bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 23 aprile 2015

If this be error and upon me proved, I never writ, nor no man ever loved.

mi nutro di poesia, così scrive Elisabeth Strout su Io Donna, a proposito del tema sulla nutrizione, e cosa sennò.

Quando avevo sette anni mia madre mi regalò Poems for Young People, una raccolta di poesie per ragazzi di Edna St. Vincent Millay. Le ho imparate tutte a memoria. «Conosco cento modi per morire» recitai un giorno a mio padre, e lui si arrabbiò. «È una poesia orribile» mi disse. «Non voglio sentirti dire cose simili». Quando lo ricordo, mi si spezza il cuore, non per me, ma per quell’uomo che non si rendeva conto di come perfino in una poesia scherzosa si trovassero i semi del vero nutrimento. Sono trascorsi cinquant’anni da quando ho imparato a memoria quelle poesie, ma da allora sono sempre rimasta colpita dal fatto che i poeti sembrano conoscere cose ignote ad altri, e che quello che ci offrono, se siamo capaci di riceverlo, è una verità che attenua la profondità della nostra solitudine naturale. Leggete Shakespeare e saprete la maggior parte di quello che vi serve sapere, né sarete del tutto soli mentre riflettete sull’amore che «tende a svanire quando l’altro s’allontana». Tennyson, che confessa «tendevo le deboli mani della fede», mi ha aiutata in momenti così brevi e così profondi che spesso ho desiderato ringraziarlo di persona, rammaricandomi che fosse vissuto due secoli fa. La verità è che molti dei poeti che mi sono stati d’aiuto in parte hanno potuto farlo proprio perché hanno scritto molto tempo prima di me, parlando tuttavia di quelle cose che più mi stavano a cuore. La consapevolezza del vasto tempo trascorso tra la loro vita e la mia è anche fonte di conforto: provavano le stesse cose che ho provato io. Ho anche un album pieno di poesie contemporanee che ho ritagliato dalle riviste e attaccato alle pagine con la felicità di una bambina. Così ho anch’io la mia raccolta personale di poesie, proprio come gli amanti del cibo raccolgono le loro ricette preferite. Certo, non esiste una ricetta per la vita, ma solo barlumi di connessioni che appaiono per un momento e in cui crediamo perché qualcuno le ha scritte o le ha tramandate – e ci sembrano giuste, anche se non sappiamo che cosa intendiamo per «giuste». Quando Louise Gluck ci dice che «guardiamo la vita una sola volta, da bambini, il resto è ricordo» mi sento felice, perché mi calma. La chiarezza calma sempre. I poeti sono miei amici perché hanno avuto cura di me proprio come fanno i veri amici, raccontandomi qualche verità. In una famosa poesia Theodore Roethke scrive della volta in cui da bambino aveva ballato con il padre ubriaco e del dolore fisico che aveva provato. Eppure era andato a letto a passo di walzer «aggrappato alla tua camicia». Ecco un’altra cosa chiara, la profondità dell’amore dei bambini. Ed ecco il momentaneo senso di sollievo da quella nostra solitaria consapevolezza. Mio padre – sempre sobrio – non ha mai voluto ascoltare il resto della poesia che lo aveva così offeso quando avevo iniziato a recitarla, e così si è perso l’ultimo, allegro verso: «Allora tanto vale vivere!». Tanto vale, davvero. Tuttavia, quando arriva l’ora della morte, i poeti ancora una volta sanno ogni cosa, e se anche voi, come me, cercate sempre un senso di trascendenza, leggete gli ultimi versi di Root Cellar di Roethke: «Niente rinunciava alla vita: persino la polvere continuava a trarre un piccolo respiro»

mi piace questo stralcio, questa iniezione di fiducia nella poesia, la condivido. non sono cresciuta con i poeti, non mi sono nutrita di loro come la Strout, non ho un padre da compatire per questo, ma certamente, ora, li apprezzo molto. li leggo.
ora sto rileggendo i sonetti di Shakespeare, nella traduzione di Roberto Piumini. Non so, mi sembra semplificata: Paragonarti ad un giorno d’estate? Tu sei più incantevole e più lieve: a Maggio, i venti, gemme delicate frustano, e l’estate è troppo breve, d'altronde leggo altre traduzioni e mi sembrano arricchite dalla vena poetica di chi traduce, altro discorso rispetto al testo di Shakespeare.
i sonetti mi piacciono, è strepitoso il mondo poetico di quest'uomo, la costruzione immaginaria dell'amore e della sua narrazione. leggendoli, o ascoltandoli dalla voce di Stefano Accorsi, aspetto il distico finale, conclusivo, in rima baciata, come una rivelazione di verità. in quelle due ultime righe c'è tutto, così mi pare, tutto quello che c'è da sapere sull'amore e i suoi intrighi interiori.

SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O no! it is an ever-fixed mark
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth's unknown, although his height be taken.
Love's not Time's fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle's compass come:
Love alters not with his brief hours and weeks,
But bears it out even to the edge of doom.
If this be error and upon me proved,
I never writ, nor no man ever loved.

