bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 13 settembre 2009

ricordo di un sogno

Monet aveva bisogno del nulla, affinché la sua pittura potesse essere libera di ritrarre, in assenza di un soggetto, se stessa. Contrariamente a ciò che un consumo ingenuo potrebbe suggerire, le Nymphéas non rappresentano delle ninfee, ma lo sguardo che le guarda.



"Come amava sottolineare lo stesso prof. Mondrian Kjlroy, le Nymphéas presentano un tratto clamorosamente paradossale - sconcertante, lui amava dire - e cioè la deprecabile scelta del soggetto: per novanta metri di lunghezza e due di altezza, esse non fanno che immortalare uno stagno di ninfee. Qualche albero, di sfuggita, un po' di cielo, forse, ma sostanzialmente: acqua e ninfee. Sarebbe difficile trovare soggetto più insignificante, e in definitiva kitsch, né è facile comprendere come a una simile baggianata un genio possa pensare di dedicare anni di lavoro e decine di metri quadrati di colore. Un pomeriggio e il dorso di una teiera sarebbero stati più che sufficienti. E tuttavia, proprio in questa assurda mossa inizia la genialità delle Nymphéas. E' così evidente - diceva il prof. Mondrian Kilroy - quel che Monet voleva fare: dipingere il niente.



Dovette essere per lui una tale ossessione, dipingere il niente, che, riletti a posteriori, tutti i suoi ultimi trent'anni di vita ne sembrato posseduti - come interamente assorbiti. E precisamente da quando, nel novembre del 1893, acquistò un ampio terreno adiacente alla sua proprietà di Giverny, e concepì l'idea di costruirvi un grande bacino per fiori acquatici - in altri termini, uno stagno pieno di ninfee. Progetto che potrebbe essere riduttivamente, interpretato come il senile imporsi di un hobby estetizzante e che invece il prof. Mondrian Kilroy non esitava a definire come la consapevole, strategica prima mossa di un uomo che sapeva benissimo dove voleva arrivare. Per dipingere il niente, prima doveva trovarlo. Monet fece qualcosa di più: lo produsse.
...



Riferiscono le cronache che Monet, in quei trent'anni, passò molto più tempo a lavorare nel suo parco che a dipingere: ingenuamente, scindono in due un gesto che in realtà era unico, e che lui compì con ossessiva determinazione ogni istante dei suoi ultimi trent'anni: fare le Nymphéas...



Un giorno si svegliò, uscì dal letto, scese nel parco, arrivò sul bordo dello stagno e quel che vide fu: nulla. Un altro si sarebbe accontentato. Ma è costitutiva del genio un'ostinazione illimitata che lo porta a inseguire i propri scopi con un'ipertrofica ansia di perfezione. Monet iniziò a dipingere: ma chiuso nel suo studio.



Nemmeno per un attimo pensò di montare il cavalletto sui bordi dello stagno, di fronte alle ninfee. Gli fu immediatamente chiaro che, dopo aver faticato anni a fabbricare quelle ninfee, le avrebbe dipinte rimanendo chiuso nel suo studio, e cioè confinato in un luogo da cui, per attenersi alla verità dei fatti, quelle ninfee non poteva vederle. Attenendosi alla verità dei fatti: lì, le poteva ricordare. E questo scegliere la memoria, non l'approccio diretto della vista fu un geniale, estremo aggiustamento del nulla, giacché la memoria e non già la vista assicurava un millimetrico contromovimento percettivo che frenava le ninfee a un passo dall'essere troppo insignificanti e le intiepidiva con la suggestione del ricordo quel tanto che bastava a fermarle un attimo prima del baratro dell’inesistenza. Erano un nulla, ma erano".
Alessandro Baricco, City, 1999, Rizzoli



Vado a vedere Monet e le sue ninfee.
e mi ricordi che Baricco ne ha parlato nel suo "City".
e siccome Baricco parla bene e mi piace e dice cose sensate,
lascio dire a lui, meglio di me, quel che sono 'sti fiori rappresentati ossessivamente sulla tela.
mi piace l'idea di creare sulla memoria di qualcosa, più che sulla sua presa diretta.
mi piace l'idea di rappresentare artisticamente uno sguardo curvato dal ricordo, illanguidito, mediato dalla malinconia, trasfigurato dal sogno.
in effetti le ninfee sono questo, la realizzazione dell'impossibile: l'immagine personalissima di un sogno ricordato la mattina.



vado a vedere Monet e le sue ninfee.

e tu vedi solo le stampe giapponesi, che dicono essere l'ispirazione da cui parte lo sforzo visivo di Monet.
ingegnere che non sei altro.






"il vostro errore è di dimensionare il mondo sul vostro metro mentre ampliando la conoscenza delle cose vi trovereste davvero ampliata in eguale misura la conoscenza di voi stesso".

3 commenti:

Anonimo ha detto...

che ricco il tuo mondo! a Monet e Baricco sono arrivato anch'io, casualmente, in questi giorni.
E cosi' sono arrivato fino a te.
Un'intrusione veloce, ma mi riprometto di tornare con piu' calma. Arte e zen , le stampe giapponesi, tutto inizia da li', c'e' un riferimento sul mio sito , mi piacerebbe che tu lo leggessi, http://profile.myspace.com/auprofeciau, Augusto

Rossa ha detto...

ciao Augusto. che piacere trovarti qui. mi dispiace trovarti solo adesso, casualmente, riguardando un po' di commenti ai miei post qua e là. certo che vado a leggerti, con molto piacere...ma tu torna qui. ti aspetto.

Rossa ha detto...

ho visto la tua pagina su myspace. per lasciare un commento mi devo iscrivere e avrei preferito una modalità più semplice. allora ti riscrivo qui e ti dico che sono rimasta incuriosita. il tuo è uno spazio saturo direi, molto per un meditativo come te.

ti lascio un haiku, rimaniamo nel mondo giapp che ha molto da offrire.

che ci sia luna
sul sentiero notturno
di chi porta i fiori

di Takarai Kikaku.


ciao a presto
Rossa