bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 12 maggio 2016

cialtroni, al fresco

ne avevo parlato bene, due anni fa.
(http://nuovateoria.blogspot.it/2014/05/al-fresco.html)
ci sono tornata contenta, certa che avrei ripetuto la felice esperienza.
invece è stata un'amara delusione.
la vita è dura e crudele.
anche a tavola.
già il menù era impresentabile.
si trattava, una volta, di fresco, ora invece è avariato.
scomparso il pomodoro, nessuna traccia, nemmeno una melanzana faceva capolino. forse c'era un cipollotto.
piuttosto rognone, foi gras, patata. mah, abbiamo cambiato campo d'azione temo. siamo nell'ordine del sottosuolo.
accostamenti azzardatissimi (una specie di politerapia che, si sa, è sempre foriera di effetti collaterali), e quelli che ho assaggiato erano irriconoscibili al palato; c'era anche del corallo ma ho temuto per i miei denti e, per come sono andate le cose, credo di aver fatto bene ad evitare.
quel che ho dovuto sopportare è stato un cosiddetto "Ravioli di patate e coda al pepe, pesche, argan, tartufo nero" che comunque era una scelta per modo di dire, non trovavo alternative possibili, alternative fresche soprattutto, come l'illusione di un tempo mi aveva fatto sognare.
la pesca aveva accesso una luce di speranza nel buio del tartufo nero (di cui non si è sentito nè l'odore nè il sapore, ahimè). ma invano.
mi si è presentato un oggetto orribile, d'aspetto e di gusto.
temevo anche che potesse prendere vita propria e cominciare a muoversi, come un verme.
una roba bianchiccia - ma la pesca (traditrice) mi guardava e tentava di sedare la mia ansia -era collocata lì. diciamo che anche la presentazione dei piatti si è un po' lasciata andare, alla deriva, ma pazienza, si poteva soprassedere all'evenienza. il raviolo era, o si era trasformato in, un tunnel molliccio patatoso ripieno di una cosa rossiccia, carne credo, ma il sapore era dubbio.
cioè, superata la diffidenza della infida consistenza, il sapore era irreperibile.
brutto molle e insapore.
prima avevo tentato un foi gras, ma la mia mente già era in allerta (tipo inside-out) per la non reperibilità di piatti freschi nel menù, cercavo infatti di recuperare nel mio cervello i ricordi di quella allegra saporita e gustosa esperienza di due anni prima.
la scelta del dolce, dopo aver scartato tutti queli del menu di cui non capivo il significato (ditemi voi se capite qualcosa di questo: i l g i a r d i n o i n a s p e t t a t o percorso di sapori, consistenze e profumi ispirati al nostro giardino, stagione per stagione composta di fico d’India, gel di erba cedrina, spuma al cardamomo, mousse ai semi di finocchio, gelatina di limone e rosmarino, sorbetto di uva fragola, frutta CBT e cialda di latte salato, meringa al the matcha, terra al cioccolato) è finita sulla tradizione orale (nel senso che la cameriera ci ha detto che volendo c'era anche questo) di cui mi sono fidata per la semplicità: panna cotta al lime con crema di lamponi, ma è meglio che non dica dello strazio, penso si trattasse di avanzi.
già la notte aveva annunciato la disfatta, ma il giorno successivo a questa esperienza di aberrazione del gusto ho avuto nausea, mal di testa, capogiri, diarrea.
pure male oltre che dispiacere.
scrivo al ristorante, anche per una questione di allerta igienica.
nulla.
in un ristorante serio le scuse sono d'obbligo.
trattandosi invece di cialtroni si fa finta di nulla.
credo che il cuoco giapponese, Kokichi Takahashi, se ne sia andato, non ne trovo più traccia, da dicembre 2015 è arrivato qualcun altro in cucina, buona fortuna...
cancellatelo dalle vostre agende: Al fresco, Via Savona 50, Milano

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