bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 30 gennaio 2020

quartiere riconquistato

Nessuno vide la bellezza delle strade
fin quando spaventoso per fragore
rovinò il cielo verdastro
in uno scroscio d'acqua e d'ombra.
Il temporale fu unanime
e orribile agli sguardi il mondo,
ma quando un arco benedisse
coi colori del perdono la sera,
e un odore di terra bagnata
rinfrancò i giardini,
uscimmo a camminare per le strade
come per una terra riscattata,
e sui vetri ci furono generosità di sole
e sulle foglie lucenti
disse la sua tremula immortalità l’estate.

Jorge Luis Borges
Fervore di Buenos Aires

mercoledì 29 gennaio 2020

un patio

La Sera ha ormai spossato
i due o tre colori del patio.
Stanotte il disco chiaro della luna
non domina lo spazio.
Patio, cielo tra sponde.
Il patio è il declivio
per cui si spande il cielo nella casa.
Serena,
l'eternità è in attesa a un crocicchio di stelle.
È delizioso vivere nell'amicizia oscura
di un atrio, di una pergola e di un pozzo.

Jorge Luis Borges
Fervore di Buenos Aires

martedì 28 gennaio 2020

annunciazione . giornata della memoria

annunciazione

di Primo Levi

Non sgomentarti, donna, della mia forma selvaggia:
Vengo di molto lontano, in volo precipitoso;
Forse i turbini m’hanno scompaginato le piume.
Sono un angelo, sì, non un uccello da preda;
Un angelo, ma non quello delle vostre pitture,
Disceso in altro tempo a promettere un altro Signore.
Vengo a portarti novella, ma aspetta, che mi si plachi
L’ansimare del petto, il ribrezzo del vuoto e del buio.
Dorme dentro di te che reciderà molti sonni;
è ancora informe, ma presto ne vezzeggerai le membra.
Avrà virtù di parola ed occhi di fascinatore,
Predicherà l’abominio, sarà creduto da tutti.
Lo seguiranno a schiere baciando le sue orme,
Giubilanti e feroci, cantando e sanguinando.
Porterà la menzogna nei più lontani confini,
Evangelizzerà con la bestemmia e la forca.
Dominerà nel terrore, sospetterà veleni
Nell’acqua delle sorgenti, nell’aria degli altipiani,
Vedrà l’insidia negli occhi chiari dei nuovi nati.
Morrà non sazio di strage, lasciando semenza d’odio.
è questo il germe che cresce di te.
Rallegrati, donna.

 22 giugno 1979

è Levi che scrive.
Levi che lascia il segno della ferocia, trasforma l'annunciazione nel programma del terrore, nella sua germinazione, dissacrando, bestemmiando.






e questi sono i disegni di Aldo Carpi, pittore, deportato a Gusen, campo-satellite di Mauthausen, in Austria, dove soltanto il 2 per cento dei prigionieri riuscì a sopravvivere. si salvò grazie al suo talento e fu autore – a rischio della vita – dell’unico vero diario in presa diretta all’interno di un campo di sterminio.

ieri alla Fondazione Corriere, con Luigi Ballerini, Martina Carpi, Emanuele Fiano, Elio Franzini, Piergaetano Marchetti, Venanzio Postiglione, oggi alla Statale con le storie del libro di Ugo Samaja “Autopsia di una vita”, curato dalla storica Silva Bon, che riprende la testimonianza di vita del medico ebreo triestino nell’Italia fascista. poi il cortometraggio “Viktor Ullmann: biografia di una registrazione”, per la regia di l.Grigoropoulos e M. Aristidou, dedicato alla vita del compositore, pianista e poeta nella Germania nazista.

cerco di onorare la memoria, così labile così fragile, i confronto all'odio, così tenace, potente, pervasivo.

giovedì 23 gennaio 2020

immaginario



mostra fotografica.
media.
un criterio espositivo non sempre a me molto chiaro, nonostante la spiega di una volenterosa guida.

