bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 25 giugno 2020

la Certosa


quella di Pavia.
ancora lungo le chiuse del Naviglio Pavese, fino alla Certosa.
in bici.
che posto.
che caldo.
siamo partiti spavaldi e tornati molto molto meno.
se ne riparla a settembre, l'estate ha detto si.
e io dico passo.
ma ho finito in bellezza.

La Molli

liberamente, molto liberamente tratto dall'Ulisse di Joyce.
Arianna Scommegna, che brava caspita che brava, fa la Molli, una molly bloom alla milanese.
ci prova a condire la sua vita di incontri maschili divertenti, e li condisce bene di particolari triviali e scottanti, di incontri e di scontri, ma, al fondo, resta una spiazzante amarezza.
non va mica bene, alla Molli.
sta mica bene.
povera tusa.
e lo dice tutto d'un fiato, senza pause, in un flusso di parole e di coscienza, si certo tra una frignatina e una risata, la molli.
il lungo monologo finale del lavoro di Joyce viene riadattato, confezionato su una realtà di quartiere nella bassa, su pianti e risa, su illusioni e delusioni, sulla Molli e il Poldi, in un bel lavoro, proprio riuscito sotto la regia di Vacis.
in una splendida serata al Castello di Milano, distanti due metri, una sedia si e due no, si riprende così il viaggio teatrale della rappresentazione della vita.

