bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 19 febbraio 2012

le conversazioni di Innsbruck dell'Opera al Nero.


sto leggendo, o meglio me lo sta leggendo Maddalena Crippa, algida ed enigmatica come il libro che interpreta, "L'opera al nero", della Yourcenar.
è un libro pazzesco.
pazzesco.
intanto è un libro sulla morte.
e la morte ai tempi del medio evo, cioè una morte putrida, infestata, macellata, impestata, giustiziata sui roghi delle streghe o immolata nel nome di dio, un nome fanatico e assassino.
un libro pazzesco, denso, odoroso di densità direi
mi impressiona.
il suo cuore, il cuore nel corpo di questo libro, è Zenone.
di corpo in questo libro, di corpo che vive che suda che soffre che gode che cambia che si nutre, torturato, assassinato, maltrattato, gonfio, putrefatto, puzzolente, travestito, damascato, profumato, indagato, curato spurgato, trafitto, impiccato, bruciato, di corpo...si parla moltissimo. e' la materia del corpo che da il ritmo al nostro vivere, e morire.
è' Zenone che parla, medico alchimista e filosofo, nato bastardo nell'epoca di transizione dall'oscurantismo impregnato di superstizione e morte del medio evo, all'illuminazione foriera di speranza e nuove scoperte del rinascimento. Zenone è colto, è ardito, è controcorrente rispetto alla sua epoca e in anticipo rispetto a quella che verrà, è libero di pensiero, eretico quindi, è spinto dal sapere e dall'arte medica, studia pubblica ragiona e cura in clandestinità, osteggiato dal suo tempo.
questo libro trabocca di sapienza e di cultura, di storia e di conoscenza, di filosofia e di scienza.
è un libro complesso e impegnativo, è intriso di morte e solitudine, è, ancora una volta, un'incredibile esperienza.

sul corpo:
Nella stanza impregnata di aceto in cui sezionammo quel morto che non era più né il figlio né l'amico, ma soltanto un bell'esemplare della macchina umana, ebbi per la prima volta la sensazione che la meccanica da un lato e la Grande Arte dall'altro non fanno che applicare allo studio dell'universo la verità che ci insegnano i nostri corpi, nei quali si replica la struttura del Tutto. Non bastava una vita intera per confrontare tra loro il mondo in cui siamo e il mondo che è noi. I polmoni erano il mantice che ravviva la brace, la verga un'arma da lancio, il sanguenei meandri del corpo l'acqua dei rivoli in un giardino d'Oriente, il cuore, secondoche si adotti una teoria anziché l'altra, la pompa o il braciere, il cervello l'alambicco ove si distilla un'anima...""E rieccoci all'allegoria," osservò il capitano. "Se con questo intendi affermareche il corpo è la più solida delle realtà, dillo chiaro e tondo.""Ma nient'affatto," replicò Zénon. "Questo corpo, il nostro reame, mi sembra avolte fatto di un tessuto impalpabile e sfuggente quanto un'ombra. Non mi sorprenderebbe di non rivedere mia madre, la quale è morta, più che di ritrovare all'angolo di una strada il tuo volto invecchiato la cui bocca sa ancora il mio nome, ma la cui sostanza si è ricostituita più volte nel corso di vent'anni, e di cui il tempo ha mutato il colore e ritoccato la forma. Quanto grano è spuntato, quanti animali sono vissuti e morti per sostentare questo Henri che non è quello che ho conosciuto a vent'anni.

sulla medicina e la morte:
Non era la prima volta che le mie pozioni si rivelavano inutili, ma fino a quel momento ogni decesso non era stato che una pedina perduta nella mia partita di medico. Anzi, a furia di combattere Sua Maestà nera, tra essa e noi si instaura una sorta di oscura complicità; allo stesso modo, un capitano finisce per conoscere e ammirare la tattica del nemico. Arriva sempre un momento in cui i nostri malati s'avvedono che noi la conosciamo troppo bene per non rassegnarci in loro nome all'inevitabile; essi continuano a supplicare e a dibattersi, ma nei nostri occhi leggono un verdetto che non vogliono vedere. Bisogna amare qualcuno, per rendersi conto che è scandaloso che la creatura muoia... Mi venne meno il coraggio, o per lo meno l'impassibilità che ci è tanto necessaria. Il mio mestiere mi parve vano, cosa quasi altrettanto assurda quanto crederlo sublime. Non è che soffrissi: al contrario, mi sapevo assolutamente incapace di raffigurarmi il dolore di quel corpo che si torceva sotto il mio sguardo; il mio domestico moriva come in fondo a un altro regno. Chiamai, ma l'oste si guardò bene dal venirmi in aiuto. Sollevai il cadavere per deporlo sul piancito in attesa dell'arrivo dei becchini che sarei andato a chiamare alla prim'alba; una manciata dopo l'altra, bruciai il pagliericcio nella stufa della camera. Il mondo di dentro e il mondo di fuori, il macrocosmo e il microcosmo, erano ancora gli stessi del tempo delle dissezioni di Montpellier, ma quelle grandi ruote ingranate l'una nell'altra giravano nel vuoto assoluto; quei fragili meccanismi più non mi stupivano. Mi vergogno di confessare che la morte di un domestico bastò a produrre in me una così negra rivoluzione, ma ci si stanca, fratel Henri, e non sono più giovane: ho più di quarant'anni. Ne avevo abbastanza del mestiere di rabberciatore di corpi; fui colto dal disgusto all'idea di tornare la mattina a tastare il polso del signor scabino, rassicurare la consorte del balivo, scrutare controluce l'orinale del signor pastore. Quella notte mi ripromisi di non curar più nessuno.

