bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 28 marzo 2019

ricordi?

ma che bel film.
fermo restando che gli italiani filmano solo film intimisti, in cui non sembrano esistere altro che le relazioni personali, marito moglie figli amici sorelle fratelli, da soli o in gruppi, film di più ampio respiro sociale o gobale sono impensabili alle nostri latitudini, questo film, intimissimo, è un film toccante struggente visivo e palpabile.
uno splendido Luca Marinelli, un corpo imponente, due occhi enormi, un silenzio enigmatico, che, insieme ad Alessandro Borghi, rappresenta il presente e futuro attoriale cinematografico de no'altri, riluce in tutta la sua impagabile e attraente tristezza. una tristezza carica di vita, però, una tristezza che riempie di sguardi, molti sguardi e che riserva meravigliose sorprese. 
il film parla attraverso i ricordi, ci dice che il presente è la continua allucinazione del passato, che ogni gesto è fatto della nostra storia, il concentrato e residuato di cose già vissute, la stratificazione di emozioni e parole già dette, che ogni visione ne richiama un'altra, ogni angolo un altro spazio.
non era facile narrare così, ma il regista, Valerio Mieli (già regista di Dieci Inverni, non male), ci riesce. i continui scarti, andamenti e ritorni, presenti e passati, ci regalano un'immagine compatta della storia di lei e lui, ovvero di tutti noi, seppure con una frammentazione continua del racconto.

questa storia appartiene a tutti, eppure questa è singolarissima. vale nella vita: le storie possono sembrare tutte uguali eppure sono per ognuno diverse. perchè il deposito inconscio che ci determina è unico e irripetibile. il ricordo fluttua, entra nella bocca ed esce dagli occhi, cambia nel tempo, viene piegato dal sentimento, e dal risentimento, entra nlla voce e nel ricordo dell'altro, cambia la vita e le persone che, attraverso i ricordi, si parlano, o credono di parlarsi.
i nostri amanti sono persi in un eterno presente e quindi nel continuo inganno che il passato ci impone. quando sapranno che il loro incontro era unico e non era fatto solo degli attimi vissuti, eterne ripetizioni di gesti già depositati, capiranno che la loro vita si costruirà sul futuro, sullo stupore che ancora dovrà venire, sulla scommessa del non ancora detto, sulla forza del progetto.
alla fine se lo dicono, ci vuole del futuro, basta con tutto quel presente.

sharp objects

adesso lo dico, magari è stupido ma lo dico.
le sigle delle serie televisive.
sono tutte uguali, belle eh, molto belle, molto sofisticate, da True Detectve a Harry Quebert (serie di una banalità sconcertante, spero migliori, ma mi domando: il libro, successo planetario, è così?: "in amore l'età non conta"?? e via dicendo).
ma la migliore, davvero indimenticabile seppure sempre in quello stile seppiato, sfumato, sovrapposto, è la sigla di Sharp Objects: grandi ventilatori industriali, rami gocciolanti di sangue, la nostra eroina Amy Adams al volante, creature inquietanti della natura, oggetti taglienti e, indimenticabili, le ragazze che pattinano in controluce.

https://video.sky.it/skyatlantic/speciali/il-trono-di-spade-san-valentino/v487580.vid

martedì 26 marzo 2019

MCMXXXIV

la mostra, denominata MCMXXXIV, dall’8 marzo al 18 maggio 2019, prende il nome dall’anno in cui ebbe inizio la costruzione di Casa Corbellini-Wassermann, il 1934.
 
pensata per far dialogare coppie di artisti di generazioni con opere che richiamano direttamente le influenze estetiche degli anni Trenta, la collettiva curata da Francesco Bonami ospitata dalla galleria ha inaugurato il nuovo spazio presso Casa Corbellini-Wassermann in Viale Lombardia 17. ci sono le opere di Fausto Melotti e Antonietta Raphaël, Pietro Roccasalva e Andra Ursuta, Adolfo Wildt, Felix Gonzalez-Torres e Rudolf Stingel.

ci sono opere che in "casa" ci stanno una meraviglia, altre che dialogano meno con il contensto magnificente alto borghese della splendida casa disegnata da Portaluppi.
io qui mi ci trovo un gran bene, il restauro mi ha fatto davvero molto piacere, grazie ragazzi, sarò una borghese vecchio stampo (davvero?), ma questi saloni mi vanno a genio.


domenica 24 marzo 2019

Annunciata


vorrei che fosse chiaro.
si tratta di amore.
il mio è amore.
non c'è altra definizione possibile.


la posizione della mano destra


lo sguardo volto "altrove"

sono innamorata.