lunedì 22 giugno 2020

una situazione paradossale

la situazione era paradossale, davvero grottesca.
il dilagare del politically correct fa vittime illustri, ovunque.
siamo alla Triennale, lunedì scorso, per l'inaugurazione della stagione estiva, ci sono due concerti (poi, lo devo dire, modesti), mi sono iscritta e ho ricevuto dalla Triennale l'invito a partecipare anche all'incontro che prevede la presenza di Sala, Boeri, Franceschini e altri sulla nuova realtà artistica dell'era milanese e nazionale post-covid, diciamo così. 
diciamo intra-covid, è meglio.
si dicono cose, nulla di interessante.
all'entrata della Triennale c'è un gruppo di manifestanti, pacifici, sono gli operatori dello spettacolo, infuriati per la loro esclusione da tutto, hanno da dire la loro.
partecipano anche sul palco, vengono apertamente invitati a esprimersi, prendono il microfono in quattro, hanno rappresentato la parte più interessante dell'incontro forse perchè hanno da rivendicare con passione i loro diritti a fronte di contratti capestro che li vedono esclusi dalle moteplici forme di risarcimento elargiti (arrivati?) dal governo italiano.
tra le fila della platea, non sul palco, c'è Filippo Del Corno, mio amato, discreto ma presente, li ha ascoltati, ci sarà un incontro tra le parti in causa, promesso.
sul palco, per motivi a me non chiari, e più ha parlato e più mi è risultato poco chiaro, c'era tale Tommy Kuti, rapper di colore, rappresentate della seconda generazione di immigrati, con cittadinanza italiana, nato nel bresciano, laureato, mi è sembrato di capire, in scienze delle comunicazioni, con studi londinesi e un anno di permanenza in USA.
intanto parte con la rassegna del razzismo italiano, ne ha subite di ogni, in questo gli credo, sebbene sia convinta che il popolo italiano, certamente capace di razzismo, non abbia le coordinate della violenza presente in altri paesi.
a partire da questa premessa la platea ha subito in silenzio un paio di considerazioni del soggetto Tommy che avrebbero meritato qualche spunto di riflessione e che invece sono state deglutite in virtù del fatto che se mi dai del razzista e tu sei di colore se dirò qulacosa di contradditorio rispetto alle tue opinioni mi dirai che tra razzisti ci sono anche io.
invece il razzismo sta proprio nello zittirsi per questo motivo, personalmente penso che se dici cazzate, che tu sia biano o nero, te lo dico, proprio perchè non penso che il tuo colore ti dia ragione di dire cose francamente inascoltabili.
ma, sul palco, non la pensavano come me.
Tommy si dice basito perche in Italia non c'è "rappresentazione" dei neri tra le fila dei vari comparti dei lavoratori. sostiene, a ragione, che le minoranze debbano essere rappresentate e che debbano partecipare delle tavole rotonde per poter esporre, loro, e non altri, le questioni sociali e lavorative che li riguardano.
il primo dubbio mi sale quando, al posto di dire "rappresentanza", dice "rappresentazione". 
lo dico, mi sembra molto grave.
è laureato.
e chiede di poter parlatre a nome dei suoi pari.
e sembra non sapere alcune cose importanti.
in Italia il fenomeno dell'immigrazione è molto recente, nella storia del nostro paese prevale l'emigrazione, vastissima, verso altri lidi. l'arrivo di migranti, dalle coste dell'Albania poi da quelle del nord Africa, è un fenomeno agli albori, riguarda la nostra generazione ma in anni si tratta di pochi decenni. rispetto a paesi europei come la Gran Bretagna e la Francia che, da qualche centinaia di anni, accolgono persone provenienti dalle loro colonie ormai parte del tessuto sociale, siamo dei novellini. lì, certo, la rappresentanza è d'obbligo, basti pensare al sindaco di Londra, e il gioco è fatto. qui le rappresentanze di neri in gruppi sociali rilevanti sa ancora da fare. e sono certa che in qualche decennio, si farà.
ma se le persone che potrebberio accedere a tale ruolo confondono rappresentazione con rappresentaza, c'è ancora strada da fare. 
ma la parte davvero surreale arriva con la descrizione dell'esclusione di Tommy, soprattutto a scuola, sperimentata sulla sua pelle. non ho problemi a credergli, anche noi dobbiamo crescere nella direzione dell'integrazione, e parecchio.
quello che lascia basiti, ed era lunedì scorso nel pieno delle manifestazioni che stanno rivoltando l'america, è la descrizione, al contrario, di una totale accettazione, di una pronta integrazione, di un meraviglioso ascolto, e di una sensazione di rasserenamento e di prospettive per un futuro roseo quando è stato negli USA, non ricordo dove.
Tommy, dato per certo che ignora molte cose della storia italiana e USA, almeno legge i giornali?
parlare a un pubblico di integrazione negata in Italia e garantita oltreoceano mi è sembrato semplicemente ridicolo. se qui ha incontrato problemi, e lui meno di altri che lottano perchè venga loro riconosciuta la cittadinanza italiana, non saranno certo quelli di vedere violati i suoi diritti come avviene sistematicamente negli USA. mi è sembrato insultante, ignorante e francamente grottesco. ciò di cui può stare certo, vorrei rassicuralo, è che qui non gli capiterà di finire sotto l'anfibio di un poliziotto delirante di potere concessogli da tutta l'imperante cultura americana che spara e ammazza i neri come mosche per 20 dollari o perchè si accinge a prendere il portafoglio nell'abitacolo della sua auto. ciò di cui può stare certo è che questo paese, sebbene con tempi lunghi, e perchè la storia ha tempi lunghi, non gli sparerà alle spalle. ma se crede che gli USA in rivolta, e speriamo questa volta con esiti importanti, nonstante il COVID, con milioni di persone manifestanti, possa accoglierlo democraticamente e fargli al festa al suo arrivo, io dico, si accomodi.
nessuno sul palco ha avuto da dire sulle affermazioni imbarazzanti di Tommy, sebbene fosse palese che molti abbiamo pensato, dalla platea, che, quanto meno, nel suo discorso qualcosa non andava.
ma si sa, nessuno potrà darmi del razzista se gli do ragione, penserà che sono un bravo cristiano, che gli porto rispetto. perdendo il mio però.
la situazione era paradossale, davvero grottesca.