PALAZZO LOMBARDIA
Via Luigi Galvani 27 - Milano - Lombardia
dal 09/01/2020 - al 31/01/2020
125 stampe originali dell’Archivio Fotografico del Touring Club Italiano, che si compone ad oggi di circa 350 mila esemplari, dal 1870 al 1970, liberamente scelte e accostate in 39 cornici da Luca Santese, fotografo, artista e cofondatore di Cesura, chiamato in qualità di curatore in occasione dell’esposizione che celebra i 125 anni esposizione.

skianto

terribile
un terribile skianto
anzi skyanto
storpiamo ancora di più, che rende l'idea.
premessa: è stato un invito a teatro. al Parenti ci vado solo su invito, non intendo spendere soldi per una stagione teatrale pessima in un teatro che è diventato un centro commerciale con potente abbassamento del livello artistico e incredibile intensificazione degli eventi commerciali. basti pensare che l'aperitivo costa la bellezza di 15 euro. la shammah andree ruth è inebriata dal denaro che fluente circola nelle sue casse.
certamente circola perchè il teatro è colmo allo spasimo, e lo sarà per tutte le sere successive, per questo spettacolo di e con Filippo Timi. io sono seduta alla fila ZZ. non l'ultima, di più, l'ultimissima, ZZ. ma meglio così, francamente.
lo spettacolo, ovviamente, inizia con 15 minuti di ritardo, la gente ancora alle 8.10 gira tranquilla, nemmeno affannata a cercare il suo posto, c'è anche chi è arrivato oltre, alle 8.20, e si è piazzato, purtroppo, in fila ZZ, e nemmeno si è premurata di entrare dalla parte senza spettatori seduti, mi sono dovuta perfino alzare per questi cialtroni.
una boiata
uno spettacolo osceno
una schifezza imbarazzante.
la bruttezza è in tutto, ogni cosa dello spettacolo, ma non è uno spettacolo, è un'accozzaglia di roba marcia. 
tanto per capirci, non l'ho pensato solo io che si trattasse di una porcata inguardabile, qualcuno si è alzato e se ne è andato. alla fine dello spettacolo, sono fuggita rapidamente appena mi sono liberata dal "devo vederlo fino in fondo", qualcuno era già fuori e faceva commenti pesanti.
io ho resistito, mi sono detta: non fare la snob, sta tortura dura solo un'ora e 15 minuti, resisti. no, perchè si è capito già nei primi 5 minuti di quale natura immonda si trattasse.
intanto Timi no, non ce la fa a recitare. parla male, le sue parole sono scandite male e non tutto si capisce, anzi poco. il linguaggio era sordido, pieno di inutili ma compiacenti parolacce (alla gente piace un casino sentire la bassezza del linguaggio corrente, povero e senza stile, come se fosse un pregio sentirlo a teatro, una conferma che il mondo va così e io con esso), il testo non era un testo, parole libere senza trama, ci ho messo parecchio  a capire di cosa si stesse parlando e ancora adesso non l'ho capito.
Timi si mostra senza vestiti e ancora compiace il suo pubblico femminile che, per qualche strano motivo, lo trova irresistibile, un maschio doc. è bizzarro, senza stile, senza forma, mostra solo la sua follia.
ma la follia è interessante se ha qualcosa da dire, ma la follia di Timi è mediocre. in più ha capito che vende, e fa cassa, e la usa, pur propinando roba di scarto.
nello spettacolo (...) c'erano anche, udite udite, dei filmati sui gatti, quelli che si trovano su you tube. cosa c'entravano?, ah saperlo. la gente applaude. no, dico, applaude a roba che trova sul cellulare senza pagare un biglietto.
c'era anche un cantante, napoletano.
stonato.
inascoltabile, un supplizio.
io credo di non aver mai sentito un napoletano stonato
ebbene, nel circo dei pesi massimi della mediocrità, anche il cantante faceva pena.
Timi si sforzava pure di fare degli accenti regionali, ma il risultato era imbarazzante, pure il romano (ma si sente bene che non lo è), oltre il napoletano (santoiddio) (ma il personaggio è napoletano o romano?) ma l'esito è stato desolante.
si arrampica a destra a manca, fa mossette in mutande su parole in libertà, sputa parolacce senza motivo, si trasforma in un centauro, chissà perchè.
porta in giro sta roba da anni, ma io mi domando il motivo di tanto successo. è una risposta, adeguata e consona, alla mediocrità della gente, all'assenza di contenuti, all'esposizione voyeuristica, mediatica e televisiva, della propria insensatezza.
aiuto, ma il teatro dov'è?
una stagione di una miseria sconfinata.
sono davvero desolata.

