bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 30 luglio 2020

l'eterno che muore

nelle brutture del mondo, ipocrita e feroce, mi sono riservata un'altra oasi di pace, qualche settimana fa, in una giornata di epica bellezza.
nello stesso pomeriggio in cui mi sono deliziata della corte principesca di Mozart con gli archi e fiati della Filarmonica della Scala (mon amour) sono andata alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie.
bella chiesa.
disegna una bell'angolo della città.
vicino  c'è la Casa degli Atellani, luogo eccelso, e il Chiostro delle Stelline.
ma, poco prima, c'è un'entrata.
quella al cenacolo di Leonardo da Vinci.
ho preso al volo un biglietto di entrata, sfruttando la riapertura dopo l'emergenza sanitaria, infilandomi senza disturbare nessuno.
ora,
non la meno con la storia e la bellezza.
si sa.
non ho nulla da aggiungere.
quel che mi preme è la commozione.
è un'opera divina, ma fragile.
Leonardo era intelligente ma, diciamolo, a volte inconcludente.
ha ipotizzato di tutto, ma realizzato poco.
e quando compie l'assoluto lo fa sbagliando clamorosamente l'impasto dei colori.
è un'opera delicata, cagionevole, malata.
si sgretola, sbiadisce.
scomparirà?
mi commuove così tanto, è l'eterno che muore.
è così, muore, dopo aver resistito all'inverosimile, grazie all'amore e alla dedizione di uomini e soprattutto donne che l'hanno difesa da tutto, grazie a dio che ha spostato le bombe di qualche metro.
il divino la cinge, è chiaro, il divino la abita, ma è troppo per questo mondo.
l'errore umano segna il tempo, il tempo a termine riguarda tutto, tutti noi, anche l'eterno assoluto del volto di cristo.

mercoledì 29 luglio 2020

milanesiana brutta gente

una serata così brutta non la passavo da sempre.
ho resistito anche troppo, ma ho aspettato fino a che ho potuto che qualcosa si raddrizzasse, ma niente da fare.
una serata orrore, dell'orrore, nell'orrore, non saprei da cosa cominciare.
se penso alle parole dell'incipit di Saviano potrei certamente dire che Bernard-Henri Levy mi ha fatto pensare all'uso di cocaina, sommerso, ma diffusissimo.
lo stato di esaltazione messianica cristologica a cui ho purtroppo assistito lunedì sera mi ha fatto pensare a una sniffata pesante.
il discorso alla Milanesiana è stato irricevibile, una serie ripetuta di calci sugli stinchi, uno stato di emanazione delirante perpetuo con una dizione teatrale enfatica senza sosta, un'immersione senza fine di incisi, uno dopo l'altro, tra virgole e tra parentesi, peraltro tradotte su una striscia passante che mi ha fatto temere di finire preda di una crisi epilettica causa nistagmo ripetuto, inferto come una tortura da questa voce altisonante narcisistica autoriferita inarrestabile.
un vomitatoio senza senso di parole, una crisi bulimica, con abbuffata e vomito ripetuto, cui ho patologicamente assistito in diretta.
cosa ha detto ? non lo so, si sentiva solo l'eco della sua imitazione divina inneggiante l'apocalisse.
il peggio?
o forse l'apparizione di Bocelli? mai mi è piaciuto, mai, e dopo lunedì sera posso inserirlo definitivamente tra le persone a me sgradite. si aggira rigorosamente senza mascherina, ma questo merita un paragrafo a parte, e sostiene di essere vittima di cattive interpretazioni della sua buone parole, si definisce ottimista, mica negazionista. certo se però afferma che lui di persone in rianimazione non ne ha conosciute (e quindi vale il concetto che solo se vedo ci credo, come Tommaso, o forse solo se ci finisco in rianimazione ci credo, altrimenti mica è vero, mica mi fate fesso con queste fandonie) e che per lui la reclusione in emergenza è stata umiliante e offensiva (povero cucciolo) e che quindi si sia trovato costretto a violarla, beh insomma, forse ti esponi a qualche interpretazione malevola, cosa ne dici eccelso immenso cantante de noartri?
ma non cantava in piazza Duomo a Milano contrito e asceso all'enfasi mistica della condivisione?
vuoi vedere, ma dai?, che è stata solo una gran posa mediatica propagandistica e ben pagata ma, sotto sotto, siete tutti dei coglioni e io me ne frego di questa invenzione mediatica del covid e mi ritengo autorizzato, poiché violato e abusato nella mia immensa persona, a fare quel cazzo che mi pare?
e mica se lo tiene per sé, l'eccelso, si ritiene autorizzato a dirlo al mondo, che è un omuncolo qualunque, malato di autoreferenzialità che vede la violazione del suo diritto come offensiva della sua dignità.
eterna vergogna a noi.
cretino oltre che tracotante e presuntuoso, divinamente presuntuoso, ovvio.
ma l'eccelso fa parte di una cricca piuttosto vasta, che vede come al solito l'homo salviniano in testa nel cavalcare l'ultima ipotesi populista possibile, ovvero che il covid (errore grossolano pure questo, il covid, o meglio, la covid, è il nome della malattia, coronavirus desease, mentre è sars cov 2 il nome del virus, o, ormai confidenzialmente, coronavirus o corona per gli amici) non sia più circolante.
la bella schiera di fieri portatori della buona novella era tutta lì, alla milanesiana, lunedì sera, ove pure pascolava, stranamente senza le forze dell'ordine a contenerlo, l'altro esimio rappresentante degli omuncoli, ovvero vittorio sgarbi. ma nemmeno la famigerata osannata sorella sembrava farsi problemi di protezione con la mascherina, altra buona rappresentante di quella convenienza furba bugiarda e compiacente che la vede dire che QUESTA MILANESIANA E' STATA ORGANIZZATA NEL PIENO RISPETTO DELLE NORMATIVE DI SICUREZZA (grazie e salve a te o regina), salvo poi fottersene ampiamente e girare indisturbata, lei e la sua corte, senza alcuna protezione, tutti ammassati per le foto di rito. 
mi è toccato pure il nuovo direttore di Repubblica, maurizio molinari, che, anche lui fiero portatore della buona novella e leonino espositore della sua dentatura senza se e senza ma, ha citato l'Ucraina, non chiedetemi perchè, pure sbagliando clamorosamente la sua pronuncia. direttore de La Repubblica, mica l'ultimo galoppino con la licenza elementare.
ovvio, tutti gli operatori, di Palazzo Reale e giornalisti e cameramen le portavano, le mascherine, gli sgarbi brothers bocelli e moglie levy e belle signore e altri cazzi vari, nemmeno l'ombra di una velatura.
fieri portatori, di virus?, ah no, dell'ipotesi del definitivo debellamento del morbo che ci è costato 35 mila morti.
o no?
qualcuno li ha visti 'sti morti di cui si ciancia?