venerdì 19 giugno 2020

ritorno a TEATRO

sono tornata, si
ero al Piccolo, si
Teatro Grassi si
dentro, non nel chistro, si
minacciava pioggia si
si trattava di Massini e Jannacci, Paolo, si
Storie, il titolo del monologo, si
(solo monologhi, si, ovvio)
meglio Jannacci di Massini, si
le storie raccontate?
si, insomma
distanze rispettate?
si, insomma, tranne le signore
signore che si assembrano per dirsi cose, e nessuno dice loro di rispettare le distanze visto che siamo entrati seguendo percorsi rigidissimi ma poi si sbraca al primo pettegolezzo, e ripetono le stesse cose a tutte le persone che, assembrandosi, incontrano
ma ero a Teatro, la prima del Piccolo, la prima.
e io c'ero.
Felice?
si.

il Grand Tour di Piranesi

Giovanni Battista Piranesi è stato uno dei più importanti incisori del XVIII secolo, oltre che architetto e critico dell’architettura: fu «un incisore con l’anima d’architetto, un veneziano ossessionato dalle rovine di Roma». Piranesi è una figura centrale della cultura e dell’arte italiana ed europea dell’epoca: è considerato uno degli ultimi eredi del rococò; un esponente controcorrente del neoclassicismo che sosteneva la superiorità dell’architettura e scultura Romana su quella Greca; e ispiratore infine dell’immaginario Gotico e Romantico che si andavano formando. 

sono arrivata a Piranesi, che non conoscevo, ieri pomeriggio ascoltando la bellissima lezione di Giovanni Morale, coordinatore delle Gallerie d'Italia, storico dell'arte, persona raffinata che ho già avuto modo di ascoltare in diverse occasioni artistiche, presso il Circolo dei Lettori, virtualmente riunito per parlare del Grand Tour. le opere di Piranesi, che raffiguravano rovine classiche e architetture contemporanee, finirono nei salotti di mezza Europa, portate come souvenir dai giovani di ritorno dal Grand Tour, il viaggio di formazione compiuto dai rampolli della buona società dell’epoca.
il Grand Tour si teneva principalmente in Italia e l'Italia con le sue bellezze ha rappresentato per moltissimi anni, con una supremazia culturale indiscussa, il luogo di formazione culturale di moltissime generazioni di uomini, anche donne, della buona e colta società. 
erano, le sue litografie, come fotografie di rappresentanza, a memoria dei luoghi delle meraviglie visitate nel viaggio. anche le opere di Canaletto e Bellotto furono saccheggiate nel 700, motivo per cui la maggior parte di queste ultime si trovano in Inghilterra. erano cartoline, straordinarie, a testimonianza dei paesaggi scoperti. Firenze, Roma, Napoli e ovviamente Venezia, erano la città dove gli inglesi rimanevano estasiati, colpiti dalla sindrome di Stendhal, dal “decadente fascino italiano”. numerosi artisti, fra cui anche Piranesi, Canaletto e Bellotto, trassero enorme beneficio da questo flusso di visitatori stranieri. il “Tourista” era infatti pronto a spendere e commissionare ritratti e vedute che testimoniassero il loro soggiorno nelle città.

sono rimasta rapita dalla storia del Grand Tour, anche della partecipazione femminile che avviò, come fu per Mary Shelley, l'inizio di una forma di emancipazione dal potere di controllo patriarcale.
sono rimasta rapita da Piranesi. 

farò anche io il mio Grand Tour quest'estate, in Italia Centrale, spero di trovare ancora qualche Piranesi da acquistare..

giovedì 18 giugno 2020

le chiuse






bici bici
come Jovanotti
200 km al giorno
(...)
Naviglio Pavese
le chiuse
splendido
bici bici
non voglio cambiare pianeta

Da qui in poi, speranza.
La strada non c’è.
Perciò
la costruisco mentre procedo.
Ecco la strada.
Ecco la strada, e porta con sé, impeccabili,
innumerevoli domani.

