bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

martedì 31 gennaio 2012

io sono un sognatore; ho vissuto così poco la vita reale che attimi come questi non posso non ripeterli nei sogni. vi sognerò per tutta la notte, per tutta la settimana, per tutto l'anno.

 by paintavatorka - deviant art

"Era una notte incantevole, una di quelle notti che ci sono solo se si è giovani, gentile lettore.
Il cielo era stellato, sfavillante, tanto che, dopo averlo contemplato, ci si chiedeva involontariamente se sotto un cielo così potessero vivere uomini irascibili ed irosi."

qui è Fëdor Dostoevskij che parla.
ne le "Notti Bianche".
mi legge Fabrizio Bentivoglio.
(non male come narratore, intenso ed estatico allo stesso tempo, quest'interprete moderno).
questo libro, vi dico, sarà un'incursione nella vostra vita.
veloce ma incisiva.
sarà un'intromissione nei sogni di un sognatore, in un sogno che per un breve attimo sembrerà avere le sembianze della realtà ma drasticamente, drammaticamente, tornerà alla sua dimensione dell'inganno.
il sogno che il nostro eroe ci racconterà alla fine di questo breve estratto che vi propongo, il sogno d'amore, sarà l'anticipazione e l'antitesi della realtà: se il sogno è foriero di felicità, la realtà, al contrario, sarà una delusione senza speranza.
questa nostra realtà senza pietà, senza garanzia, senza regola, è pur sempre, gentile lettore,  un surrogato indesiderabile rispetto alla dimensione senza confini e senza colpa dell'immaginazione.
la consistenza del vissuto è di valore infinitamente inferiore alla trama sottile del volo onirico.
quanta più libertà c'è nel sogno, e quanta solitudine nella realtà.
Devotamente Vostro
Fëdor Dostoevskij

Nella mia giornata, Nasten'ka, esiste un'ora che io amo in modo particolare. E' l'ora in cui finiscono quasi tutti gli affari, gli impegni e i doveri, e tutti quanti si affrettano a casa per pranzare e per riposare, e qui, per strada, pensano ad altri argomenti allegri, come potrebbero passare la serata, la notte, e tutto il tempo libero che ancora loro rimane... A quell'ora anche il nostro eroe, permettetemi, Nasten'ka, di raccontare in terza persona, perché mi vergogno terribilmente a raccontarlo in prima persona, e così a quell'ora il nostro eroe, che non è rimasto inattivo, cammina dietro agli altri. Ma una strana sensazione di contentezza si nota sul suo volto, così pallido da sembrare leggermente avvizzito. Egli guarda immedesimato nel crepuscolo che si spegne lentamente sul freddo cielo di Pietroburgo. Quando io dico guarda, non dico la verità; egli non guarda, contempla senza rendersene conto, come se fosse stanco o occupato al tempo stesso con altri pensieri più interessanti, tanto da poter solo di sfuggita, quasi involontariamente, dedicare un po' di tempo a ciò che gli sta intorno. Egli è contento, perché fino a domani ha lasciato i tediosi "affari", e si sente come uno scolaro al quale è stato concesso di correre via dal banco verso i suoi giochi preferiti e le birichinate. Guardatelo in disparte, Nasten'ka: vi accorgerete subito che la sensazione di gioia ha già influito felicemente sui suoi nervi deboli e morbosamente sulla sua immaginazione eccitata.

Ecco che egli pensa a qualcosa... Credete che pensi al pranzo?

Alla serata di oggi? Che cosa guarda in questo modo? Guarda forse quel signore dall'aspetto rispettabile che in modo così pittoresco ha salutato con un inchino la signora passatagli accanto in una magnifica carrozza trainata da cavalli briosi? No, Nasten'ka, che cosa gli importa di queste inezie? Egli è già ricco, adesso, "della sua particolare" vita, come se si fosse arricchito improvvisamente, e gli ultimi raggi del sole al tramonto non risplendono invano così allegramente per lui e richiamano in quel cuore intiepidito un intero sciame di sensazioni. Ora egli si accorge appena di quella strada che prima colpiva la sua immaginazione con ogni suo più piccolo particolare. Ora la "dea fantasia" (se aveste letto Zukovskij, cara Nasten'ka) ha già tessuto con la sua mano capricciosa la propria trama d'oro e ha disfatto davanti a lui i ricami di una vita insolita e meravigliosa e, chissà, forse lo ha trasportato con quella mano capricciosa al settimo cielo di cristallo, sollevandolo dal massiccio marciapiede di granito, sul quale egli stava camminando.