Zero zero zero: oppure, semplicemente, la persona che ne fa uso sei tu

La coca la sta usando chi è seduto accanto a te ora in treno e l'ha presa per svegliarsi stamattina o l'autista al volante dell'autobus che ti porta a casa, perché vuole fare gli straordinari senza sentire i crampi alla cervicale. 
Fa uso di coca chi ti è più vicino. Se non è tuo padre o tua madre, se non è tuo fratello, allora è tuo figlio. Se non è tuo figlio, è il tuo capoufficio. O la sua segretaria che tira solo il sabato per divertirsi. Se non è il tuo capo, è sua moglie che lo fa per lasciarsi andare. Se non è sua moglie è la sua amante, a cui la regala lui al posto degli orecchini e meglio dei diamanti. Se non sono loro, è il camionista che fa arrivare tonnellate di caffè nei bar della tua città e non riuscirebbe a reggere tutte quelle ore di autostrada senza coca. Se non è lui, è l'infermiera che sta cambiando il catetere di tuo nonno e la coca le fa sembrare tutto più leggero, persino le notti. Se non è lei, è l'imbianchino che sta ritinteggiando la stanza della tua ragazza, che ha iniziato per curiosità e poi si è trovato a fare debiti. Chi la usa è lì con te. È il poliziotto che sta per fermarti, che tira da anni e ormai tutti se ne sono accorti e lo scrivono in lettere anonime che mandano agli ufficiali sperando che lo sospendano prima che faccia cazzate. Se non è lui, è il chirurgo che si sta svegliando ora per operare tua zia e con la coca riesce ad aprire anche sei persone in un giorno, o l'avvocato da cui devi andare per divorziare. È il giudice che si pronuncerà sulla tua causa civile e non ritiene questo un vizio, ma solo un aiuto a godersi la vita. È la cassiera che ti sta dando il biglietto della lotteria che speri possa cambiare il tuo destino. È l'ebanista che ti sta montando un mobile che ti è costato lo stipendio di un mese. Se non è lui, a usarla è il montatore venuto a casa tua a metter su l'armadio Ikea che da solo non sapresti assemblare. Se non è lui, è l'amministratore di condominio del tuo palazzo che sta per citofonarti. È l'elettricista, proprio quello che ora sta cercando di spostarti la presa nella stanza da letto. O il cantautore che stai ascoltando per rilassarti. Usa coca il parroco da cui stai andando per chiedere se puoi cresimarti perché devi battezzare tuo nipote, ed è stupito che tu non l'abbia ancora preso, quel sacramento. Sono i camerieri che ti serviranno al matrimonio di sabato prossimo, se non sniffassero non riuscirebbero ad avere in quelle gambe così tanta energia per ore. Se non sono loro, è l'assessore che ha appena deliberato le nuove isole pedonali, e la coca gliela danno gratis in cambio di favori. La usa il parcheggiatore, che ormai sente l'allegria solo quando tira. È l'architetto che ha messo a nuovo la tua villetta delle vacanze, ne fa uso il postino che ti ha recapitato la lettera con il tuo nuovo bancomat. Se non è lui, è la ragazza del call center, che ti risponde con la voce squillante e chiede in cosa può esserti utile. Quell'allegria, uguale a ogni telefonata, è effetto della polvere bianca. Se non è lei, è il ricercatore che sta seduto ora a destra del professore e aspetta di farti l'esame. La coca l'ha innervosito. È il fisioterapista che sta cercando di metterti a posto il ginocchio, a lui invece la coca lo rende socievole. È l'attaccante che ne fa uso, quello che ha segnato un gol rovinandoti la scommessa che stavi vincendo a pochi minuti dalla fine della partita. Usa coca la prostituta da cui vai prima di tornare a casa, quando devi sfogarti perché non ne puoi più. Lei la coca la prende per non vedere più chi le è davanti, dietro, sopra, sotto. La prende il gigolo che ti sei regalata per i tuoi cinquant'anni. Tu e lui. La coca gli dà la sensazione