mercoledì 17 giugno 2020

compiacenza

vorrei conoscere e parlare con i medici che redigono le decine, centinaia di certificati medici falsi e compiacenti alle decine, centinaia di insegnanti cialtroni e spregevoli che si rifiutano, peraltro ogni anno ma quest'anno siamo al top, di fare il loro dovere nelle commissioni di maturità.
medici eroi e medici vigliacchi?
ovviamente no.
è una questione di decenza, dice Camus nella Peste.
è una questione di fare il proprio lavoro oppure dimenticarsene.
ma la compiacenza colpevole mi fa veramente orrore, è un doppio scambio di disonestà umana e culturale.

venerdì 12 giugno 2020

tempi moderni

adesione al personaggio
immediata
totale
fanatica
io parteggio per lui
io sono lui
sfortunato e adorabile
sfortunato e sorridente
sfortunato e incredulo
sfortunato e felice
sfortunato e ironico
(ovvio che non sono come lui, ma mi piacerebbe)




in più lo trovo irresistibile,
la sua fisicità agile e snella è attraente.
in più il silenzio è poesia
il vuoto che sottrae alla parola di troppo crea spazio per l'ispirazione, la creazione artistica.

Tempi moderni
Charlie Chaplin

giovedì 11 giugno 2020

Jacqueline du Pré

sono partita da un balletto, "The Cellist", sul sito del Royal Ballet di Londra.
il balletto, più un musical che un balletto, racconta di una violoncellista, una violoncellista realmente esistita, e della sua turbolenta storia di vita.
leggo e scopro che si tratta di Jacqueline du Pré.
sposata con Daniel Barenboim.
costretta a smettere di suonare a 28 anni.
morta di sclerosi multipla a 42 anni.
un talento straordinario.
https://youtu.be/OH0jUQTCCQI
ho poi visto un video sul suo talento musicale, la sua bellezza cristallina, ho letto di una vita matrimoniale artisticamente a grandi livelli, si parlava di una copppia come Robert e Clara Schumann, ma presto in crisi, di tradimenti e abbandoni, di esecuzioni leggendarie, come La Trota, quintetto per pianoforte di Schubert, o il famoso concerto per violoncello di Elgar, la cui interpretazione viene spesso descritta come "leggendaria" e "definitiva".


















non si può certo dire a qualcuno che soffre per un amore finito e una crisi economica o un genitore distruttivo che c'è ben altra sofferenza nella vita, che il reale dell'esistenza, della natura e della malattia può stroncare senza pietà esistenze preziose animate dal desiderio e quindi dovremmo onorala la vita in salute che abbiamo, non si può.
però, l'ho pensato. quel desiderio così potente e brillante, così generoso e vibrante, meriterebbe l'eternità, e noi meschini nevrotici lamentosi dovremmo ricordarcene ogni tanto.

