bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 31 maggio 2010

le lacrime di mourinho


per uno strano caso del destino io, di famiglia storicamente milanista, dicevo io, tiepidamente tifosa, e quindi io, distrattamente attirata dal calcio con una specie di terzo occhio, infine io mi trovo maldestramente circondata da interisti.
squadra curiosa, di certo non nazionale ma piuttosto direi, a essere cortese, globalizzata, animata da tifosi mediamente poco simpatici, altezzosi, milanesi boriosetti, ma comunque, brava gente.
come tutte le realtà che salgono alla ribalta in modo prepotente mi incuriosisce e finisce col meritare la mia attenzione analitica e perfino il mio tifo.
il 22 maggio mi sono guardata la partita e mi sono accesa per i due gol di militooooooooooo, principe dell'ultima ora.
ho fatto il tifo, sinceramente, e ho provato un po' di contentezza per gli interisti annegati in quella gaiezza un po'infantile, cioè all'origine genuina, che ti fa sbroccare per un successo di squadra.
ma la mia attenzione è caduta, più che su capitan eroe zanetti, più che su papà regal milito, sul conductor maximo, José Mário dos Santos Félix Mourinho.
questo burbero e indomito allenatore che piange.
bene. quanta gioia negli animi interisti per quell'allenatore un po' bastardo dalla lingua molto tagliente e ignara del rispetto ma alla fine, apparentemente, così tenero da commuoversi fino alle lacrime.
tipo: anche i duri hanno un cuore.
tipo: avete visto? non sono quell'insensibile dittatore che avete disegnato, voi ingrati giornalisti assetati di sangue.
eppure dopo profuse calde lacrime, dopo tanta remunerata appartenenza alla squadra milanese, dopo tanti abbracci e generosa elargizione di rarissimi sorrisi...già il giorno dopo l'agognato traguardo, il suo amore, diciamo così, era dedito ad un'altra di nome real madrid.
neanche una puttana direi ha tanta fretta. nemmeno è finito l'orgasmo
e già, anima e corpo, si è data al prossimo cliente.
e già dichiara il suo passaggio alla storia per la champions league che regalerà ai medrileni, il terzo trofeo nel giro di pochi anni. sarà lui. è lui. è SOLO lui.
il nostro mourinho appartiene alla grande a questo nostro millenenio dove l'oggetto viene rapidamente consumato. come in ogni dipendenza che si rispetti, anche lui fa del suo oggetto del desiderio una sostanza che entra in circolo e di cui non si può fare a meno. non si capisce se la sua fosse gioia o già disperazione, qualcosa che spinge chi ha appena ottenuto l'appagamento a desiderare immediatamente quello successivo, e a dichiararsi onnipotente come un dio, come se il vuoto, la mancanza, creasse una vertigine intollerabile. la popolarità e il successo sono oggetti molto desiderabili al giorno d'oggi e risultano davvero entusiasmanti ma non nutrono. solo sostituiscono. l'io del nostro mou è ingordo e insaziabile, e come raggiunge il climax è già altrove, desideroso di altri insuperabili interminabili e infiniti traguardi.
mi dispiace per il deluso popolo degli interisti, ultimamente simpatici cugini di successo ora soli e abbandonati, mi dispiace ma le lacrime di mou non erano per voi, non erano per la squadra, nè per moratti e nemmeno per lo stadio.
«Certo che sono capace di vincere la Champions con il Real..Voglio essere il primo a conquistare il 'Grande Slam' nei tre massimi campionati del mondo: Inghilterra, Italia e Spagna».
le lacrime di mou erano di risarcimento personale, erano di conquista, erano di successo che appaga solo per un secondo un io affaticato da un lungo lavoro, erano di affrancamento e di percezione della prossima grande abbuffata bulimica.
le lacrime di mou erano solo per se stesso. per la sua fatica di eterno conquistatore senza terra.

venerdì 28 maggio 2010

la via alla realizzazione dei sogni



Siddharta, di Hermann Hesse.
lo rileggo, o meglio, me lo rileggono.
ho scoperto gli audiolibri, un'invenzione geniale.
avete mai avuto la fortuna che qualcuno vi leggesse i brani di un libro? o una poesia?
è come farsi portare per mano nel mondo dei sogni.
e così io faccio: una voce -sempre una voce, potente e ipnotica- mi porta nel mondo dei samana, dell'atman, di gotama e di govinda.
di Siddharta.
ascolto, e mi imbatto, nel disvelarsi della vita di Siddharta, in questo dialogo in cui Siddharta, samana, cioè asceta, povero e cencioso, parla con Kamala, bella cortigiana, ricca e molto abile nelle arti amatorie:

"Cara Kamala, quando io venni nel tuo boschetto feci il primo passo. era mio proposito imparare l'amore da questa bella donna. dal momento in cui mi posi questo scopo, seppi anche che lo avrei raggiunto sapevo che mi avresti aiutato, lo sapevo dal tuo primo sguardo all'ingresso del boschetto."
"E se non avessi voluto?"
"Ma tu hai voluto. vedi Kamala, se tu getti un sasso nell'acqua, questo va a fondo il più rapidamente possibile. e così è Siddharta, quando ha uno scopo, una meta. Siddharta non fa nulla.
Siddharta pensa, aspetta, digiuna,
ma attraversa le cose del mondo come la pietra attraversa l'acqua, senza far nulla, senza muoversi: viene attirato, si lascia cadere. il suo stesso scopo lo attira a sè, poichè nella sua anima non c'è nulla che possa contrastare questo scopo. questo è ciò che Siddhardta ha imparato dai samana. è anche ciò che gli stolti chiamano magia, credendo che sia opera dei demoni. i demoni non esistono, ognuno può fare delle magie, ognuno può raggiungere le proprie mete,
se sa pensare,
se sa aspettare,
se sa digiunare."