di essere il più maschio di tutti. Usa coca lo sparring partner con cui ti alleni sul ring, per cercare di dimagrire. Se non è lui che ne fa uso, è l'istruttore di equitazione di tua figlia, la psicologa da cui va tua moglie. Usa coca il migliore amico di tuo marito, quello che ti corteggia da anni e che non t'è mai piaciuto. Se non è lui, è il preside della tua scuola. Tira coca il bidello. L'agente immobiliare che sta facendo ritardo proprio ora che eri riuscito a liberarti per vedere l'appartamento. Ne fa uso la guardia giurata, quella che ha ancora il riporto quando ormai tutti si rasano i capelli. Se non lui, il notaio da cui non vorresti mai più tornare, che usa coca per non pensare agli alimenti da pagare alle mogli che ha lasciato. Se non è lui, è il taxista che impreca contro il traffico ma poi torna allegro. Se non è lui, la usa l'ingegnere che sei costretto a invitare a casa perché forse ti aiuta a fare uno scatto di carriera. È il vigile urbano che ti sta facendo una multa e mentre parla suda moltissimo anche se è inverno. Oppure è il lavavetri con gli occhi scavati, che riesce a comprarla chiedendo prestiti, o è quel ragazzo che rimpinza di volantini le auto cinque alla volta. È il politico che ti ha promesso una licenza commerciale, quello che hai mandato in parlamento con i voti tuoi e della tua famiglia ed è sempre nervoso. È il professore che ti ha cacciato da un esame alla prima esitazione. O è l'oncologo da cui stai andando a parlare, ti hanno detto essere il migliore e speri ti possa salvare. Lui, quando tira, si sente onnipotente. O è il ginecologo che sta dimenticando di buttare la sigaretta prima di entrare in stanza e visitare tua moglie che ha le prime doglie. È tuo cognato che non è mai allegro, è il ragazzo di tua figlia che invece lo è sempre. Se non sono loro, allora è il pescivendolo che sistema il pesce spada in bella mostra, o è il benzinaio che sbrodola la benzina fuori dalle auto. Tira per sentirsi giovane, ma non riesce ormai a inserire al suo posto neanche la pistola del distributore. O è il medico della mutua che conosci da anni e ti fa entrare prima senza fare la fila perché a Natale sai cosa regalargli. La usa il portiere del tuo palazzo, ma se non la usa lui allora la sta usando la professoressa che dà ripetizioni ai tuoi figli, l'insegnante di piano di tuo nipote, il costumista della compagnia di teatro che andrai a vedere stasera, il veterinario che cura il tuo gatto. Il sindaco da cui sei andato a cena. Il costruttore della casa in cui vivi, lo scrittore che leggi prima di dormire, la giornalista che ascolterai al telegiornale. 
Ma se, pensandoci bene, ritieni che nessuna di queste persone possa tirare cocaina, o sei incapace di vedere o stai mentendo. Oppure, semplicemente, la persona che ne fa uso sei tu.

dici a me?
sti c....
ovvero il primo capitolo di Zero Zero Zero, di Roberto Saviano.
giusto per orientarsi.

venerdì 24 luglio 2020

somigliavano un par di guanti piegati l’uno nell’altro e accuratamente stretti insieme

La porta del salottino da pranzo era semiaperta. Egli tossì; ella alzò gli occhi e sorrise. L’esitazione non era punto punto nel carattere del signor Jingle. Egli si pose l’indice sulle labbra in atto misterioso, si avanzò e chiuse la porta.
 — Signorina Wardle, — disse poi con affettata sollecitudine, — scusate l’indiscretezza — conoscenza fresca — non c’è tempo da far cerimonie — tutto è scoperto.

— Signore! — esclamò la zia ragazza, sorpresa dall’inattesa apparizione e un po’ dubbiosa della sanità di mente del signor Jingle.

— Sì! — fece questi con un sottovoce da palcoscenico. — Ragazzo grasso — faccia paffuta — occhiacci — canaglia!

E qui scosse il capo con espressione e la zia ragazza tremò a verga a verga.