non possiamo contemporaneamente curare gli uomini e sapere

«E poi c'è qui Rambert».
Rieux si voltò. Al disopra della maschera i suoi occhi si strinsero scorgendo il giornalista.
«Lei cosa fa qui?» disse. «Lei dovrebbe essere altrove».
Tarrou disse ch'era per la sera a mezzanotte, e Rambert aggiunse: «In teoria». 
Ogni volta che qualcuno di loro parlava, la maschera di garza si gonfiava, inumidendosi al posto della bocca. Ne risultava una conversazione un po' irreale, come un dialogo fra statue.
«Vorrei parlarle», disse Rambert.
«Usciremo insieme, se vuole. Mi aspetti nell'ufficio di Tarrou».
Un momento dopo, Rambert e Rieux sedettero dietro, nell'automobile del dottore; Tarrou guidava.
«Sta per mancare la benzina», disse questi avviando, «da domani si va a piedi».
«Dottore», disse Rambert, «io non parto e voglio restare con voi».
Tarrou non si mosse, continuava a guidare. Rieux sembrava incapace di emergere dalla sua stanchezza.
«E sua moglie?» disse con voce sorda.
Rambert disse che aveva ancora riflettuto, che continuava a credere in quello che credeva, ma che se fosse partito n'avrebbe avuto vergogna; e questo avrebbe guastato il suo amore per colei che aveva lasciato. Ma Rieux, raddrizzandosi, disse con voce ferma che la cosa era stupida e che non c'era vergogna nel preferire la felicità.
«Sì», disse Rambert, «ma ci può essere vergogna nell'esser felici da soli».
Tarrou, che sino ad allora aveva taciuto, senza voltar la testa verso loro fece notare che se Rambert voleva condividere le sventure degli uomini non avrebbe mai più avuto tempo per la felicità. Bisognava scegliere.
«Non è questo», disse Rambert. «Ho sempre pensato di esser estraneo a questa città e di non aver nulla a che fare con voi. Ma adesso che ho veduto quello che ho veduto, so che io sono qui, che io lo voglia o no. Questa storia riguarda tutti».
Nessuno rispose, e Rambert sembrò spazientito.
«D'altronde, voi lo sapete bene. Se no, che ci fareste nell'ospedale? Avete scelto, voi, e rinunciato alla felicità?» Né Tarrou né Rieux ancora risposero. Il silenzio durò a lungo, sino a che furono nei pressi della casa del dottore. E Rambert, di nuovo, pose la sua ultima domanda, con più forza ancora. E il solo Rieux si voltò verso di lui, sollevandosi a fatica: «Mi scusi, Rambert», disse, «ma io non lo so. Resti con noi, se lo desidera».
Uno scarto dell'automobile lo fece tacere. Poi riprese guardando davanti a sé: «Nulla al mondo vale che ci distolga da quello che si ama. E tuttavia me ne distolgo anch'io, senza poterne sapere la causa».
Si lasciò cadere sul sedile.
«E' un fatto, ecco tutto», disse con stanchezza. «Prendiamone atto e traiamone le conseguenze».
«Quali conseguenze?» domandò Rambert.
«Ah, che non possiamo contemporaneamente curare gli uomini e sapere» disse Rieux. «Quindi occupiamoci di curare gli uomini il più in fretta possibile. E' questa la cosa più urgente.»

La peste, Albert Camus

lunedì 8 giugno 2020

e divorarono, intera, una lepre, col ventre gonfio di figli, afferrata nell’ansia dell’ultima corsa