lunedì 20 gennaio 2020

sala di Amore e Psiche

non è che ci si possa sbagliare più di tanto, entrando in questa sala. di Palazzo Te.
io non credo di essermi sbagliata.



eros
e molte erezioni in vista
natiche
corpi
molti corpi
satiri e fanciulle
fontane e giacigli
cibo
vino
coppie
banchetti
feste

e bravo Giulio
e bravi i Gonzaga , in particolare parlo di te, Federico II

che la festa cominci.

venerdì 17 gennaio 2020

il destino che bussa alla porta

è stata un'esplosione, fortissima.
un'onda mi ha travolta, veniva da lontano.
non finiva mai, sembrava dover finire ma non finiva mai.
era ossessiva, martellante, il destino bussava alla porta e non se ne andava, insisteva, mi tormentava.
era la musica.
una musica travolgente.
era la sinfonia n.5 di Beethoven.
era ieri sera.
alla Scala (e dove se no?)
era la filarmonica
ed era Chailly che guidava.
era un'estasi, un'emozione potente.
andava veloce, il tempo era serrato, non c'era pausa, mi tallonava.
mi sono sentita perduta e felice allo stesso tempo, senza scampo e salvata.
sulla terra è passata gente così, gente che ha lasciato il segno, che ha scritto il linguaggio della musica per darne testimonianza e segnare tracce, e ieri sera ne ha lasciate su di me, sul mio corpo.
la musica ha inciso sulla carne. il linguaggio, anche la musica, è corpo.

Filarmonica della Scala
Direttore Riccardo Chailly
PROGRAMMA
Ludwig van Beethoven
Egmont, ouverture in fa min. op. 84
Sinfonia n. 8 in fa magg. op. 93
Sinfonia n. 5 in do min. op. 67



giovedì 16 gennaio 2020

Platonov, addio

eppure sono andata fiduciosa e il personale del teatro è stato di una gentilezza squisita con me.
ma
me lo hanno violentato.
povero Cechov.
testo giovanile, ma l'impronta è quella, la sua.
ne fanno un testo sbracato, sguaiato, urlato all'inverosimile, fuori tono, sopra le righe.
ambientazione moderna, gente in ciabatte, altri a piedi nudi, donne vestite di sottovesti di seta, e l'eleganza di Cechov, la sua raffinata ambientazione, viene trasferita in un party degenerato e perverso, gente fuori di testa. i temi della malinconia, della felicità irraggiungibile, dell'eterno inganno dell'amore e del tempo trasformati in sberleffi per eccentrici urlatori, in inganni di traditori seriali, in crisi isteriche di donne fatue e fuori controllo alcolico.
all'inizio dello spettacolo, con le luci accese in sala e la gente che si accomoda, gli attori girano per la scena, guardano gli spettatori che entrano, addirittura li salutano, ehi ciao cosa fai qui?, parlano dei fatti loro, guardano la gente, nemmeno fanno finta di essere sulla scena. volevano convincermi che non c'è distanza tra la sala e la scena? tra attore e spettatore? tra la vita e la finzione? hanno offerto vodka e qualcuno ci ha creduto, li ha presi sul serio,  e si è messo a commentare ad alta voce, a urlare un po', a ridere sguaiatamente, a fare come se fosse a casa propria, a rispondere alle false domande, credendo di fare parte del party in scena.
un'oscenità, povero teatro, povero teatro.
bocciato su tutta la linea.
in particolare, se  magari salvo qualche attrice, l'attore interprete di Platonov, tale Sinisi, mi è sembrato semplicemente imbarazzante, ingombrato da un accento meridionale mai del tutto addomestivato, impegnato in risse vocali, spesso impapinato sulla parola, crudelmente (per me che lo dovevo ascoltare) non credibile. 
a volte mi è sembrato di essere dentro, a spiare le faccende di qualcuno, faccende private, corpi sovraesposti, gente senza privacy, una sensazione molto spiacevole.
il teatro è totalmente scomparso, siamo nel reality show.
una debacle.