— Volete alludere a Joe, signore? — domandò la zia, sforzandosi di parer tranquilla.

— Signora sì — maledetto quel Joe! — cane traditore — detto tutto alla vecchia — la vecchia furiosa — selvaggia — esasperata — Padiglione — Tupman che baciava e brancicava — e via discorrendo — eh, signora, eh?

— Signor Jingle, — disse la zia ragazza, — se siete venuto per insultarmi...

— Niente affatto — v’ingannate, — rispose l’imperturbabile Jingle. — Udito il racconto — son venuto ad avvertirvi del pericolo — pronto a servirvi — scandalo pericoloso. — Non monta — lo credete un insulto? — sta bene — vi lascio.

E volse le spalle, come per menare ad effetto la minaccia.
ù
— Che debbo fare? — esclamò la povera Rachele scoppiando in lagrime. — Mio fratello monterà su tutte le furie!

— Naturalmente, — disse il signor Jingle fermandosi; — sarà terribile.

— Oh, signor Jingle, che debbo fare, che debbo dire? — riprese la zia ragazza in un novello impeto di disperazione.

— Dite che ha sognato, — rispose freddamente il signor Jingle.

Un raggio di conforto rischiarò a questa idea l’anima della desolata Rachele. Il signor Jingle se n’accorse e si valse subito del suo vantaggio.

— Via, via! — niente di più facile — scioccheria del ragazzo — bella donna — ragazzo grasso frustato — voi creduta — l’affare bell’e finito — tutto d’incanto.

Sia che la probabilità di sfuggire alle conseguenze della malaugurata scoperta recasse un gran sollievo all’animo della zia zitella, sia che il sentirsi chiamata "bella donna" temperasse l’acerbità del suo dolore, certo è ch’ella arrossì leggermente e volse al signor Jingle un’occhiata piena di gratitudine.

L’insinuante uomo trasse un profondo respiro, fissò gli occhi per un paio di minuti in viso della sua interlocutrice, e poi li ritrasse di botto trasalendo melodrammaticamente.

— Voi mi sembrate infelice, signor Jingle, — disse con voce dolente la signora. — Permettete che ve ne domandi il motivo, se mai potessi anch’io esservi utile e mostrarvi così la mia gratitudine?

— Ah! — esclamò trasalendo per la seconda volta il signor Jingle. — Essermi utile! essere io meno infelice, quando il vostro amore è largito ad un uomo che è insensibile a tanta fortuna — che anche adesso fa i suoi biechi disegni sulle affezioni della nipote della stessa creatura che... Ma no; egli è mio amico; non voglio mettere a nudo i suoi vizi. Signorina Wardle — addio!

Conchiudendo questo discorso, il più filato ch’egli avesse mai fatto, il signor Jingle si portò agli occhi il resto del fazzoletto testè accennato e si volse verso la porta.

— Fermatevi, signor Jingle! — esclamò Rachele. — Voi avete fatto un’allusione al signor Tupman. Spiegatevi.

— Giammai! — rispose Jingle con un gesto da primo attore. — Giammai! — e per dimostrar subito che non avea voglia di essere più oltre interrogato, trasse una seggiola presso a quella della zia ragazza e si pose a sedere.

— Signor Jingle, ve ne prego, ve ne scongiuro, se c’è qualche terribile mistero riguardante il signor Tupman, parlate.

— Posso io vedere — (e il signor Jingle fissò gli occhi in quelli di Rachele) — posso io soffrire un’amabile creatura — trascinata al sacrificio — sordida cupidigia!

Parve che per qualche momento sostenesse una fiera lotta con vari sentimenti, e poi disse con voce bassa e cupa:

— Tupman non ha altra mira che il vostro danaro.

— Sciagurato! — esclamò Rachele con una energica indignazione. (I dubbi del signor Jingle erano risoluti. Ella ne aveva).

— Peggio ancora, — aggiunse Jingle, — egli ne ama un’altra.

— Un’altra! e chi mai?

— La piccina — occhi neri — nipote Emilia.

Vi fu una pausa.

Ora se c’era donna al mondo per la quale la zia nutrisse una gelosia mortale e radicata, l’era appunto quella nipote. Le salì tutto il sangue alla faccia ed al collo. Scosse poi il capo in silenzio con aria d’ineffabile disprezzo. Finalmente, mordendosi le labbra sottili e raddrizzandosi sulla persona:

— Non è possibile, — disse. — Non ci credo.

— Osservateli, — disse Jingle.

— Così farò.

— Osservate le sue occhiate.

— Sicuro.

— Le parole susurrate.

— Sta bene.

— A tavola si metterà a sedere accanto a lei.

— Si accomodi.

— Farà il galante.

— Faccia pure.

— E vi pianterà.

— Piantarmi! — esclamò la zia ragazza. — Lui piantar me, lui! — e tremò tutta dal dispetto e dalla rabbia.

— Sarete convinta? — domandò Jingle.

— Vi mostrerete forte?

— Sì.

