bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

martedì 8 luglio 2014

il senso dei luoghi

quest'anno la Milanesiana ha offerto molto, ma poco per il mio tempo e disponibilità. tra le cose più attraenti c'erano inviti per le 12.00 o le 17.30, difficile partecipare.
sono riuscita a mettere il naso almeno tre volte tra cinema Dal Verme, Iulm e teatro Grassi, e spero oggi al Franco Parenti, ma sono soddisfatta comunque perché la serata al teatro Grassi è stata molto interessante e intensa soprattutto grazie a un mirabile intervento di Wim Wenders.
il suo intervento si è focalizzato sul senso del luogo, un concetto particolare, un concetto che ispira curiosità e pace, un dialogo con il mondo, i suoi spazi, che siamo alberi o città, un intervento rasserenante, rassicurante, fiducioso. non sono riuscita a trovare il testo ma almeno un suo riferimento dal libro da cui è stato tratto, Places, strange and quiet. lo stile è più intuitivo e percettivo che non rigorosamente accademico o scolastico, uno stile in linea con il personaggio, con la sua cultura cinematografica e non. salvare il senso dei luoghi: questo in sintesi il compito più alto che all’architettura ed al proprio mestiere il cineasta tedesco assegna. città e periferie, paesaggi naturali ed urbani, contesti architettonici storici e contemporanei, tutti elementi centrali della narrazione cinematografica del noto regista. "Tutti noi stiamo perdendo i nostri istinti basilari. Molte persone non riescono a distinguere ciò che è specifico della loro terra. Non ne sono capaci e non lo ritengono importante". e fra tutte le perdite di cui Wenders così ci dice, la più drammatica degli ultimi cinquanta anni è per lui il senso dei luoghi.  "Nella nostra civiltà – prosegue Wenders – ci siamo abituati a possedere tutto e a distruggere ciò che possediamo". Wenders è un autore che trasmette il senso dei luoghi e con i suoi film ci conduce in luoghi che aiutano a vedere,  a cogliere la realtà come, per esempio, in Lisbon story, per Lisbona, vista e ripresa in tutti i suoi aspetti, i più nascosti, non quelli turistici o commerciali ma una città ferita, che richiede ascolto e attenzione, rivendica una cultura della cura e del recupero.

Luoghi, inconsueti e solitari
Quando si viaggia molto,
e quando si ama semplicemente vagare
e perdersi,
si può finire nei luoghi più bizzarri.
Ho una grande attrazione per i luoghi.
È quasi una sorta di dipendenza.
Altre persone sono dipendenti da droghe o dal calcio,
(beh, anche io…)
dai soldi, dalle automobili, dal successo, o da qualsiasi altra cosa.
Io adoro i luoghi.
Mi lego talmente a loro,
che posso sentire nostalgia per una dozzina di luoghi contemporaneamente.
Cosa c’è di speciale nei luoghi?
Innanzitutto, ne sono molto incuriosito.
Già solo guardando una mappa,
i nomi delle montagne e dei villaggi,
dei fiumi, dei laghi e dei vari paesaggi,
mi eccitano
pur non conoscendoli
e non avendoli mai visitati.
Leggo i nomi
e immediatamente vorrei vedere quei luoghi.
Lo stesso mi accade con le città!
I nomi delle aree, delle piazze, delle vie o dei palazzi
evocano in me un ardente desiderio di visitarli.
Certo non sempre mi piace quello che trovo.
Ma molto spesso sì.
È fortuna?
Ho imparato dalla mia lunga esperienza
nel cercare i luoghi
che si tende a trovare
esattamente ciò che si DESIDERA trovare.
Anche altre persone trovano cose incredibili, ovviamente,
ma sembrano raggiungere risultati diversi rispetto ai miei.
Hanno mentalità diverse, prima di tutto,
e sono alla RICERCA di altro.
Il mio senso di luogo
è impostato su ciò che è “fuori luogo”.
Tutti girano a destra perché
“lì c’è qualcosa di interessante”,
io vado a sinistra
“dove non c’è niente”,
ed è quasi certo,
che io mi trovi dinnanzi il “mio tipo di posto”.
Non so,
è come una sorta di radar incorporato
che spesso mi indirizza verso luoghi
inconsuetamente solitari,
o solitariamente inconsueti.
Sto lì e semplicemente non posso credere a quello che vedo…
È questa la mia sensazione preferita
Si potrebbe iniziare a capire
da dove deriva la mia insaziabile fame di luoghi sconosciuti:
deriva dal fatto
che nel mondo
esistono luoghi e spazi così incredibili
da non riuscire ad essere immaginati neanche nei sogni più fantasiosi,
in colori e forme mai visti,
con i particolari più folli,
in costellazioni impossibili.
Questa è la motivazione per cui non mi interesso
alle immagini generate dai computer,
e a tutte le foto in cui oggi il mondo è riprodotto artificialmente
combinate, manipolate, inventate o composte
per creare una “nuova realtà”
Qual è il “grande dilemma”?!
La realtà che scopro,
ogni volta e in ogni dove,
quei luoghi inconsueti e solitari,
sono così più coinvolgenti ed emozionali, nel mio book,
per il semplice motivo
che esistono.
La maggior parte delle volte con umiltà,
talvolta con orgoglio,
spesso dimenticati
e raramente noti.
Non c’è nulla di più bello sotto il cielo di Dio,
che l’incredibile,
strabiliante,
infinita
varietà di luoghi,
che realmente
esiste.