per cominciare


Candido Baldacchino


Claudio Montecucco


Vincent Descotils


SONAC


Massimo Pelagagge


Xavier Blondeau

ma, sopra tutti

Sofia Uslenghi
mi ricorda Klimt.

al Mia Photo Fair 2019

venerdì 22 marzo 2019

appassionato dell’attesa

Tretatre
di Giorgio Manganelli

Col tempo, è diventato un appassionato dell’attesa. Egli ama aspettare. Puntualissimo, detesta i puntuali, che lo privano, con la loro maniacale esattezza, del piacere incredibile di quello spazio vuoto, in cui non accade nulla di umano, di prevedibile, di attuale, in cui tutto ha l’odore esilarante e indefinibile del futuro. Se l’appuntamento è ad un angolo di strada, gli piace fingere una favola di possibili equivoci: e passa da un angolo al prossimo, ritorna, si guarda attorno, scruta, attraversa la strada; l’attesa diventa avventurosa, irrequieta, infantile. Vi fu un tempo in cui un ritardo di dieci minuti gli dava un’ira sorda, come se fosse stato insultato. Ora vorrebbe ritardi di quindici, venti minuti. Ma deve essere un vero ritardo; pertanto, non serve arrivare in anticipo. Talora l’attesa è immobile; trova un qualche oggetto su cui sedersi, e lì si appoggia e ciondola una gamba, pienamente; si guarda la punta della scarpa, cosa che non potrebbe fare in nessun altro momento della giornata. Prolungandosi il ritardo, cambia gamba, e si studia un ginocchio; poi si cava il cappello e ne guarda attentamente la fodera; compita nome e indirizzo del cappellaio; si ripone in capo il cappello, poi chiacchiera un poco con se stesso, come egli fosse a sé un estraneo appena incontrato: parla del tempo, della moda, perfino di politica, ma con cautela, perché non si sa mai come uno la pensa. Ama proporre appuntamenti in luoghi riparati, ad esempio portici, che gli consentono di camminare a lungo, di gustare qualsivoglia dilazione, con il lento piacere di un padrone che attende gli ospiti, nel mezzo di un giardino. Di fatti, durante le attese, egli diventa il proprietario dell’angolo; lì si colloca da ospite, ed il ritardo è il naturale dono che un proprietario generoso concede agli stranieri che vengono da lontano – mentre lui è, sempre, a casa. Se il tempo si rabbuffa di nuvole e vento, suggerisce appuntamenti nei pressi di chiese. Ove sopraggiunge la pioggia, gli piace enormemente riparare nella chiesa, quasi sempre buia e semivuota, ed ivi esercitare la clandestina pietà dell’attesa. Conta le candele, saluta d’un cenno del capo Sant’Antonio con l’orfano in camiciola, e guarda fisso, dalla parte dell’altare, rilassato il corpo, senza impazienza, con una segreta speranza, in quella allusione d’attesa che è il capolavoro della sua esistenza.

Giorgio Manganelli (1922-1990), Tretatre, da CENTURIA, 1979

legge Giole Dix 
suona Ramin Bahrami 

uno spettacolo delizioso, parole e musica e ironia.

giovedì 21 marzo 2019

hanno cominciato a invidiare, presto odieranno, la disinvolta, evasiva perfezione del nulla.

