bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 3 aprile 2011

taccuino di una vecchia psichiatra

il fiore nel deserto (http://nuovateoria.blogspot.com/2011/02/sto-morendo-sulla-grandiosita-di-un.html) mi ha raccontato della fine di una relazione.
una persona che non le piaceva poi molto, aspettava solo l'occasione per troncare. l'occasione è arrivata ma l'interruzione l'ha affondata con malcelata cattiveria e anche un po' di goduta ridicolizzazione dello sventurato.
un po' di egoismo, mi dice lei.
un po' di sfrontatezza dettata dalla vicinanza della morte, penso io.
a fronte dell'ennesino episodio di scontro con i suoi medici curanti mi spiega, e sono d'accordo con lei, che un medico non deve voler bene. e questa è una perla di di saggezza dettata dalla mente di qualcuno che i medici ormai li conosce molto bene.
a quanti pazienti si dovrebbe spiegare che un medico deve essere comprensivo, non coinvolto, attento, ma non affettuoso. è una regola fondamentale per fare ed esigere un buon lavoro da un medico. la sua oncologa, dice, l'ascolta ma la capisce solo fino a un certo punto, perchè...le vuole bene. avverte il suo coinvolgimento emotivo e ne è molto disturbata, moltissimo: "non è lucida, non sa scegliere il meglio per me, sceglie in base al cuore e all'emozione, è non è questo ciò di cui ho bisogno."
lunedì è morta una mia paziente. bipolare, l'ho vista per almeno nove anni almeno ogni tre mesi. anche nel suo caso una recidiva di tumore alla mammella le è stato fatale. l'ultima volta che l'ho vista ho capito che era l'ultima, non perchè sono intelligente, solo perchè la morte le albergava dentro, nel respiro, nello sguardo, nei gesti, nella disperazione lucida, anche se a parole parlava del suo canone d'affitto a partire dal 2012. le parole dicono una cosa, l'alone e lo spirito affermano il contrario, senza speranza, senza inganno.
mi hanno telefonato: L. le voleva bene, volevamo avvisarla.
e ho pensato...anche io. le volevo bene.
e allora? allora non l'ho mai pensato fino a quel momento, me lo sono concesso solo nel momento della sua morte. il mio bene non si è tradotto in un accudimento amorevole fraterno, piuttosto, credo, in un atteggiamento terapeutico. prendeva gli stabilizzatori dell'umore ma, francamente lo penso, il suo stabilizzatore ero io. almeno spero di avere agito così, ad ogni modo ci ho pensato, ho collegato la considerazione di una con la dichiarazione dell'altra.
ora mi chiedo se nel mio voler bene alle persone che amo c'e', viceversa, un che di terapeutico. se nel mio voler bene c'è una tendenza alla cura, alla presa in carico che alla fine fa male ai rapporti.
i pazienti ci disvelano i loro fantasmi e noi portiamo loro i nostri.

charles bukowski:
"...sono un freak. il corpo umano non lo reggo, ho bisogno di farmi ingannare. gli psichiatri hanno un termine specifico per questo, e io ho un termine specifico per gli psichiatri." 
( taccuino di un vecchio sporcaccione)
sembra a volte ubriaco, bukowski, ma non è così. è costantemente fuori di testa quindi, di psichiatri, ci capisce.

8 commenti:

fabrax ha detto...

Hank non sbaglia un colpo

Rossa ha detto...

eccola qui, si parla di bukowski e arriva Fabrax. ahh non so, forse li sbaglia tutti e quindi li fa tutti giusti. il suo libro è un condensato di follia lucida.

enzo ha detto...

Sono andato a rileggere.
L'affetto che dimostri verso le persone è una cura per le loro sofferenze. Certamente, quasi sempre, ci sono anche altri tipi di intervento: ospedali, medici, luminari, medicine, persino veleni.
Credo che la cura debba contenere in sé la dose affettiva di chi segue il paziente, così si può creare la "magia" e tentare di sconfiggere la malattia, qualsiasi tipo di malattia, una bronchite e un cancro.
O forse, meglio: personalmente mi affido a chi mi prende in cura, sia questo l'amico tornato da poco dal Tibet per l'ennesimo corso di approfondimento, sia il chirurgo che mi operò di emorroidi dieci anni fa, sia il medico curante della mutua. Con loro per me è fondamentale instaurare un rapporto umano, o intellettuale, empatico. Poi, in realtà, la vita è misteriosa, non dà mai risposte certe e non sappiamo mai come andrà a finire.
L'energia virtuosa che si sprigiona nei rapporti umani ha una grande forza, e la nostra medicina, quella "occidentale", non è ancora pronta per affrontare in serenità questo argomento, pur cominciando finalmente a porsi domande.
Probabilmente è lì che si trova la chiave del perché di comportamenti dei medici. il trattare il corpo come se fosse una macchina composta da tanti pezzi. Il corpo, la nostra vita, sono molto di più di ciò che la scienza "ufficiale" riesce a dimostrare empiricamente.
Non è molto tempo che passo da qui; senza piaggeria posso dirti che la tua professione la affronti con uno sguardo aperto e vivo, e tutto l'affetto necessario.
Grazie Rossa, buona serata

