ma, per fortuna, leggo anche Guido Olimpio ieri e poi Beppe Severgnini oggi sul corriere e non posso che essere d'accordo con loro.
le ingerenze USA sulla condanna di Amanda Knox sono imbarazzanti.
di più. sono sconcertanti.
quel che viene decretato qui dopo regolare processo è opinabile?
io, come si legge anche sotto, non ho mai avuto idea se la ragazza fosse colpevole o meno. e, a parte il fatto che non lo è da sola ma è stata condannata insieme all'italianissimo Raffaele Sollecito, non l'ho saputo fino al giorno della sentenza. come non lo so e non lo sapevo per il delitto di Cogne. io non so. e se qualcuno che studia il caso da due anni lo suppone, in linea di massima, non posso che credergli.
perchè negli USa devono pensare che, a parte le drammatiche e ingiustificabili lungaggini, qui si faccia della giustizia di serie b?
«Ora pretendo che il governo statunitense intervenga nel caso, in caso contrario sarei molto contrariato», sono state le parole del padre, Curt Knox. Una richiesta in sintonia con certi appelli lanciati in alcune trasmissioni televisive in questi ultimi mesi. Uno su tutti: «Cosa aspetta l' America a mandare un plotone di marines a liberare quella povera ragazza?»
Ecco appunto. a ognuno i propri mezzi e propri sistemi.
I verdetti fai-da-te e quel tifo Usa sbagliato
Il nazionalismo giudiziario e la giustizia mediatica, quando si mettono insieme, formano un cocktail micidiale. Lettori-patrioti e giornalisti-giudici ne abbiamo anche noi, ma quello che sta accadendo negli Stati Uniti, dopo la condanna di Amanda Knox, è imbarazzante. Quindi, da meditare.
Televisioni, giornali e siti Internet americani sono convinti che Amanda sia innocente. Perché? Non si sa. Hanno seguito tutte le udienze del processo? Hanno valutato le prove? Hanno ascoltato i testimoni che, oltretutto, deponevano in italiano? No, ovviamente: hanno deciso e basta. Lombrosiani al contrario: una ragazza così carina, e per di più americana, non può essere colpevole. Ci credo che Hillary Clinton s’interessa al caso: fa politica, non può ignorare gli umori nazionali.
Ci sono, come ho scritto all’inizio, due aspetti della questione. Uno è il nazionalismo giudiziario. Scatta quando «un passaporto è più rilevante di un alibi» come ha ricordato Guido Olimpio ieri sul Corriere. Gli Stati Uniti tendono a difendere i propri cittadini sempre e comunque (tragedia del Cermis, uccisione di Calipari) e mostrano diffidenza verso qualsiasi giurisdizione straniera (da qui la mancata ratifica della Corte penale internazionale). Nel caso dell’Italia, giocano anche i tempi biblici della nostra giustizia, più volte bacchettata in sede europea.
Ma c’è un secondo aspetto, altrettanto serio: la giustizia mediatica. Meglio: la passione per i processi fai-da-te. Non riguarda solo gli Stati Uniti, ma in questi giorni è proprio là che bisogna guardare, se si vogliono capire i metodi e le conseguenze. Timothy Egan — un columnist del New York Times, residente a Seattle, quindi concittadino di Amanda — scrive che la sentenza «ha poco a che vedere con le prove e molto con l’antica abitudine italiana di salvare la faccia». E poi: «Il verdetto non dovrebbe avere nulla a che fare con superstizioni medioevali, proiezioni sessuali, fantasie sataniche o l’onore dei magistrati della pubblica accusa. Se solo applicassero gli standard di diritto, il verdetto sarebbe ovvio». Ovvio per chi? Egan — bisogna dargliene atto — conosce il caso. Ma sembra deciso, come moltissimi connazionali, a trovare pezze d’appoggio per una sentenza che, nella sua testa, è già stata emessa: Amanda è innocente. In giugno — il processo era a metà percorso — aveva già scritto «Un’innocente all’estero» ( An Innocent Abroad , titolo preso in prestito da Mark Twain, che forse non avrebbe approvato quest’utilizzo). A onor del vero, tra i 460 commenti dei lettori, molti sono pieni di ragionevoli dubbi e disapprovano i giornalisti che partono dalla conclusione e poi cercano in tutti i modi di dimostrarla.
Io non so se Amanda Knox sia colpevole. Anzi, non lo sapevo fino a sabato 5 dicembre, quando una giuria l’ha condannata. Ho l’abitudine di rispettare le sentenze; e poi non ci vuole una laurea in legge — che possiedo, a differenza di Mr Egan — per sapere come lavora una corte d’assise. È impensabile che i giurati di Perugia abbiano deciso di condannare una ragazza se avevano un ragionevole dubbio. Noi l’accettiamo, i media americani no. Ma trasformare una sentenza drammatica in un’occasione per scatenare tifo e pregiudizi non è un buon servizio alla causa della verità e neppure alla comprensione tra i popoli.
Un linciaggio pubblico, un processo da caccia alla streghe? Ripeto: cosa ne sanno gli amici americani? Di quante informazioni dispongono quanti condannano l’Italia su internet? Quanto hanno approfondito il caso coloro che, da due anni, scrivono alla nostra ambasciata a Washington, accusano i magistrati di Perugia e sono pronti a giurare sull’innocenza di Amanda? Hanno studiato le prove, valutato le perizie, ascoltato le testimonianze di un procedimento tanto (troppo) lungo? No, immagino. Perché giudicano i giudici, allora?
Indigna la carcerazione preventiva? Non piace neanche a noi, soprattutto quando si prolunga (Amanda e Raffaele si sono fatti due anni di carcere prima della sentenza). Ma fa parte del nostro sistema: in casi particolari, l’imputato attende il processo in carcere. Cosa dovremmo dire della pena di morte in America? Non la condividiamo, ma accettiamo che negli Usa sia in vigore, sostenuta dalla maggioranza dei cittadini. Un criminale, qualunque passaporto abbia in tasca, se commette un omicidio in Texas sa cosa rischia.
Prima di chiudere, un’ultima, doverosa precisazione: neppure la crociata anti-Amanda dei media britannici m’è piaciuta, per gli stessi motivi. La nazionalità di Meredith, la vittima, non giustifica un atteggiamento del genere. Per una volta — posso dirlo? — ci siamo comportati meglio noi italiani. Abbiamo aspettato la sentenza e ora la rispettiamo, in attesa dell’appello. Ci comportassimo così anche con gli altri delitti celebri di casa nostra — da Garlasco in giù — invece di montare tribunali in televisione e sparare sentenze sul divano.
3 commenti:
ma vogliamo parlare del cermis? o della baraldini? o dell'invasione dell'iraq? la coerenza costa, e le valutazioni cambiamo a seconda di quanto si viene toccati nel personale, ma questo paese si rapporta al mondo come se fossero (fossimo) tutti suoi sudditi. con buona pace degli sforzi del signor obama, che comunque ammiro.
alla prossima
Non so che dire, hai già detto tutto. Se fosse successo in California la Knox e Sollecito sarebbero già nel braccio della morte. Ma è successo in un altro stato, e se la Knox viene giudicata colpevole la buona visione degli States difensori di giustizia e di democrazia ne viene colpita. Un statunitense deve avere il diritto di essere innocente, qualsiasi cosa combini. Strage del Cermis insegna.
ma io sono contenta che tu, e anche pesa, la pensiate come me. ma sono contenta veramente. tutto questo, questo parlare e confrontarsi, mi fa sentire meno sola. la condivisione fa bene all'anima.
grazie
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