Cinquantuno 
di Giorgio Manganelli 

La persona che abita lì, al terzo piano, non esiste. Non intendo dire che l’appartamento è sfitto, o inabitato: intendo dire che la persona che lo abita è inesistente. La situazione per un certo verso è semplice: una persona che non esiste non ha problemi sociali, non deve affrontare la minuta fatica della conversazione con i coinquilini. Se non saluta nessuno, è anche vero che non offende nessuno, e non ha questioni di sorta con alcuno. Ad esempio, nell’appartamento ora abitato dalla persona che non esiste, abitava prima un uomo di imprecisa professione, ma sgradevolmente noto per la sua tendenza a molestare indistintamente tutte le donne che a qualsiasi titolo accostava. Quel che era imbarazzante era proprio il fatto che non si trattava di un vizioso, per sistemare il quale sarebbe bastata una buona lezione: ma di un uomo che si innamorava con innaturale frequenza, aveva sempre intenzioni serie, e desiderava accasarsi, apparentemente con chiunque, anche donne già accasate, anziane madri, canute nonne dalla facile ciarla. In ogni caso, il signore era imbarazzante; tanto che un giorno aveva lasciato il suo appartamento, né aveva più dato notizia di sé. Poiché, dopo qualche tempo, era subentrata la persona inesistente, qualcuno s’era chiesto se tra il signore innamorato e l’inesistente non ci fosse nessun rapporto; e qualcuno disse anzi che l’inesistente altri non era che l’amoroso, da morto; ma gli fecero osservare che un dopomorto, o un fantasma, non ha nulla a che fare con un inesistente. Si sa, da principio ci furono chiacchiere, interrogativi, curiosità: poi, l’estrema discrezione dell’inesistente fece sì che venisse praticamente ignorato; non cercava di sposarsi, non manifestava rissose idee politiche, non sporcava le scale. In certo senso era un inquilino ideale. E qui appunto è cominciato il disagio; un vago cruccio, che minaccia la serenità del caseggiato, dei suoi tranquilli, dignitosi abitanti. Costoro si sentono tutti un poco in colpa, giacché, inevitabilmente, producono rumori, chiacchierano, quando si incontrano, di cose irrilevanti e forse indiscrete, battono i tappeti, sporcano le scale. Essi avvertono nella impeccabile condotta dell’inesistente una continua reprimenda. “Ma chi crede di essere, solo perché non c’è”, mormorano; è chiaro, hanno cominciato a invidiare, presto odieranno, la disinvolta, evasiva perfezione del nulla.

Giorgio Manganelli (1922-1990), Cinquantuno, da CENTURIA, 1979

legge Giole Dix (bel ritmo)
suona Ramin Bahrami (Bach in sintonia)

qualcosa di Manganelli mi ricorda Calvino (che ha scritto la prefazione al libro)

una donna ha partorito una sfera

Settantacinque 
di Giorgio Manganelli . 

Una donna ha partorito una sfera; si tratta di un globo del diametro di venti centimetri; il parto è stato facile, senza complicazioni. Si ignora se la donna sia o meno sposata; un marito avrebbe supposto una relazione col demonio, e l’avrebbe cacciata o forse uccisa a martellate. Dunque non ha marito. Si dice che sia vergine. In ogni caso, è una buona madre: è molto affezionata alla sfera. Poiché la sfera non ha bocca, la madre la alimenta immergendola in una minuscola vasca colma del suo latte; la vaschetta è decorata di fiori. La sfera è del tutto liscia. Non ha occhi, né organi per muoversi, e tuttavia rotola per la stanza, sale le scale, rimbalzando leggermente, con molta grazia. È fatta di una materia più rigida della carne, ma non completamente anelastica. Nei suoi movimenti rivela una volontà decisa, qualcosa che si potrebbe chiamare chiarezza di idee. La madre la lava ogni giorno, la nutre. In realtà, non è mai sporca. Apparentemente, non dorme, sebbene non disturbi mai la madre: non emette alcun suono. Tuttavia la madre crede di sapere che, in certi momenti, la sfera è ansiosa di essere toccata dalla madre; le pare che in quei momenti la sua superficie sia più morbida. La gente evita la donna che ha partorito la sfera, ma la donna non se ne accorge. Tutto il giorno, tutta la notte, la sua vita ruota attorno alla perfezione patetica della sfera. Sa che quella sfera, per quanto prodigiosa, è estremamente giovane. Lentamente, la vede crescere. Dopo tre mesi, il suo diametro è cresciuto di quasi cinque centimetri; talora la superficie, di regola grigia, assume un lieve colorito rosato. La madre non insegna nulla alla sfera, ma cerca di imparare da lei: ne segue i movimenti, cerca di capire se ‘vuol dire’ qualcosa. La sua impressione è che la sfera non voglia dire nulla, e che tuttavia le appartenga. La madre sa che la sfera non resterà sempre nella sua casa; ma le interessa questo appunto, di essere stata coinvolta in una vicenda insieme sgomentevole e del tutto tranquilla. Quando le giornate sono calde e assolate, ella prende in braccio la sfera e cammina attorno alla casa; talora si spinge fino ad un giardino, ed ha l’impressione che la gente si stia abituando a lei, alla sua sfera. Le piace farla rotolare sulle aiuole, inseguirla e catturarla, con un gesto di spaventata passione. La madre ama la sfera, e si domanda se mai nessuna donna sia stata madre quanto lei. 

Giorgio Manganelli (1922-1990), Settantacinque, da CENTURIA, 1979

legge Giole Dix (mi piace sempre di più)
suona, le Variazioni Goldberg di Bach, Ramin Bahrami (Bach mi stravolge)

mercoledì 20 marzo 2019

nella vita, o si vive o si scrive

a suo tempo decisi che l’atto di scrivere è l’atto principale che ritengo di dover compiere 
Piera Oppezzo  

Amo il corpo

Amo il corpo
Che ancora dorme voltato su un fianco
Quando mi sveglio al mattino.