AL TEATRIO FONTANA,
DA ANTON ČECHOV
UNO SPETTACOLO DI IL MULINO DI AMLETO
REGIA MARCO LORENZI
RISCRITTURA MARCO LORENZI E LORENZO DE IACOVO
CON MICHELE SINISI
E CON STEFANO BRASCHI ROBERTA CALIA, YURI D’AGOSTINO, BARBARA MAZZI, STEFANIA MEDRI, RAFFAELE MUSELLA, GIORGIO TEDESCO, ANGELO MARIA TRONCA
PRODUZIONE ELSINOR CENTRO DI PRODUZIONE TEATRALE



domenica 12 gennaio 2020

sala dei Giganti

«Non si pensi alcuno di vedere mai opera di pennello più orribile e spaventosa, né più naturale di questa. E chi entra in quella stanza, non può non temere che ogni cosa non gli rovini addosso.»
(Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, 3-1)










che gran giornata,
a Mantova,
a Palazzo Te,
in compagna dei giganti
e di
Giulio Romano.

no, grazie

ci abbiamo riprovato ma no, proprio no.
grazie, molto gentili ma passo.
è un piccolo teatro, fa uno spettacolo ogni due mesi per soli due giorni, come faranno a sopravvivere non si sa.
andrebbe sostenuto?
si, facesse cose buone.
in verità, la prima volta, la mia prima volta, ha comportato uno spettacolo interessante, il diario di Etty Hillesum con Federca Fracassi (mia adorata) e un bell'accompagnamento musicale. me ne sono già lamentata (https://nuovateoria.blogspot.com/search?q=lamento) e no lo rifarò.
a seguito del mio piagnucolio sono stata molto cortesemente invitata a un altro spettacolo, su Mia Martini, e volentieri ci sono andata sulla scorta di frasi come "abbiamo letto le sue critiche e stiamo migliorando". caspita, onoratissima.
per la verità nulla è cambiato, le sedie sono scomode ma con qualche cuscino, alla fine dello spettacolo l'attrice viene, more solito, intervistata a caldo, qualcuno sale sul palco e dice cose di interesse opinabile, solo è stato aggiunto "per chi solo vuole rimanere ora c'è il commento". è chiaro che non me ne vado dalla prima fila, aspetto pazientemente la fine dell'orazione, ma rimango dell'idea che la formula da oratorio non faccia per me.
in più, in questo caso, lo spettacolo è stato uno strazio. 
attrice francamente mediocre, all'inizio poi proprio stonata nel ruolo, un testo piatto, senza niente da dire, la semplice biografia di Mia Martini e della sua tragica sorte già iniziata prima della morte con elementi drammatici a tratteggiare il suo profilo. una noia indescrivibile, una tessitura inesistente, fatti puramente elencati, a volte solo accennati e non approfonditi, assenza di drammaturgia.
non aggiungo nomi, di niente e nessuno, non voglio causare fastidi a chi è stato francamente molto gentile con me.
non so dove voglia andare questo teatro, a cosa aspiri, rispetto al formula che hanno adottato ma ribadisco la mia totale estraneità a questa modalità paesana, con vino e  dolcetti finali, ribadisco la sensazione di un ritrovo tra amici, inorridisco ai "brava" che ho sentito urlare a fine spettacolo da fondo sala e, davvero ringrazio per la squisita gentilezza ma 
no,
non gioco più,
me ne vado.
grazie.

venerdì 10 gennaio 2020

Madonne

erano entrambe di proprietà dei Litta, conservate nel grande palazzo di Corso Magenta, ma, nel 1865, Antonio Litta Visconti Arese ne vendette una allo zar Alessandro II di Russia, che lo pagò una cifra paragonabile a 2,5 milioni di euro (inizialmente l'opera fu posta a Mosca per poi passare all'Ermitage), l'altra a fu acquistata da Gian Giacomo Poldi Pezzoli nel 1864 e oggi si può ammirare al Museo Poldi Pezzoli di Milano.
in realtà, grazie a una feconda operazione culturale, oggi sono entrambe collocate al Museo Poldi Pezzoli, in una mostra di piccole dimensioni ma di bellezza mozzafiato.
sono le Madonne di Leonardo e del Boltraffio, peraltro in buona compagnia di altre sensazionali sante donne, la Madonna con il Bambino di Marco d’Oggiono, di Francesco Napoletano e del Maestro della Pala Sforzesca.
non si tratta di una sfilata démodé, al contrario, si tratta di  veri schianti, di donne meravigliose, roba da lustrarsi gli occhi e leccarsi i baffi.