...
"il digiuno? a che cosa è utile?"
"è utilissimo, se un uomo non ha niente da mangiare, digiunare è la cosa migliore che possa fare. se, per esempio, Siddharta non avesse imparato a digiunare oggi dovrebbe assumere qualsiasi impiego da te o da chiunque altro, perchè la fame lo costringerebbe. Siddharta invece può aspettare tranquillo, non conosce impazienza, può a lungo lasciarsi assediare dalla fame e può riderne.
a questo, signore, serve il digiuno."

e penso a te, Amico Mio.
fondamenti che già hai ma che, magari, ti sei dimenticato.
è il nostro scopo ad attirarci, senza bisogno di fare nulla, se non pensare, aspettare e saper digiunare, ovvero avendo appreso la capacità di dedicarsi, di lasciarsi trovare, senza impazienza.
perchè questo è il mondo delle cose vere, diversamente da quelle a cui sei abituato.
in questo mondo è l'attesa paziente che ci permette di avvicinarci alle cose e alle persone. di conoscerle, di attraversarle e di abitarle. piano, come dovrebbe piacere a te.
è l'anima sgombra da impedimenti, mentali come paure e difese, che attira a sè, naturalmente, l'oggetto del nostro desiderio.

Rossa


mercoledì 26 maggio 2010

Red passion wine


Red passion - Wine
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vino rosso.
Brunello o Cabernet Sauvignon?

il riflesso passa dal vetro del bicchiere, deformato e arrotondato come nell'obiettivo di una macchina fotografica.
la parola nasce sbadatamente dalla mente sdoganata dalla disinibizione del vino.
lo sguardo si moltiplica, vuoi per la diplopia alticcia, vuoi per la sovrapposizione veloce delle immagini, su retina e di fantasia.
l'immaginazione va a propositi di un momento di rossa intimita'.
la realta' mi parla di uno scambio verace e rosso carminio veramente, sottolineato da uno sguardo un po' attonito.
la memoria mi riporta dolcissima a momenti di intimita' familiare, attuale e vissuta.
la buona tavola e' l'educazione al bello che mi abita, e' l'accudimento di chi amo, e' il pranzo di Babette, e' la promessa che si mantiene.

insomma, la convivialita' di una buona cena condita da un vino come si deve e' un'iniziazione speciale e di innegabile successo all'autenticita' dei sensi.
e' matrimonio dei sensi.
e' pensieri che si toccano.

lunedì 24 maggio 2010

Ti cercherò nel fondo degli abissi,nel mormorio del vento

ci sono.
si ci sono cose, ovvero persone o elementi, costituenti la nostra vita, partecipanti il nostro essere, che ci sono senza esserci.
tutto è nato dal vento.
c'era vento, a milano, martedì scorso. finalmente.
sono le 9.55.
arriva un sms.
già questo. è un contatto senza esserci. non c'è voce, non c'è persona, non c'è gesto.
parole scritte, cancellabili. ma, come spesso le parole, indimenticabili.(le parole ci sono?)
che mi chiedono come si relazionano le sirene con il vento.
che mi comunicano quanto sia piacevole la sensazione del vento addosso.
che mi spiegano anche che il vento è un'immagine del pensiero.
esiste senza esserci.
allora mi dico. (il pensiero c'è?)
anche la luce c'è senza esserci.
anche l'ombra.
anche il buio.
anche la nebbia.
anche il profumo.
anche il suono, la voce.
anche il sapore.
è un'altra dimensione questa. quella dell'inconsistenza materiale che si accompagna alla vivida rilevazione sensoriale. la percezione addosso, la percezione degli occhi, la percezione del naso e nella bocca e delle orecchie, la senso percezione è la nostra relazione con il mondo, è l'avvolgimento di luce ombra buio vento aria suoni profumi odori sapori, è il piacere e il dispiacere, è il godimento e il fastidio, è la bellezza e il suo contrario, è l'abbandono e il rifiuto.
un bacio esiste? eppure...C'E'.
penso al mio corpo che c'è e si vede, respira e annusa, ascolta e parla, gode e soffre. avverte il vento addosso e si sente vivo, immagina il mare e le onde, si pensa in acqua e tra le braccia di un uomo, desidera il contatto e lo ricambia.
siamo veri e inconsistenti, siamo carne e siamo acqua, siamo pesanti ma smisuratamente leggeri, siamo fatti di atomi infinitamente piccoli e di pensieri maledettamente ponderosi. il nostro sentire il mondo è fatto di percezioni che non hanno storia nè peso, che non hanno consistenza se non nella nostra memoria, nel nostro esserci in quel momento.
"il bello è ciò che cogliamo mentre sta passando. È l'effimera configurazione delle cose nel momento in cui ne vedi insieme la bellezza e la morte. Forse essere vivi è proprio questo: andare alla ricerca degli istanti che muoiono".
ovvero alla ricerca dei "sempre" nel "mai", la bellezza, qui, in questo mondo.
(Muriel Barbery, L'eleganza del riccio)


Il vento nell'isola
Il vento è un cavallo:
senti come corre
per il mare, per il cielo.