Coro:
Un decennio è passato: in questo tempo Priamo
ha fatto esperienza di una coppia
spietata di nemici, Menelao e Agamennone.
Essi hanno raggiunto la sua terra
con mille navi, avidi di guerra:
come due avvoltoi
che girano, girano in alto,
facendo fischiare al vento le ali
pazzi di pena,
alla vista, laggiù, dei loro figli.
E un Dio, su loro- Apollo,
o Pan, o Zeus - con stridi d'uccello
guida lo spirito delle Erinni.
Così i figli di Atreo contro Paride
guida Zeus
ed ecco, per colpa di Elena dai molti amanti
quante braccia fiaccate in livide
lotte, quante ginocchia
sulla polvere, quante lance
rotte negli scontri, secondo la sorte
che tocca ora ai Greci ora ai Troiani.
Ciò che accade accade. Ma
il suo fine è necessario.
Né bruciando vittime,
né con libagioni,
si placherà l'ira degli dei.
Noi... noi siamo vecchi, già,
non possiamo adoprarci a lottare,
l'esercito è partito a difendere
il nostro diritto, e ci ha lasciati
quaggiù alle sue spalle.
Ce ne stiamo qua,
con le nostre povere forze,
come bambini.
Che cosa è un vecchio,
quando ogni fogliame muore?
Va su tre gambe, debole
più d'un ragazzo, va
come l'ombra d'un sogno
in pieno sole.
Cosa c’è figlia di Tindaro,
regina Clitennestra? Cosa c’è di nuovo?
Di’, che notizia dà forza
Alla tua speranza?
Perché ardono di offerte gli altari
Degli dei della città,
Spiegami tutto questo: o almeno
Ciò ch’io posso saperne!
Argina l’ansia della mia anima,
che ora smania…
Tutto quello ch’io so è il magico augurio
che salutò un giorno il nostro esercito
alla partenza. Ancora una forza
lasciano alla nostra età gli Dei:
la fede che ispira il canto.
Partirono i due grandi Re dei Greci
partirono a capo della nostra gioventù,
lancia e braccio pronti alla vendetta:
partirono al segno di un presagio
guerriero: due uccelli regali,
-uno tutto nero, uno col dorso bianco –
che apparvero presso il palazzo,
sopra un’altura. E divorarono, intera, una lepre,
col ventre gonfio di figli,
afferrata nell’ansia dell’ultima corsa.
Lugubre, lugubre canto s’intoni: ma il bene trionfi.!
Riconobbe il profeta dell’esercito, Calcante,
nei due divoratori della lepre,
riconobbe subito i due figli di Atreo
uniti nella volontà della vendetta:
e, spiegando quel prodigio, parlò:
“Giornò verrà che la città di Priamo
sarà distrutta da quest’armata pronta a partire;
e quante ricchezze le genti di Troia
avevano accumulate dentro le loro mura
violentemente il destino saccheggerà.
Ma attenti, che non ne nasca
qualche nuovo divino rancore,
e non crei una colpa
sull’esercito pronto a salpare.
Perché, tremante di pietà, la pura
Artemide, innamorata
dei fragili cuccioli d’ogni bestia,
vede gli alati cani del padre
sbranare – ed essa lo vieta –
la sciagurata lepre con i figli nel ventre:
ed essa odia quei pasti delle aquile!”
Così disse Calcante.
Lugubre, lugubre canto s’intoni: ma il bene trionfi.
E io invoco Apollo soccorritore
perché non scateni Artemide
sulle navi greche un vento nemico,
che le blocchi nel porto…
Perché non voglia,
a sua volta un sacrificio orribile,
contro ogni legge della natura
che faccia esplodere l’ira in cuore alla famiglia.
Un oscuro coro guarda questa casa,
le Erinni: esse ricordano, e vogliono
vendicare una vergine…
Lugubre, lugubre canto s’intoni: ma il bene trionfi.
Zeus, se questo è il tuo nome,
se con questo nome vuoi che t’invochi,
ho soppesato ogni cosa:
io non conosco che te,
a sciogliermi veramente
dall’incubo che mi pesa sul cuore.
Urano un tempo fu grande
il petto pieno di potente superbia:
- un giorno non si saprà nemmeno ch’è stato -
Poi venne Kronos: che presto
trovò chi pose fine al suo impero: Zeus.
È stato Lui a darci la ragione,
se è per Lui che vale la legge:
conoscenza attraverso dolore.


ho disperatamente cercato sul web la traduzione di Pasolini dell'Agamennone di Eschilo.
non l'ho trovata, ho postato altro.
ed è quella di Pasolini che l'attrice della Santa Estasi di Latella recita.
la traduzione di Pasolini è poesia.
oltre e più del testo di Eschilo, se mai fosse possibile.
il coro greco, recitato in greco, del gruppo teatrale ha una forza devastante.
e anche quello latino, il cui ritmo è scandito dal battere dei bastoni.
non tutto è all'altezza di alcui passaggi recitativi davvero potenti, come la morte di Agamennone e quella di Cassandra. molto del testo è urlato, sguaiatamente urlato, troppo, davvero troppo.
però ho dei passaggi nella testa..