sul passaggio dalla superstizione alla scienza:
Tastavo polsi, esaminavo lingue, studiavo urine, non certo anime... Non spetta a me decidere se un avaro colpito da colicameriti di campare altri dieci anni, e se è bene che il tiranno muoia. Anche il peggiore o il più sciocco dei nostri pazienti ci insegna qualcosa, e la sua sanie non è più infetta di quella di un sagace o di un giusto. Ogni notte trascorsa al capezzale di un malato qualsiasi tornava a pormi davanti a interrogativi sempre senza risposta: il dolore e lesue finalità, la benignità della natura o la sua indifferenza, e se l'anima sopravviva alnaufragio del corpo. Le spiegazioni analogiche, che un tempo m'era parso delucidassero i segreti dell'universo, mi sembrava che a loro volta pullulassero di nuove possibilità d'errore in quanto tendenti ad attribuire a questa buia natura quel disegno preordinato che altri attribuiscono a Dio. Non dico che dubitassi: dubitare è diverso; proseguivo l'indagine fino al punto in cui ogni nozione mi scattava da sotto le mani come una molla forzata; non appena salivo al livello di un'ipotesi, sentivo andare in pezzi sotto il mio peso l'indispensabile se... M'ero illuso che Paracelso e il suo sistema di segnature spalancassero alla nostra arte una via trionfale, in pratica rimenavano a superstizioni da villaggio. Lo studio degli oroscopi non mi sembrava più proficuo come una volta per la scelta delle medicine e la predizione degli incidenti mortali; ammettiamo pure di esser fatti della stessa materia degli astri: non ne consegue che essi ci determinino o che possano dirigerci. Più ci pensavo, più le nostre idee, i nostri idoli, le nostre costumanze presuntamente sante, e le nostre visioni che passano per ineffabili, mi sembravano generati senz'altro dai sussulti della macchina umana, al pari del soffio delle narici o delle parti basse, del sudore e dell'acqua salata delle lacrime, del sangue bianco dell'amore, dei liquami e degli escrementi del corpo. Mi irritava che l'uomo sprecasse così la propria sostanza in costruzioni quasi sempre nefaste, parlasse di castità prima di aver smontato la macchina del sesso, disputasse di libero arbitrio invece di soppesare le mille oscure ragioni che ti fanno battere le ciglia se improvvisamente avvicino ai tuoi occhi un legno, o di inferno prima di aver interrogato più dappresso la morte.

sulla verita' dell'errore:
Non cesserò mai di stupirmi che questa carne sostenuta dalle vertebre, questo tronco congiunto alla testa dall'istmo del collo, con le sue membra simmetricamente tutt'attorno, contengano, e forse producano, uno spirito che trae partito dai miei occhi per vedere e dai miei movimenti per palpare.. Ne conosco i limiti, e so che gli mancherà il tempo di spingersi oltre, e la forza, caso mai il tempo gli fosse concesso. Ma esso è e in questo istante, è Colui che E'. So che sbaglia, erra,che spesso equivoca le lezioni che gli impartisce il mondo, ma so anche che ha in sé di che scoprire e talvolta rettificare i propri errori. Ho percorso almeno una parte di questo globo su cui stiamo; ho studiato il punto di fusione dei metalli e la generazione delle piante; ho osservato gli astri ed esaminato l'interno dei corpi. Sono in grado di estrarre da questo tizzone che sollevo la nozione di peso, e da queste fiamme la nozione di calore. So che non so quel che non so; invidio coloro che ne sapranno di più, ma so che al pari di me dovranno misurare, pesare, dedurre e diffidare delle deduzioni ricavate, stabilire la parte del vero nell'errore e tener conto dell'eterna intrusione del falso nel vero. Non mi sono mai incaponito in un'idea per timore dello smarrimento in cui cadrei senza di essa. Non ho mai condito con la salsa della menzogna un fatto vero per rendermene più facile la digestione. Non ho mai deformato le opinioni di un avversario per averne più facilmente ragione. O forse sì: io mi son sorpreso a farlo, e ogni volta mi sono rimproverato come si sgrida un domestico disonesto, ritrovando la fiducia in me stesso solo col ripromettermi di far meglio. Ho avuto anch'io i miei sogni; e non li considero altro che sogni. Mi sono guardato dal fare della verità un idolo, preferendo lasciarle il nome più umile, di esattezza. I miei trionfi e i miei repentagli non sono quelli che la gente s'immagina; ci sono altre glorie oltre la gloria, e altri roghi oltre il rogo. Sono quasi riuscito a diffidare delle parole. Morirò un po' meno sciocco di nato.


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