Vuol portarmí via: senti
come percorre il mondo
per portarmi lontano.

Nascondimi, tra le tue braccia
per questa notte sola,
mentre la pioggia rompe
contro il mare e la terra
la sua bocca innumerevole.

Senti come il vento
mi chiama galoppando
per portarmi lontano.

Con la tua fronte sulla mia fronte,
con la tua bocca sulla mia bocca,
legati i nostri corpi
all'amore che ci brucia,
lascia che il vento passi
senza che possa portarmi via.

Lascia che il vento corra
coronato di spuma,
che mi chiami e mi cerchi
galoppando nell'ombra,
mentre, sommerso
sotto i tuoi grandi occhi,
per questa notte sola
riposero, amor mio.

Pablo Neruda
"I versi del Capitano"



Busso' il vento
Bussò il vento come un uomo stanco
e io senza indugio
da padrona di casa dissi "avanti",
ed esso venne dentro.

Un ospite veloce, senza piedi,
cui offrire una sedia era impossibile
come invitare l'aria
ad accomodarsi sul sofà.

Non aveva ossatura a sostenerlo.
Il suo parlare era come l'empito
di tanti colibrì in una volta
dall'alto di un cespuglio,

il suo volto un'ondata.
mentre passava le sue dita sparsero
una musica, come un'armonia
vibrante soffiata sopra un vetro.

Sempre aleggiando fece la sua visita,
poi come un uomo timido
bussò ancora - a raffica, nervoso -
e io rimasi sola.

Emily Dickinson



Vento
Il campo
di ulivi
s'apre e si chiude
come un ventaglio.
Gli ulivi
sono carichi
di gridi.
Uno stormo
d'uccelli prigionieri
che agitano lunghissime
code nel buio.

Federico Garcia Lorca


Leggenda
Mi portò il mio cavallo
tra le foglie
con soffice volo.
Calda vita nel vento
il suo respiro,
i molli occhi
fra colori d’autunno:
era oro nel sole il suo mantello.
Le pietre si scostavano
sui monti
al tocco degli zoccoli d’argento…

Antonia Pozzi

venerdì 21 maggio 2010

conquistami


le volpi vogliono essere addomesticate?

i gatti ci addomesticano, esigendo la nostra presenza ma fingendo di non pretendere nulla.
accerchiamento, questa la loro tattica che conduce alla resa.
irresistibile felinità che a volte grandeggia, sbruffoneggia, si struscia, si posa o si impone, si indispettisce, si nasconde, si scalda e ci scalda, ronfa, graffia, alita, si adagia, si allunga, gioca, si compiace, si esalta megalomane e poi nuovamente si sprofonda pigra e sonnolente fino a diventare liquida al tepore di una stufa o di un raggio di sole.


così vi voglio.
miao.












se ne volete vedere altre...altre cento...cliccate qui.

http://www.student.ipfw.edu/~osbodr01/hallmarks/hallmark00.html
http://toons.gotblah.com/hallmarks_of_felinity/1.html


e grazie Pesa.

giovedì 20 maggio 2010

l'uomo che verra'



per chi ama il cinema italiano ma ritiene che Ozpetek sia ripetitivo e Antonioni un po' datato (ma non è vero).
per chi vuole entrare in un pezzo di storia a patto di non aspettarsi l'altisonanza dei sentimenti urlati.
per chi ha visto "il vento fa il suo giro" e ha pensato che Giorgio Diritti, il regista, abbia qualcosa da dire.

"l'uomo che verrà" parla di guerra, ma solo in parte.

strage di Marzabotto, crimine di guerra compiuto dalle truppe naziste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nel territorio di Marzabotto e nelle colline di Monte Sole in provincia di Bologna.
è guerra è strazio è sterminio.
ma è, alla fine, un film sulla pietà, sulla compassione, sulla rinascita.
l'ambientazione rurale fa da sfondo ai personaggi ma ne costituisce anche l'essenza primaria. in questa narrazione ciò che conta, ciò che passa, ciò che si vive, è l'essenziale, ovvero una dimensione autentica in cui la vita scorre su elementi primari, insostituibili, scanditi dal tempo in modo inesorabile ma solido: il lavoro, la famiglia, la casa, il matrimonio, i figli, l'educazione, la terra, il raccolto, la chiesa.
la vita.
la morte.
e le nascite.
anche in questo caso il vento fa il suo giro, vita e morte ruotano, senza stupore, ineluttabilmente. si vive sapendo di morire e di dare il testimone a chi verrà dopo di noi.
la strage lascia il segno per la sua crudeltà e stupidità, paralizza per la sentenza della legge della guerra che non lascia scampo, ma nel film non c'è quasi spazio per il giudizio perchè la narrazione è asciutta, diretta, senza enfasi nè sentimenti armati.
un colpo di pistola, tutto è finito.
un mitra spara sulla folla. finito.
una vecchia zoppa non ubbidisce al comando di uscire. finita.
un bambino piange mentre violentano la madre e da fastidio. finito.
una donna viene salvata per una somiglianza con la moglie del nazista, ma vendica la crudeltà dello sterminio, uccide ma viene uccisa a sua volta. finita.
un padre crede la famiglia annientata, si butta verso i nazisti sperando in un colpo che lo atterri e ponga fine al suo dolore. finito.
un gruppo di gente inerme viene rinchiuso in una chiesa, si rompe un vetro, bomba. finiti.
ma anche un nazista viene preso dai partigiani, un colpo alla nuca. a freddo. finito.