venerdì 5 giugno 2020

Santa Estasi

Nato nel 2016 dal Corso di Alta Formazione che Antonio Latella ha condotto per Emilia Romagna Teatro Fondazione dirigendo sedici attori e sette drammaturghi, Santa Estasi è diventato un vero e proprio caso teatrale: nel 2016 ha vinto il Premio Ubu per le categorie “Spettacolo dell’anno” e “Nuovo attore, attrice o performer (under 35)” assegnato all’intero cast; nel 2017 è stato ospite della 71° edizione del Festival D’Avignone.
Direttore della Biennale Teatro di Venezia e artista caro a ERT per cui ha firmato numerose regie, Antonio Latella si è posto nei cinque mesi di lavoro per la creazione di Santa Estasi come maieuta, senza risparmiarsi in dedizione e ispirazione, in linea con quello che è il suo approccio in sede di produzione tout court. Con la messa a punto di un linguaggio nuovo, fatto di disinvoltura attoriale e drammaturgica, di coralità e illuminazione, ha attraversato il mito degli Atridi nelle sue pieghe più buie, restituendogli nuovi gradi di corporeità.

Santa Estasi mette in scena il tema della famiglia e delle generazioni a confronto. Padri, madri e figli contemporaneamente presenti come personaggi, ma, tutti, impersonati da un gruppo di sedici giovani attori che rappresentano, di fatto, l’ultima generazione di quelli che possiamo forse definire non solo “figli” ma addirittura “orfani” di una guida, di un padre, di una madre, di un’istituzione che li accolga, di maestri delle precedenti generazioni. La saga della famiglia degli Atridi ha inizio con una sfida agli dei, basata sul gesto originario di un padre, Tantalo, pronto a sacrificare il proprio figlio Pelope. È una maledizione per l’intera discendenza, che mette in gioco temi quali la contesa del potere, la vendetta, il peso della colpa, la preparazione sorda della catastrofe. L’ensemble ha dato vita a un prezioso lavoro di riscrittura originale, con la supervisione dei drammaturghi e collaboratori di Latella, Federico Bellini e Linda Dalisi, producendo otto spettacoli distinti e concatenati, ognuno dedicato a una figura mitologica, prevalentemente attingendo da Euripide e Sofocle, con incursioni in Eschilo e Seneca, e traendo ispirazione anche da Pasolini e Beckett, da Simone Weil e Angelopoulos per la parte finale.

I video (a cura di Lucio Fiorentino) resteranno disponibili sul sito di ERT fino al 30 giugno

Ifigenia in Aulide da Tieste di Seneca e Ifigenia in Aulide di Euripide. In questo primo capitolo si indagano le origini della maledizione. Gli uomini-eroi della tragedia si stanno sgretolando, l’espiazione spetta alle donne: in questa cornice si inserisce l’atto eroico compiuto da una bambina, la cui ricerca d’identità si trasforma in sacrificio.

Elena da Le Troiane e Elena di Euripide, il mito della donna che per bellezza superava tutte le altre. Elena si aggira attorno al cavallo di Troia oppure si trova in Egitto? Qual è la verità e quante sono le esistenze di Elena?
(https://emiliaromagnateatro.com/santa-estasi-atridi-otto-ritratti-di-famiglia-di-antonio-latella-ertonair/)
certo, in televisione il teatro è un'altra cosa.
ma mi adatto.
e vedo Santa Estasi di Latella.
mi adatto anche all'inadattabile, ovvero a una regia televisiva che grida vendetta.
chi hanno messo dietro alla "cinepresa"?
il fantasma di Agamennone?
vabbè, uno scandalo.
ma lo spettacolo è fremente, la tragedia greca è l'universo che si spalanca, la psicoanalisi attinge a piene mani, la mitologia è la verità ancestrale del nostro inconscio.
bellissimi spettacoli, ne ho visti 2, ho tempo fino al 30 giugno di vederli tutti e 8.
al Piccolo li avevo persi.
posso recuperare qualcosa.
chi lo avrebbe mai detto in tempo di pandemia.