Leonardo da Vinci, Madonna Litta, 1495 circa, tempera su tavola trasportata su tela, San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage


Giovanni Antonio Boltraffio (Milano, 1467-1516) Studio per una testa di bambino che prende il latte (studio per la Madonna Litta) 1490 circa


Giovanni Antonio Boltraffio, (Milano, 1467-1516), Madonna con il Bambino (“Madonna del fiore”), 1487-1488 circa, olio su tavola, Milano, Museo Poldi Pezzoli
Marco d’Oggiono, Madonna con il Bambino (“Madonna delle violette”) 1495-1498 circa

Leonardo ha fatto scuola, in tutti i sensi. si tratta infatti di allievi della sua scuola e si tratta anche di un dipinto, quello della Madonna oggi all’Ermitage, che conobbe una notevole fortuna, come dimostra il grande numero di copie e derivazioni eseguite da artisti lombardi che ci sono pervenute.
del dipinto di Leonardo mi colpisce, oltre alla bellezza della donna, il delicatissimo intreccio dei capelli, quel velo sottile che compone la sua elegantissima capigliatura e poi la circonda e la avvolge fino alle vesti che accolgono il bambino. lo stesso gioco si osserva nella Madonna di d'Oggiono, mentre una ricchezza d'abito mozzafiato e un delicato gioco di nastri vestono la Madonna di Boltraffio con il suo bambino.
una mostra straordinaria, ci ho girato dentro per molto tempo, guardando, poi tornando, girando poi riguardando, osservando e sospirando.
che meraviglia

giovedì 9 gennaio 2020

Celebrate New Orleans! A Night of Early Jazz



mi abbonerei al Blue Note, se fosse possibile, a un prezzo ragionevole.
mi diverto sempre, sempre.
ultima serata:
jazz da New Orleans
Domenico Mamone sax soprano, baritono
Angelo Astore Soundtrack pianoforte
Daniele Petrosillo Contrabbasso
Andrea Quattrini batteria
Special Guest Cosimo Pignataro , tromba e voce.

Sylvia



passeggiando per il centro, attraversando piazza Duomo, sono arrivata alla Scala, il mio tempio, il mio luogo di fede.




mi sono accomodata in alto, seconda galleria, e mi sono vista Sylvia.
ispirato al dramma pastorale Aminta di Torquato Tasso, Sylvia ou la nymphe de Diane andò in scena all’Opéra di Parigi nel 1876. tra fasti mitologici, ninfe, satiri, pastorelli e dei dell’Olimpo, fu la straordinaria partitura di Delibes a trionfare: raffinata e ricchissima nei ritmi, armonie e melodie, ebbe in Čaikovskij un convinto ammiratore. nel solco della tradizione francese, Manuel Legris crea nel 2018 la sua versione per lo Staatsballet di Vienna; coprodotta con la Scala, arriva ora al Piermarini in debutto per il Corpo di Ballo scaligero, a inaugurare la nuova Stagione.

forse non l'ho nemmeno visto, l'ho sorseggiato, bevuto e goduto come una coppa di champagne.
un classicissimo balletto, con virtuosismi e tecnicismi iperbolici, è stata una festa, soprattutto per la presenta di Nicoletta Manni, per me icona straordinaria della bellezza della danza.
tutto il corpo di ballo è stato entusiasmante, sono uscita sbronza, ebbra di danza.
adoro quei gesti fuori dal tempo, quegli inchini, quei manierismi nelle reciproche gentilezze, quei riconoscimenti umili ed estatici dei ballerini tra di loro e verso il pubblico.
vorrei un mondo così, stracolmo di bellezza e cortesia, di umiltà e sapienza, di disciplina e di sconcerto.
di immenso stupore.