— Non lo guarderete più in faccia?

— Mai.

— Sceglierete un altro?

— Sì.

— Ebbene, eccolo.

Il signor Jingle cadde in ginocchio, rimase per cinque minuti in quell’umile posizione, e si levò finalmente amante accettato della zia ragazza, a condizione che lo spergiuro di Tupman fosse chiaro e manifesto.

La prova pesava tutta sulle spalle del signor Alfredo Jingle; e quello stesso giorno a desinare egli la fornì evidentissima. La zia ragazza poteva appena credere agli occhi propri. Il signor Tracy Tupman, seduto accanto ad Emilia, non faceva che occhieggiare, bisbigliare, sorridere, quasi per far dispetto al signor Snodgrass. Non una parola, non un’occhiata alla sua bella della sera innanzi.

— Maledetto ragazzaccio! — diceva da sè a sè il vecchio Wardle, al quale tutta la storia era stata riferita dalla madre. — Maledetto ragazzaccio non c’è caso, deve aver sognato.

— Traditore! — pensava con rabbia la zia ragazza. — Non m’ha ingannata quel caro signor Jingle. Oh, come l’odio quell’infame!

Dalla conversazione che segue potrà capire l’amico lettore il mistero di questo mutamento di condotta da parte del signor Tupman.

La scena era in giardino e di sera. Due ombre passeggiavano in un viale; una piuttosto corta e larga; l’altra alta e sottile. Erano il signor Tupman e il signor Jingle. La prima delle due ombre cominciò il dialogo.

— Vi pare che mi sia ben condotto, eh? — domandò.

— Splendido — magnifico — non avrei fatto di meglio io stesso — domani, da capo — tutte le sere fino a nuov’ordine.

— Anche Rachele lo desidera?

— Naturalmente — non ci trova gusto — necessità virtù — distogliere i sospetti — paura del fratello — dice che non c’è che fare — pochi altri giorni — lucciole per lanterne — vi farà felice.

— Nessuna imbasciata?

— Amore — il più caldo amore — saluti affettuosi — affetto inalterabile. Posso dire qualche cosa da parte vostra?

— Caro amico mio, — rispose il confidente Tupman, stringendo con effusione la mano del suo amico, — ditele quanto io l’amo; ditele quanto mi costa il simulare; ditele ogni cosa cara e gentile: ma aggiungete pure che io mi penetro perfettamente della dura necessità del consiglio datomi da lei per bocca vostra. Ditele che applaudo alla sua prudenza ed ammiro la sua discrezione.

— Non dubitate. C’è altro?

— No, nient’altro; aggiungete solo ch’io anelo con tutto l’ardore dell’anima il tempo in cui potrò chiamarla mia, e in cui ogni dissimulazione sarà divenuta inutile.

— Certo, certo. C’è altro?

— Oh, amico mio! — esclamò il signor Tupman, afferrando di nuovo la mano del suo compagno, abbiatevi la mia più viva gratitudine per la vostra disinteressata affezione; e perdonatemi se vi ho fatto, anche col solo pensiero, l’ingiustizia di sospettarvi capace di attraversarmi la via. Caro amico mio, come potrò mai ricompensarvi?

— Non ne parlate, — rispose il signor Jingle. Poi si arrestò di botto, come risovvenendosi di qualche cosa ed aggiunse: — A proposito, non avreste una diecina di ghinee spicciole, eh? — affare urgente, particolare — ve le rendo fra tre giorni.

— Credo potervi servire, — rispose il signor Tupman nella pienezza del suo cuore. — Avete detto tre giorni?

— Solo tre giorni — tutto aggiustato allora — nessun’altra difficoltà.

Il signor Tupman contò il danaro nella mano del suo compagno, e questi se lo fece cadere pezzo per pezzo in saccoccia, mentre se ne tornavano verso la casa.

— Mi raccomando, — disse il signor Jingle, — nemmeno un’occhiata.

— Nemmeno mezza, — disse il signor Tupman.

— Nemmeno una parola.

— Nemmeno una sillaba.

— Tutte le vostre attenzioni alla nipote — piuttosto scortese che altro con la zia — solo mezzo di darla ad intendere ai vecchi.

— Ci starò attento, — disse il signor Tupman ad alta voce.

— Ed io pure, — disse internamente il signor Jingle.

Ed entrarono in casa.