(pesa) ha detto...

E' una perla questa cosa che scrivi, sembra banale e la presenti come fosse naturale, ma credo non lo sia per nulla. E' un metaforico andare, porsi, verso l'altro per aiutarlo, senza arrivare a sporgersi tanto da cadere (probabilmente entrambi).
alla prossima

laliebredemarzo ha detto...

Come sarebbe a dire che un medico non deve voler bene? Certo che deve volerlo il bene! Se con la parola "bene", però, s'intende la sostituzione della riflessione e dell'autonomia dal medico con atteggiamenti consolatori e paternalistici, o peggio maternalistici... allora no. Quando il medico si pone come colui/ei che salva, a cui basta affidarsi, non va bene. Va bene la presa in cura, ma non in carico.
A me è capitata anche la tipologia medico seduttivo-paterno e non è il massimo come efficacia, scusa l'ironia. Ecco, pensavo proprio a quella ragazza, il "fiore", in questi giorni e mi chiedevo come stesse. La vicinanza della morte la rende sfrontata... mi colpisce come cosa, sai?
La vita a volte pare bella proprio nella sfrontatezza di chi sta sul precipizio. Ma perchè... perchè?
Ti abbraccio
Irene

Rossa ha detto...

penso che anche la medicina occidentale sia consapevole dell'importanza del rapporto umano e della sua potenzialità, del rapporto medico paziente e della funzione che svolge nella cura. ciò non toglie che non tutti i medici siano bravi medici, come gli avvocati e gli architetti. ci sono medici che sanno comunicare e altri che non sono portati, certo un chirurgo che non sa parlare si può tollerare -e non sanno parlare-, uno psichiatra meno...
grazie per le tue considerazioni, spero sia come dici, ma mi riservo di dire comunque che l'affetto lo tengo in tasca, non va bene, crea risonanza e non cura. ma capsico che sia un concetto difficile da capire, come mi dimostra anche il commento della liebredemarzo.
notte Paolo

Rossa ha detto...

ciao pesa, forse sei quello che ha colto meglio, forse perchè ne abbiamo parlato...
notte, sono a pezzi...

Rossa ha detto...

Irene mi sembra ci sia confusione in quel che dici.
no l'affetto non deve entrare in un rapporto medico paziente, come dice il fiore il sentimento toglie lucidità, implica coinvolgimento, toglie capacità di analisi.
senza memoria nè desiderio, diceva Bion, e così deve essere lo psichiatra, e soprattutto l'analista, con il suo paziente. e, me lo consentirai, l'affetto porta una parte di sentimento personale, con tanto di memoria e desiderio al seguito.
confondete tutti l'attenzione, l'empatia, la capacità comunicativa con l'affetto.
nella definizione del lavoro psichiatrico si va dalla consultazione alla presa in cura fino alla presa in carico, il massimo del lavoro possibile su un paziente. la presa in carico è FARSI CARICO, è l'operazione più completa e complessa che un medico, e forse soprattutto un'equipe, possa fare verso un paziente.
le situazioni che descrivi sono deviazioni possibili da un operare sapiente con lucidità, sapoendo fare tenendo a bada il proprio vissuto, le proprie tendenze, e, appunto, i propri coinvolgimenti. uno psichiatra che fa il padre, o la madre e le ramanzine o addiruttura il seduttivo è uno psichiatra che non ha lavorato su di sè e non ha imparato, appunto, a tenere fuori dal rapporto la propria affettività.
mi rendo conto che i pazienti si aspettino affetto, ma è l'ultima cosa da mettere in campo.
la sfrontatezza del fiore non è una cosa bella sull'orlo del precipizio, come dici. è un concedersi la cattiveria che nella vita si sa tenere a bada per non fare male agli altri. ma la vicinanza della morte ci fa pensare di non avere più nulla da perdere e questo a volte sembra desiderabile...