tutto parebbe finito, ma c'è Martina.

ha otto anni e da quando, anni prina, è morto il fratellino appena nato ha smesso di parlare. martina sente il legame con la terra, più di chiunque altro, ne segue i ritmi, come un animale, con la stessa istintualità. vive l'appartenenza in modo viscerale, come glielo hanno insegnato, come lei lo ha assorbito come le radici di una pianta, e alla morte di un fratello da l'unica risposta di cui è capace: il silenzio.
martina guarda e osserva. e i suoi occhi hanno ancora più valore perchè non parla. martina aspetta.
aspetta un tempo migliore.
aspetta l'arrivo di un nuovo fratellino, che nasce, finalmente, poco prima che la strage abbia inzio.
nello sterminio muoiono la madre, la nonna, il padre. finiti.
ma lei persegue solo uno scopo, salvare suo fratello.
sembra che la strage non la tocchi, non piange in mezzo ai cadaveri, rialzandosi con il volto schizzato del sangue di quelli annientati dall'esplosione nella chiesa, scappa, corre, prende il fratello ancora vivo, lo nutre, lo nasconde.
il mondo intorno sembra non riguardala. non vede la morte ma solo la vita, la vita dell'uomo che verrà. dell'uomo che rinascerà dalla strage, dalla guerra, dall'insensatezza.
protegge la vita come invasata da una missione, la sopravvivenza della specie e della sua stessa terra.
la anima la speranza invitta dell'uomo, della giustizia, della ricostruzione.
spinta da una forza incoercibile, cieca a tutto il resto, tenace, senza sosta e senza ragioni. spinta da qualcosa che somiglia alla vita, la vitalità.

sopra la morte, martina salva il suo piccolo fratellino e lo consegna al futuro.
finalmente, in chiusura, canta ritrovando la voce, quell'estensione dell'anima che mai mente, e le parole dei canti della terra, cullando tra le braccia l'uomo che verrà.
la vita che verrà.

un capolavoro.
andate a vederlo.

martedì 18 maggio 2010

Tu non guardi il cielo, tu sei il cielo


Il senso di essere una sorta di... Testimone o Sé separato svanisce del tutto. Tu non guardi il cielo, tu sei il cielo. Puoi gustare il cielo. Non è là fuori... C'è solo puro vedere. La coscienza e la sua manifestazione non sono due cose distinte. Mentre rimani in quello stato e "senti" questo Testimone come una grande espansione, potrai cominciare a sentire che la sensazione del testimone e la sensazione della montagna sono la stessa sensazione. Quando "senti" il tuo puro Sé e "senti" la montagna, riconosci che sono esattamente la stessa sensazione. In altre parole, il mondo reale non ti è dato due volte, una là fuori, una qui dentro.
KEN WILBER


mi ha svitato la testa, il mio maestro zen, al tempo del nostro ultimo massaggio.
devo dire che fa di tutto:
per insegnarmi la via del dominio e della consapevolezza di sè.
per indicarmi le potenzialità del respiro per liberare l'energia.
mi dice:
smettiti, almeno per un po'.
lo faccio.
ma poi mi ricomincio.

al momento non so essere il cielo. me lo porto tutto sulle spalle.
e come lo sento.
al momento, per me, il modo è ancora duale, uno qui dentro e uno là fuori.

Datta. Dayadhavam. Damyata.
(Da. Comprendi. Controlla.)
The Waste Land di T.S. Eliot


L'occhio della carne e della mente vedono realtà relative, l'occhio della contemplazione il vuoto, e la realtà assoluta.

domenica 16 maggio 2010

addomesticami



la volpe del piccolo principe.
il piccolo principe di Antoine de saint Exupery.

IL LEGAME
un piccolo prinicipe incontra una volpe.
e
"Buon giorno", disse la volpe.
"Chi sei?" domando' il piccolo principe, "sei molto carino..."
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono cosi' triste..."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomestica".
"Ah! scusa", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: Che cosa vuol dire "addomesticare?" "E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo".


L'UNICITA'
"La mia vita e' monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio'. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara' illuminata. Conoscero' un rumore di passi che sara' diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara' uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu' in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e' inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e' triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sara' meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e' dorato, mi fara' pensare a te. E amero' il rumore del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardo' a lungo il piccolo principe:
"Per favore... addomesticami", disse.

