bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

sabato 31 marzo 2012

Lungo le canore palafitte su cui l'Empireo si sostiene ti mando la mia parte di polvere terrestre...

così inizia una poesia di Marina Cvetaeva intitolata "I fili del telegrafo" che conta di dieci diverse parti.
mi sembra geniale usare questa metafora, l'uso di questa immagine, di questa figura per noi obsoleta ma carica di rimandi,  per segnalare una necessità di comunicazione, urgente, necessaria, non demandabile a qualcuno che si pensa e che si vuol legare a sè.


I fili del telegrafo - III (Strade)

Ripassata e respinta ogni strada
(e coi semafori – specialmente),
polifonia selvaggia
di scuole e disgeli… (un coro


intero in soccorso!), le maniche issando
come stendardi…
                            – senza pudore!–
rombano i lirici cavi
della mia altissima tensione.

Il palo del telegrafo… Si può –
più in breve? Finché c’è il cielo,
corriere infallibile di sentimenti,
notizia concreta di labbra…


Sappi: fin dove – il firmamento,
fin dove – le albe al confine,
così chiaramente e in ogni luogo
e a lungo ti lego.


Tra il maltempo dell’epoca,
oltre scarpate di menzogne – di cordame
in cordame – i miei inediti sospiri,
la mia passione frenetica…

Senza telegrammi (urgente e
semplice costanza modulare!) –
in primavera sonora di grondaie,
in filo spinato di spazi...

«Spesso Marina inizia una poesia con un do di petto». Così Anna Achmatova, altro genio poetico altissimo della grande madre Russia, descrive l'impeto creativo di Marina Cvetaeva, che non si esauriva nell'attacco ma si manteneva intatto nel corso del componimento quasi ignorasse persino l'eventualità di modulare la furia del suo verso. La sua vita coincise con il timbro tragico della sua voce.
così si legge su un articolo del Corriere della Sera relativamente a questa donna poeta dalla vita tragica e ricchissima allo stesso tempo. la sua poesia è incessante e ripulita di incisi, figure retoriche e preposizioni, si appropria del reale quotidiano e lo trasforma in poesia usando le parole e i vocaboli in modo incalzante, creando metafore ardite e contrappunti in modo inesauribile, riducendo all'essenziale il verso.

leggo sul medesimo articolo che Marina cominciò a pubblicare poesie all'età di 18 anni, ribellandosi a una volontà materna che la voleva musicista, ed ebbe una vita poetica e di scrittura estrememente prolifica oltre ad un ampio scambio epistolare con Rainer Maria Rilke e Boris Pasternak, suo grande amore impossibile. si sposò nel 1911 e nel 1917 iniziò la rivoluzione, Marina perse tutto, casa e proprietà, accettò ogni tipo di umiliazione fino ad elemosinare il cibo per sé e le due figlie Alja e Irina, che morì a due anni in un orfanatrofio per denutrizione. più tardi fuggì a Praga per raggiungere il marito.ed ebbe un terzo figlio, Mur, della cui paternità si dubita -Marina era dedita a molti amori ed avventure etero o non- e al quale lei si legò morbosamente. gli ultimi anni furono concitati e miseri, la famiglia era a Parigi dove vivevano di stenti sorretti unicamente dal lavoro di Marina, che sbrigava lavori domestici. lasciò Parigi per Mosca nel 1939 insieme al figlio Mur per raggiungere il marito e la figlia Alja, che vennero di lì a breve arrestati e deportati in un gulag. la poetessa rimasta sola, dopo il rifiuto a una domanda di lavoro come lavapiatti, a 49 anni, smarrita, una domenica d'estate del 1941, s'impiccò a una trave in una camera in affitto.









Insinuarsi

E, forse, la vittoria vera
su tempo e gravità: passare
senza lasciare tracce, senza
proiettare ombra
sui muri…
Forse - con la rinuncia
prendere? Cancellarsi da ogni specchio?
Come Lermontov al Caucaso, insinuarsi
senza turbare le montagne.
E, forse, unico diletto: con le dita
di Bach sfiorare l’organo
senza turbare l’eco.
Disfarsi senza lasciare cenere
per l’urna.
Forse - con il raggiro
prendere? Da tutti gli orizzonti
uscire? Nel tempo come nell’oceano
insinuarsi - senza allarmare le onde…

ma già a 20 anni, immaginandosi sotto terra, aveva scritto:

...leggi - di ranuncoli
e papaveri colto un mazzetto-
che io mi chiamavo Marina
e quanti anni avevo...solo non stare così tetro,
la testa china sul petto.
con leggerezza pensami,
con leggerezza dimenticami.

2 commenti:

monteamaro ha detto...

Bellissima, "Insinuarsi."
Rovescia d'un colpo, la prospettiva del vivere per cui l'importante è esserci.
E la grazia malinconica delle sue parole, trasforma l'assenza in senso, che appaga pienamente.
....Marina è parte di quell'universo parallelo e pazzo, fatto di uomini e donne
semplicemente...diversi.
Di quel poco che resta, buona domenica della Palme.

Rossa ha detto...

ma grazie Monteamaro, anche se con pauroso ritardo ti ringrazio. è stata una domenica piacevole tra mostre, feltrinelli e cambio armadi..tu cos'hai fatto?
si dici bene, insinuarsi è una spcie di annullamento dell'esistere, ma leggero, senza incomodo, senza peso. non essere.
a presto