Quella prima scena fu ripetuta la sera, e così per tre giorni di fila, a desinare ed a cena. Al quarto, il signor Wardle era di ottimo umore perchè sicurissimo che non c’era fondamento di sorta all’accusa contro il signor Tupman. E non meno allegro era il signor Tupman, perchè il signor Jingle gli avea detto che l’affar suo sarebbe subito arrivato ad una crisi. E non meno il signor Pickwick, perchè di rado gli accadeva di essere altrimenti. E molto meno allegro era il signor Snodgrass, perchè lo avea preso una fiera gelosia pel suo amico Tupman. Ed era allegrissima la vecchia signora, perchè guadagnava al whist. Ed allegrissimi erano il signor Jingle e la signorina Wardle per ragioni assai importanti a questa storia avventurosa per essere narrate a parte in un altro capitolo.


dialoghi?
ìmmediatezza?
freschezza?
realismo?
umorismo?
ebbene si, Charles Dickens.
l'altro universo della letteratura inglese.
può sembrare strano, o no, preferisco la Woolf, sebbene riconosca la grandezza di questa prosa, che sto leggendo ora.

bagni misteriosi

certo, la sera prima, al Castello, mi sono presa una gran pioggia.
peccato, non era male il concerto organizzato da Suoni Mobili (che l'anno scorso mi ha regalato alcune chicche davvero preziose), intitolato A love Supreme, con la partecipazione del trombettista Giovanni Falzone. "un percorso nella spiritualità della musica da J.S.Bach a J. Coltrane, tra luce e silenzio, spirituals e fughe, corali e jazz", così recitava la presentazione. io avrei resistito ancora, sono loro, i musicisti ad aver mollato.
certo, oggi piove chediolamanda, oltre un'ora di tangenziale per raggiungere l'agognata meta dell'appagante lavoro.
ma ieri sera, l'abbiamo sfangata.
non posso dire, non posso proprio, che la qualità del balletto mi abbia appagata.
no.
Egribiancodanza (??)

“Feroce Partita” reloaded
ideazione e coreografia Raphael Bianco
light design e stage concept Enzo Galia
musiche John Cage, J.S.Bach e e Percussioni tradizionali giapponesi
con 10 danzatori

(Quartetto) per la fine del tempo
ideazione e coreografia Raphael Bianco
light design e stage concept Enzo Galia
musiche Ezio Bosso, Olivier Messiaen
con 4 danzatori

diciamo: meglio il secondo balletto del primo, francamente povero di idee stilistiche. e diciamo: godibile la prima metà del secondo, nemmeno tutto.
però
però però
la cornice del Franco Parenti nei suoi bagni misteriosi...vale il viaggio e il biglietto, nonostante tutto.
profumi di macchia mediterranea, di caldo e di bagni solari, nel tepore del tramonto.







giovedì 23 luglio 2020

Orlando

«Ed ecco l’ultima bestemmia concessami” pensò. 
“In Inghilterra non mi sarà certo permesso; né potrò mai più romper la testa a un uomo, né dirgli che mente per la gola, né estrarre la mia spada e passarlo da parte a parte; non potrò più sedere tra il consesso dei Pari, né portare una corona, né andare in processione, né condannare un uomo a morte, né comandare un esercito, né caracollare sul mio palafreno in Whitehall, né portare settantadue medaglie sul petto. 
Tutto quello che mi sarà permesso, dopo che sarò sbarcata in Inghilterra, sarà di servire il tè e di chiedere ai signori ospiti come lo preferiscono. Lo volete zuccherato? Un po’ di crema?” E mentre parodiava se stessa, fu colpita da orrore, avvedendosi della bassa opinione che si andava formando dell’altro sesso, quel sesso forte al quale un giorno era stato suo orgoglio appartenere. 
“Cadere da un pennone” pensava “per aver visto una caviglia di donna; vestire come un burattino, pavoneggiarsi per strada per farsi ammirare dalle donne; rifiutar loro il diritto di essere colte, per timore di incorrere nel loro ridicolo; rendersi schiavo della più fragile civettina in gonnelle, e pure andare attorno con l’aria di essere il re della creazione: Cielo! Che zimbelli fanno di noi, e che sciocche siamo mai!” E qui, dall’ambiguità di alcune sue parole, si sarebbe potuto comprendere come ella censurasse entrambi i sessi, quasi non appartenesse né all’uno né all’altro; e, in quei momenti, ella pareva titubare; era un uomo; era una donna; conosceva i segreti, divideva le debolezze di entrambi. Era uno stato d’animo stupefacente, e che le dava le vertigini. Persino il conforto dell’ignoranza le pareva negato. Si sentiva come una piuma in preda a un turbine. Non farà dunque meraviglia se, confrontando l’un sesso all’altro, e trovandoli, ciascuno a turno, dotati delle più deplorevoli debolezze – pur non essendo sicura di appartenere né all’uno né all’altro – non farà dunque meraviglia, dicevamo, se quando l’àncora cadde con gran scroscio in mare ella fu sul punto di mettersi a gridare che voleva tornare in Turchia e ridiventar zingara.

