bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 31 maggio 2015

torna alle Gratie a riveder la Dama

Il credito, il fieno e le armi: fu così che nacquero i baüscia 
 
Se tuttora nel sistema bancario internazionale si usa il termine lombard per definire il tasso di sconto, è perché questa usanza creditizia inventata per ovviare al divieto medievale dell’usura fu l’invenzione dei banchieri milanesi che, nei due secoli prima del primato fiorentino, agivano in tutto il continente. Infatti quando Filippo IV di Francia decise di rimpinguare le sue finanze, fece la festa prima ai Templari, poi agli ebrei e in ultimo ai milanesi, che a Parigi rappresentavano allora tutti i banchieri della nostra penisola. 
Questa ricchezza dei lombardi era dovuta a due elementi. La formidabile rivoluzione agricola che i monasteri attorno a Chiaravalle avevano generato (inventando grazie alle marcite una raccolta di fieno già due mesi prima di quella naturale) consentiva alle cavallerie viscontee un anticipo di carburante per guerreggiare vittoriose. Poi s’era sviluppata una industria bellica fatta di armorari e spadari (le vie a loro dedicate esistono tutt’ora in città) dove fiorirono i prototipi dei casciavit. Il tutto generava danaro e il danaro generava banche. E nella testa dei Visconti elaborò ineluttabilmente la psicologia del baüscia, la quale portò Gian Galeazzo (1351-1402) all’apice dell’avventura e dell’ambizione politica. 
Aveva egli iniziato bene sposando nientemeno che Isabelle de Valois, figlia del re di Francia Giovanni II, squattrinato per via della guerra dei Cent’anni allora al suo culmine e talmente felice dell’arrivo di danaro fresco da fare del suo genero il conte di Vertu, il quale sempre col danaro si fece elevare al rango di duca dall’imperatore Venceslao. Arrivò, al momento della sua infausta morte, a controllare un territorio che si estendeva da Belluno ad Asti e da Bellinzona a Pisa, Siena ed Assisi. A lui si deve l’inizio della Fabbrica del Duomo nel 1386 e la Certosa di Pavia dieci anni dopo. Solo l’oratoria potente di Coluccio Salutati lo tenne fuori da Firenze, e il cancelliere della Repubblica gli dedicò un testo storico nel 1400, il noto De tyranno, intuendo la sua volontà d’unire la penisola in un’unica monarchia. 
Milano fece la sua rivoluzione repubblicana a metà secolo, ma il capitano scelto per difenderla ne divenne poi il primo duca sforzesco, Francesco, genero di Gian Galeazzo. 
Intanto il Duomo cresceva con manovalanze artistiche da tutto il continente e le biblioteche si arricchivano con codici altrettanto internazionali. Galeazzo Maria Sforza si sposava ad Amboise con Bona di Savoia, cresciuta presso la corte di Francia perché cognata di Luigi XI. E Bernardino Luini ritraeva la duchessa rimasta vedova e reggente dopo l’assassinio del marito, mentre Leonardo veniva a corte a Milano chiamato da Lodovico il Moro e, guardando al Bergognone che guardava i fiamminghi dopo essersi ispirato al bresciano Foppa, inventò lo stile nuovo e il cavallo del Castello, che fu distrutto quando i francesi di Luigi XII conclusero con l’innovativo tiro diritto del cannone la gloriosa stagione milanese nel 1499.

Philippe Daverio
Corriere della sera, 9 marzo 1015

non so bene cosa emerga di tutto questo, alla mostra Arte Lombarda, dai Visconti agli Sforza, a Palazzo Reale, a Milano. la mostra offre un  percorso attraverso i secoli considerati ‘l’età dell’oro’ di Milano e della Lombardia: dall’inizio del Trecento, quando Azzone Visconti prende stabilmente il potere, fino al momento in cui l’invasione francese mette fine all’autonomia del ducato sforzesco.
di certo la mostra è sontuosa e ricca.
emergono l'arte, la produzione, la ricchezza, la magnanimità e la ricerca del bello.
si cita la fabbrica del Duomo.
ricordo, in particolare, Gian galeazzo e  Filippo Maria Visconti, da ultimo Ludovico il Moro.
ma alla densa esposizione non corrisponde, secondo me, una buona narrazione.
da una mostra ben fatta esco sapendone di più.
da questa sono uscita pressappoco come sono entrata.
le indicazioni scritte erano ridondanti.
le spiegazioni dell'audioguida veramente poco interessanti.
non ho colto il punto, non ho fatto una ricostruzione nella mia testa, ho visto una marea di "cose" e non saprei collegarle alla storia delle dinastie di Milano.
non ho visto, nè letto nè sentito, una storia.
forse non era una buona giornata per andare a una mostra...chissà.

alcune opere, però, mi hanno colpito per la bellezza. indubbiamente.
Michelino da Besozzo, Ghepardo (inizi del XV secolo)
Giovanni Antonio Boltraffio, Giovane con freccia e mano al cuore in figura di san Sebastiano (1469 circa)

Michelino da Besozzo o Stefano di Giovanni, Madonna del roseto (Madonna col Bambino e Santa Caterina) (1420)


Bonifacio Bembo, Tarocchi di Filippo Maria Visconti (1442)

conclude la mostra il sonetto di Antonio Cammelli che giocando tra la dedicazione alla Vergine (Notre-Dame) della chiesa di Santa Maria delle Grazie e la presenza nel tempio della tomba della duchessa Beatrice d'Este invitava il duca, Ludovico il Moro, a rientrare in città.
Ritorna, Ludovico, se tu puoi:
ciascun qua ti desia, ciascun ti chiama,
torna acquistar l'honore e la tua fama,
torna hor che ‘l vitio suol regnar nel roi.
Deh, torna a riveder li servi tuoi,
torna all'alma città che ti richiama,
torna alle Gratie a riveder la Dama,
e spera in lei, che in lei ben sperar puoi.

messa alla fine della mostra mi ha fatto pensare davvero a un moto nostalgico, al richiamo a una ricchezza perduta. ma, si sa, non la penso così...l'età d'oro è qui, anche adesso, come allora.

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