano un ragionevole dubbio. Noi l’accettiamo, i media americani no. Ma trasformare una sentenza drammatica in un’occasione per scatenare tifo e pregiudizi non è un buon servizio alla causa della verità e neppure alla comprensione tra i popoli.


Un linciaggio pubblico, un processo da caccia alla streghe? Ripeto: cosa ne sanno gli amici americani? Di quante informazioni di­spongono quanti condannano l’Italia su in­ternet? Quanto hanno approfondito il caso coloro che, da due anni, scrivono alla nostra ambasciata a Washington, accusano i magi­strati di Perugia e sono pronti a giurare sul­l’innocenza di Amanda? Hanno studiato le prove, valutato le perizie, ascoltato le testi­monianze di un procedimento tanto (trop­po) lungo? No, immagino. Perché giudicano i giudici, allora?


Indigna la carcerazione pre­ventiva? Non piace neanche a noi, soprattut­to quando si prolunga (Amanda e Raffaele si sono fatti due anni di carcere prima della sentenza). Ma fa parte del nostro sistema: in casi particolari, l’imputato attende il proces­so in carcere. Cosa dovremmo dire della pe­na di morte in America? Non la condividia­mo, ma accettiamo che negli Usa sia in vigo­re, sostenuta dalla maggioranza dei cittadi­ni. Un criminale, qualunque passaporto ab­bia in tasca, se commette un omicidio in Texas sa cosa rischia.

Prima di chiudere, un’ultima, doverosa precisazio­ne: neppure la crociata anti-Amanda dei media britan­nici m’è piaciuta, per gli stessi motivi. La nazionalità di Meredith, la vittima, non giustifica un atteggiamen­to del genere. Per una volta — posso dirlo? — ci siamo comportati meglio noi italiani. Abbiamo aspettato la sentenza e ora la rispettiamo, in attesa dell’appello. Ci comportassimo così anche con gli altri delitti celebri di casa nostra — da Garlasco in giù — invece di mon­tare tribunali in televisione e sparare sentenze sul diva­no.

Beppe Severgnini. Corriere della sera, 8 dicembre 2009

3 commenti:

(pesa) ha detto...

ma vogliamo parlare del cermis? o della baraldini? o dell'invasione dell'iraq? la coerenza costa, e le valutazioni cambiamo a seconda di quanto si viene toccati nel personale, ma questo paese si rapporta al mondo come se fossero (fossimo) tutti suoi sudditi. con buona pace degli sforzi del signor obama, che comunque ammiro.
alla prossima

Anonimo ha detto...

Non so che dire, hai già detto tutto. Se fosse successo in California la Knox e Sollecito sarebbero già nel braccio della morte. Ma è successo in un altro stato, e se la Knox viene giudicata colpevole la buona visione degli States difensori di giustizia e di democrazia ne viene colpita. Un statunitense deve avere il diritto di essere innocente, qualsiasi cosa combini. Strage del Cermis insegna.

Rossa ha detto...

ma io sono contenta che tu, e anche pesa, la pensiate come me. ma sono contenta veramente. tutto questo, questo parlare e confrontarsi, mi fa sentire meno sola. la condivisione fa bene all'anima.
grazie