IL TEMPO DELLA VICINANZA
"Che cosa bisogna fare?" domando' il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, cosi', nell'erba. Io ti guardero' con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' piu' vicino..."

L'ATTESA
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe."Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sà quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti."
"Che cos’è un rito?" disse il piccolo principe.
"Anche questa è una cosa da tempo dimenticata",disse la volpe. "E’ quello che fà un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora diversa dalle altre ore.”

L'ARRICCHIMENTO
Cosi' il piccolo principe addomestico' la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangero'".
"La colpa e' tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano"



LA PREZIOSITA' DELLA DEDIZIONE
Poi soggiunse:
"Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua e' unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalero' un segreto".
Il piccolo principe se ne ando' a rivedere le rose.
"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora e' per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si puo' morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa".
E ritorno' dalla volpe.
"Addio", disse.



L'ANIMA
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi".
"L'essenziale e' invisibile agli occhi", ripete' il piccolo principe, per ricordarselo.

L'ACCUDIMENTO
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi' importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurro' il piccolo principe per ricordarselo.

L'APPARTENENZA
"Gli uomini hanno dimenticato questa verita'. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."


perchè un principe bambino?
perchè è umile, accetta l'insegnamento, perchè è candido, è predisposto alla sorpresa, perchè è semplice, guarda con gli occhi del cuore.
perchè una volpe?
perchè è istintiva, non sa mentire, perchè è saggia, conosce i segreti della vita, perchè è paziente, come la natura gli ha insegnato.
in questo piccolo libro c'è tutto.
tutto quello che si deve sapere.
in questo capitolo della volpe c'è la preziosità insostituibile del mondo dei sentimenti, del legame, dell'unicità, dell'appartenenza.
della pazienza e dell'attesa.
c'è la costruzione di un amore, c'è il tempo necessario alla creazione di un vincolo, un tempo che non preme e rispetta il tempo dell'altro.
c'è l'umiltà di chi regala la propria esperienza e di chi la accoglie, senza pregiudizi, con il cuore aperto, con la bellezza della scoperta, con il desiderio di cose nuove.
c'è l'unicità della scelta e l'appagamento che ne consegue.
c'è la saggezza di chi sa che l'amore è il modo della vita, non ce ne sono altri, sapendo quanto può costare ma quanto può dare, una cosa non esiste senza l'altra, conservando il valore del ricordo, della malinconia, della nostalgia in cambio di momenti unici di accudimento, appartenenza e vicinanza.

il piccolo principe, grazie alla volpe, acquisisce il valore dell'anima, di quella scatola segreta, invisibile agli occhi, che contiene i nostri sentimenti.
la volpe, grazie al piccolo principe, trova il calore dell'amicizia, la magia dello scambio.

la volpe dice e insegna al piccolo principe una cosa sola, l'unica veramente importante:

stai
con
me

martedì 11 maggio 2010

i versi del capitano, per me



El condor

Io sono il condor, volo
su di te che cammini
e d’improvviso in un giro
di vento, piume, artigli,
ti assalto e ti sollevo
in un ciclone sibilante
di freddo tempestoso

Alla mia torre di neve,
alla mia tana nera,
ti porto, e sola vivi,
e ti copri di penne,
e voli sopra il mondo,
immobile, nell’alto.

Donna condor, saltiamo
su questa preda rossa
squarciamo la vita
che passa palpitando
e innalziamo uniti
il nostro volo selvaggio.


L'infinita

Vedi queste mani? Han misurato
la terra, han separato
i minerali e i cereali,
han fatto la pace e la guerra,
hanno abbattuto le distanze
di tutti i mari, di tutti i fiumi,
e tuttavia
quando percorrono
te, piccola,
grano di frumento, allodola,
non riescono a comprenderti,
si stancano raggiungendo
le colombe gemelle
che riposano o volano sul tuo petto,
percorrono le distanze delle tue gambe,
si avvolgono alla luce della tua cintura.
Per me sei un tesoro più colmo
d'immensità che non il mare e i grappoli,
e sei bianca e azzurra e vasta come
la terra nella vendemmia.
In questo territorio,
dai tuoi piedi alla tua fonte,
camminando, camminando, camminando,
passerò la mia vita.

Pablo Neruda

chi mi ha fatto questo dono mi conosce bene.
diciamo che sa cose di me che nessuno sa. ma non è un mio amico.
sa che amo la poesia e i bei libri.
forse non sa che non amo solo Neruda, ma lo perdono.
sa che fatico la fatica del vivere e dell'essere dimenticata.
sa che temo il silenzio, l'oblio, la noncuranza, la trasparenza.
l'inessenza.
la non significanza.
so che ha acquistato questo libro a una bancarella di antiquariato, lo ha notato, guardato e preso per me.
questi sono i gesti che mi fanno bene.
forse anche io posso essere ricordata, ogni tanto.
senza bisogno di strattonare e tirare per la camicia.
grazie

lunedì 10 maggio 2010

ascolto, di sogno e amore spietato

"quando l'occhio si chiude
hanno inizio tutte le cose."