Wim Wenders

Il testo di Wim Wendersè tratto da:
Places, strange and quiet, 2011

come per il cinema anche per l’architettura l’atto di vedere è fondamentale. e di questo aspetto, del vedere, del saper vedere, parla in una bella intervista rilasciata a La lettura di qualche settimana fa.Wenders si mette in ascolto delle immagini e, insieme, vuole «lasciarle parlare». le concepisce come il luogo della verità incontaminata, dell’adesione incondizionata al reale. Per poter essere pronunciate, quel «luogo» ha bisogno di una percezione rallentata, estenuante. Fare cinema? È «come stare a guardare dalla finestra». 

Nella nostra conversazione con Wenders, che sarà ospite mercoledì 2 luglio alla Milanesiana (Piccolo Teatro Grassi di Milano, ore 21), muoviamo dal monologo di Manoel de Oliveira, in Lisbon Story: «La macchina da presa può fissare un momento, ma quel momento è già passato (…). Abbiamo la certezza che quel momento sia esistito al di fuori della pellicola? O la pellicola è garanzia dell’esistenza di quel momento?». 
Qual è oggi il ruolo del cinema rispetto al visibile? Testimonianza? O critica? 
«Fin dall’inizio, il cinema ha seguito e approfondito entrambe le tendenze. Da un lato, ha voluto dare voce e forza all’esistenza delle cose; dall’altro, ha creato nuove verità. I registi legati alla tradizione dei Lumière hanno sempre avuto il massimo rispetto per il visibile; quelli legati alla tradizione di Méliès hanno costruito universi fantastici. Io sono attratto da un cinema che è ancorato alla nostra realtà e alla nostra esistenza: e aspira a rendere visibile l’invisibile. È un “cinema trascendentale”, che ha i suoi padri in Dreyer, in Bresson e in Ozu, ed è ancora vivo oggi: ad esempio, nell’opera di Terrence Malick ». 
In «Inventare la pace» lei si interroga sul rapporto tra il guardare e il vedere. Quali differenze esistono tra questi due atti? 
«L’osservatore resta all’esterno: è solo un testimone. Se vuole, può voltare gli occhi dall’altra parte. Evita di farsi toccare. Colui che vede, invece, permette al suo cuore di essere coinvolto. Vedere è un atto molto più complesso ed emozionale del guardare». 
 Nel nostro tempo, spesso anche i drammi sono contemplati con superficialità. I media, come hanno rilevato Susan Sontag e Tzvetan Todorov, non si limitano a rappresentare i dolori, ma li spettacolarizzano; li trattano come eventi fotogenici, alimentando in noi indifferenza. 
«È una triste realtà. È vero: guardare troppe sofferenze può renderci indifferenti. Sovente, le tragedie e le guerre finiscono per essere viste come forme di intrattenimento. Questa è una delle ragioni per cui io e Mary Zournazi abbiamo dovuto scrivere questo libro. Abbiamo capito che, prima di parlare di pace, dobbiamo esaminare la natura della nostra percezione oggi». 
Dinanzi all’indifferenza dilagante nei confronti del male, in che modo cinema, fotografia e pittura possono riaffermare la responsabilità etica dello sguardo? 
«Gli artisti non devono mai accettare e tollerare quel che accade. Ma devono insegnare a vedere; affrontare il mondo con serietà. Non possono limitarsi ad accogliere la spazzatura che ci circonda. Hanno l’obbligo di scegliere: lasciarsi inquinare o trovare alternative etiche. È allora che scatta la risposta dei nostri occhi, della nostra mente. Un film, una fotografia o un quadro possono guarire l’anima spezzata. È, questa, la nostra responsabilità come artisti: non rinunciare mai. Ma proteggerci dal cinismo dominante. Smascherare i trucchi nascosti dietro la valanga di cose false che ci assediano. E dare spazio a immagini diverse».

per onore al vero, questo post è è più l'assemblaggio di articoli e testi e citazioni, ma ci tengo a parlare di Wenders e mi ha emozionato vederlo dal vivo, è una persona personaggio, subito unico, subito autentico.




foto di Wim Wenders

4 commenti:

corte sconta ha detto...

ci credo che ti ha emozionata Wenders,è quasi un mito..poi parteggia per Malick che amo.bel pezzo come al solito,anche se assemblato come dici tu.sai che l'ultima affermazione credo ti rispecchi parecchio? ciao Grande

Rossa ha detto...

ma va là caro sconta. Wenders è un mito, davvero. fa un milione di cose, è proprio un talento. Malick c'è ma mooolto meno...

fabrax ha detto...

buonasera Rossa, il tuo blog particolarissimo mi ha completamente conquistata e affascinata. Se non ti dispiace qualche post vorrei trasferirlo da me. Citando la fonte naturalmente. Baci. Buona domenica

Rossa ha detto...

ciao Fabrax carissima. prendi tutto quello che vuoi, ne sono solo lusingata...quest'ultimo post, come dicevo prende a prestito diversi "luoghi" che ho visitato, a me è rimasto l'assemblaggio e alcune considerazioni personali.
a presto
Rossa