«Sia ringraziato Iddio per avermi fatta donna!» esclamò; e stava per commettere quell’estrema follia – la peggiore in cui possano cadere tanto l’uomo quanto la donna – di sentirsi orgogliosa del proprio sesso, quando il suo pensiero si arrestò su quella singolare parola che, per quanti siano gli sforzi finora da noi fatti per impedirglielo, è riuscita a scappar fuori in coda all’ultima frase: amore. «Amore» aveva detto Orlando. 
E in quell’istante – tale è il suo impeto – l’amore prese forma umana; ché tale è il suo orgoglio. Perché, laddove gli altri pensieri si contentano di rimanere astratti, nulla potrà soddisfare quest’ultimo, finché non riesce a rivestirsi di carne e ossa, a indossar scialli e gonnelle, stivali e giustacuore. E siccome tutti gli oggetti dell’amore, per Orlando, erano stati donne, ora, per colpa della colpevole riluttanza della natura umana ad acconciarsi a nuove convenzioni, era ancora una donna che ella amava; e se poi la coscienza dell’esser del medesimo sesso sortì su di lei effetto alcuno, questo fu certo di avvivare e approfondire quei sentimenti che già aveva provato in veste d’uomo. Perché tutti i dubbi, tutti i misteri, una volta oscuri, ora si rischiaravano nella sua mente. Ora l’oscurità che divide i sessi, e permette a innumerevoli impurità di vivere nella penombra, si era dissipata; e se c’è qualcosa di vero in ciò che ha detto il poeta sulla verità e sulla bellezza, quell’affetto guadagnò in bellezza ciò che aveva perso in falsità. 
Finalmente, esclamò Orlando, conosceva Saša quale era realmente, e per la gioia della scoperta, e intenta com’era alla ricerca di tutti i tesori che ora le si rivelavano, era rapita ed estasiata a tal segno, che una voce virile parve al suo orecchio la voce d’un cannone, quando disse: «Permettetemi, Madama...». E una mano d’uomo l’aiutava a sollevarsi; e le dita d’un uomo, con un tre alberi veleggiante tatuato sul medio, indicavano all’orizzonte.

capisco che sto leggendo un bellissimo libro.
capisco anche che sia una lettura difficile, un flusso perdurante di percezioni e istanti, si vive in minuti, non in ore nè in giorni, senza un solo dialogo, mai, un'immersione nel pensiero.
si tratta abolire il superfluo e pleonastico, i dialoghi!, per arrivare al cuore, al nucleo delle cose.
la realtà non è fuori ma frugata dentro di sé.
"Mi è venuto in mente ciò che voglio fare, è di saturare ogni atomo. Eliminare, cioè, ogni spreco, tutto ciò che è inerte, superfluo. Rappresentare il momento nella sua interezza, con tutto ciò che comprende. Diciamo che il momento si compone di pensiero, di sensazioni; la voce del mare. Lo spreco, l'inerzia nascono dall'inclusione di cose che non appartengono al momento. 
(Virginia Woolf, agosto 1928)

ed ecco Orlando.

venerdì 17 luglio 2020

natura barocca

per concludere il ciclo artistico collocato nella concezione barocca, ieri sera mi sono regalata l'ascolto de Le quattro stagioni di Vivaldi.
orchestra giovanile del Conservatorio, e questo è già parte della gioia, ascoltare giovani interpreti e guardare suonare giovani riccioluti al violoncello e giovani solisti al violino è già motivo di forte commozione per me, orchestra giovanile che riaccende la speranza della vita che continua, suona, mirabilmente, questo monumento della musica italiana.
chissà, forse la filarmonica della Scala, che ho ascoltato a fine giugno nei chiostri di Milano e che ha suonato, tra gli altri, il concerto in tre movimenti dell'Estate ne il chiostro di Via Cappuccio, chissà, forse, ha anche suonato meglio, ma ieri sera è stata comunque un'interpretazione mirabile.
l'ultima solista de L'Inverno, in particolare, mi è sembrata molto dotata.
questo il sonetto da cui origina la musica ( vale per tutti e 4 i concerti, tutti hanno un sonetto allegato):
Concerto n.4 in fa minore “L’inverno”
Allegro non molto
Aggiacciato tremar trà nevi algenti
Al Severo Spirar d' orrido Vento,
Correr battendo i piedi ogni momento
E pel Soverchio gel batter i denti
Largo
Passar al foco i di quieti e contenti
Mentre la pioggia fuor bagna ben cento
Caminar Sopra il giaccio, e à passo lento
Per timor di cader gersene intenti
Allegro
Gir forte Sdruzziolar, cader à terra
Di nuove ir Sopra 'l giaccio e correr forte
Sin ch' il giaccio si rompe, e si disserra
Sentir uscir dalle ferrate porte
Sirocco Borea, e tutti i Venti in guerra
Quest' é 'l verno, mà tal, che gioia apporte.

i giovani talenti avevano in dotazione, per l'evento speciale, gli strumenti antichi di proprietà del conservatorio, violini del 700 e viole e violoncelli d'epoca.
la natura fatta musica, nel solco della tradizione barocca, viene messa in scena, teatralizzata e venerata: uccelli, ruscelli, cani, venti, tempesta, pioggia, tuoni, fulmini, ghiaccio, caldo afoso e fuoco che riscalda, mi sono passati davanti agli occhi, li ho sentiti nelle orecchie, li ho visualizzati nel cervello.
piano e fortissimo, stupore e meraviglia, virtuosismo esecutivo.
violini.
ci siamo, è il barocco musicale, è il barocco.
è stato bello, molto bello. 

