bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 25 settembre 2020

Les nuits barbares ou les premiers matins du monde

nello spettacolo di Hervé Koubi al teatro Elfo Puccini, nella rassegna MilanOltre, quindici danzatori, dei maschioni muscolosissimi, fanno vorticare le loro gonne come dervisci, brandendo lame coltelli e bastoni al suono dei requiem di Mozart e Fauré, miscelata con melodie tradizionali algerine, dialogando con il patrimonio musicale e spirituale dell’occidente; la sensualità e l'energia messe in campo evocano un’umanità intera di barbari: Persiani, Celti, Greci, Vandali e Babilonesi, quasi delle apparizioni da tempi remoti e oscuri, che hanno influenzato quel grande crocevia di culture che è il Mediterraneo. questi elementi storici e culturali si mescolano, dal punto di vista stilistico, con il linguaggio della breakdance e dell’hip hop, reinventati in maniera spettacolare, con ritmi a volte incalzanti a volte estatici.

i ballerini guerrieri si presentano in formazioni cangianti, all'inizio con cappucci elmi riflettenti luce di grande impatto scenico, e ci mostrano la notte dei tempi, le notti barbare che hanno preceduto la civiltà, e ci portano verso un'alba si spera civile, in cui la mescolanza e la diversità fanno mondo, fanno cultura, creano comunità, per tutti.
la maggior parte dei ballerini è di origine nordafricana, tunisina e algerina, ma ci sono anche italiani e francesi. 
lo spettacolo è travolgente, in scena il corpo degli uomini, solo uomini, della cui forza e agilità ci possiamo solo fidare.








giovedì 24 settembre 2020

they shall not grow old

ho improvvisamente capito che il bianco e nero crea distacco.
crea un senza tempo, un tempo senza.
quando ho visto documentari in bianco e nero li ho sentiti lontani da me, in un'epoca indefinibile, non la mia comunque.
così per le foto.
il bianco e nero inventa l'atemporalità.
l'operazione opposta, come quella di Peter Jackson in They shall not grow old, svolge l'operazione contraria. filmati storici della prima guerra mondiale in bianco e nero vengono restaurati e traformati in filmati a colori, in 3D, e anche sonorizzati.
la percezione del distacco svanisce e si entra nella storia, che si avvicina paurosamente, diventa attuale.
la situazione si fa quasi insostenibile, soprattutto se consideriamo che, oltre a quella dei filmati, Jackson ha svolto un'accurata ricerca anche delle testimonianze vocali dei soldati reduci inglesi.
dopo una fase iniziale, narrativa, ancora in bianco e nero, che ricostruisce l'iniziale euforia per l'impresa bellica, l'arruolamento di bambini di 15 anni che si spacciano per 18enni, l'addestramento fisico dei soldati, l'effetto di irrobustimento, per acquisizione di peso e muscolatura, di gente altrimenti denutrita in condizioni malsane di vita, la partenza ancora romanticamente idealizzata di salvifica esperienza patriottica verso la Francia, con l'inizio dell'esperienza armata il registro cambia, le immagini si fanno a colori, la visione subisce uno zoom, si entra nelle trincee e si parte verso l'orrore.
il racconto è serrato, le immagini sono travolgenti e ritmate, i racconti dei soldati cambiano registro, si fa strada la consapevolezza dello sterminio, dello spolpamento della vita, del reale insostenibile della guerra.
io ho fatto fatica, a un certo punto ho anche smesso di guardare.
con il superamento dell'acme, dell'orgasmo distruttivo del massacro di massa, il ritmo si appiana di nuovo, i tedeschi si arrendono, l'impero è sconfitto, torna il bianco e nero ci riappacifica con la storia, le immagini si distanziano, il terrore si placa.
ho visto i denti dei soldati, oltre alle condizioni igieniche e alimentari indescrivibili, ho visto le bocche storte e le dentature nere e marce e ho capito che la civiltà è stata anche questo, la recente acquisizione delle visite dal dentista, la cura per il corpo ha subito una svolta epocale negli ultimi 70 anni, la medicina ha cambiato il corso del tempo e ci fa credere che l'eternità sia possibile.
mai stati più lontani di così, noi e loro.
They shall not grow old, per sempre giovani.