Provate a fermarlo ora, a chiedergli improvvisamente dove si trovi, quali vie ho percorso. Egli certamente non si ricorderà di nulla, né dove sia andato, né dove si trovi ora e, arrossendo per il dispetto, certamente dirà una bugia qualunque, tanto per salvare la faccia. Ecco perché è trasalito così, e per poco non si è messo a gridare, guardandosi intorno con spavento, quando un'anziana signora molto rispettabile lo ha fermato in mezzo al marciapiede per chiedergli informazioni sulla strada smarrita.

Accigliato per la stizza, egli riprende il cammino, accorgendosi appena che più di un passante ha sorriso e si è voltato a guardarlo e che qualche bambina, dopo avergli ceduto timorosamente il passo, è scoppiata in una fragorosa risata vedendo il suo largo sorriso contemplativo e i movimenti delle sue mani. E intanto la stessa fantasia ha sollevato in un volo giocoso la signora anziana, i passanti curiosi, la ragazza ridente e i contadini che passano la serata nelle loro chiatte ancorate sulla Fontanka (immaginiamo che il nostro eroe a quell'ora sia passato di lì), ha intessuto giocosamente tutto e tutti nel suo canovaccio, come mosche in una ragnatela; arricchito da ciò che ha acquistato, quell'originale è già tornato nella sua tana consolante, si è seduto per pranzare, anzi ha già pranzato ed è ritornato in sé solo quando Matrëna, che lo serve, meditabonda e eternamente triste, ha portato via ogni cosa dalla tavola e gli ha portato la pipa, allora è tornato in sé e ha ricordato con stupore di aver già pranzato, non rendendosi conto del tutto di come lo abbia fatto. La stanza è invasa dal buio; nella sua anima regnano il vuoto e la tristezza; tutto il regno dei sogni intorno a lui è crollato senza lasciare traccia, senza rumori, senza chiasso, è svanito come una visione, ed egli stesso non ricorda che cosa ha sognato. Ma una sensazione oscura a poco a poco strugge e agita sempre più il suo petto, un desiderio nuovo, tentatore, pizzica e irrita la sua fantasia e impercettibilmente attira uno sciame di nuovi fantasmi. Nella piccola stanza regna il silenzio: la solitudine e la pigrizia accarezzano la sua immaginazione; essa si infiamma piano, e piano si mette a bollire, come l'acqua nella caffettiera della vecchia Matrëna che nella cucina accanto prepara placidamente il suo caffè. Ecco che l'immaginazione di lui già prorompe in nuovi bagliori, ecco che il libro, aperto senza scopo e a caso, cade dalle mani del mio sognatore che non è giunto nemmeno alla terza pagina. La sua immaginazione è di nuovo riacutizzata, risvegliata, e improvvisamente un nuovo mondo, una nuova e affascinante vita ardono davanti a lui in tutta la loro scintillante prospettiva. Un nuovo sogno, una felicità nuova, una nuova dose di raffinato e voluttuoso veleno! Oh, che importanza ha per lui la nostra vita reale! Secondo il suo sguardo corrotto, noi due, Nasten'ka, viviamo con tale lentezza, pigrizia, fiacchezza, siamo così insoddisfatti del nostro destino, siamo così annoiati dalla nostra vita! E, infatti, guardate come in realtà i nostri rapporti al primo sguardo possono apparire freddi, tristi, quasi ostili... 'Poveri!', pensa il mio sognatore. E non è strano che pensi così! Guardate questi magici fantasmi che si dispongono in modo tanto ammaliante e capriccioso in un ampio quadro così accattivante, animato, dove in primo piano si trova sempre lui, il nostro sognatore, con la sua preziosa persona. Guardate quante avventure diverse, che infinito sciame di sogni esaltanti. Forse chiederete che cosa egli sogni. Che senso ha chiederlo? Egli sogna tutto...: sogna della missione del poeta, all'inizio non riconosciuto, poi rinomato, sogna l'amicizia con Hoffmann, la notte di San Bartolomeo, Diana Vernon, il ruolo eroico di Ivan Vasil'evitch alla presa di Kazan', Clara Movray, Evia Dens, il concilio di sacerdoti con Hus davanti a loro, la resurrezione dei morti di Robert (ricordate quella musica?, ha l'odore del cimitero), Minna e Brenda, la battaglia presso Berezina, la lettura di un poema nella casa della contessa V.D., Danton, Cleopatra e i suoi amanti, la casetta a Kolomna, il suo angolino e, vicino, una cara creatura che sta ad ascoltarlo in una sera d'inverno con gli occhi e la piccola bocca aperti, come mi ascoltate ora voi, mio piccolo angioletto... No, Nasten'ka, a che cosa servirebbe a lui, a quel voluttuoso pigrone, questa vita che noi due desideriamo tanto? Egli pensa che sia una vita povera, misera, non immaginando che anche per lui forse suonerà una volta quella triste ora, quando per un giorno di quella misera vita avrebbe dato tutti i suoi anni di fantasticherie, e non li avrebbe dati in cambio di gioia e di felicità, e non avrebbe voluto nemmeno scegliere in quell'ora di tristezza, di pentimento e di libero dolore. Intanto quell'ora, quell'ora non è ancora giunta; egli non desidera nulla, essendo superiore ad ogni desiderio e possedendo tutto, perché è sazio, perché lui stesso è artefice della sua vita creandola ad ogni momento, a suo capriccio. E con quanta leggerezza, con quanta naturalezza si crea questo mondo fantastico e fiabesco! Sembra addirittura che la sua visione sia palpabile! In quel momento egli si sente in diritto di credere che tutta quella vita non sia un effetto dell'eccitazione, un miraggio, un inganno dell'immaginazione, ma qualcosa di vero, di reale, di esistente. Ditemi, Nasten'ka, perché in momenti simili gli manca il respiro? Per quale magia, per quale volontà sconosciuta il polso gli si accelera, sgorgano le lacrime dagli occhi del sognatore, bruciano quelle guance pallide e umide, e tutta la sua esistenza si riempie di una gioia irresistibile?