giovedì 16 luglio 2020

gioielleria barocca


Scicli, patrimonio dell'Umanità.
di più.
dell'Universo.
l'onda barocca mi segue.
"l’isola tutta è una mischia di lutto e di luce"













«Vi è una Sicilia "babba", cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia "sperta", cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell'angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio… Tante Sicilie, perché? Perché la Sicilia ha avuto la sorte ritrovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione. Soffre, la Sicilia, di un eccesso d'identità, né so se sia un bene o sia un male [...]». (Gesualdo Bufalino, "Cere perse"- l'isola plurale, 1982 e il 1985)

senza sosta amiamo, ridiamo, cantiamo, Abbiamo solo vent'anni!

una bella serata di rientro a Milano, non potevo augurarmi modo migliore per superare la nostalgia del paradiso, della cosa perduta, e riallacciarmi alla mia città.
La Scala.
meravigliosa, poche persone, visuale perfetta, ascolto le voci "nuove" del bel canto lirico.
è un'occasione, un'opportunità per dire che io ci sono a rivitalizzare le risorse della città.
alcuni momenti di canto mi fanno sobbalzare, trasalire, altre arie sono strazianti di dolcezza.
come quella tratta dall'incompiuto Sinspiel mozartiano Zaide (1780) che narra l'amore contrastato tra Zaide, la favorita del sultano, e lo schiavo Gomatz. nell'aria Zaide rimira l'amato, profondamente addormentato, gli lascia accanto alcuni gioielli e il proprio ritratto. la melodia è sognante e intensa, sospirata e molto toccante. chi l'ha cantata, Caterina Maria Sala, mi è sembrata eccelsa.

ZAIDE
Ruhe sanft, mein holdes Leben,
Schlafe, bis dein Glück erwacht;
Da, mein Bild will ich dir geben,
Schau, wie freundlich es dir lacht:
Ihr süßen Träume, wiegt ihn ein,
Und lasset seinem Wunsch am Ende
Die wollustreichen Gegenstände
Zu reifer Wirklichkeit gedeihn.

ZAIDE
Riposa sereno, vita mia,
riposa, fin che si desterà la tua fortuna;
ecco ti voglio dare il mio ritratto,
guarda con quanto affetto ti sorride.
Voi, dolci sogni, cullatelo
e il suo desiderio assecondate,
affinchè l'oggetto dei suoi sogn.
diventi infine realtà.

da Mozart, canta Caterina Maria Sala.

altri pezzi sono stati deliziosi, inutile dire bene del farfallone amoroso dalle Nozze di Figaro mozartiane, o della Manon di Massenet, o, davvero squisita, dell'aria pucciniana, Si, mi chiamo Mimì, dalla Bohéme.


Obbediamo quando la loro voce chiama
Ai dolci amori,
Sempre, sempre...
Fintanto che siete bella,
Consumate senza contarli i vostri giorni!
Approfittiamo della gioventù,
Dei giorni che porta la primavera;
Senza sosta amiamo, ridiamo, cantiamo,
Abbiamo solo vent'anni!

Massenet, Manon

lunedì 13 luglio 2020

Palazzolo Acreide

















Sicilia, terremoto del 1693
il terremoto più forte mai registrato nell'intero territorio italiano
la Val di Noto rasa al suolo
le cittadelle medievali non esistono più
ricostruzione
il Barocco segna la regia delle architetture e delle scenografie della nuova Sicilia
grazie a dio giunte fino a noi
per il piacere dei miei occhi
Palazzolo Acreide,
la cui esistenza viene testimoniata da Tucidide nella Guerra del Peloponneso,
 sorge meravigliosa e mi delizia
tra scalinate, palazzi, terrazzi, scorci
e la cucina del ristorante da Andrea,
una cena che non si scorda, cicciuzzi miei
tra matarocco e friscina
pomodori secchi e caponata
cavati alla norma e gnocchi tenerume e salsiccia secca
crema cotta alla carruba e dolce all'arancia e pomelo
Santa Rosalia, San Paolo, proteggetemi, sempre

Isola delle correnti











un incontro fortunato, tra lo ionio e il mediterraneo.
le correnti sono toste, ma io di più.
che dire di questa luce?

domenica 12 luglio 2020

la spiaggia dell'Isola delle Correnti

tra le fortune che ho avuto nella mia settimana di felicità in Sicilia, c'è stata quella di capitare in questa spiaggia, davanti all'isola delle Correnti.
me l'hanno consigliata così, senza impegno, come scelta minore, dopo avermene consigliate ben altre, realmente minori rispetto a questa.

il luogo ha quell'insieme di elementi che trasformano ai miei occhi una spiaggia,
questa è la spiaggia.
questo è il mare, anzi due, trattandosi del baciato incontro tra lo ionio e il canale di Sicilia.



poca gente
sabbia bianca
mare infinito
isola delle correnti
molte correnti
sole potente
vento
spazio
libri