Islam Samhan



ascolto una conferenza sullo spazio dell'interpretazione e mi parlano di sogno.
Nel sogno tutto dice "io", anche gli oggetti, anche gli animali, anche i luoghi, si ritrova il mondo all'alba della sua prima esplosione, quando l'esperienza viene vissuta in modo radicale. nel sogno si verifica il ritrovamento di una parte mancante: si recupera l'esperienza preverbale del "trauma", l'esperienza in cui l'evento ancora non si può dire.
il linguaggio del sogno è quello precedente all'avvento della parola, un linguaggio di segni, di fusioni, di associazioni che non appartiene alla dimensione della logica.

di Milo De Angelis

A volte , sull’orlo della notte si rimane sospesi
e non si muore. Si rimane dentro un solo respiro,
a lungo, nel giorno mai compiuto,
si vede la porta spalancata da un grido. La mano feriva
con una precisione vicina alla dolcezza. Così
si trascorre ignoti dal primo sangue
fino a qui, fino agli attimi che tornano a capire
e cercano il significato dei corpi e restano
imperfetti e interrogati.


Nella serra
di Eugenio Montale

S'empì d'uno zampettìo
di talpe la limonaia,
brillò in un rosario di caute
gocce la falce fienaia.
S'accese sui pomi cotogni,
un punto, una cocciniglia,
si udì inalberarsi alla striglia
il poney - e poi vinse il sogno.
Rapito e leggero ero intriso
di te, la tua forma era il mio
respiro nascosto, il tuo viso
nel mio si fondeva, e l'oscuro
pensiero di Dio discendeva
sui pochi viventi, tra suoni
celesti e infantili tamburi
e globi sospesi di fulmini
su me, su te, sui limoni...





"un errore
ti ha amputato gli arti
nel pozzo di una donna"

Islam Samhan



ascolto, sempre la stessa conferenza, e mi parlano dell'amore spietato, di cui parlava Winnicott nello sviluppo dell'affettività a partire dalla relazione madre-figlio. alla radice del desiderio c'e' il possesso dell'oggetto d'amore, un possesso senza paura di danneggiarlo, un possesso senza preoccupazione. l'amore spietato, appunto, del neonato che tira calci nella pancia della madre, che quindi "fa male" e che non conosce il confine del sè e non conosce nulla di ciò che è al di fuori di sè. anche dopo la nascita, in questa fase di spietatezza, nei confronti del seno della madre, amare e divorare coincidono. è un amore che chiede tutto, senza paura di fare danno.
a questa fase ne segue un'altra di riparazione, in cui si sviluppa la capacità di "preoccupazione responsabile", quando il bambino capisce che la sua vitalità non distrugge la madre, pur provandola molto, e gradualmente gli consente di stabilire una fiducia nelle sua possibilità di "riparare" con nuove azioni la madre dalla quale dipende totalmente.
amore spietato, amore responsabile.
amore che esige senza confini, amore che cura e provvede.
amore senza preoccupazione per l'altro, amore che ripara ai propri gesti.




Tentativo di gelosia

di Marina Cvetaeva

Ditemi: come va con l'altra?
Meglio? meno grane? - Mano ai remi! -
Vana linea costiera s'assottiglia,
scompare la memoria estrema

di me, isola fluttuante
(per cielo, non per mare...)
Anime, anime: sorelle! Anime:
amiche - mai più amanti!

Come vi va con la creatura
semplice? Senza divinità? E poi?
Voi, sceso dal trono, voi
che avete deposto la regina,

come vivete? Non c'è male? Non più
beghe? E bevete - quanto, adesso? E la cucina?
Il dazio della mediocrità immortale
come lo pagate, poveretto?

"Basta con le scenate, con gli eccessi -
cambio casa, vado via!"
Con la qualunque - come state
di che vivete, voi - mio eletto?

Mangiate - e dopo pranzo un sonnellino?
- Non lamentarti quando sarai sazio!...-
Con il simulacro come state
voi che avete dissacrato

il Sinai? Come vivete con la donna
terrestre? Per la costola vi piace?
Non vi frusta la fronte la vergogna?
La briglia di Giove vi dà pace?

E la salute? E i nervi? Senza
problemi? A letto tutto bene?
L'immortale piaga della coscienza
come la curate, poveretto?

Come vivete con la merce da mercato?
Troppo cara la vita? Vi assilla
l'alto prezzo? Dopo i marmi di Carrara
che ve ne fate del tritume

di gesso? (E' in pezzi
il dio scolpito nell'argilla...)
Come ci state con la milleunesima
voi - che avete conosciuto Lilith?

Già v'annoia l'ultima trovata
della moda? Sottratto all'incantesimo,
dite, come ve la passate
con l'umana senza il sesto senso?

In coscienza - sei felice?
No? In quel disastro senza dei
come stai, amore? E' dura? Sì?
Come per me con l'altro?


Cercati meno esigenti amiche
di Marina Cvetaeva

Cercati meno esigenti amiche,
più tenere in fatto di prodigi.
So che Venere è un fatto di mani,
artigiano, conosco il mio mestiere:
dal silenzio più solenne fino
a sterminare l'anima - tutta
la divina scala - da:
mio respiro! a: non respirare!