Quello che resta con me solo un’ora
Mi tormenta più a lungo.
Ma non ne parliamo più.

L’amore si è decomposto nei lacrimatoi
Mentre voleva un dolore violento.
Il muschio si è spuntato sul ricordo.

Troppe volte, inutilmente,
Lo sguardo
Si è purificato durante la notte
La vena sulla tempia
Ha rinnovato il suo sangue.

(da Una lucida disperazione)

ho trovato un altro poeta.
l'ho conosciuta al cinema, alla cineteca Oberdan, con un bel documentario su di lei.
Il mondo in una stanza. Piera Opezzo poeta 
la vita è un mistero.
così la vita di questa donna, Piera Oppezzo.
un mistero, composto e discreto ma strabordante di dolore.
ma non c'è come dirlo perchè il dolore prenda corpo. e le forme del corpo.
una parola chirurgica, un pensiero frammentato, a volte sfuggente.
ma mi ha insegnato questo:
"perfetto è agire secondo se stessi e nel vuoto"
si
nel vuoto.

lunedì 18 marzo 2019

surrogati. un amore ideale




la mostra all'Osservatorio Prada è nuda e cruda.
mostre le foto e non manifesta alcun tipo di opinione.
certo nessun giudizio nè pregiudizio, ma nemmeno nessuna riflessione.
surrogati in silicone sostituiscono mogli o figli, a seconda delle esigenze. nel primo caso il silicone è pronto anche all'uso sessuale ("intimità tra carne e silicone"). i bambini, reborn, vengono confezionati su precise richieste delle "madri", a volte è evidente che vengano ricreate somiglianze fisiche.
l'unica osservazione che ho letto accenna alla responsabilità verso questi figli di plastica, ponendo una domanda: cosa accade poi di questi oggetti? se dismessi vengono buttati? abbiamo responsabilità verso questi surrogati? ovvero (io credo) cosa ne facciamo di quella responsabilizzaione fittizia che è stata messa in campo verso questi "reborn"?
leggo: "il mondo in cui viviamo è dominato dai nuovi canoni di bellezza e dall'esigenza di eterna giovinezza. se a questi aggiungiamo gli avanzamenti in campo medico e tecnologico, unito alle tecniche sempre più sofisticate verso la creazione di donne sintetiche, i confini tra carne e silicone diventano sempre più labili".
francamente mi sembra un po' poco, qui la questione va oltre il godere di carne fresca e di mantene sé stessi sempre come fossimo carne fresca in una eternizzazione del momento, qui la questione mi sembra molto oltre. a me sembra che siamo nella teatralizzazione della psicosi, nella sua messa in scena. è etico?
forse sembra solo a me. 

Fondazione Prada presenta la mostra “Surrogati. Un amore ideale”, a cura di Melissa Harris, dal 21 febbraio al 22 luglio 2019 all’Osservatorio in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano.

lunedì 11 marzo 2019

CITTÀDIMILANO

Giorgio Andreotta Calò
CITTÀDIMILANO

suggestiva, molto suggestiva.
nello spazio Hangar Bicocca di Pirelli, una mostra del sotterraneo.
un po' da brivido, lo devo dire, un mondo archeologico sommerso che ci attraversa, noi inconsapevoli,  esposto nello spazio industriale e tecnologico dell'Hangar Pirelli.
viviamo sopra ma c'è un mondo sotto.
il sotto è  soprattutto veneziano, gli oggetti struttura e materiali organici vengono dai fondali veneziani, ma si inseriscono nella storia della città di Milano perchè cavi e infrastrutture nascono in Pirelli. per l’occasione Giorgio Andreotta Calò ha inoltre compiuto ricerche sulla storia della società Pirelli, concependo appositamente nuove opere, che portano alla luce narrazioni inedite del passato, come quella del relitto del piroscafo Città di Milano – da cui l’intera esposizione prende il titolo.
in questo intreccio noi siamo spettatori, ma anche gli agenti, non ne sappiamo nulla, mai ci pensiamo, eppure siamo noi che ci lavoriamo, siamo noi che depositiamo, siamo noi che allestiamo.
troviamo carotaggi del sottosuolo, clessidre, corrose e scolpite dall'acqua, meduse, pinnae nobilis bronzee, barche, cavi sottomarini, sculture osse che ricirdano crani di animali primordiali.
un po' da brivido, ma in uno spazio asettico come l'hangar, l'archeologia si fa industriale, protetta.