They Shall Not Grow Old - Per sempre giovani 
documentario del 2018 prodotto e diretto da Peter Jackson 
per il centenario della fine della prima guerra mondiale.

venerdì 18 settembre 2020

jam the future




Volvo Studio.
ormai da anni si presta per eventi di musica, e forse anche altro.
ci si ritrova in questo ambiente davvero piacevole, sia per gli interni ondosi sofisticati e colorati, sia per l'esterno con la bellezza dei grattacieli di Porta Nuova che fa da sfondo.
ieri sera c'era la prima sessione di Jam the Future, Music for a new planet, il progetto di Volvo e JAZZMI dedicato alle giovani promesse del jazz. ieri sera si è tenuto il  primo appuntamento con le audizioni di 6 band selezionate da JAZZMI grazie ad una call aperta avviata durante il lockdown. tra le 3 band che hanno passato il turno, due le ho ascoltate nella prima sessione di ascolto cui ho partecipato.
non ho dubbi,  il CMC TRIO (jazz, acid jazz, world music) è stato di una superiorità schiacciante, anche grazie alla tromba, mia diletta. ma, lo dobbiamo dire, i tre ragazzi non erano alla pari con gli altri: più anziani, sebbene 30enni, sette anni di musica insieme, già tre dischi pubblicati.
forse non è valido...

giovedì 17 settembre 2020

concerto per l'Italia

non voglio sminuire lo sforzo compiuto dall'organizzazione di MiTo, che, anche quest'anno, è riuscito a organizzare il festival e, devo dire, con uno scrupolosissimo riguardo per le misure di sicurezza.

al teatro Dal Verme le maschere sono molto attente, fin troppo, all'uso delle mascherine e al rispetto delle regole nel corso dei concerti, a volte con esiti grotteschi e con qualche disturbo della fruizione dello spettacolo.

di fatto non si sentono orchestre ma piccoli gruppi musicali: quello di martedì, Venice Baroque Consort, è stato davvero ragguardevole in un concerto dedicato a Vivaldi, un Vivaldi compositore lirico sorprendente.

detto questo, le orchestre mi mancano.

sarà per questo che il concerto con la Filarmonica della Scala diretta da Chailly, domenica in piazza Duomo, è stato per me un momento esaltante. mi mancava un'orchestra, e questa orchestra, mi mancava un direttore, e questo direttore, mi mancava la grande musica, ed era questa musica:

Ouverture dal Don Pasquale di Donizetti;
Violino solista Maxim Vengerov per il Concerto in mi minore di Mendelssohn;
Ouverture da Norma di Bellini;
L’intermezzo dal III atto della Manon Lescaut di Puccini;
L’ouverture dalla Forza del destino di Verdi.


meravigliosamente seduta, come mai mi era successo, mi sono davvero divertita.

ti guardo dall'alto, città

nell'ambito di questa rassegna di Milano artweek, un po' striminzita, si può citare la mostra, piccola e breve, al Museo della Scienza e della tecnica di Milano, di Elena Galimberti.

"Milano città aperta", l'hanno chiamata così. io penso a Rossellini ma sono fuori strada. 

nelle sue fotografie, per lo più scattate dall'alto, c'è un riguardo all'architettura, alla saturazione dei colori, agli spazi ampi, alle vedute aeree. direi che, in alcune foto, l'effetto di saturazione è eccessivo e toglie naturalezza alle fotografie, consegna subito la percezione di artefatto. un peccato, in quei casi, ma l'effetto scenico è spesso piacevole.









lunedì 14 settembre 2020

Ganga Ma

la chiamano Milano artweek, settimana dedicata all'arte moderna. ma Milano, al momento, non ha molto da offrire.

guardare le opere on line di Miart non ha veramente nessun senso. sfoglio un po' poi mi dico: ma perchè? mi sta forse piacendo?

rispetto alle proposte in città mi sono mossa per sondare alcune proposte, ma forse il meglio non era lì.

sarà stato là?