Indizi
di Marina Cvetaeva

Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l'amore dal dolore
lungo tutto il corpo.

Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l'amore dal lontano
di chi mi è accanto.

Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l'amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.

Vandalo in un'aureola
di vento! Riconosco
l'amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.

Riconosco l'amore dal boato
- dal trillo beato -
lungo tutto il corpo!



Marina Cvetaeva è una poetessa russa, nata nel 1892, geniale, assoluta, estrema, morta suicida nel 1941.
forse per lei l'amore era spietato.

domenica 9 maggio 2010

maggiorenni


http://www.flickr.com/photos/28259716@N02/2725821017/sizes/m/

Il tuo corpo tagliato
da una lama di luce –
per metà carne,
per metà ricordo.

Illuminazione obliqua,
il grande letto
intero,
il tepore lontano,
e la coperta rossa.

Chiudo la porta,
chiudo le finestre.
Vento con vento.
Unione inespugnabile.

Con la bocca piena
di un boccone di notte.
l’amore.

Ghiannis Ritsos

da "Nuove poesie d'amore", da una cena, da un regalo, da un tempo per diventare grandi, insieme.

mercoledì 5 maggio 2010

l'onestà intellettuale è un ossimoro



"Se un ladro di banche va in galera, perché gli intellettuali girano a piede libero?"

ossimoro, contraddizione in termini. antitesi.
interessante questa immagine di Baricco, molto interessante.
ecco cosa sostiene il prof Kilroy, City di Alessandro Baricco, in sintesi:
1. Gli uomini hanno idee.
2. Gli uomini esprimono idee.
3. Gli uomini esprimono idee che non sono loro.
4. Le idee, una volta espresse e dunque sottoposte alla pressione di un pubblico, diventano oggetti artificiali privi di un reale rapporto con la loro origine. Gli uomini le affinano con tale ingegno da renderle micidiali. Col tempo scoprono di poterle usare come armi. Non ci pensano un attimo. E sparano.

5. Gli uomini usano le idee come armi, e in questo gesto se ne allontanano per sempre.

Un´altra vita, saremo onesti. Saremo capaci di tacere.




"Sulla carta è talmente bello, e unico e irripetibile il rapporto con la verità, e quella magia delle idee, magnifiche apparizioni di confuso infinito nella tua mente... Come è possibile che tutti scelgano di rinunciare a tutto questo, di rinnegarlo, e accettino di armeggiare con piccole insignificanti idee artificiali piccole meraviglie di ingegneria intellettuale, per carità ma alla fine gingilli, miseri gingilli, capolavori di retorica e acrobazie logiche, ma gingilli, alla fine, macchinette, e tutto questo solo per il gusto irrefrenabile di combattere? ...Prendi uno che ci campa, con le idee, un professionista, che ne so, uno studioso, uno studioso di qualcosa, okay? Avrà iniziato per passione, sicuramente ha iniziato perché aveva del talento, era uno di quelli che hanno apparizioni di infinito, possiamo immaginare che le aveva avute da giovane, e che ne era rimasto fulminato. Avrà provato a scriverle, prima magari ne avrà parlato con qualcuno, poi un giorno avrà pensato che era in grado di scriverle, e si sarà messo lì, con tutta la buona volontà, e le avrà scritte, ben sapendo che sarebbe riuscito solo ad appuntare una minima parte di quell'infinito che aveva in testa, ma pensando che poi avrebbe avuto tempo di approfondire il discorso, che so, di spiegarsi meglio, di raccontare poi tutto per bene. Scrive e la gente legge. Persone che lui nemmeno conosceva iniziano a cercarlo per saperne di più, altri lo invitano a convegni in cui poterlo attaccare, lui si difende, sviluppa, corregge, aggredisce a sua volta, inizia a riconoscere un piccolo popolo intorno a lui che sta dalla sua parte e un fronte di nemici davanti a sé che lo vuole distruggere: inizia a esistere. Non ha tempo di accorgersene ma tutto quello finisce per appassionarlo, gli piace la lotta, scopre cosa significa entrare in un'aula sotto lo sguardo adorante di un po' di studenti, vede il rispetto negli occhi della gente normale, si sorprende a desiderare l'odio di qualche personaggio famoso, finisce per andarselo a cercare, lo ottiene, magari tre righe in una nota di un libro su tutt'altro, ma tre righe che trasudano livore, lui ha la furbizia di citarle in un'intervista per qualche rivista di settore, e qualche settimana dopo, su un giornale, si trova ormai etichettato come l'avversario del famoso professore, c'è anche una foto, su quel giornale, una sua foto, lui vede una sua foto su un giornale, e la vedono anche molti altri, è una cosa graduale ma ogni giorno che passa lui e la sua idea artificiale diventano un tutt'uno che si fa largo nel mondo, l'idea è come il carburante, lui è il motore, si fanno strada insieme, ed è una cosa, che lui neanche si immaginava, questo devi capirlo bene, lui non si aspettava che succedesse tutto quello, non lo voleva neanche, ad essere precisi, ma adesso è accaduto, e lui esiste nella sua idea artificiale, idea sempre più lontana dalla originaria apparizione di infinito perché mille volte nel frattempo revisionata per poter reggere alle aggressioni, ma idea artificiale solida e permanente, collaudata, senza la quale lo studioso cesserebbe all'istante di esistere e sarebbe inghiottito, di nuovo, dalla palude di un'esistenza ordinaria."