Non sia mai ch'io ponga impedimenti
all'unione di anime fedeli; Amore non è amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro s'allontana.
Oh no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote 
dovran cadere sotto la sua curva lama;
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

SONETTO 48
How careful was I, when I took my way,
Each trifle under truest bars to thrust,
That to my use it might unused stay
From hands of falsehood, in sure wards of trust!
But thou, to whom my jewels trifles are,
Most worthy of comfort, now my greatest grief,
Thou, best of dearest and mine only care,
Art left the prey of every vulgar thief.
Thee have I not lock'd up in any chest,
Save where thou art not, though I feel thou art,
Within the gentle closure of my breast,
From whence at pleasure thou mayst come and part;
And even thence thou wilt be stol'n, I fear,
For truth proves thievish for a prize so dear.

Quanto fui prudente prima di partire
nel metter sotto chiave ogni piccolezza
affinché al mio uso le trovassi ancora
salve da mani profane, in sicura custodia!
Ma tu, al cui confronto i miei gioielli sono nulla,
mio prezioso conforto, or mia più grande angoscia,
tu, immensa mia letizia ed unico mio pensiero,
sei rimasto preda di ogni ignobil ladro.
Io non ti ho rinchiuso in nessun forziere
se non dove non sei, anche se là ti sento,
nell'affettuosa cerchia stretta del mio cuore,
dal quale a tuo piacere puoi venire e andare;
e perfin di là, io temo, tu mi sia rubato,
perché onestà vien ladra per un valor sì ambito.

IL SONETTO 33 E LE TRADUZIONI 
 Full many a glorious morning have I seen 
 Flatter the mountains-tops with sovereign eye, 
 Kissing with golden face the meadows green, 
 Gilding pale streams with heavenly alchemy, 
 Anon permit the basest clouds to ride 
 With ugly rack on his celestial face, 
 And from the forlorn world his visage hide, 
 Stealing unseen to west with this disgrace. 
 Even so my sun one early morn did shine 
 With all-triumphant splendour on my brow; 
 But out, alack! he was but one hour mine, 
 The region cloud hath masked him from me now. 
 Yet him for this my love no whit disdaineth; 
 Suns of the world may stain when heanven‘s sun staineth. 

Ho veduto più dʼun mattino in gloria 
Con lo sguardo sovrano le vette lusingare, 
Baciare dʼaureo viso i verdi prati, 
Con alchimia di paradiso tingere i rivi pallidi, 
E poi a vili nuvole permettere 
Di fluttuargli sul celestiale volto 
Con osceni fumi sottraendolo allʼuniverso orbato 
Mentre verso ponente non visto scompariva, con la sua disgrazia. 
Uguale lʼastro mio brillò di primo giorno 
Trionfando splendido sulla mia fronte;
Ma, ah! non fu mio che per unʼora sola, 
E dell’umano clima nubi già l’hanno a me mascherato. 
 Non lʼha in disdegno tuttavia il mio amore: 
 Astri terreni possono macchiarsi se il sole del cielo si macchia.

Traduzione di  G. Ungaretti

Spesso, a lusingar vette, vidi splendere
sovranamente lʼocchio del mattino,
e baciar dʼoro verdi prati, accendere
pallidi rivi dʼalchimie divine.
Poi vili fumi alzarsi, intorbidata
dʼun tratto quella celestiale fronte,
e fuggendo a occidente il desolato
mondo, lʼastro celare il viso e l'onta.
Anchʼio sul far del giorno ebbi il mio sole
e il suo trionfo mi brillò sul ciglio:
ma, ahimé, poté restarvi unʼora sola,
rapito dalle nubi in cui sʼimpiglia.
 Pur non ne ho sdegno: bene può un terrestre
 sole abbuiarsi, se è così il celeste.

Traduzione di E. Montale


SONETTO 2
When forty winters shall besiege thy brow, 
 And dig deep trenches in thy beauty’s field, 
 Thy youth’s proud livery, so gazed on now, 
 Will be a tattered weed of small worth held: 
 Then being asked where all thy beauty lies, 
 Where all the treasure of thy lusty days, 
 To say within thine own deep-sunken eyes 
 Were an all-eating shame and thriftless praise. 
 How much more praise deserved thy beauty’s use, 
 If thou couldst answer “This fair child of mine 
 Shall sum my count and make my old excuse”, 
 Proving his beauty by succession thine. 
 This were to be new made when thou art old, 
 And see thy blood warm when thou feel’st it cold. 


Quando quaranta inverni assedieranno la tua fronte, 
e scaveranno profonde trincee nel campo della tua bellezza, 
la superba veste della tua giovane età, tanto ammirata adesso, 
sarà un abito logoro, privato di ogni pregio: 
se ti fosse richiesto dove sta tutta la tua bellezza, 
dove tutto il tesoro dei tuoi giorni luminosi, 
rispondere che riposa nei tuoi occhi infossati 
sarebbe una rimordente vergogna e uno sconveniente encomio: 
quanto maggiore encomio meriterebbe l’uso della tua bellezza, 
se tu potessi dire: – questo mio figlio grazioso 
potrà saldare il mio conto e giustificare la mia vecchiaia – 
comprovando che, per successione, la sua bellezza è la tua: 
 questo sarebbe essere fatto nuovo, quando tu sarai vecchio, 
 e vederlo caldo, il tuo sangue, quando già lo sentirai freddo: 

 Edoardo Sanguineti, Quaderno di traduzioni (2006)

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