Palazzo delle Stelline
Ganga Ma 
è il frutto di una ricerca fotografica decennale sul Gange che documenta gli effetti devastanti dell’inquinamento, della industrializzazione e dei cambiamenti climatici. Il progetto segue il fiume sacro per oltre 2.500 miglia, dalla sua sorgente nel ghiacciaio del Gangotri, situato nella catena dell’Himalaya, fino alla foce nel Golfo del Bengala. Il Gange è un esempio emblematico della contraddizione irrisolta tra uomo e ambiente, poiché è un fiume intimamente connesso con ogni aspetto – fisico e spirituale – della vita indiana. La mostra presenta una selezione di opere fotografiche e due wallpaper che spaziano dal distacco della fotografia documentaria a una risposta quasi pittorica alle condizioni ecologiche e atmosferiche del Gange. Adottando quella che può essere definita "un'estetica dell'inquinamento", Giulio Di Sturco punta il suo obiettivo sul disastro ecologico che affligge il fiume più sacro e venerato dell'India. L’autore ci invita a entrare nell’opera e dopo l’iniziale stordimento dell’immagine seducente e poetica, che rivela la maestosità della natura dalla prospettiva del fiume e delle sue rive, a vederne la sua tossicità.
















mi sono piaciute. il Gange muore, il pianeta muore, e noi anche. la luce di queste foto sa di morte.

giovedì 10 settembre 2020


08.IX.20 - MiTo - Milano
Teatro Dal Verme / ore 21:00
UN VIOLONCELLO | 1
Giovanni Sollima,
violoncello
Musiche di Johann Sebastian Bach, Domenico Galli, Ernest Bloch, Carl Friedrich Abel, Giovanni Sollima, Igor Stravinskij, Giuseppe Dall’Abaco
Introduzione al concerto di Gaia Varon.

 
carissima Gaia,
ti ringrazio per la consueta bella introduzione.
quando ci sei tu tutto va bene.
ti direi che un concerto per violoncello solo è piuttosto impegnativo, bisogna abituarsi un attimo, prendere confidenza con lo strumento e il suo suono.
forse non avrei iniziato con Bach, musica difficile.
ma poi si prende l'avvio e si pone ascolto.
quello di Dell'Abaco, l'ultimo brano, è stato il migliore, il più delicato e armonico.
il vero spettacolo però è stato quello di guardare Sollima suonare.
il suo strumento, un pezzo del suo corpo.
suona con tutto il corpo, pure con il volto, con le gambe, il busto e tutto quello che ha.
sentire il sublime del desiderio che si aggira nell'aria del teatro.
Sollima è una persona fortunata, molto fortunata.
la passione lo anima.
non sarà mai un uomo solo.

domenica 6 settembre 2020

Requiem di Verdi

 è stato travolgente.

sono riuscita a prenotare i biglietti on line, che odissea, e venerdì sera ero in duomo, che ha fatto la sua porca figura, per ascoltare la messa da Reqiuem di Verdi, diretto da Riccardo Chailly, orchestra e coro del Teatro alla Scala, in onore delle vittime del Covid-19.

c'era Mattarella, e c'era Sala, anche Franceschini e Marta Cartabia. 

ho visto passare la Fracci e ho notato Bolle.

e poi c'ero io, e davanti a me ero prenotati posti con una dicitura "Quirinale", scritta a mano con una grafia antica. si anche io c'ero e ne sono orgogliosa.

è stato bello e scuotente. il coro era distribuito nelle ale laterali, di fianco all'orchestra, credo con grande sforzo per garantire il distanziamento e la riuscita del suono allo stesso tempo. le signore del coro erano vestite di un'eleganza senza pari, le ho poi viste sfrecciare via, al termine del concerto, credo per andare alla Scala, a cambiarsi. l'acustica nella grande nostra chiesa è particolare, l'orchestra si sente a malapena se il coro esulta, ma la pienezza del suono, pervasivo e persistente, ha un effetto di grande coinvolgimento.

sono entrata in chiesa con la luce della sera, il sole al tramonto che penetrava dalle porte del duomo, tutte aperte spalancate per l'occasione.

non so se sono vicina a una conversione mistica, è certo però che qualcosa mi ha toccato, la bellezza del canto, la potenza esplosiva del Dies Irae, la dolcezza del duetto soprano e mezzosoprano Recordare, Jesu Pie, la commozione finale del Libera me. ho visto Chailly veramente provato al termine dell'opera, d'altronde era davvero impossibile non sentire la compassione, la celebrazione della morte nel suo mistero.