potrebbe sembrare un'estremizzazione ma non lo è.
le idee, bel casino originario e creativo nella nostra mente, una volta ordinate e rese presentabili, non solo abbandonano la loro forma e forza originarie, ma si ottimizzanoper la presentazione sul mercato. alla fine del percorso, la nostra idea originaria si è trasformata in un pacchetto regalo, impoverita della sua natura autentica e primigenia. è un'arma, uno strumento nelle nostre mani, proporzionalmente alla sua solidità e consistenza, è ovvio.
è chiaro che questa tesi mi mette in difficoltà, ma la capisco, almeno quello, e la condivido. io non posso fare a meno di esporre le mie idee, ne ho molte e quasi su tutto, non posso fare a meno di dare un nome alle cose, le metto su un blog - ma le esprimo molto caladamente anche a voce, la mia voce, tutti i giorni- e quindi, alla fine, le vedo trasformarsi in qualcosa che non è più per me, ma è per gli altri. è un atto generoso forse ma non più autentico se non nell'attimo della genesi. lo sguardo degli altri ci modifica. ci influenza. a volte ci condiziona.
tutto questo, oltre a farmi pensare, motivandomi nelle mie convinzioni, sul senso della commercializzazione delle parole, delle idee e delle immagini, oltre a convincermi che soprattutto l'enfasi mediatica delle idee sia uno spettacolo osceno spesso inguardabile per la sua volgarità e del tutto svincolata dal pensiero, tutto questo mi fa pensare anche al senso di un blog. mi fa pensare al contenuto, ciò che si dice e si passa per nostro, quasi sempre solo un tramite, quasi sempre mutuato da altro, quasi sempre, anche un ricordo, processato dalla macchina della nostra mente che lo affina per renderlo appetibile, credibile ed edibile per il nostro pubblico.
forse l'autenticità è solo istintiva, appartiene ai corpi, alla natura.
appartiene alle vite che abitiamo, alla sessualità che esprimiamo -in senso lato, in senso libidico- appartiene solo alla sfera del desiderio.
forse, non lo so.
vorrei essere onesta nel mio pensiero ma temo, capite bene, che l'onestà intellettuale sia un ossimoro.

domenica 2 maggio 2010

olive kitteridge e sulla stupidità



la mancanza di pensiero, o il non pensiero. il vuoto delle idee.
la stupidità mi mette molto in difficoltà.
da sempre.
quella degli altri, certamente anche la mia.
una volta di fronte alla stupidità avrei reagito in modo immediato, ripudiandola, massacrandola, dimostrandole la sua inconsistenza.
una volta avrei reagito stupidamente. perchè la stupidità è indimostrabile a chi la produce.
la stupità genera imbarazzo in me, probabilmente perchè temo il ridicolo del vuoto della mente. è una voragine, uno strapiombo. è una perdita di equilibrio, una cecità.
ma ho imparato che la stupidità si ridicolizza da sola.
anche benevolmente, a volte e' solo leggerezza.
e forse è questa l'unica soluzione possibile.
lasciare che parli da sola di sè, osservarla resistuendola, senza giudizio.


“Non abbiate paura della vostra fame. Se ne avrete paura sarete soltanto degli sciocchi qualsiasi.”
così dice olive kitteridge.
olive kitteridge è un libro. di elizabeth strout.
ed è una donna.
una donna molto intelligente che divora ogni cosa intorno a sè distruggendola con la presunzione e l'implacabilità dominante della sua intelligenza e del suo giudizio critico, onesto ma spietato.
questa donna, nel corso del libro, l'ho odiata e poi anche capita. l'ho rifiutata e poi mi ha intenerita.
certamente mi sono riconosciuta e poi mi sono spaventata. il suo sguardo penetra ogni cosa e ogni cosa scannerizza privandola di magia, la sua analisi le concede chiarezza ma la consegna all'infelicità.
mi restituisce speranza solo che, al termine del suo percorso, olive trovi saggezza e sapienza, oltre la sua arguzia, oltre la sofferenza, oltre l'arroganza.
"Quello che i giovani non sanno, pensò Olive mentre si sdraiava accanto a quell’uomo, con la mano di lui sulla spalla, sul braccio, oh, quello che i giovani non sanno. Non sanno che i corpi anziani, rugosi e bitorzoluti sono altrettanto bisognosi dei loro corpi giovani e sodi, che l’amore non va respinto con noncuranza, come un pasticcino posato assieme ad altri su un piatto passato in giro per l’ennesima volta. No, se l’amore era disponibile, lo si sceglieva, o non lo si sceglieva. E se il piatto di Olive era stato pieno della bontà di Henry e lei lo aveva trovato gravoso, limitandosi a mangiucchaire una briciola alla volta, era perchè non sapeva quello che tutti dovrebbero sapere: che sprechiamo inconsciamente un giorno dopo l'altro.
...il mondo la confondeva. Non voleva lasciarlo."

forse è questo che mi spaventa e imbarazza della stupidità. lo spreco.