Perché intere notti insonni passano come un lampo in una sconfinata felicità e allegria, e quando con i rosei raggi l'aurora brilla alla finestra e l'alba illumina la stanza con la sua luce fantastica e incerta, come da noi a Pietroburgo, il nostro sognatore affaticato e sfinito si butta sul letto e si addormenta nelle ansie della sua estasi, che avverte nel suo spirito morbosamente sconvolto, e con tale dolore languido-dolce nel cuore? Sì, Nasten'ka, ti inganni, e credi involontariamente dall'esterno che una vera passione agiti la sua anima, credi che vi sia qualcosa di vivo e di tangibile in quei sogni immateriali.
E quale inganno! Ecco, ad esempio, l'amore ha invaso il suo petto, con tutta la sua inesauribile gioia, con tutti i suoi languidi tormenti... Guardatelo, solo, e vi convincerete! Credete forse, guardandolo, cara Nasten'ka, che egli non abbia mai conosciuto colei che ha tanto amato nel suo frenetico sognare? Non l'ha forse veduta solo tra i seducenti fantasmi e l'ha solo sognata, questa passione? Non hanno forse passato, mano nella mano, molti anni della loro vita, da soli, in due, respingendo tutto il mondo e unendo ognuno il proprio mondo, la propria vita con la vita dell'altro? Non è stata forse lei, a quell'ora tarda, al momento della separazione, ad abbandonarsi, singhiozzante e in preda all'angoscia, sul petto di lui, sorda alla tempesta che si scatenava sotto il cielo oscurato, sorda al vento che strappava e portava via lacrime dalle ciglia nere? Tutto ciò era stato forse un sogno, e anche quel giardino, triste, abbandonato e selvaggio, con sentieri ricoperti di muschio, solitario, cupo, dove avevano passeggiato così spesso in due, dove avevano sperato, si erano angosciati, dove si erano amati così a lungo e così teneramente? E quella strana casa degli avi, dove lei era vissuta tanto tempo triste e in solitudine con il vecchio e tetro marito, bilioso, che taceva sempre e che spaventava loro, che erano timidi come bambini e si nascondevano a vicenda il loro amore reciproco con timore e con malinconia? Come soffrivano, come erano spaventati, come innocente e puro era il loro amore e come (e va da sé, Nasten'ka) erano cattivi gli uomini! Oh, Dio mio, ma non l'aveva incontrato forse dopo qualche tempo, lontana dalle rive della sua patria, sotto un cielo straniero, meridionale, caldo, in una città eterna e meravigliosa, nello sfolgorio di un ballo, al suono della musica, in un palazzo (proprio in un palazzo) immerso in un mare di luci, su quel balcone, ricoperto dal mirto e dalle rose? E lei, dopo averlo riconosciuto, si tolse in fretta la sua maschera e sussurrò: "Sono libera", e, tremando, si gettò tra le sue braccia, dopo un grido di esultanza, si abbracciarono e in un attimo dimenticarono la sofferenza, la separazione, tutti i tormenti, la casa triste, il vecchio, il giardino cupo nella patria lontana, la banchina sulla quale, dopo l'ultimo bacio appassionato, lei si strappò con disperata sofferenza dal suo abbraccio pietrificato...

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